Archivi del mese: novembre 2010

Precari e microimprese: guerra fra poveri?

Per lavoro entro in contatto con moltissimi studenti. E con molte aziende, il che vuol dire – poiché siamo in Italia – piccole (sotto i 50 dipendenti) e microimprese (sotto i 10 dipendenti). Mi capita insomma di sentire le due campane.

I giovani si lamentano soprattutto per due cose: il precariato (sono soprattutto contratti a progetto) e lo stipendio basso (da 700 a 1000 euro netti al mese, 1200 se va grassa).

I microimprenditori, d’altro canto, si lamentano perché:

  1. i ragazzi non si rendono conto di quanto sia difficile gestire una microimpresa in Italia, specie in tempo di crisi: fatturato in calo, debiti enormi con le banche, responsabilità a non finire, preoccupazioni notte e giorno;
  2. i ragazzi vivono in modo antagonista e rivendicativo il rapporto “col capo”: non capiscono che lavorare in una piccola impresa non è come essere assunti dallo stato, che non possono pensare solo a “timbrare il cartellino” (che peraltro non c’è) e fuggire a casa;
  3. i ragazzi sono troppo passivi, poco autonomi, poco inclini a proporre idee e inventare soluzioni;
  4. i ragazzi non si rendono conto che l’imprenditore li premierebbe mettendoli “alla pari”, e cioè facendoli pure entrare in società, se solo non avessero questi atteggiamenti.

In questa duplice prospettiva ho letto la mail di Anna (nome fittizio). Si è laureata con me un paio di anni fa ed è subito entrata con stage extracurricolare in una microimpresa che fa comunicazione e new media. Dopo quasi un anno trascorso con entusiasmo e molte aspettative, le offrono un contratto a progetto: 700 euro nette al mese. Sperava di più, ovviamente. Da allora qualcosa si è spezzato nel rapporto fra Anna e i “capi”.

Ecco cosa mi scrive:

«Ciao Giovanna, come stai? È da un po’ che ti penso, senza trovare il tempo per scriverti. Leggo sempre il tuo blog e oggi mi sono imbattuta nella storia di Giulia, la ragazza laureata in lingue a cui una scuola privata proponeva di insegnare gratis per 12 punti. Approfitto di oggi che sono a casa con l’influenza per raccontarti come sono messa.

Io continuo a lavorare in XYZ (penso ancora per poco, sinceramente, ma non ho ancora comunicato nulla). Lavoro tanto, soprattutto in quest’ultimo periodo in cui un progetto per un grosso cliente sta andando male. Lavoriamo da più di due mesi a questo progetto e nonostante i nostri continui avvertimenti (miei e dei miei colleghi che lavoriamo sul progetto) sulla necessità di “cambiare direzione, fare qualcosa” perché i risultati non erano quelli che speravamo, la situazione è rimasta in stallo fino a 15 giorni fa.

Fino a quando, cioè, i “capi”, dovendo andare a parlare col cliente, non avrebbero saputo cosa inventarsi: qualsiasi dato sarebbe stato deludente.

Questa cosa ha mandato tutti e tutto in tilt. Hanno cominciato a fare pretese assurde cercando qualsiasi stratagemma per recuperare le sorti del progetto (e in questi casi tutto è lecito!). Come sai, ho un contratto a progetto (pagato 700 euro al mese) e per contratto potrei benissimo lavorare da casa. Invece sto in ufficio dalle 9 alle 18 e spesso anche oltre.

Proprio ieri sera è accaduto un episodio che mi ha lasciata senza parole. Stavo per andare via dall’ufficio (ore 18:30) e mi hanno trattenuta dicendomi che avevano bisogno che entrassi anch’io 5 minuti in una riunione (alle 18:30???!). Vabbe’, entro e alla fine esco dall’ufficio alle 19:10. Torno a casa esausta come puoi immaginare, faccio le mie cose… esco per un aperitivo con amici, mi ritrovo sul cellulare chiamate e messaggio di uno dei “capi” che mi diceva di aver bisogno un secondo, se potevo richiamarlo. Ultima chiamata alle ore 21:10.

Ora mi chiedo: “Di cosa poteva aver bisogno di tanto urgente per chiamarmi alle 9 di sera passate?”. Non lavoro in un pronto soccorso, non faccio il pompiere né la guardia giurata, dal lavoro che faccio non dipende la vita di nessuno: cosa poteva mai esserci di tanto urgente che non potesse essere rimandato al giorno dopo??? Non ho risposto alle chiamate e ancora non so di cosa avesse bisogno perchè, come ti dicevo, sto poco bene e sono a casa.

