Come dicevo qualche giorno fa, nonostante i dati sulla diffusione dell’HIV, nel nostro paese si stenta a parlare di preservativo. Altrove le campagne per indurre tutti a usarlo sono martellanti.
In Italia, invece, di preservativo parlano solo le associazioni LGBT. Il che ovviamente va bene, perché l’HIV non è stato ancora debellato neppure nelle comunità gay, che da anni sono le più sensibili alla necessità di usare il preservativo.
Però certe campagne LGBT contengono errori clamorosi. Forse perché progettate da persone già persuase della necessità di usare il preservativo, le campagne LGBT tendono a rivolgersi solo a chi, a sua volta, il preservativo già lo usa, mentre invece bisogna mirare a chi non ne vuole proprio sapere perché… metterlo, che fastidio, e poi non si sente nulla, o perché tanto in Italia l’AIDS non c’è più, o ancora, lo capisco subito, io, se una persona è sana o malata.
A questi incoscienti bisogna mandare messaggi diretti, semplici, chiari. Incluso fargli un po’ paura (ma giusto un po’, perché se gliene fai troppa, rimuovono l’argomento e siamo punto e daccapo).
E invece.
Guarda il manifesto del Cassero di Bologna. A una rapida occhiata, neppure io – in quanto persona già sensibilizzata – ci avevo fatto caso, ma – come mi ha fatto notare Micol Lavinia – a ben guardare l’immagine è fuorviante, perché induce a pensare che il preservativo possa essere usato un giorno sì e uno no.
Saltuariamente insomma, e non sempre. Come invece devi fare, per non rischiare molte malattie, non solo l’AIDS (clic per ingrandire).
grazie di averci ripreso, giovanna. comincio a pensare che si debba arrivare a promuovere l’uso del preservativo come unico strumento anti-aids parlando però di altro. tipo: abituare la gente a usarlo come prevenzione dalle infezioni e da malattiucce fastidiose. così da spaventarla meno e coinvolgere anche chi è convinto che siccome è furbo l’aids non la prenderà mai.
p.s. in questi giorni mi è venuta in mente la scena di “Anni 90”, cinepanettone uscito proprio quando l’aids faceva veramente paura. ricordo un episodio, con un ragazzo che pur di portarsi a letto la bonona di turno si incerottava con il domopak che pareva una mummia moderna. se non l’hai visto:
http://it.wikipedia.org/wiki/Anni_90_(film)#La_paura
E se nei messaggi preventivi si cominciasse a gettare un ponte tra protezione e piacere? Se si smettesse di sottindere che il preservativo è un male necessario e si passasse a insegnare come giocarci, in modo che non rappresenti una interruzione ma entri nei preliminari? Con un po’ di creatività, ma veramente poca, si può.
“bastò una volta: senza preservativo preselaidiesse”.
(il messaggio per essere effacace deve bastònare)
epperò, per giungere ad un livello di coscienza e fare presa, deve anche spingere a soffermarsi sul contesto, ovvero suscitare una qualche curiosità interpretativa. quindi – neuromarketing docet – il messaggio raggiunge la massima efficacia quando possiede un elemento di ambiguità immediatamente risolvibile.
in questo senso, il manifesto del cassero è assai penetrante e tutto mi sembra meno che sottintendere un *saltuariamente*: dice in modo chiaro “un contagio ogni due ore”, ovvero, senza pietà alcuna e senza scampo, il contagio arriva ogni volta che – ad ore alterne – manca il preservativo nel manifesto .
bingo.
Grazie per la nota e per aver pubblicato il manifesto.
Sul manifesto la scritta ci informa che in Italia avviene un contagio ogni due ore.
Quindi un’ora si e un’ora no. Non un giorno si e uno no.
Di conseguenza il grafico ha cercato di sovra-esporre il concetto mostrando un’agenda nella quale un memo, ossia un pene, indossa un preservativo appunto un’ora si e un’ora no.
Sono totalmente d’accordo con Laura. Secondo me l’unico modo per cercare di fa usare il preservativo è togliere quell’alone di sesso sanitario da presidio medico chirurgico e pensare a campagne che identifichino il preservativo e la prevenzione con il piacere. Idea già praticata dal Cassero (http://www.casserosalute.it/campagne_iniziative_piacere_anche_nella_prevenzione-d-199.html), ma tutt’altro che facile da rendere, soprattutto nel nostro Paese. Ve la immaginate una campagna che parla esplicitamente di sesso, per giunta non finalizzato alla riproduzione, e di piacere?
