La campagna «Be Stupid» che l’agenzia anglo-americana Anomaly ha realizzato per l’italiana Diesel ha vinto ieri il Grand Prix nella categoria Outdoor al 57mo Lions International Advertising Festival di Cannes, il più prestigioso premio internazionale per la pubblicità.
E l’ha vinto nonostante le polemiche, nonostante le numerose azioni di contropubblicità per strada e on-line (vedi ad esempio Be Yourself Movement), nonostante l’evidente banalità del concept, che è una riedizione furbetta della vecchia opposizione fra saputelli criticoni e noiosi (smart), da un lato, e stupidi (stupid) dall’altro, dove gli stupidi sono definiti tali solo dai saputelli, ma in realtà sono i veri ganzi della situazione, perché simpatici, creativi e belli.
Ne avevamo già discusso qui (dove trovi traccia anche delle proteste):
Be Stupid: tutto qui ciò che sai fare?
Ma no, sbaglio a dire «nonostante»: ha vinto «proprio per» le ragioni appena elencate.
La campagna «Be Stupid» esprime il meglio della creatività pubblicitaria occidentale, prendiamone atto. E forse non solo occidentale, ma globale, visto che il presidente della giuria, Tay Guan Hin, regional executive creative director di JWT Asia, ha detto che la giuria è stata ampiamente d’accordo nel premiare «Be Stupid» per il suo «coraggio» (bravery), aggiungendo: «How many global brands would have the guts to do this?» (Adage.com, June 22, 2010).
E già: «quanti brand globali avrebbero avuto il fegato di farlo?». Da oggi in poi credo tanti. Insomma, quando ci lamentiamo della scarsa creatività della pubblicità italiana, dobbiamo pensare che non siamo più soli. Evviva.
se non fosse stato per quest’articolo mi sarei già scordato l’intera campagna
e anche questo la dice lunga…
Dobra tocca il tasto giusto. diesel ha creato un oggetto sociale, che stimola la discussione, fa parlare. la comunicazione commerciale non è per forza mitica (anni ’80), originale (anni ’90) o tantomeno etica (anni 00). sopravvive un mito della pubblicità e del pubblicitario secondo cui il creativo saprebbe usare bene il cervello. ma in pubblicità oggi il fegato è sicuramente più importante. ed è un organo che tra l’altro le aziende sanno usare meglio delle agenzie. ed è uno dei motivi per cui il marketing sta erodendo lo spazio dei pubblicitari.
In sostanza significa che la creatività può essere subordinata al “coraggio” di dire una cazzata provocatoria e che dunque, dato che tale coraggio è decisamente a buon mercato, la creatività del pubblicitario, ultima forma attuale e sopravvissuta di arte, non è richiesta. Decisamente una grande svolta nella cultura umana
Coraggio a buon mercato… Se qualcuno iniziasse a *non* comprare a *causa* della pubblicità invadente e/o di scarsa qualità, forse questo coraggio potrebbe venir meno.
Sì, lo so, leggo troppa fantascienza. 🙂
Ne avevamo parlato anche su Reswebzine.it e tante persone sembravano essere contro questa campagna. Pare che nel mondo dela pubblicità si guardi tanto all’impatto ma qui non si tratta di bombardare senza senso!
Quando ho iniziato a lavorare in pubblicità guardavo a Cannes come a qualcosa a cui ambire, poi entrando un po’ più addentro a certe dinamiche e conoscendo persone valide da prendere come modello di riferimento, ho smesso.
Cannes, come pure l’ADCI o queste istituzioni autoreferenziali, è un Dorian Gray party fever, bello bello bello, bello in modo assurdo, che si ritrova da solo nella sua soffitta, per come è veramente: vince premi che possono far felice solo un cliente (vari premi dove si paga e i vincitori sono sempre gli stessi) e deturpa il mondo della pubblicità italiana e internazionale senza nemmeno volerne prendere atto, con progetti con risultati scarsi che acclama come fossero funzionanti e che vengono poi presi come punto di riferimento, come standard da molte persone, anche dall’altro lato della barricata.
