Francesca è laureanda magistrale in Semiotica. Ma è anche delegata all’Assemblea Nazionale dei Giovani Democratici (è stata eletta durante le primarie del 2008). Voleva fare una certa tesi, che combinasse due delle sue attuali passioni: per gli studi e la politica.
Ha dovuto cambiare idea. Sul Pd, non sugli studi.
Per «togliersi un peso» – come ha detto – Francesca mi ha scritto la sua esperienza. Per condividere la rabbia e la tristezza che provo assieme a lei, le ho chiesto l’autorizzazione a pubblicarla.
Fra l’altro, il backstage che emerge dalle sue parole spiega molto bene da dove vengono i continui errori di comunicazione del Pd, che su questo blog abbiamo spesso rilevato:
«Era il gennaio 2010. Uscita dal ricevimento della prof.ssa Cosenza, ero raggiante perché avevo un argomento per la mia tesi magistrale: “La comunicazione del Pd dalla sua nascita a oggi. Un’analisi retorico-semiotica dei dispositivi visivi, verbali e audiovisivi”.
Non vedevo l’ora di mettermi al lavoro. Mi precipitai in biblioteca a prendere quanti più libri della bibliografia indicatami potevo e, tornando a casa, fantasticavo sull’occasione di cimentarmi in un lavoro che fondeva le mie due grandi passioni: la comunicazione e la politica.
Mi restava ancora qualche esame da dare, ma mi sarei messa subito al lavoro per trovare il materiale. Avevo bisogno di un archivio, cartaceo o multimediale, che raccogliesse tutte le produzioni del Pd.
Lavorai su due fronti: trascorsi giornate intere al pc scandagliando tutti i siti del Pd (non voglio entrare nel merito della loro usabilità…), i canali YouTube di tutti i circoli territoriali, le pagine del partito sui social network, ecc.; e nell stesso tempo contattai i circoli del mio territorio, due segretari provinciali, il responsabile regionale della comunicazione della sezione giovani, il responsabile nazionale della comunicazione della medesima sezione, vari “responsabili” nazionali della comunicazione della sezione senior, e molti molti altri ancora.
Purtroppo tutto si rivelò un buco nell’acqua. In un gioco di rimbalzi del tipo “prova a chiedere a Tizio”, “magari è meglio se senti Caio”, “ti conviene mandare una mail a Sempronio”, mi sono ritrovata a settembre senza niente in mano.
La triste verità è quello che cercavo non esiste.
Per capire la gravità della situazione comunicativa del Pd basti pensare che, alla mia richiesta di un archivio che raccogliesse tutte le produzioni del partito, uno dei responsabili nazionali (!) della comunicazione ha risposto, disarmandomi: “Be’, ci stiamo lavorando, ma un archivio simile non esiste… prova a guardare sulla mia pagina Facebook: tra le foto in cui sono taggato sicuramente c’è anche qualche manifesto del Pd”.
Parole che si commentano da sole.
Cosa ancor più grave è che non solo non esiste un archivio, ma non esiste nemmeno un’unica struttura che si occupi stabilmente di tutta la comunicazione del Pd, sia su scala locale che nazionale. La tendenza generale è quella di affidare la stesura di documenti informativi e il concepimento delle campagne ai militanti che sappiano usare un programmino di grafica. Molto raramente ci si affida a professionisti e, anche quando si fa, si incarica l’agenzia x per una campagna e l’agenzia y per quella successiva.
Il tentativo è forse democraticamente apprezzabile, ma con evidenti scarsi risultati sul piano della coerenza e, di conseguenza, dell’efficacia della comunicazione stessa.
Mi chiedo: possibile che l’attenzione del Pd alla comunicazione sia questa? Possibile che nessun suo esponente si (pre)occupi della gravità della situazione?
Infinitamente delusa dal partito a cui mi ero iscritta credendolo portatore di nuove logiche e grandi ideali, a settembre ho deciso di dare un taglio netto: cambio tesi. A volte si deve avere il coraggio di dichiarare il fallimento. Forse dovrebbe farlo anche il Pd.»