Archivi del mese: febbraio 2010

Una seconda vita per Second Life?

Il 22 febbraio Linden Lab ha lanciato il Viewer 2 di Second Life, che mira a rendere il sito più accessibile e attraente per gli utenti mainstream, con un’interfaccia simile a quella dei browser.

Second Life fu una moda mediatica fra il 2007 e il 2008, poi l’attenzione se ne andò e i frequentatori pure. Gli utenti non sono mai stati molti, se si escludono i technofan e i frequentatori di «isole» (gli ambienti di Second Life) più o meno pornografiche.

Anche se allora non mancavano quelli che sognavano un destino 3D per l’intero web, io non ci ho mai creduto: il problema non è solo che le interfacce 3D sono più lente da caricare, ma che sono inutili per la maggior parte di cose che facciamo sul web: leggere, chattare, caricare e vedere foto e video, ascoltare musica, consultare archivi, fare acquisti e così via.

Però è sbagliato trascurare questo ambiente solo perché non va più di moda, visto che ad esempio è molto usato, negli Stati Uniti e in Europa, per conferenze, lezioni a distanza, simulazioni artistiche e architettoniche. E le possibilità in questi settori sono svariate.

Prima di verificare se davvero Viewer 2 regalerà una nuova vita a Second Life, non sarebbe male una tesi di laurea triennale che rispondesse a queste domande: chi sono, quanti sono, che caratteristiche hanno e cosa fanno, oggi, gli abitanti di Second Life?

Nel caso fossi interessata/o, posso metterti in contatto con un paio di aziende (una italiana e una tedesca, con cui puoi interagire in inglese) che hanno maturato esperienze rilevanti su Second Life.

Ecco la presentazione di Viewer 2.


Un Berlusconi d’annata

Ho ritrovato la prima apparizione televisiva di Silvio Berlusconi, un’intervista che gli fece Enzo Biagi e andò in onda il 4 febbraio 1986. Prenditi 15 minuti e guardala attentamente. Ne vale la pena.

In quasi venticinque anni i tratti fondamentali del suo stile comunicativo non sono affatto cambiati. Era già così prima di «scendere in campo»: sul piano espressivo, il sorriso suadente, la gestualità delle braccia, l’abito impeccabile; sul piano dei contenuti, l’amore per il Milan, il superomismo, lo stacanovismo, l’appello alla «gente» e al «buon senso», inclusa una battuta, giusto all’inizio per guadagnarsi subito il consenso, sul fatto che «le belle donne costano molto».

Prima parte

Seconda parte


L’ironia abusata

Gli esempi di pessima comunicazione politica che abbiamo visto ieri confermano, per l’ennesima volta, l’abuso che sui media oggi si fa della parola «ironia».

L’ironia è una figura retorica complessa, raffinata. Ma tutti vi si aggrappano senza sapere davvero cosa sia, e lo fanno quasi a casaccio, spesso per scusarsi di una gaffe o fingere che ci fosse chissà quale proposito intelligente e irrisorio dietro a comportamenti in realtà grossolani e volgari.

Per sapere tutto sull’ironia, ti consiglio il libro di Marina Mizzau, L’ironia. La contraddizione consentita, Feltrinelli, Milano, 1984. Purtroppo non è più acquistabile, ma lo trovi nelle migliori biblioteche civiche e universitarie.

Nel frattempo puoi collegare il post di ieri a ciò che avevo detto sull’abuso della parola «ironia» nella puntata del 2 dicembre 2009 della trasmissione Fahrenheit condotta da Loredana Lipperini. Sono solo 3’25”.

La politica del tacco a stiletto

Ormai l’immaginario relativo al mondo delle cosiddette “escort” è entrato a pieno titolo nella pochezza comunicativa della politica italiana. A destra come a sinistra.

A sinistra, la campagna per il tesseramento di Rifondazione Comunista usa la scarpa rossa col tacco a stiletto come simbolo di «donna di classe», giocando sul doppio senso dell’appartenza «di classe». «Ma è ironia», si sono affannati a spiegare dopo le critiche (vedi «Tacchi a spillo e donne di classe» di Imma Barbarossa, contraria, e Linda Santilli, a favore). (Grazie a Monica per la segnalazione.)

Campagna per il tesseramento di Rifondazione Comunista

A destra, Fabrizio D’Addario, candidato alla Regione Puglia per il centrodestra usa la stessa scarpa rossa per alludere all’omonima Patrizia D’Addario, da cui vuole prendere le distanze.

«È una provocazione – spiega D’Addario a Sky.it – Ho deciso di fare una campagna elettorale diversa, di usare quell’ironia che oggi spesso manca. Il messaggio è che siamo stanchi degli scandali: vogliamo una politica fatta col cervello» (Fabrizio D’Addario: «Votatemi, non confondetemi», Sky.it).

