Ieri Renata mi ha segnalato l’ultima campagna internazionale di Greenpeace, contro la Mattel: pare che l’azienda contribuisca alla deforestazione dell’Indonesia, perché trae la carta per il packaging dei giocattoli dalla foresta pluviale indonesiana.
Foreste e torbiere ricche di carbonio, specie animali come la tigre e l’orango rischiano l’estinzione per le confezioni di Barbie, Ken e del variegato mondo di accessori che li accompagna.
Peccato che Greenpeace, per attirare l’attenzione sul problema, si sia inventata la «breaking news» di Ken che decide di mollare la fidanzata («Barbie, it’s over!») dopo aver scoperto che è una serial killer, una feroce assassina di oranghi, tigri e foreste.
Peccato che sia tutta colpa di Barbie, insomma, quando invece è pure per incartare Ken che si distruggono le foreste indonesiane. E peccato che Ken sia rappresentato come un gay isterico e un po’ scemo, perché ora Greenpeace può essere accusata di doppio sessismo: contro le donne e contro i gay.
Avrebbero potuto pareggiare la partita, mostrandoli entrambi assassini. Avrebbero potuto rompere gli stereotipi. Invece no: caricatura di gay e caricatura di donna assassina. Strano, per Greenpeace: di solito sono comunicatori più astuti.
Lo spot italiano:
Lo spot inglese:
Il videopost di Renata, che accusa Greenpeace di sessismo:
“La barbie assassina di Greenpeace” è inquietante!
Dunque.
Devo ammettere che su alcuni punti nutro dei dubbi.
Ad esempio: quando la ragazza del video – in gamba, devo dire – analizza gli stereotipi di cui lo spot è pieno zeppo, cita anche gli schizzi di sangue provocati da Barbie, associandoli al solito modello femminile della strega. Credo che sia inesatto.
Lo stereotipo della strega, l’isterizzazione del femminile, deriva in gran parte dalla sua capacità riroduttiva, di generare, e non dalla sua capacità di essere violenza. Penso a Uma Thurman in Kill Bill, il perfetto esempio di donna-violenza, donna-carroarmato, donna-killer. Eppure, credo che la sua figura rappresenti il più alto esempio pop di donna che, restando donna e con piena personalità femminile, senza alcuna voglia né necessità di aderire ad un modello maschile, sfida le convenzioni e si afferma. Ama, a modo suo.
Trovo, quindi, molto più pesante lo stereotipo dell’uomo gay – che, come notato da Renata, nello spot italiano è decisamente una checca – anche se qui c’è una contraddizione di fondo: è corretto dire che il bene si identifica nell’uomo, quando nel video c’è un uomo così effeminato che, sappiamo bene ahimè, quanto poco uomo sia percepito dalla società?
In ogni caso grazie Renata, di fondo siamo s’accordo. 😉
Temo sia un “calco” da Toy Story 3, dove Ken è anche lì ritratto come un (cripto)gay isterico e da tutti sbeffeggiato con frasi tipo “borsetta con le gambe” o “giocattolo per bambine”. Complimenti a tutti.
nel video Barbie non si vede mai. Non si vedono donne. Si vede un maschio assurdamente effeminato, stupido, superficiale e vanesio che eventualmente offende gli uomini (sia etero che gay) , sempre più rappresentati nei media come inconcludenti, inutili e scarsamente dotati (versione Litizzetto) o violenti, criminali e moralmente inferiori (in infinte altre versioni e salse). La cattiva stampa è quasi tutta per loro.
Soprattutto nel ramo violenza, come nota anche Amedeo, accade esattamente il contrario: è l’uomo ad essere rappresentato come il mostro per eccellenza. Nella campagna del telefono azzurro – per fare un esempio – si parla sempre del papà picchiatore e violento. L’ombra proiettata sul bambino nell’angolino è sempre maschile. Lo stesso vale per la pedofilia: se ne parla sempre e solo al maschile (il pedofilo è un soggetto che…., il mostro in agguato in rete…, i preti…. ecc.)
Concludo dicendo che: se la ragazza (molto in gamba) del video vuole scrivere a Greenpeace perché non si sente rappresentata, fa bene a farlo. Mi sembra un modo di partecipare in modo attivo alla politica di una associazione cui si aderisce.
Non condivido però la sua analisi.
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A questo giro devo spezzare una lancia in favore di Greenpeace che mai come in questo spot ha dimostrato correttezza filologica e senso del ruoli. Chi è Ken se non un’icona gay che da sempre riveste un ruolo secondario nell’universo di Barbie e vive in funzione e per mezzo di lei?
Se c’è sessismo è nella Mattel che ha valorizzato come positiva la femminilità di Barbie e svilito alla stregua di frivolo amichetto inconsistente la mascolinità di lui. E infatti Earring Magic Ken è assurto dai primi ’90 a simbolo da gay pride.