[Mah?! Quando mi hanno rinnovato il contratto dicevano che potevano benissimo fare a meno di me (quasi quasi mi fanno un favore a tenermi!??!) e poi mi chiamano alle 21?]

Mi sembra quasi di dover chiedere come un favore ciò che mi spetta di diritto… una vita, la mia vita!

Avrei molte altre cose da raccontarti, ma già mi sono dilungata troppo. Magari a voce? Un abbraccio, Anna»

WikiLeaks: un mezzo che conta più del messaggio

Oggi – eccezionalmente – l’attualità mi impone due post. 🙂

Sulla questione WikiLeaks, due commenti riassumono la mia posizione (i grassetti sono miei):

«L’obiettivo di Julian Assange non è quello di informare. Non è un giornalista. Non è un paladino dell’informazione. Il contenuto di quei documenti non gli interessa.

Ciò che gli interessa è il numero sempre più alto di violazioni al fortino americano – 92 mila documenti la prima volta, ora 250 mila – non che cosa ci sia scritto dentro quei dispacci.

A fare notizia non è il contenuto, ma il contenitore. Il successo di WikiLeaks si misura sulla bravata internettiana, sull’anonimato ricattatore, sullo sberleffo al potere. Anche perché, a leggerli davvero, i primi brogliacci di WikiLeaks raccontavano che i morti in Iraq erano certamente stati moltissimi, come si sapeva, ma meno di quanto si temeva e, peraltro, a grandissima maggioranza uccisi da terroristi sunniti e milizie sciite.» (da «WikiLeaks mette a nudo la diplomazia Usa: l’Onu spiata, i festini di Berlusconi e le bombe per l’Iran», di Christian Rocca, Il Sole 24 Ore, 28 novembre 2010).

La novità, inoltre, sta nel modo in cui le testate giornalistiche hanno affrontato l’evento, perché (e ringrazio Manuel per la segnalazione dell’articolo):

«In nessun giornale del mondo si è posta oggi l’annosa questione: “Lo diamo prima sulla carta o sul web?”. Tutti, da Der Spiegel al New York Times, al Pais, a Le Monde, hanno cominciato dal sito, proseguiranno sulla carta e andranno avanti utilizzando i due mezzi come un tutt’uno: un unico medium su piattaforme diverse fatto di approfondimento, di sintesi e attraversato da una serie di questioni qualitative e quantitative che possono davvero portarci a dire che qualcosa di profondamente innovativo è successo.» (da «Il giorno che cambiò l’informazione» di Massimo Razzi, La Repubblica, 28 novembre 2010).

Sulla scarsa novità dei contenuti, molti commentatori si sono già pronunciati (leggi per esempio: «Washington in grande trambusto, ma di nuovo finora c’è ben poco», di Mario Platero, Il Sole 24 Ore, 29 novembre 2010).

Aggiungo solo, per quanto riguarda Berlusconi, che non c’è nulla di nuovo non solo nel fatto che i diplomatici lo considerino molto vicino a Putin e guardino con perplessità e compassione la decadenza fisica e morale dei suoi festini notturni.

Ma non c’è nulla di nuovo nemmeno nel modo in cui gli italiani prenderanno la notizia su «cosa pensano gli americani di Berlusconi»: quelli che lo votano penseranno che i diplomatici americani (specie la donna) sono esageratamente moralisti (anzi, parlano per invidia), o al massimo penseranno che in effetti Berlusconi di recente ha «esagerato un po’» con le donne, ma-chissenefrega-lui-resta-il-più-figo-di-tutti; quelli che non lo votano penseranno scandalo-vergogna-che-figura-ci-facciamo-di-fronte-al-mondo; gli incerti penseranno che-schifo-la-politica-io-non-voto-più-anzi-no-voto-lega-tiè-chissenefrega.

Bologna fra look anti-velina, nostalgia e flash mob

Ieri su Repubblica Bologna è uscito questo mio editoriale sull’immagine dei candidati alle primarie del centrosinistra bolognese:

È interessante osservare i candidati alle primarie del centrosinistra bolognese mentre si scaldano ai blocchi di partenza, perché in questa fase i loro programmi sono in gran parte ancora indefiniti. Focalizzare subito la loro immagine significa allora capire con quale dote iniziale si presentano alla città, quali stereotipi li accompagnano, quali vantaggi e svantaggi comportano. Il che permetterà, poi, di verificare come gestiranno questo capitale di partenza.