A Cannes, l’anno scorso ha vinto un Leone D’Oro nella categoria Mixed Media il progetto Baci Perugina, con scarsissimi risultati, vantati anche nella presentazione dello stesso: ho desiderato che i direttori marketing tornassero a chiedere il costo contatto, vedendo questo progetto vincere.
E’ una mentalità diffusa che Cannes conti qualcosa… probabilmente lo era 10 anni fa, ma io non c’ero.
E’ una mentalità diffusa pure che non ci sono soldi per la pubblicità: non è vero! Sono solo spesi male.
Non è nemmeno vero che non ci sono progetti fatti bene e con risultati: solo non si conoscono perchè le agenzie che li sviluppano, non vogliono entrare in questo ambiente.
Se lavori con le grosse (di numero) agenzie e provi a presentare progetti con la possibilità di funzionare, supportati anche da dimostrazioni empiriche o dati, vengono cassati in primis dagli stessi account supervisor senza nemmeno l’opportunità di arrivare al cliente: “ma non è questo che vuole il cliente, vuole un’altra cosa, vuole qualcosa di estremamente stupido..”
Per essere felici come pubblicitari, adesso come adesso, bisogna trovarsi dei modelli di riferimento scelti in base a criteri propri e portare aventi i progetti cercando sempre il successo, non il proprio ma quello del progetto, poi, pazienza se non si vince Cannes, anzi…
Chissà se l’agenzia che ha trovato il modo per far collimare il BeYourSelfMovement di cui si parla sopra e EmilytheStrange, va a Cannes… eppure non avevo mai visto una campagna banner User Generated e trovo sia, sicuramente più interessante di qualcuno che mi dici di essere stupido, con un esborso economico in termini di copertura media assurdo.
Scusatemi, forse ho preso alla lettera il suggerimento del signor Rosso…
😉
Anna
Non so chi tu sia, ma grazie per il bellissimo commento, Anna.
Dunque per fare pubblicità basterà diffondere tutto quello che NON vorremmo vedere in giro e via d’un fiato a Cannes!
Cercare per mesi un tratto d’ispirazione per poi essere superati dall’emblema della stupidità. Simbolo che, in quanto addetti ai lavori, non possiamo far altro che ignorare. Di primo acchito questa cosa mi deprime.
Poi penso che si può far meglio. Dobbiamo farlo, tutti quanti.
(il commento sopra è del signor Piccolo, come vede prof “a volte ritornano”)
Questa campagna è comunque decisamente efficace. Sguazzando nel target ed essendolo io in prima persona, in teoria ovviamente, mi rendo conto che lo stile e il contenuto delle inserzioni rispecchiano parecchi ragazzi della mia età.
per la cronaca, chi mi smaschera è il signor MURO
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Prendete questo commento come dietrologia d’accatto, ma non resisto: non è che dietro la decisione della giuria del premio c’è un sottile interesse corporativo? In fondo le persone che lavorano a un festival della pubblicità sono addetti ai lavori, esperti del settore, in una parola sono “smart”, è nel loro interesse che venga propagandato il motto “be stupid”, rende meno competitivi i futuri concorrenti…
Consideriamo il massimo della creatività una campagna priva di alcunché di geniale e dunque, coerentemente, il massimo del fegato quello di sparare una cavolata.
Coglie lo spirito dei tempi. E questo è un problema. Grosso.
“Quanti brand globali avrebbero avuto il fegato di farlo?”
Siamo in Francia, la patria del foie gras: si lodano gli stupidi, si premiano le oche. Coerente. E fortuna che l’International Advertising Festival si effigia con l’immagine di un leone. Il coraggio però dev’essere rimasto nella locandina.
direi simpatica, ma poco incisiva
incredibile che parlino di “coraggio”!!! grazie per le preziose informazioni Giovanna!