Quindi Greenpeace – che è sempre astuta nel comunicare almeno quanto è disonesta nell’informare – a questo giro non c’ha messo niente di suo rispettando fedelemente la filosofia assiologica della Mattel: Barbie, deus ex machina e quindi unica responsabile nel bene e nel male, astro dell’iniziativa e unico oggetto d’interesse del suo mondo; Ken, fragile comprimario, toy boy ma relegato all’omosessualità perchè autorizzato a contemplare, e solo occasionalmente corrispondere, la desiderabilità di Barbie, comunque a suo uso e capriccio. Dove le chiome di Barbie si concedono la vitalità della variazione mondana, del colore incostante, inno a una femminilità adulta che pur nell’utopia delle sue forme irraggiungibilmente filiformi mette al centro della scena lei e permette alla bambina che la manipola di fantasticare almeno sul suo futuro di parrucchiera, Ken è al contrario mummificato nella plastica del suo parrucchino, condannato all’eterna statiticità dei fossili,
ingessando di fatto le possibilità creative dell’eventuale bambino che desiderasse giocare con l’amica. Carriera difficile quindi quella dell’acconciatore degli amici di Barbie: e non è un caso che grandi coiffeurs siano gay. E ce li immaginiamo da piccoli, relagati dall’amichetta petulante ad animare l’infermo Ken, a proiettare in astratto le pettinature che solo da grandi hanno potuto vedere realizzate Ce l’avevano detto e ne è una riconferma: la creatività nasce e si sviluppa sempre dall’imposizione di un limite – e che limite!
Greenpeace a questo giro ha dimostrato di conoscere ciò che va criticando, di scherzare, sì, ma seriamente. A differenza di altre questioni in cui seriamente scherza.
Ugo, sei rimasto indietro: oggi Ken ha i capelli, la barba e veste grunge:
http://shop.mattel.com/product/index.jsp?productId=11189064
La Mattel si è evoluta ma Greenpeace a quanto pare no..
@Giapponesi
Sei tu che tradisci la Tradizione. Greenpeace fa della filologia. Se avesse proposto un Ken eterosessuale e con il parrucchino posticcio di Cesare Ragazzi non avrebbe avuto lo stesso impatto e nessuno lo avrebbe riconosciuto come tale, reso anonimo tra i tanti concorrenti.
Capisco, cara Giulia, che nei tuoi sogni di bambina il modello Kurt Cobain si attagli di più ai tuoi sogni di adulta. 🙂 Strano che Greenpeace non abbia inseguito l’ultimo grido in fatto di Ken, così come invece fa costantemente cavalcando le ultime effimere mode su altre tematiche. Ma in fondo non c’è contraddizione: il Ken aggiornato non tradisce la sua subalternità né la sua latente declinazione del maschile all’omosessuale, quindi non rinnega le sue origini. E Greenpeace fa altrettanto: sembra una novità invece è la più reazionaria delle filosofie.
Ps
In una conversazione privata con la Giapponesi abbiamo appena scoperto un modello di Barbie che ci mette in crisi con un interrogativo che desidero sottoporre all’attenzione dei commentatori. Il modello in questione vede una Barbie d’antan, vestito aderente in vita che finisce in un impegnativo tulle che ricorda i finali delle tende, solito fisico anoressico, pettinatura Romy Schneider d’oltralpe. Completano il tutto due lampadari alle orecchie e un trucco da battona. Il modello si chiama “Happy Birthday®, Ken® Barbie® Doll” (ben tre trademarks, a ricordarci che la Barbie non dà gratis nemmeno il regalo di compleanno).
Il quesito è il seguente: cosa sarà contenuto nel minuscolo pacchetto (in pendant cromatica col vestito ovviamente) che maliziosamente reca la targhetta “Ken”? Un guinzaglio, un pene o se stessa®?
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Voglio fare i miei complimenti ad Amedeo e Ugo per le loro analisi, le ho trovate davvero illuminanti.
Solo una cosa però:
@ Amedeo. In Kill Bill il personaggio di Uma Thurman, se ben ricordo, assume il suo spessore “epico” non in quanto assassina, ma in quanto vendicatrice di un massacro a cui è scampata per miracolo. In un certo senso un po’ primitivo, Beatrix ristabilisce una giustizia. Un po’ come Erik Draven ne Il corvo. Qui si tratta di trasformare il personaggio di Barbie (già insopportabile di suo, per carità) in una «serial killer», una «pazza», una «str—-» che abbatte gli alberi e ammazza le bestie per far soldi.
“Ma Barbie qui sta per “simbolo” della Mattel, non come figura femminile”, mi si può dire, e giustamente nota Ugo che in realtà Ken è un comprimario – quasi un accessorio di Barbie. Sì e no.
Se Greenpeace avesse impostato la campagna utilizzando il SOLO personaggio di Barbie, rappresentandola ESATTAMENTE come l’ha rappresentata, effettivamente Barbie avrebbe rappresentato soltanto un marchio registrato della Mattel. Il simbolo dell’azienda, la parte per il tutto.
Nel momento però in cui la pubblicità decide di prelevare 2 personaggi di sesso diverso e di connotare uno come il “buono” e l’altro come la “cattiva” (andando oltre, dunque gli stereotipi che già di per sé i due personaggi si portano addosso), ecco che Barbie non può essere letta solo come “simbolo” della Mattel, ma deve essere letta per forza anche in riferimento all’altro personaggio (anch’esso appartenente alla Mattel, tra l’altro).