Manifesto di Fabrizio D'Addario

In entambi i casi non c’è traccia di ironia, naturalmente. Piuttosto, in mancanza di idee, si usa in modo becero e gratuito uno stereotipo del feticismo sessuale.

Di nuovo su Chatroulette

Dopo il post di lunedì 8 febbraio su Chatroulette, Nicola Bruno del Manifesto mi ha chiesto un articolo per la rubrica Chips&Salsa (fondata dal grande Franco Carlini), sul supplemento settimanale «Alias». Il pezzo è uscito sabato 20.

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LA TRISTEZZA DEL MONDO VISTA DA UNA CHAT

Chatroulette è nata da poco, e in Italia si comincia a parlarne. Bene, mi sono detta, vediamo subito di evitare che il chiacchiericcio mediatico ne tragga un pretesto per infilarsi nella solita demonizzazione della rete.

Chiunque abbia trascorso almeno mezz’ora in questa video chat, ne esce raccontando tristezza, noia, solitudine: facce cupe, stanze squallide, uomini che si masturbano, ragazze che esibiscono seni o altro, qualche inquietante perversione. Tutto vero, naturalmente.

E tuttavia, racconti del genere possono fomentare visioni apocalittiche della rete che non mi pare il caso di alimentare, specie se consideriamo che, secondo l’ultima ricerca Nielsen (settembre 2009), in Italia usano Internet solo il 45% delle persone sopra i 14 anni, e ne fanno un uso frequente, attivo e colto solo il 34% (vedi anche 800 milioni per la banda larga? Magari il problema fosse solo quello).

In altre parole, nel nostro paese racconti del genere vanno fatti e letti con grande cautela, perché tendono a trasformarsi, sui media e nelle chiacchiere da bar, in generalizzazioni su quanto alienante, insensata e “cattiva” sia internet (tutta, non solo Chatroulette).

Il che non favorisce la diffusione della cultura di rete da cui oggi nessun paese civile può prescindere.

Per questo, pur accogliendo lo sconcerto che Chatroulette desta – almeno per come è usata al momento – è doveroso puntualizzare alcune cose.

Innanzi tutto, come ogni altro ambente in rete, non fa che rispecchiare il mondo. Se qualcosa di ciò che vi accade non ci piace, vuol dire che non ci piacciono certe cose del mondo: la chat è “colpevole” di farcele vedere, non di determinarle.

In secondo luogo, se Chatroulette è fatta così, non implica che tutte le chat lo siano, né che lo siano tutti i siti di dating on line (Meetic e altri) o tutti i social network (da My Space a Facebook). Detta così, pare un’ovvietà, ma non lo è se pensiamo che è proprio sulla base di generalizzazioni come questa che oggi molti invocano leggi che censurino questo o quel pezzo di rete: se su Facebook ci sono gruppi che inneggiano al crimine, allora tutto Facebook può essere pericoloso e va censurato. E sciocchezze simili.

Tutto ciò equivale a dire che nessun mezzo – nemmeno Chatroulette – determina i suoi usi in modo lineare e univoco. Ma resta pur vero che certe caratteristiche del mezzo possono incentivare alcuni usi. Nel caso di Chatroulette, ad esempio, la facilità e l’anonimato con cui vi si accede possono (ho detto possono) favorire il fatto che sia usata da minori (ho visto facce che non avranno avuto più di dodici anni) e da malintenzionati in cerca di minori. Temo che in questo senso ne sentiremo ancora parlare. Ma la difesa dei minori da questi mezzi va fatta con l’educazione in famiglia, a scuola, sui media.

E non occorre per questo demonizzare la rete: coloro che compiono reati su internet vanno puniti a norma di legge, esattamente come fuori da internet. Col vantaggio che spesso in rete è più facile rintracciarli.

Sanremo e l’autoparodia del Pd

YouDem, la tv ufficiale del Pd ha deciso di trasmettere il dopofestival di Sanremo, al grido di «Gliele cantiamo noi» (grazie ad Angelo per la segnalazione). «Un partito popolare deve andare dove sta la gente», ha detto Pier Luigi Bersani per spiegare l’operazione.

Sacrosanto il principio. Non credibile il modo. E ridicolo in senso letterale: fa proprio ridere. Ma si ride del Pd, non dei suoi avversari politici. E non è autoironia. È autogol.

Quei brillantoni della comunicazione del Pd hanno infatti pensato di accoppiare a ogni uomo o donna di partito un cantante, chiedendo agli spettatori di YouDem e ai navigatori del sito di «votare la coppia».