A Cannes vincono soprattutto le grosse agenzie in vena di autoreferenzialità. In anni e anni di partecipazione al festival non ci ho mai visto i lavori “migliori”. ma è proprio su questo termine che forse dovremo capirci. Se “migliore” è uno statuto morale allora le campagne papabili, al netto del greenwashing dilagante, sono veramente poche. Poca è la comunicazione creativa, trasparente, onesta e magari sostenibile. In genere questi brand non hanno nulla da portare a Cannes, ma molto da dare ai consumatori. proprio perchè non li trattano da consumatori. un esempio che mi viene in mente è Lush.
Se invece intendiamo “migliore” dal punto di vista tecnico, allora dobbiamo decidere qual’è la funzione della pubblicità: rafforzare l’immagine di brand e aumentare le vendite oppure donare al mondo qualcosa di geniale e di bello? Diesel non è una associazione culturale (anche se segretamente vorrebbe). A quanto ne so, la sua campagna oltreché a Cannes ha vinto nei negozi. hanno speso molto. hanno intascato tanto. tanto.
per fortuna a farsi carico di una comunicazione migliore (e disinteressata) ci sono gli artisti e i subvertisers e non mi sembra poco. non mi aspetto che Diesel si proponga in modo “smart”, perché non lo è. benvengano invece le azioni di detournement dal basso. la lotta tra il bene il male continua…
Bravo bruno, ben detto. Quanto è patetico l’equivoco del pubblicitario che pensa di poter coniugare il proprio mestiere con l’etica. Quanto affanno. C’è di fondo una sopravvalutazione del proprio ruolo, come se si potesse avere una funzione educativa nell’aumentare il profitto di un prodotto, di un servizio. Forse il malinteso è credere di svolgere un lavoro creativo. C’è creatività anche in un tornio. Cara Giovanna, ha ragione Diesel perché ha venduto di più, e in pubblicità conta quello. Poi arriva al seguito il carro di quelli che si sono iscritti all’inferno pensando di redimerlo, quelli che ci sono capitati per caso per un indirizzo sbagliato e quelli che si stimavano più bravi del diavolo ma sono arrivati secondi, così cominciano a lodare il paradiso perché l’uva era acerba. Ottimo è prendere la pubblicità come specchio di un comportamento o spia di un modo di sentire. Pessimo è confondere i parametri: la pubblicità non educa, serve a vendere. Non è artistica nemmeno se la fa il Wenders della situazione, perché non può liberarsi dal referente imposto. Perché non è pagata, Giovanna: è venduta. Per definizione. Quindi sarà anche un liberatorio rosario chiedere a Barabba di fare Gesù, ma è votato alla sconfitta. Inoltre quelli che fanno pubblicità che tu giudichi smart, lo fanno perché la loro nicchia ecologica di sopravvivenza si nutre e prospera sulla pubblicità stupida, in funzione parassitaria. Pensare di cambiare la percentuale tra remore e ospiti è commettere un grosso svarione, sebbene autorizzi a tener viva la speranza di poter continuare a fare decorosamente il proprio mestiere.
La giuria ha premiato Anomaly secondo un criterio ovvio: l’aumento del fatturato di Diesel. Al massimo si potrebbe criticare che sia Cannes a ospitare il principale festival della pubblicità. Per fortuna non lo ha ancora annesso al festival per cui è famosa, che si svolge un mese prima, ma è solo questione di tempo.
La creatività della pubblicità è vivere alle Samoa e guardare le Fiji: tu le vedi, sono lì, ma arrivi il giorno dopo.
“… ai nostri giorni, le agenzie pubblicitarie sono infestate di persone convinte che la pubblicità sia una forma artistica d’avanguardia. È tutta gente che in vita sua non ha mai venduto neppure uno spillo. È gente che sogna solo di vincere un premio al Festival di Cannes. È gente disposta a tutto (…) pur di esibire la propria originalità. Sono interessati poco ai prodotti che pubblicizzano e sono convinti che non lo siano neppure i consumatori. Ecco perché finiscono per dire poco o nulla dei prodotti che pubblicizzano.”
Lo diceva, nel 1963, David Ogilvy (Confessioni di un pubblicitario).
Mi sembra valga anche oggi.