In relazione a questo vorrei fare una domanda anche ad Ugo perché sono curiosa di sapere come la pensa. Dando per buona la correttezza filologica che hai ricostruito, ti chiedo: nel momento in cui una pubblicità dal valore civile si mette una “maschera” e adotta gli stili, gli stereotipi del sessismo o dell’omofobia) seppure in maniera citatoria e “tra virgolette” sta facendo una citazione oppure sta facendo (magari suo malgrado) sessismo e omofobia? E, secondo te, al pubblico medio delle pubblicità arriva di più il sessismo o le “virgolette” (intendo anche a livello subliminale, visto che al 95% la pubblicità funziona così). Non ho una risposta su questo, ma il problema me lo pongo. Altrimenti di questo passo si finisce a fare come Ricci, che con la scusa della satira e del citazionismo ci ha fatto ingoiare gli stereotipi più beceri.
@diaiat Come fai a dire che nella pubblicità non c’è una donna? Non si “vede”, ma è presente, nei discorsi, in voce. È lei al centro della comunicazione e lei è oggetto d’accusa. La differenza fra la caratterizzazione “scorretta” di Ken e quella di Barbie è questa: Ken è preso in giro sulla base dello stereotipo che incarna: belloccio, vanesio e, stando all’interpretazione di Ugo, “icona gay”. Barbie non è colpita per quello che è, ma per quello che FA, o meglio per quello che la Mattel (produttrice di entrambi i personaggi) fa. E ho spiegato prima come la vedo in proposito. Tant’è vero che alla fine, malgrado tutti gli stereotipi, Ken ne esce positivamente e di fatto diventa il TESTIMONIAL della campagna, che infatti recita “Join Ken”. Allora che senso ha?
Per il resto sono d’accordo su quello che dici sugli altri spot, ma in questa sede mi sembra un po’ pretestuoso, non condivido il metodo di rispondere contrapponendo una sbagliata rappresentazione di genere a un’altra sbagliata rappresentazione di genere, sullo stile “e allora noi uomini che dovremmo dire”. È un modo sterile di discutere, secondo me, che non porta a niente. Preferisco confrontarmi con analisi del problema diverse dalla mia, come quelle che hanno dato Amedeo e Ugo, ma sempre sulla base dell’argomento proposto, non di altre cose che non c’entrano, se no la si butta solo in caciara. 🙂
@renata
Sono perfettamente d’accordo su tutto. Ciò per cui ho mosso una critica alla tua analisi è stato il mettere in relazione gli schizzi di sangue, simbolo della spietatezza della donna, e le accuse ancestrali di stregoneria rivolte alle donne. Queste ultime hanno radici ben più profonde. Come dicevi tu: Barbie se lo sogna di essere una strega – è una criminale!
Tutto qui.
Grazie, comunque, di tuoi contributi. 🙂
Ricopio il mio commento di ieri sera lasciato su FB.
io non sono d’accordo. vedo molto di più, nella versione italiana e francese (e magari – non ho controllato – qualche altro paese “latino”) un cadere nello stereotipo del gay vanitoso ed effeminato. Ma l’identificazione della Mattel non può essere fatto con Ken… suvvia! La Mattel è la Barbie. Ken è un “accessorio” (e nemmeno troppo serio) della Barbie. L’identificare la Barbie come un’assassina non lo vedo ricadere nello stereotipo sessista. Anzi mi sembra una novità da questo punto di vista. Le donne di potere nello stereoitpo sono senza scrupoli, questo può valere per la “Mattel” se la decliniamo al femminile e, in questo caso, purtroppo scopriamo anche vera se abbatte le foreste per risparmiare sugli imballaggi. Ma lo stereotipo prevalente nelle pubblcità sessite non è questo. L’effetto che produce lo spot è senza dubbio di grande attratività facendo leva sulle emozioni legate all’infanzia. Mai Ken si era permesso di lasciare la Barbie. Questa è la notizia. quella che “buca”. Eppoi non ha una reazione violenta, ma un’indignazione morale.
Copio-e-incollo qui il mio commento su fb (pagina di Se non ora quando)
“no. La barbie non ha mai rappresentato le donne vere, io non mi sono mai (non dopo i miei dieci anni, almeno) sentita rappresentata dalla barbie, ne’ come donna ne’ come essere umano. Anzi. Semmai è proprio la barbie ad essere sempre stata offensiva nei confronti dell’immagine della donna.
Quindi se Greenpeace offende la barbie non offende le donne, non offende me: mi/ci fa solo un gran favore. Io ringrazio”
salve maria, leggiamo le immagini in modo diverso. Oltretutto, personalmente ho un problema con gli stereotipi: non mi sembrano una cosa molto grave, di qualsiasi tipo siano. Mi limitavo a dire che se qualcuno doveva (proprio, per forza) sentirsi offeso, quello era chi eventualmente può riconoscersi in Ken (etero o gay, ma sempre maschio). E no, non mi pare che Ken ne esca bene. Il suo è un moto di stizza per il danno d’immagine, come qualcuno ha notato prima di me. Non un moto di indignazione o di delusione (!). Pensa: “Ma è pazza! Cosa vuole fare, rovinarci?”
Ken e Barbie sono tutt’e due il Male. Incarnato nella Mattel.