Non condivido l’idea che le campagne debbano spaventare, non foss’altro perché ci sono già state campagne in tal senso nei 25 anni di storia della pandemia, sia in Italia che in Europa. L’unico risultato ottenuto è stato quello di intasare di telefonate le varie linee verdi o amiche, per chiarimenti richiesti ovviamente dopo il presunto rapporto a rischio ossia quando ormai sarebbe stato tardi.
Tuttavia, per come siamo messi in Italia (male), andrebbe bene anche una campagna che tende a spaventare, almeno si parlerebbe di HIV!
Il problema vero è infatti che di HIV non se ne parla praticamente mai. Le campagne, soprattutto quelle pubbliche, sono generaliste e per lo più inutili quando non addirittura controproducenti. Non è consentito parlare di preservativo, di riduzione del danno e così via. In altre parole lasciamo HIV libero di agire praticamente indisturbato.
Almeno il Cassero ha tentato di produrre qualcosa, fare una iniziativa pubblica che ha fatto discutere e polemizzare (soprattutto la Curia e i suoi epigoni politici), ha regalato diverse migliaia di preservativi.
Saluti
Sandro Mattioli
Arcigay Il Cassero
Bologna
Sandro, grazie per il commento. Sono consapevole che l’intenzione del manifesto fosse “un’ora sì e un’ora no”, ma la lettura “un giorno sì e uno no” è risultata prevalente, chiedendo un po’ in giro, dopo che ho fatto caso all’ambiguità del messaggio, dietro suggerimento di Micol.
Torno a dire: il manifesto e tutte le iniziative che nascono in ambito LGBT hanno il pregio di essere le uniche, in Italia, a parlare di preservativo. Per il resto domina il tabù che proviene dalla chiesa cattolica, per cui al massimo si riesce a parlare di “test HIV”, come nello spot governativo che ho commentato qualche giorno fa. Mai di preservativo, che è l’unico modo serio di prevenire il contagio. Da questo punto di vista, sono totalmente dalla vostra parte, ovvio.
Il mio punto, però, è che a volte le iniziative LGBT tendono a parlare solo a chi è già sensibilizzato, non a tutti i deficienti etero che fanno un sacco di storie per mettere il preservativo. E trovano donne che li assecondano perché: sembrava un tipo a posto, con figli, moglie e tutto… vuoi che sia malato? Sento quasi tutti i giorni discorsi del genere: in palestra, sugli autobus, nelle sale d’aspetto. Ti rendi conto?
Non a caso, poi, i dati confermano le impressioni da palestra: aumento dei contagi HIV fra gli etero over 35, nelle regioni del nord. Esattamente quel mondo di incoscienti benestanti che si sentono al di sopra del preservativo e del contagio.
Ed è a questi deficienti che… mostrare un preservativo sì e uno no, mah, che dire? Troppo difficile, troppo indiretto per la testa bacata che hanno. Equivale a dire: «Anche se non lo usi sempre, fa lo stesso!».
Non credi?
Un caro saluto a te. Ciao e grazie ancora!
PS: anche secondo me la strategia di Laura è la migliore, perché la comunicazione funziona meglio se proponi modelli positivi, piacevoli, desiderabili, invece che minacciosi e paurosi.
E pensare ad una campagna pubblicitaria “cattolicamente approvabile”? tipo “se devi peccare pensa al tuo prossimo e usa il preservativo” ?
Che il principio cattolico no sesso se non procrei ma cavolo anche il prossimo esiste tanto quanto esiste il libero arbitrio di peccare…
Mi sembra interessante segnalare questa iniziativa (http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/cronaca/studenti-aids/1.html) per promuovere l’uso del preservativo agli studenti; è stata proposta in diverse città. Può considerarsi un esempio di comunicazione divertente, positiva e coinvolgente? O forse è eccessivamente positiva, tanto da rendere banale e ridicolo il messaggio stesso?
Segnalo questo bello spot a proposito del tema qui dibattuto…
Replicant24: grazie, carinissimo! 😀