Archivi del mese: giugno 2008

Non esigo vacanza

Dicevano i latini: “Nomen omen”. Nel nome, un destino.

Un giorno qualcuno mi ha fatto notare che un anagramma possibile del mio nome e cognome è “Non esigo vacanza”.

🙂

Ma ora basta: per qualche giorno mi fermo.

A martedì.

Non c’è acqua? Diamogli Gatorade

Mentre leggevo Sappiano le mie parole di sangue di Babsi Jones, mi ha colpita un brano sulla mancanza d’acqua – nel condominio di Mitrovica (Kossovo) in cui Babsi scriveva – a fronte di una sconcertante abbondanza di Gatorade:

«Niente acqua; nella stanza, però, c’è del Gatorade, questo speed conforme alla legge, questo speed alla buona per casalinghe aerobiche e ciclisti della Bassa Padana, questa bomba balsamica e reidratante che si ciuccia da un biberon per adulti, per rimettere in circolo i carboidrati essenziali sciupati imitando Jane Fonda.

Glucosio e fruttosio, sali di sodio e potassio: rovina i reni alla lunga, ma in questo luogo infestato da diplomatici scaltri e da tiratori sceltissimi noi cesseremo di vivere ben prima di affrontare una dialisi, Direttore. Ce ne sono almeno cento bottiglie, compresse a gruppi di sei. Frost Glacier Freeze color cobalto, Riptide Rush – bluastro come i paramenti da messa -, Fierce Melon, lo spietato melone, Extremo mango Electrico, X-Factor.»

(Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue, Rizzoli, Milano, 2007, pp. 78-79).

Dopo di che, sono andata a fare la spesa in periferia e, mentre facevo la fila alla cassa, m’ha fulminata questa differenza: nei carrelli dei bolognesi, la trasparenza di plastica delle bottiglie d’acqua, in quelli degli extracomunitari, i colori improbabili dei vari Gatorade, Powergade, Energade. Visi pallidi come acqua; facce colorate come bevande addizionate.

Che il desiderio d’integrazione si nutra della pubblicità di questi prodotti? Sprint muscolare e recupero di sali minerali per sopportare l’intolleranza italiana.

La scrittura di Babsi Jones

Avevo cominciato a leggere Sappiano le mie parole di sangue di Babsi Jones, subito dopo la sua uscita nel settembre 2007. L’avevo interrotto dopo una trentina di pagine (troppo lontano da me in quel momento, troppo indigesto), ripromettendomi, però, di continuarlo, che certo il libro meritava. (Quando si legge, bisogna pur assecondare le proprie disposizioni transitorie.) Ora lo sto finendo e – ti giuro – non c’è pagina che non mi turbi o meravigli: per come Babsi scrive, oltre che per ciò che racconta.

Ti passo un brano in cui distingue fra il reporter e lo scrittore di guerra.

Senti qua:

«Il reporter di guerra, che segua intrepidamente l’azione militare o si inventi panzane da trincea seduto a sorseggiare una birra nella hall di un albergo a centinaia di chilometri dal fronte, dalla sua ha un vantaggio: dita sciolte e un minimo di cognizione geopolitica, se compare una notizia che regge, la dà in pasto all’opinione pubblica. Sa perfettamente che il primo lancio di agenzia è quello che conta. Il suo pezzo ti arriva in tempo reale: merce pronta al consumo che presenta e illustra i feriti e i salvati, gli innocenti e gli infami. A grandissime linee.

Il percorso dello scrittore è diverso: nello stato di assedio, nell’intramontabile pogrom, nella guerra civile che ha più nomi di quanti si possano enumerare o distinguere, lo scrittore si adagia; le sue frasi affiorano lentamente, come ascessi; il tempo per ripensarle, nelle stanze scelte a caso, di notte, è un tempo rischioso; parola per parola per parola per parola: una monotona emorragia semantica mi consuma. Le parole si sospendono di colpo, in certe ore, in certe stanze più ripugnanti delle altre; poi il flusso riprende: parola per parola per parola, la piaga verbale spurga e mi spossa.»

(Babsi Jones, Sappiano le mie parole di sangue, Rizzoli, Milano, 2007, p. 65)

Obama, la bellezza, la danza 2

A corredo delle considerazioni di ieri, un altro esempio di Obama danzante, tratto dalla sua visita a Puerto Rico il 25 maggio scorso.

Una differenza rispetto a ieri: questa volta Obama non si esibisce in un contesto di addomesticazione bianca, ma è un nero fra i neri.

In altre parole, qui il dondolio di Obama è privo della componente “Guarda come ballo bene, puoi farlo anche tu” che è rivolta solo ai bianchi, ma serve a enfatizzare la vicinanza del candidato alla cultura dell’elettorato ispanico di colore .

 

 

Obama, la bellezza, la danza

Sabato scorso ero a Venezia, al Simposio di apertura della Biennale Danza. Tema di questa edizione: “Beauty”. Gli interventi più stimolanti sono stati quelli di Loredana Lipperini e Germaine Greer, di cui ti dirò più avanti. Interessante è stato, nel complesso, sentire come coreografi, ballerini, direttori di balletti nazionali e internazionali filosofeggiano sul loro mestiere. Insomma, ho fatto un po’ di osservazione partecipante.