Quindi l’unica che potrebbe sentirsi eventualmente offesa è la Mattel, che replicherà accusando Greenpeace di avere lanciato una campagna piena di stereotipi aziendali (la multinazionale cattiva, che genera due mostri come Ken e Barbie, e in più inquina pure).
se la denuncia è a Mattel, ebbene, va fatta tanto a Barbie quanto a Ken. Non vedo il motivo di ‘aiutare Ken’ come invitano alla fine dello spot, come se lui, che rappresenta il maschio, fosse la vittima, e Barbie, che ovviamente è la donna, è la carnefice.
Non se ne può più, sono secoli che portiamo sulle spalle il peso della colpa e ora siamo anche responsabili di una politica attuata dagli uomini. E Barvie, come Pandora e ed Eva è responsabile di seminare i mali nel mondo, mentre Ken è l’Adamo che se la cava sempre, povero, vittima dei vizi e dei capricci delle donne. Ecco, questa pubblicità fatta da Greenpeace è scandalosa. Avevano un buon proposito e hanno scelto una forma orribile per pubblicizzarlo. Questo la dice lunga di quanto siamo pregni di certi stereotipi. Kate Millett docet.
@Renata
I complimenti te li faccio io perché sei brava e soprattutto funzioni in video. Coltiva il tuo talento da speaker, potrebbe tornarti utile in futuro.
Passiamo alle tue domande, le cui risposte non sono per niente semplici. Non a caso su queste questioni Giovanna, Lipperini e Zanardo sono chiamate in causa quotidianamente seppur con funzioni diverse e non vorrei calzare i loro panni perché occorre una cautela che non posseggo: bada bene che se su dieci casi di sessismo ne denunci correttamente 9 e ne esageri 1, ti faranno a pezzi, ti screditeranno, ti appelleranno come moralista e lì finisce la partita comunicativa. Premesso ciò, tento di risponderti:
nel momento in cui una pubblicità dal valore civile si mette una “maschera” e adotta gli stili, gli stereotipi del sessismo o dell’omofobia) seppure in maniera citatoria e “tra virgolette” sta facendo una citazione oppure sta facendo (magari suo malgrado) sessismo e omofobia?
Io seguo un criterio regolativo di massima: considero citazionismo lecito se uno stereotipo viene usato sopra un altro stereotipo. Barbie è un personaggio immaginario che esiste appunto solo come insieme di stereotipi culturali: quando eravamo piccoli facevamo le statue di cartapesta, bastava la colla, ritagli di giornale e la pazienza di far asciugare il tutto. Ecco, gli stereotipi di cui è composta Barbie sono l’insieme di quei ritagli. Ma la statua non ha uno scheletro ha soltanto un esterno, una panoplia. Per questo nessuno ognuno è autorizzato a dire di lei ciò che vuole perché non è un individuo reale e quindi non possiede una personalità che viene tipizzata, caricaturata, ridotta appunto a stereotipo o pregiudizio. Altrimenti commetti l’errore che hai commesso tu: considerare uno stereotipo come Barbie come l’antonomasia di una qualità contingente al suo uso ( es: pazzia); ipostatizzare questa qualità e farla parlare per le donne reali. Opporla infine allo stesso trattamento che viene riservato al maschio.
Ma così facendo non parliamo di un uomo reale o di una donna reale ma solo di stereotipi che giocano con altri stereotipi. Diversissimo il discorso per Ricci, ma ti rispondo in fondo.
E, secondo te, al pubblico medio delle pubblicità arriva di più il sessismo o le “virgolette” (intendo anche a livello subliminale, visto che al 95% la pubblicità funziona così)
Qui non c’è sessismo. Giovanna non accusa Greenpeace di Sessismo. Gli rimprovera di aver perso un’occasione per giocare con gli stereotipi articolandoli in un uso differente che alla lunga potrebbe sedimentarsi in una sensibilità differente verso il reale. È diverso.
Al pubblico non arriva il sessismo perché se io metto in scena una checca non prendo in giro l’omosessualità. La checca esiste nella realtà e sarebbe offensiva solo se il suo uso giocasse in una posizione in cui volesse funzinare da sineddoche annientando ogni sfumatura dell’omosessualità. Ma non è questo il caso.
Altrimenti di questo passo si finisce a fare come Ricci, che con la scusa della satira e del citazionismo ci ha fatto ingoiare gli stereotipi più beceri.
Arriviamo a Ricci. Perché la sua operazione è fortemente sessista usando il paravento della citazione e del metauso dello stereotipo? Perché Ricci applica lo stereotipo non a un altro stereotipo ma a una persona reale, in carne ossa. Riducendola quindi a quello che non è, a una caricatura a un mono simbolo in cui la relazione è davvero biunivoca: pensi alla velina e scatta lo stereotipo; ma pensi allo stereotipo e scatta la velina.
Per questo la sua operazione non è intelligente e non fa pensare. Conia solo monete, dove a ogni testa c’è sempre dietro una croce e viceversa.
Monete false, aggiungo.