Amelia Frascaroli è la novità comunicativa più interessante. Mentre tutti si affannano a togliersi gli anni, lei fa di tutto per apparire più anziana: ostenta rughe e capelli candidi, si veste comoda e gioca con lo stereotipo della nonna, che è buona e cara ma, quando vuole, sferzante. Mentre gli altri urlano e litigano, lei sorride, parla a voce bassa e preferisce i toni dell’understatement e dell’autoironia.

Amelia Frascaroli

Inoltre viene dal mondo dell’accoglienza e della solidarietà sociale, e si è inventata una metafora della sua provenienza accogliendo tutti ogni giorno a casa sua, a farle proposte ed esporle problemi davanti a un tè. Insomma perfino nel nome Amelia fa appello alla nostalgia per la Bologna dei nonni, quella in cui partecipare non era uno slogan, ma una pratica quotidiana nelle piazze e nei quartieri. Date le delusioni della politica odierna, questa nostalgia potrebbe piacere a molti, ed è questa la sua forza maggiore. Viceversa, troppa mitezza potrebbe essere recessiva, potrebbe perdersi nel frastuono che la circonda, ed è questo il suo rischio principale.

In apparenza l’immagine di Virginio Merola è diametralmente opposta, perché pare un ragazzone mai cresciuto. In realtà anche lui fa appello alla nostalgia, ma di un altro tipo: quella del PCI dei tempi andati. Veste un po’ come i compagni di una volta, con il maglioncino a v, la giacca e cravatta rossa e, ora che è inverno, il montgomery d’ordinanza. Lo ricordiamo nelle primarie scorse, quando appariva sempre circondato da giovani, sempre a casa di qualche Stefano, Giuseppe, Claudia, a discutere come fosse un’assemblea anni settanta.

Virginio Merola con ricercatore

E anche oggi, con la proposta di accogliere in consiglio comunale gli studenti medi e universitari, l’attenzione ai giovani è rilanciata. Il che può funzionare, in una città stanca della politica di palazzo. Ma bisognerà poi vedere come Merola ci farà dimenticare la rissosità da cui la sua candidatura è emersa, la vicinanza a un Pd screditato e il passato nella giunta Cofferati, che certo non si distinse per empatia coi cittadini.

Infine c’è Benedetto Zacchiroli, che di nostalgico non ha nulla, anzi: si presenta come un giovane manager rampante e, con la mossa iniziale del «candidato no Cev», ha strizzato l’occhio pure al marketing non convenzionale, quello dei flash mob e dello stupore a tutti i costi. Una volta svelatosi, ha lanciato lo slogan «Sono io che», si è precipitato sul web con un sito e un blog, e si è preso Lucio Dalla come testimonial, applicando altre regole di base.

Benedetto Zacchiroli

Il problema è che il marketing in sé funziona per tutto e niente, dallo yogurt alla politica: per avere successo occorre saperlo adattare al prodotto che si vuole vendere e al contesto in cui lo si vuole vendere. Ma per ora Zacchiroli appare un po’ troppo generico e autoreferenziale («Sono io che»), un po’ troppo lontano da una città che ha fame di attenzione e interlocuzione autentiche. Dovrà infine anche lui – come Merola – farci dimenticare di aver lavorato con Cofferati. Staremo a vedere.

L’immagine di Amelia Frascaroli

Ieri sera ero a sentire l’intervento di Nichi Vendola a sostegno della candidata alle primarie del centrosinistra bolognese Amelia Frascaroli. Volevo immergermi, oltre che ascoltare e vedere.

Gli spazi del cinema Nuovo Nosadella erano stracolmi (ieri gli organizzatori hanno detto 1200 persone, oggi i giornali 2000): moltissimi studenti («Salve prof!»), tantissime donne e uomini di tutte le età. La maggioranza era lì per Vendola, mica per Amelia Frascaroli, come lei stessa ha umilmente riconosciuto, salutando e ringraziando il pubblico.

Io invece ero lì per lei: i discorsi di Vendola li conosco bene, e da un po’, purtroppo, non mi riservano novità.

Mi incuriosisce l’immagine femminile di Amelia Frascaroli: capelli candidi, rughe evidenti, abbigliamento casalingo, quasi dimesso. È nata solo nel 1954, ma fa di tutto per sembrare più anziana e gioca con lo stereotipo della nonna (dolce e buona, ma quando ci vuole sferzante), mentre le sue coetanee stantuffano per sembrare più giovani.