La maggior parte delle coppie (con tanto di & commerciale) sono già risibili in sé: Melandri & Arisa, Marino & Povia, Veltroni & Malika Ayane, Finocchiaro & Valerio Scanu, Fassino & Fabrizio Moro, Vendola & Marco Mengoni, Franceschini & SonHora, Letta & Simone Cristicchi, Bonino & Nino D’Angelo, Marini & Toto Cutugno, D’Alema & Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici (l’elenco completo QUI).

Ma con la presentazione visiva la parodia è completa: facce degne di un tiro al segno del luna park, in una combinazione scontornata che ricorda certi ninnoli gommosi che i preadolescenti attaccano al cellulare, o certi magneti da frigorifero. Con tanto di fiorellino colorato.

Avevo già notato l’anno scorso l’inclinazione del Pd all’autoparodia: ricordi il celebre «I am Pd»? Ricordi il rap che alcuni sostenitori di Rosy Bindi le dedicarono a Pisa? (vedi Credevo fosse una parodia, Un’altra parodia che non lo è).

Ormai la tendenza è sistematica, istituzionale.

Melandri e Arisa

Marino e Povia

D'Alema e Pupo, Emanuele Filiberto e Luca Canonici

Veltroni e Malika Ayane

Vendola e Marco Mengoni

Idea per una tesi: le produzioni autoparodistiche del Pd da un paio d’anni a questa parte. Un’analisi retorico-semiotica dei dispositivi visivi, verbali e audiovisivi.

Studenti&Reporter 3 – Insicurezza reale e percepita

Oggi su Repubblica Bologna è uscita la terza puntata di Studenti&Reporter, la rubrica quindicinale di giornalismo d’inchiesta che ho avviato con gli studenti della Magistrale in Semiotica.

Questo è il mio pezzo introduttivo, tratto dalla rassegna stampa di UniboMagazine.

Questo il racconto di Daniele Dodaro, studente al secondo anno della magistrale.

Qui il box informativo di Laura Mazzanti, studentessa del primo anno.

Per tua comodità e mia brevità, riporto solo il mio pezzo:

Che le strade di Bologna «non siano più sicure come una volta» è lamentazione ricorrente. Non da oggi però, perché già negli anni Settanta e Ottanta si favoleggiava dei bei tempi andati (dieci o vent’anni prima), in cui i bolognesi uscivano di casa addirittura senza chiudere l’uscio. Che da allora le cose siano cambiate è vero a Bologna come in qualunque città italiana.

Ma un conto sono i problemi di sicurezza reali, che dipendono dal numero di furti, scippi, violenze che di fatto accadono ogni anno; un altro è la cosiddetta «percezione di insicurezza», vale a dire il disagio, la tensione o addirittura la paura che i cittadini provano quando camminano in certe strade e quartieri. L’insicurezza reale si misura con i dati del Ministero dell’Interno, che cambiano di anno in anno e sono diversi per ogni città. La percezione di insicurezza si coglie parlando con le persone, ascoltando le conversazioni nei negozi, in autobus, al bar.

I due piani non sono sempre allineati: l’insicurezza reale può essere maggiore di quella percepita, o viceversa. In mezzo stanno i media, che amplificano o attenuano, a seconda del periodo, non tanto i dati, che non sono modificabili ma solo interpretabili, quanto la vox populi. E così anche i media contribuiscono a far salire o scendere l’allarme, complicando ulteriormente la già delicata relazione fra percezione e realtà.

Per quanto riguarda la sicurezza reale, gli ultimi dati sono incoraggianti. I numeri relativi alla provincia di Bologna nel periodo fra gennaio e novembre 2009, diffusi dal prefetto in dicembre, parlano infatti di un calo complessivo di reati del 13,2%, rispetto al 2008. Fanno eccezione le violenze sessuali, che sono purtroppo quasi stabili (129 nel 2008 e 127 nel 2009), e gli omicidi colposi e volontari, legati soprattutto allo spaccio di droga, che invece sono cresciuti; come pure sono cresciute le rapine in banca e negli uffici postali, ma solo in città perché in provincia sono diminuite.

In questo quadro, il tormentone su Bologna «che non è più come una volta» pare immutato. Ci siamo chiesti allora come vedono la sicurezza alcune categorie «speciali» di bolognesi: quelli che, per ragioni professionali, vivono soprattutto di notte. E abbiamo cominciato dalle associazioni di volontari che prestano soccorso in strada. Per vedere se la pensano come il bolognese medio o se ci sono differenze.

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Queste le puntate precedenti di Studenti&Reporter:

Studenti&Reporter, 20 gennaio 2010

Studenti&Reporter 2 – La movida Made in Bo, 3 febbraio 2010