@ Anna Balderi e Maria Chiaramonte
Scusate abbiate pazienza, però io nel video parlo italiano e vorrei essere capita (e magari sarebbe anche il caso che prima di scrivere si leggessero anche i discorsi degli altri). Io non ho mai detto che la Barbie rappresenta le donne reali. Non me ne frega niente di difendere la Barbie come giocattolo o come figura, chiaro? E ho anche detto – vedi risposta a Ugo e Amedeo – che si sarebbe potuto tranquillamente fare una campagna IDENTICA utilizzando solo Barbie come simbolo dell’azienda senza scrupoli, ma senza creare un’ambigua e inutile dialettica tra un personaggio maschile cretino e vanesio (vanesio alias effeminato, ovviamente…) ma in fondo buono e un personaggio femminile cretino, vanesio e anche «serial killer» che si addossa le colpe di tutto. Questo semplicemente sul piano della costruzione della pubblicità. Non credo che ci sia stata malafede da parte di GP (su questo sono d’accordo con Ugo), credo solo che si sia trattato di uno scivolone.
@ Maria Chiaramonte, Sarà pure indignazione quella di Ken – ed è comprensibile, gli hanno fatto vedere quell’ira di Dio – ma «str—» credo che sia ancora un insulto, o no?
@Renata
“che si sarebbe potuto tranquillamente fare una campagna IDENTICA utilizzando solo Barbie come simbolo dell’azienda senza scrupoli, ma senza creare un’ambigua e inutile dialettica tra un personaggio maschile cretino e vanesio”
Ma sarebbe stata un’altra storia. Se io ti do due personaggi in una struttura narrativa in cui uno si lamenta dell’altro e lo lascia scandalizzato da una scoperta sconcertante, allora stiamo parlando di un topos classico. Uno dei due deve comunque giocare il ruolo della vittima o del buono e l’altro quello del carnefice o del cattivo. come la giri la struttura è quella.
Semplicemente non devi attivare un ‘interpretazione sessista tutte le volte ma solo quando il testo ti autorizza a farlo. Altrimenti stai usando il testo per fargli dire ciò che vuoi tu e finisci per fare come quelle che vedono prevaricanti ingiustizie anche negli articoli indeterminativi. La differenza tra uso e interpretazione non è una cosetta facile.
L’interpretazione di quel testo non consiste nell’attivare conflitti di genere, ma solo conflitti relazionali. Il fatto che il ruolo attanziale del cattivo venga impersonificato da una donna, da un uomo, da un etero o da un omo è irrilevante. Qual’è la cartina di Tornasole del mio ragioanamento? Presto detto: sostituendo i generi sessuali ai ruoli il senso (e il giudizio sulla) storia non cambia. Barbie non taglia gli alberi ed è cattiva in quanto donna (e potrebbe essere barbablu,un cane,un fantasma o il diavolo). Ken non è la vittima e quindi buono in quanto maschio (o checca isterica). La struttura narrativa è: X è cattivo perché non è ecologista, ha deluso Y perché Y non è come X e X non è come Y credeva che fosse, quindi Y lascia X.
Non è X è cattivo in quanto donna, e Y è buono in quanto uomo.
Inoltre la questione è che la critica non è a Barbie ma è a Mattel quindi non avrebbe avuto senso equiparare Ken (irrilevante nella struttura di potere dell’universo barbie) a Barbie, perché Barbie è la protagonista e come tale paga. Non solo: siccome la checca sta all’omosessuale come l’oca sta alla donna o il macho all’uomo, si è scelto di mettere in ridicolo non l’omosessuale serio che Ken potrebbe essere, autorizzato dalla sua biografia cripto-gay, ma l’unico ridicolo accessibile al suo essere gay.
Pessima lei, nel suo ruolo di potere, e pessimo lui nel suo ruolo di carlino.
@Ugo: il regalo x Ken è se stessa (Barbie) – nel pacchetto c’è il Viagra…
Altrimenti stai usando il testo per fargli dire ciò che vuoi tu e finisci per fare come quelle che vedono prevaricanti ingiustizie anche negli articoli indeterminativi
Non avevo capito quasi niente di tutto il resto (molto tecnico e, immagino, puntuale) del commento di Ugo. Ma se questa ne è la sintesi, sottoscrivo. L’impressione generale che avevo tratto dalla visione del video di Renata era questa. Faticavo comunque a riconoscere il Bene in quella parodia di action figure imparruccata di Ken, di qui la fatica a interpretare in chiave di Bene/Male la dinamica Ken/Barbie. Due mostri!
Però Renata è brava, sa parlare, cattura l’attenzione, usa un linguaggio semplice ma non banale, e comunque anche la sua argomentazione tiene bene ed è condivisa da molti, leggo.
Renata scusa, ma fra persone che capiscono (credimi!) l’italiano, a volte se non si viene compresi/e correttamente è segno che non ci si è espressi/e in modo adeguato.
Detto questo, se tu non hai mai detto che la Barbie rappresenta le donne reali, e non te ne frega niente di difendere la Barbie come giocattolo o come figura, allora: qual’è il problema che ti spinge ad alzare questo polverone? Di cosa stiamo parlando?
E no: come bene ha spiegato Ugo qui sopra, NON si sarebbe potuto “tranquillamente fare una campagna IDENTICA utilizzando solo Barbie come simbolo dell’azienda senza scrupoli, ma senza creare un’ambigua e inutile dialettica tra un personaggio maschile cretino e vanesio ma in fondo buono e un personaggio femminile cretino, vanesio e anche «serial killer» che si addossa le colpe di tutto”, proprio perché “sarebbe stata un’altra storia”.
Siamo così subissate di pubblicità vetero-sessiste martellanti e ossessive, che manco nei Carosello degli anni ’50 dello scorso secolo…!