Un ribaltamento mica da poco, no? Guarda qui (clic per ingrandire):

Amelia Frascaroli 1 Amelia Frascaroli 2 Amelia Frascaroli 3

Comincia il discorso dicendo di aver bisogno di leggerlo, data l’emozione, e degli occhiali, sennò non ci vede (uhm, ammette le debolezze e ci gioca… bene! ). Poi racconta due storie (uso spontaneo o consapevole dello storytelling, bene! ), con l’aria della nonna, appunto, che ti racconta la favola prima di dormire. Il tono è mite, l’understatement continuo, ma gli occhi azzurri ammiccano spesso alla telecamera (bene! ), e tutto il discorso è accompagnato da battute ironiche – alcune taglienti – sul Pd, su ciò che i media dicono di lei, sui problemi di Bologna e sulla sua stessa candidatura (è pure autoironica, bene! ). (Trovi QUI il testo del discorso).

Nel perbenismo e salottismo bolognese, un’aliena. Una mina vagante. Che Bologna sia pronta ad accoglierla?

Stavo ancora crogiolandomi in questa domanda, stavo già pensando che la «forza mite» di Amelia, come l’ha chiamata Vendola, possa forse risanare quella frattura fra società civile e politica che il Pd ha creato a Bologna, quando, sulla via del ritorno, inciampo in una studentessa – bolognese, di buona famiglia – che mi fa:

«Ha visto Vendola, prof. Figo, eh?»
«Eh.»
«Quando parla è magico, una resta a bocca aperta, vero prof?»
«Mah. E la Frascaroli?»
«Un disastro prof. Dài una non può leggere il discorso: Vendola non legge. E poi, ha visto prof, come va in giro vestita? Dài, una non si può presentare a quel modo…».

Umpf. 😦

 

Bersani va sul tetto

Ebbene sì, ieri mattina abbiamo visto anche questa: Bersani è salito sul tetto della facoltà di Architettura dell’università La Sapienza di Roma, per manifestare solidarietà alle proteste degli studenti, ricercatori e docenti universitari, arrabbiati per i tagli all’università e alla scuola imposti dal governo.

Mi è parso stonato, poco credibile, un po’ come le dame di carità che portano caramelle ai bambini poveri e gli basta questo per lavarsi la coscienza.

Perché?

Due risposte per cominciare:

  1. Perché nessuno sa cos’ha fatto il Pd in questi mesi per combattere le iniziative del governo su università, scuola, ricerca. Né quali siano le sue proposte concrete. Qualcosa trovi sul sito del Pd, nella sezione Pd 110 (uh, che nome!). Facci un salto: ne sapevi qualcosa? Io no, che pure in università ci vivo. Sapevo solo che il Pd ha fatto una scriteriata e demagogica proposta per il pensionamento dei docenti a 65 anni (invece degli attuali 70): in apparenza sembra «largo ai giovani», in realtà danneggia proprio le fasce dei docenti universitari con minore anzianità di lavoro (ricercatori e associati), perché impedisce loro di arrivare a un numero di anni contributivi sufficiente per una pensione decente. Lo hanno chiarito in modo sintetico Agar Brugiavini e Guglielmo Weber su «La voce»: «Pensioni dei docenti, piove sul bagnato».
  2. Perché nel cosiddetto contatto con «la base» il comportamento di Bersani è incoerente: alla manifestazione della Fiom non è andato (vedi: L’opposizione con la Fiom a Roma: c’era e non c’era) e sul tetto ci va. Forse in piazza perdeva troppo tempo e qui sono bastati pochi minuti? Forse dei metalmeccanici si spaventava e degli universitari no?

Perché… continua tu.

Berlusconi a Ballarò: un rituale di conferma del capo

Ieri si è consumato per l’ennesima volta il rituale della telefonata di Berlusconi a Ballarò (mi domando come ancora possano chiamarla «a sorpresa»), che più o meno segue sempre questo copione.

Nel momento in cui Floris annuncia la chiamata di Berlusconi, il suo volto si illumina: è chiaramente una manna dal cielo per gli ascolti della serata e, grazie al tam tam che l’evento scatenerà nei giorni successivi, anche per gli ascolti delle puntate a venire. Per quanto cerchi di contenersi, Floris non riesce a eliminare i segni di soddisfazione dalla faccia (clic per ingrandire).

Floris soddisfatto

Quando Berlusconi comincia a parlare, lo studio è sempre inquadrato in campo lungo e dall’alto, come a dire: Berlusconi sta sopra, gli altri sotto. Gerarchia ulteriormente confermata dalla gigantografia di Berlusconi che campeggia in studio (clic per ingrandire).

Inquadratura dall'alto in campo lungo a Ballarò

I contenuti della telefonata di Berlusconi sono sempre gli stessi: Tizio dice le bugie (ieri Tizio era Rosy Bindi, in passato è stato Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, o Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos Italia); io solo dico la verità; la trasmissione è nel complesso «mistificatoria», come ha detto ieri, perché ospita persone che mentono.