Uno solo dei relatori era un docente universitario, Jeffrey Stewart, preside del Department of Black Studies dell’University of California at Santa Barbara. A parte la lunghezza e pesantezza del suo speech – intitolato “Bellezza e blackness” – tipica di certo accademismo, mi ha colpita una sua tesi. Riprendo le parole di Stewart (dalla traduzione italiana distribuita ai convegnisti):

«All’alba del XXI secolo, si fa strada una nuova, più diffusa e vasta sensibilità verso la Bellezza Nera, che […] è creata nelle viscere dell’Occidente: la Bellezza Nera come cavallo di Troia. Un esempio calzante è la straordinaria affermazione di Barack Obama come possibile candidato alla Casa Bianca in un paese ancora razzista come gli Stati Uniti.

Questa candidatura seducente dovrebbe essere letta in termini di Bellezza Nera, poiché per molti versi il fascino di Obama deriva dalla sua estetica.

È un danzatore, i cui movimenti riflettono l’attitudine culturale delle comunità nere urbane a mantenere sempre la calma e il sangue freddo anche in situazioni di stress, muovendosi con grazia e trasformando le arene sconosciute in un palcoscenico su cui danzare. Si sono aperti dibattiti per stabilire se Obama sia “troppo nero” o “non abbastanza nero”, categorie risalenti agli anni ’60 e ormai superate, mentre gli osservatori non sono riusciti a vedere quanto la sua campagna assomigli a una coreografia nera.

La sua genialità ha radici nella padronanza della cinetica nera, la sua flessibilità, la capacità di controbattere, la sua giovane età, il suo eloquio musicale dipendono da e promuovono la Bellezza Nera, che include l’Altro Bianco su nuovi palcoscenici. Attira a sé quelli che normalmente non appoggerebbero un candidato nero perché la sua bellezza li trasforma, insegna loro come muoversi in un mondo post-moderno, post-coloniale, post-identità. Si dondola e il suo messaggio è: “Puoi farlo anche tu”

In questi termini è più chiara – mi pare – la potenza di quel togliersi la giacca che abbiamo commentato alcuni giorni fa.

Però però.

Stewart prosegue:

«Come portatore di Bellezza Nera, Obama diventa la migliore opportunità per l’Occidente di salvarsi, ma la domanda è: saprà l’Occidente imparare i passi di questa danza?

Questa è una sfida, non una domanda retorica. Perché altri danzatori della Bellezza Nera non son riusciti a tradurre la loro estetica in qualcosa di più. […] Pensiamo a Josephine Baker, che trasformò la danza in America ed Europa negli anni ’20 e ’30. […] Ma conosciamo tutti la storia della Baker. Benché alcuni la considerassero come l’epitome della Bellezza, altri la trattarono come l’animale domestico della società parigina, un animale la cui bellezza mobile fu attribuita e ridotta ad abilità razziale conseguente alla genetica. E non cambiò nulla in Europa o negli Stati Uniti del come noi umani conviviamo, chi consideriamo umano, cosa intendiamo per umanità, ecc. […]

Molti europei, per esempio, sostegono di apprezzare Obama, ma non vedo poi uno sforzo corrispondente nell’affrontare la disuguaglianza e le tensioni etniche e razziali nelle società europee. È a posto fintantoché rimane per loro un simbolo e uno spettacolo televisivo, così possono imitare la sua danza in modo superficiale.»

Barack Obama come Josephine Baker: solo una provocazione?

Mentro cercavo di rispondere a questa domanda, ho trovato questo video, in cui Obama accenna alcuni passi di danza durante una puntata del The Ellen DeGeneres Show (ottobre 2007).

Mi si è gelata la schiena.

La creatività di Annamaria Testa

Se stai preparando la tesi e hai una crisi di ispirazione 🙂 , ricorda che da qualche mese esiste NEU. Nuovo e utile, il sito di Annamaria Testa sulla creatività. Centinaia di idee, spunti, informazioni su “Teorie e pratiche della creatività”, con tanto di bibliografie, linkografie, calendari di eventi e appuntamenti, testi da scaricare, video e audio da vedere e ascoltare. Da oggi è fra i miei link permanenti. Mettilo anche fra i tuoi.

Come antipasto, comincia dai “132 frammenti sulla creatività“. Questi sono i primi:

Rompere le regole

“Non esiste grande genio senza una dose di follia.”
Aristotele (filosofo)

“Vedo la mente di un bambino di cinque anni come un vulcano con due sfoghi: distruzione e creatività.”
Sylvia Ashton-Warner (educatrice)

“La passione per la distruzione è anche una passione creativa.”
Michail Aleksandrovic Bakunin (pensatore e rivoluzionario)

“Le regole sono ciò che gli artisti rompono; ciò che è memorabile non è mai nato da una formula.”
Bill Bernbach (pubblicitario)

“Adoro gli esperimenti folli. Li faccio in continuazione.”
Charles Darwin (naturalista)

“Dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fiori.”
Fabrizio De Andrè (poeta)

“La creatività è l’arte di sommare due e due ottenendo cinque.”
Arthur Koestler (saggista)

“Un’idea che non trova posto a sedere è capace di fare la rivoluzione.”
Leo Longanesi (scrittore)

“Ogni creazione è, all’origine, la lotta di una forma in potenza contro una forma imitata.”
André Malraux (scrittore)

“Bisogna avere in sé il caos per partorire una stella che danzi.”
Friedrich Nietzsche (filosofo)

… continua sul sito.