Se la pubblicità è (e lo è) propositiva e impositiva di modelli di consumo oltre che di prodotti, vediamo che ancora stiamo alle donne (sempre donne, solo donne) che puliscono la casa, cucinano e si occupano dei bimbi.
Il bersaglio delle nostre analisi e delle nostre battaglie, l’oggetto su cui investire preziose energie intellettuali, non può, non deve certo essere questo spot di GP, efficacissimo nel suo obiettivo ma davvero assolutamente innocuo sul piano di genere.
Per non rischiare di vanificare altre importanti discussioni sul tema (sempre citando Ugo: “se su dieci casi di sessismo ne denunci correttamente 9 e ne esageri 1, ti faranno a pezzi, ti screditeranno, ti appelleranno come moralista e lì finisce la partita comunicativa”), io questa storia consiglierei, sinceramente, di chiuderla qui. Nell’interesse di tutte noi.
Una risposta io me la sono data.
“Tant’è vero che alla fine, malgrado tutti gli stereotipi, Ken ne esce positivamente e di fatto diventa il TESTIMONIAL della campagna, che infatti recita “Join Ken”. Allora che senso ha?” – Renata
Mattel pare che usi il 96% di carta riciclata per i suoi packaging e si sta attivando ad arrivare a 100% entro il 2015.
http://www.zeusnews.com/index.php3?ar=stampa&cod=15024
Ciò che si contesta a mio parere alla Mattel è di servirsi di un fornitore come la Asia Pulp & Paper, responsabile prima della deforestazione. Aiutiamo Ken è un invito non esplicito a convincere il colosso dei giochi a fare scelte migliori e coerenti. Peccato l’abbia realizzato in questo modo, il più discutibile esempio di pubblicità che cattura con il motto: purché se ne parli, scivolando in un messaggio scorretto prontamente colto da Renata.
@Renata
A scanso di equivoci vorrei aggiungere un’ultima nota sul citazionismo lecito, la satira o la parodia che ho dato per scontato ma è bene chiarire. Io posso usare la Barbie come mi pare nelle mie strutture narrative e ogni connotazione o stereotipo che le affibbierò andrà comunque a denunciare il ridicolo della Barbie e dei valori che rappresenta, al massimo anche delle persone reali che vi si identificano.
Invece Mattel non potrà mai accampare come alibi l’uso di uno stereotipo sul suo stereotipo perché è lei che crea le condizioni di esistenza del suo prodotto e ci lucra sopra. Perciò quando Mattel inscena una struttura narrativa (e fa i suoi spot, i suoi cartoon, le sue campagne), è lì che sarà opportuno denunciare gli usi retrivi e conformisti che vengono suggeriti ai suoi aspiranti acquirenti sotto forma magari di innocua imitazione di una situazione di gioco. La statua di Barbie è di cartapesta solo quando la ri-usiamo noi, che la consideriamo nella sua natura di simulacro. Per la Mattel resta invece una figlia vera; come genitore è responsabile di quel che fa e le fa fare, almeno fino al raggiungimento della maggiore età (che per Barbie non arriverà mai ma per i suoi acquirenti sperabilmente sì, e coinciderà con operazioni tipo Greenpeace). Il lettore modello della pubblicità Greenpeace non è un bambino che gioca con la Barbie e introietterebbe inconsciamente modelli non critici. Si suppone sia appunto l’adulto che ha accesso alla nozione di parodia, che è il genere che fa il verso e si può permette tutto, anche di mostrare sole donne e solo cretine, e proprio perché non lucra dall’uso di quella situazione ma denuncia già un’intepretazione latente dell’originale che va criticando e la porta al parossismo.
Antonio Ricci invece non fa satira col corpo femminile, lo usa e basta. Castigat ridendo mores è il motto del satirista, lo sappiamo bene. Ricci però non è sembra avere in mente le epistole degli Orazio, ma le pistole dei Rocco: non correggere i costumi deridendoli ma riducendoli, sicuramente mostrandoli e quando può annullandoli.
tutto vero, per carità. Ma anche un po’ di umorismo, nel senso, sono d’accordo con renata, la sensibilità è personale. io non mi sento ferito come uomo se ken viene rappresentato gay. Penso che sia una questione anche personale, poi sulla società che sa solo generare stereotipi, pe lo più falsi, completamente d’accordo.