@Ugo: sono stato giurato a Cannes e credimi se ti dico che l’ultima preoccupazione della giuria è il fatturato incrementale di Diesel.
Le giurie sono formate solo e soltanto da creativi ed è un inno alla corporazione. Ho già scritto altrove di come l’anno magico del Festival debba essere considerato il 2007, quello in cui alcuni illuminati presidenti di giuria hanno deciso di scuotere il comparto con Grand Prix decisamente discutibili.
Quello della tv a un film mai andato in televisione (http://www.youtube.com/watch?v=iYhCn0jf46U), quello outdoor a un brutto manifesto (http://www.youtube.com/watch?v=zc3Eqa8TMjM)…
E’ stato l’anno in cui seminari e workshop hanno affrontato in maniera seria e profonda il cambiamento in atto. Ma già dall’anno successivo ho visto Grand Prix e Leoni d’Oro che sembravano serrare i ranghi. Fino al famoso Perugina citato qualche commento sopra.
Le vendite di Diesel, caro Ugo, non c’entrano proprio nulla. I creativi a Cannes se la cantano, se la suonano e se la ballano tra loro. Fuori dal Palais il mondo corre molto più veloce, ma i più non sembrano accorgersene.
Il Grand Prix di Diesel è sconfortante. Ma tant’è.
Non saranno i creativi della pubblicità a cambiare il mondo.
P.s. illuminante l’editoriale di Piero Ottone pubblicato da Il Venerdì di Repubblica proprio oggi, a proposito di spot e cultura.
Ma anche quanto scritto da Annamaria Testa in un’iniziativa che è stata rilanciata anche qui: “Dobbiamo costruire un nuovo immaginario. Nuove narrazioni. Una visione più ampia, contemporanea ed etica dell’essere donne e uomini in questo paese, nel nostro tempo. Dobbiamo trovare un linguaggio semplice e autentico, capace di rompere il gergo dell’ideologia. Dobbiamo istituire alleanze. Inventare forme d’azione efficaci. E dobbiamo cominciare adesso”.
Che sciocco che sono, Labicus. Mi sono lasciato prendere la mano da considerazioni più generali. Ho addirittura pensato che le giurie fossero composte da interessi meno onanistici, pensa te che commento frettoloso. Avevo scordato che il complesso di chi si definisce “creativo” è sempre l’invidia dello scrivente per lo scrittore. Per questo Cannes, per questo il mese dopo. Anche l’uso del Leone al posto della Palma è retaggio da Lido di Venezia, dove fin dall’origine della rassegna i creativi dei 30 secondi desideravano entrare dalla porta principale. Come un tenore che vada in scena alla Scala in agosto: bravo, sì, ma Sant’Ambrogio è lontano.
È che mi infastidisce questo miraggio di una pubblicità che dimostri la compatibilità tra creatività e vendita. Ma credo sia un problema interno al circolo dei pubblicitari. Per chi guarda da fuori non vedo quale ragione ci sia per biasimare la campagna Diesel, che vende agli stupidi con l’apologia esplicita della loro stupidità, perciò è tutto fuorché stupida.
Occorre ragionare in altri termini: se voglio vendere un prodotto devo raggiungere il massimo possibile dei clienti; maggiore è l’insieme degli acquirenti, minore sarà la differenziazione di elementi al suo interno. Quindi la pubblicità perfetta di un prodotto è il limite tendente a zero ed equivale alla mediocrità. Una pubblicità che non aumenta il fatturato del brand che propaganda è un cortometraggio mancato, per questo il lonely arts club band mira al Grand prix di Cannes. Il nome è lo stesso, ma non sono in formula 1. Sono quelli che gareggiano dopo, quelli che arrivano dopo i fuochi.