Mentre Berlusconi parla, gli operatori fanno primissimi piani sugli ospiti dissenzienti: questi tossiscono nervosamente, deglutiscono, si toccano il naso, si tolgono la polvere dalla giacca, torturano parti del loro corpo. Esprimono, insomma, emozioni di sottomissione, come ansia e timore. Solo pochi – cito fra tutti Rosy Bindi – fanno prevalere segni di rabbia senza combinarli con quelli di timore.

Mentre Berlusconi parla, i primissimi piani sui volti degli ospiti consenzienti mostrano, al contrario, espressioni di soddisfazione, sollievo, orgoglio: cenni di assenso, sorrisetti ammiccanti, sopracciglia alzate in segno di furbizia, come a dire «L’avevo detto io!». Anche la loro è sottomissione: quella di chi gode dell’approvazione del capo.

Nel frattempo Floris fa il solito balletto: cerca di interrompere Berlusconi senza riuscirci («Come si permette? La Rai non è sua, è un servizio pubblico e tutti devono poter parlare»), gli dice di stringere senza riuscirci, gli ricorda che deve rispondere a qualche domanda («Era nei patti!»), senza riuscirci. Normalmente Berlusconi riattacca (un capo fa quel che vuole!), infatti è successo anche ieri (se non ricordo male, solo nella puntata del 28 ottobre 2009, accennò a una risposta).

Insomma, Ballarò è splendidamente funzionale al consolidamento della leadership di Berlusconi e della supremazia del centrodestra sul centrosinistra.

Ma attenzione, non sto dicendo che Floris è d’accordo con Berlusconi: non è così abile. Semplicemente, la manna gli cade in testa e lui se ne avvantaggia in termini di audience e popolarità personale.

Diverso è per tutti gli ospiti dell’opposizione e i loro simpatizzanti, che credono di partecipare a un rito che li mette in buona luce e invece ne conferma la sudditanza.

La telefonata di Berlusconi ieri, 23 novembre 2010:

La telefonata di Berlusconi il 1 giugno 2010:

La telefonata di Berlusconi il 28 ottobre 2009:

Il corpo degli uomini

Su «Alfabeta 2», n° 4, in edicola e in libreria dal 16 novembre, è uscito un mio articolo su «Il corpo degli uomini», che rielabora traendone un quadro argomentato e unitario alcune considerazioni fatte nell’ultimo anno su questo blog.

Questo è l’abstract, come appare nella sezione Approfondimenti del sito di «Alfabeta 2»:

La riflessione sulla rappresentazione mediatica del corpo femminile che ha seguito l’uscita del documentario di Lorella Zanardo «Il corpo delle donne» dovrebbe essere integrata con una riflessione analoga sul corpo maschile. Il campo semantico dei generi sessuali, infatti, è fatto di unità che non sono isolate, ma in stretta dipendenza reciproca. L’articolo propone alcuni spunti su come il corpo degli uomini è rappresentato nella pubblicità contemporanea.

Questo è il pdf del mio articolo: «Il corpo degli uomini».

Ma ti consiglio di leggere l’intera rivista, che è molto interessante e ricca (chiedila alla tua edicola o libreria di fiducia; se non la conoscono perché è nata da poco, fagliela ordinare). Trovi QUI il sommario del n° 4.

Copertina di «Alfabeta 2», n° 4

Queste infine sono le immagini e gli spot che fanno da corredo al mio articolo:

Bello e impossibile (1): David Gandy per D&G Light Blue
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/06/12/bello-e-impossibile/

Bello e impossibile (2): l’ironia del portale Fleggaard
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/11/19/bello-e-impossibile-2/

Bello e impossibile (3): Gran Prix 2010 a Cannes
https://giovannacosenza.wordpress.com/2010/06/29/grand-prix-allironia-sul-macho/

L’uomo in ammollo: passato e presente
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/06/08/luomo-in-ammollo/

L’uomo instancabile: la campagna Men Expert di L’Oréal
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/07/27/luomo-instancabile/

L’uomo che fa ridere (1): Fiorello per Infostrada
https://giovannacosenza.wordpress.com/2010/09/20/luomo-che-fa-ridere-2/

L’uomo che fa ridere (2): Claudio Bisio per Pronto Pagine gialle
http://www.youtube.com/watch?v=PQh3VfwYwUk

La donna che fa ridere (1): Luciana Littizzetto per Tre
http://www.youtube.com/watch?v=l5zBXeK0qH4

La donna che fa ridere (2): Luciana Littizzetto per Coop
http://www.youtube.com/watch?v=udtvx58EdpQ