“Per non rischiare di vanificare altre importanti discussioni sul tema (sempre citando Ugo: “se su dieci casi di sessismo ne denunci correttamente 9 e ne esageri 1, ti faranno a pezzi, ti screditeranno, ti appelleranno come moralista e lì finisce la partita comunicativa”), io questa storia consiglierei, sinceramente, di chiuderla qui. Nell’interesse di tutte noi.” (Anna Balderi)
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Interesse anche mio (“tutti noi”). I casi di sovrainterpretazione, decodifiche aberranti e paranoie varie, come azioni di critica al sessismo, sono tanto numerosi quanto i casi acclarati di misoginia e razzismo di genere riscontrabili nella pubblicità e nella televisione di oggi. Se non facciamo un po’ di ordine e ricalibriamo le metodologie d’analisi ogni “falso” caso annullerà quello “vero”. Di buono rimane questa voglia di indagare. Ma ci sono dinamiche proiettive che s’innescano inconsciamente portandoci spesso fuori strada. Francamente non so come spiegarmi in poche parole, non è una questione semplice. Sottoporre a controanalisi l’intervento di Renata porta a scoprire dove Renata stessa potrebbe essersi impaludata. Ora se questo agire determina l’arroccamento di Renata, capirete che non approderemo mai a nulla. Fortunatamente Renata mi sembra molto più disponibile di altre sue colleghe/amiche ad accettare l’idea che qualche meccanismo di decodifica talvolta può ingripparsi. Allora dobbiamo fare leva sul fatto che Renata ha comunque colto qualcosa, nel senso che qualcosa da dire su quella pubblicità c’era, qualcosa che probabilmente determinava possibili fraintendimenti anche nel pubblico più disattento. Perché è chiaro che se un pubblico attento si dà la pena di indagare pur ideologizzando e sovrainterpretando criticamente fino ad arrivare all’attacco finale, questo significa che nello spot, in moltissimi spot, sono presenti elementi che nello spettatore mediamente dotato di sensibilità determinano cortocircuiti vari. Dunque la critica avventata, talvolta un po’ sbrigativa, in sé non è un’azione sbagliata, e va considerata come un invito a indagare ulteriormente. Quello che manca è un metodo che tenga presente non solo ciò che la saggistica ci ha consegnato nei decenni (ovviamente sto pensando principalmente a Eco) ma che prenda in considerazione anche le dinamiche psicologiche ed emotive che s’innescano ogni qualvolta abbiamo a che fare con immagini che rimandano a valenze sessuali. E nello spot incriminato il fighetto miliardario amico della Barbie gioca fondamentalmente su una presenza fisico-erotica ridotta a stereotipo di una sessualità plastificata, teneramente melensa e capitalisticamente patinata (inutile aggiungere che l’omosessualità è un’altra cosa; questo semmai è uno stereotipo funzionale a contenere la carica erotica omosessuale). Barbie dal canto suo vive e incarna questa immagine di sessualità inconsistente da decenni; pertanto il fatto che qui si trasformi in una pazza scatenata che a colpi di motosega fa una strage è un altrettanto colpo di genio splatter che ragazzine e ragazzini coglieranno sicuramente come tale. Se vuoi distruggere un “mito moderno”, la cui funzione principale è stata quella di sedare l’immnaginario sessuale degli esseri umani fin dalla loro infanzia, questo dovrà essere affrontato con armi pesanti. Il conflitto presente nello spot credo ora emerga chiaramente: Barbie si ribella e fa una strage; ma se Barbie è responsabile dello scempio sulla Natura, al contempo, come immagine di ragazza felice ridotta a stereotipo di bellezza patinata e irreale, è anche anche vittima. La vittima si ribella. Chi fugge scandalizzato è il fighetto miliardario (immagine fragile di un maschile inconsistente; ripeto, l’omosessualità è un’altra cosa). Potremmo supporre che queste valenze psicologiche non siano state prese in esame dai creatori dello spot, oppure che inconsciamente la donna vittima della stereotipizzazione, all’atto della ribellione, venga parzialmente “abusata”, o meglio, imbrigliata e costretta ad immagine “negativa” (in realtà non non vediamo chi e cosa Barbie stia facendo a pezzi, sentiamo solo una storiella e vediamo uno schizzo di sangue che arriva in volto allo spettatore, Ken). Qui forse l’intuizione di Renata: Barbie in fondo era una donna normale prima che il capitalismo selvaggio la riducesse a stereotipo evanescente, ora che si ribella, la sua ribellione viene parzialmente individuata come “aggressione” alla Natura. In parte c’è un tentativo di ricollocamento del tasso di ribellione femminile in aggressività nociva (caccia alla strega). Insomma un po’ come la faccenda di Medea che fa una strage per tornare alla Natura e viene invece indicata come assassina dei propri figli. Ad ogni modo Barbie non sarà più la stessa. Dunque lo spot, anche se conflittuale, ha funzionato. [mi scuso per la lunghezza, eventuali refusi e per aver letto di fretta i vostri commenti, magari qualcosa era già stato detto].
Gli ecologisti convinti, come gli animalisti convinti, come i religiosi convinti, come tutti i fortementi convinti su un unico e solo tema porti alla nocuranza di alcuni dettagli importanti… “la comunicazione” è un’arte tanto sottile quanto tagliente. Il voler a tutti i costi attirare l’attenzione per i propri scopi (per quanto giusti) è il primo step per il vero degrado.
sono molto puntuali le analisi, ma non vorrei che per salvare i buoni propositi di Greenpeace si perdesse di vista la pessima forma stereotipata, in cui l’uomo (nonostante si presenti nella forma dell’effeminato, e dunque nonostante la perdita della sua virilità) è attivista politico, impegnato e ben intenzionato, e la donna-barbie dispensatrice di guai e responsabile di decisioni mai prese.
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Quello che penso: http://perseo.blog.kataweb.it/perseo_blog/2011/06/10/barbie-cattiva-maestra/
l’uomo (nonostante si presenti nella forma dell’effeminato, e dunque nonostante la perdita della sua virilità) è attivista politico, impegnato e ben intenzionato…
ma abbiamo visto lo stesso video, alessia?
e poi “la perdita della virilità” sarebbe un elemento trascurabile, dovendo ragionare di sessismo e stereotipi? Se fossi uomo ci riderei su, certo, come rido della barbie Rambo, però.
al pubblico medio delle pubblicità arriva di più il sessismo o le “virgolette”? Parole sante, Renata. Grande Molly M.