La pubblicità è un cancro che ci tocca di sopportare, chi ne ha fatto il proprio pane ha tutto il mio conforto. Inutile però raccontarsela dicendosi che ci si annoia se le idee per vendere un pannollino sono fruste. Si cerchi altrove lo sfogo per le proprie nevrosi. Inutile anche spiegare ai pedagoghi del consumatore che l’unica promozione sopportabile sarebbe quella referenziale, perché ti guarderebbero con l’occhio di chi ti considera un mezzo scemo antiquato e demodé. Poi però questi onirocrati sono magari quelli che ti scendono nelle piazze (anche editoriali) o simpatizzano per le più svariate rivoluzioni, e sono persuasi perfino di attuarle dall’interno (speranzoso riformismo bobbiano, ché dall’interno non si cambia mai) cominciando dall’estetica di ciò che vanno magnificando – quale superbia questa, curare la malattia con la malattia. Mah, forse è solo un problema di lamentela e ognuno ha diritto alla sua, me compreso. Ascoltare le lagnanze dei vellicapance per la mancanza di creatività nel loro settore mi ricorda i giornalisti sportivi, intenti per tutta la settimana a disquisire se la palla era dentro e non fuori, maliziosi pesci in barile nel non capire che la soluzione sarebbe accessibile, sebbene non causa loro né a loro pro. Però poi di cosa scriverebbero, come si lamenterebbero, di cosa camperebbero? O formi gli anticorpi alla pubblicità oppure moltiplichi i batteri. Qualche buontempone riproporrà salomonicamente la formula dell’ Est modus in Rebus. Ma i latini non conoscevano i pubblicitari.
(Off topic) Facciamo un gioco. Prendiamo la frase della (pur grande) Annamaria Testa e facciamo finta di non conoscere chi l’abbia scritta:
“Dobbiamo costruire un nuovo immaginario. Nuove narrazioni. Una visione più ampia, contemporanea ed etica dell’essere donne e uomini in questo paese, nel nostro tempo. Dobbiamo trovare un linguaggio semplice e autentico, capace di rompere il gergo dell’ideologia. Dobbiamo istituire alleanze. Inventare forme d’azione efficaci. E dobbiamo cominciare adesso”.
Ora si indovini a chi calzerebbe questo discorso. Un marxista leninista che fa l’audizione per un posto da sindacalista? Lo scaduto presidente di una grande casa editrice che non rimette il mandato quando dovrebbe? Una femminista anni ’70 in ritorno da Parigi, occhi al cielo e il suo bel Michel Foucault in mano apppena concluso? Un prete azionista da cielo sopra Berlino? Un presentatore di cataloghi d’arte che si accorge di non aver persuaso i potenziali clienti? La preghiera di Faust al Mefistofele?
Io dico la mia: è la parodia di Bersani.
Detto comunque con stima 🙂
Non serve fegato per fare una cosa simile, serve solo meschinità. Approfittarsi dell’idiozia umana per vendere un jeans, diffondendo un messaggio socialmente distruttivo.
Spero che i loro medici curanti diventino “stupid” da un giorno all’altro. Sarebbe equo, what goes around comes around.
http://www.repubblica.it/esteri/2010/06/30/foto/diesel_la_pubblicit_stupida_ma_di_successo-5267054/1/
tiè! (anche se rimango perplessa sulla motivazione)
Signora in Giallo, concordo con te sulle perplessità per la motivazione, ma in ogni caso… bene che almeno l’Advertising Standards Authority americana l’abbia fatto!
😉
“piuttosto di niente è meglio piuttosto”..già..
l’altro ieri stavo guardando un film di Spike Lee “Summer of Sam” e cosa ti becco nel film? Ecco:
allo 00:26 e 00:28 del filmato, notare la maglietta del secondo ragazzo da sinistra a destra.. sarà un caso, sarà percezione selettiva, non lo so, fatto sta che mi ha colpito al di là della scritta in sé che ho quasi subito associato alla campagna di Diesel, il significato che quella maglietta assume in quel preciso contesto (bisognerebbe guardarsi il film fino alla fine per cogliere l’associazione). Ma dubito che sia negli intenti del regista una scelta casuale. I pubblicitari della campagna Diesel avran mica pescato spudoratamente da sta cosa ? :O qui viene sottolineato proprio l’atteggiamento ottuso e ignorante dell’italiano medio -in questo caso immigrato-