Ragazzi, a scanso di equivoci, voglio ringraziare tutti per gli argomenti e le controanalisi che sono venuti fuori.
@ Anna (con la quale mi scuso se ho in un certo senso “alzato la voce”, ma sul canale mi stanno scrivendo di tutto in queste ore…): per me non c’è problema, davvero, possiamo anche chiuderla qui, il mio argomentare non nasce dal voler difendere una tesi a tutti i costi. Il fatto che le reazioni a questo post siano state molto diverse e puntuali secondo me è un arricchimento se i toni rimangono civili e ci si mette in gioco. Il videomessaggio l’ho fatto per puro “senso civico” – se posso usare questa parola –, perché il video di Greenpeace mi ha provocato una reazione assolutamente inaspettata. Ho tentato di capire le ragioni di questo istintivo fastidio e ho pensato di condividere con altri i ragionamenti e le perplessità che avevo. Ho cercato di farlo con la massima cautela ed educazione, cercando di rimanere sul piano analitico per tentare realmente di capirci qualcosa. Se poi al “Fatto Quotidiano” trasformano una discussione come questa nel solito corsivo sarcastico che serve solo a fare esercizi di stile e “alzare un polverone” – di modo che poi qualcun altro possa farci il solito contro-corsivo per mandarla in vacca – è una cosa di cui non mi sento responsabile.
Leggo anche questa volta con interesse tutto quello che ha scritto Ugo, (incarto e porto a casa, come si dice a Roma 😉 ). Credo però che la posizione di luziferszorn sia molto saggia. Quali che siano state le reali intenzioni di GP (cui ho riconosciuto fin dal primo momento la buona fede), quale che sia l’interpretazione “corretta” dello spot, sta di fatto che se diverse persone hanno provato fastidio nel vedere quelle immagini (anche Marino ha dato la sua testimonianza) non posso non dedurne che un fondo di ambiguità sui problemi qui discussi ci fosse. E, aggiungo, se questa discussione ha trovato spazio sul blog di una semiologa che dirige un Master in Comunicazione, Management e Nuovi Media, forse (e dico forse) i dubbi che sollevo non nascono solo da una mia particolare sensibilità sull’argomento, che tra l’altro metto in conto. Ma, appunto, non si tratta di stabilire chi aveva “ragione” e chi aveva “torto”, si tratta di verificare, dalle diverse accoglienze qui testimoniate, che il senso delle strutture narrative e degli stereotipi qui chiamati in causa non era così trasparente. Ed è questo, credo, l’importante in una comunicazione pubblicitaria che, nel bene o nel male, dovrebbe puntare alla chiarezza, nel proprio interesse.
Solo un’aggiunta per Ugo, però è una considerazione in generale. Due cose non mi convincono del tutto del tuo ragionamento.
1) Io penso che dire “questa è la struttura narrativa e funziona così” non ci risolva il problema. In primo luogo perché una pubblicità non è un romanzo o un film, in cui l’autore può anche regolarsi in base ai suoi interessi personali, alla sua poetica, magari anche in maniera non consapevole al 100%. La scelta di una struttura narrativa in pubblicità avviene sempre alla fine di uno studio accurato in vista dell’obiettivo che si intende ottenere. Quindi se io scelgo di utilizzare una struttura narrativa che mette in gioco due personaggi in contrasto tra loro (vedi quella famosa della Apple “I’m a Mac”, “I’m a PC”), vuol dire che credo che funzioni meglio per l’obiettivo che intendo raggiungere. E ovviamente nello scegliere metto in conto e valuto le reazioni che potrò ricevere e che, positive o negative, potranno farmi gioco. Quindi, appunto, identificare la struttura narrativa è solo il primo step.
2) Io non credo che si possa parlare di sessismo o di discriminazione solo quando la motivazione (” in quanto donna”, “in quanto rom”, “in quanto gay o lesbica”) è resa esplicita. Tant’è vero che nelle cause di licenziamento per discriminazione in base al sesso, alla razza, all’orientamento sessuale la parte lesa deve portare delle prove per dimostrare che la motivazione per cui quella persona ha subito quel trattamento è stata discriminatoria. Il che rende il discorso molto più complesso e scivoloso, come tu giustamente noti.
2a) Rovesciando in un certo senso le tue conclusioni potrei dirti che “invertendo X con Y il risultato cambia eccome”. Non perché non si possa, ovviamente, assegnare a una donna (o a un nero, o a un gay) un ruolo negativo. Ma semplicemente perché nella storia di questo pianeta la condizione degli uni e degli altri non è la stessa. Io sono una persona estremamente pacifica. Ma spesso vorrei ricordare, sorridendo, a chi dice che le femministe fomentano la guerra fra i generi e roba simile, che la letteratura, la scienza mondiale sono da secoli costellate di pagine misogine. Ma non vale mica solo per la misoginia. Ci sono topoi che si stratificano nel tempo, creando collegamenti “istintivi” tra il “polo negativo” di una struttura narrativa (di per sé innoqua) e una certa categoria di persone. Moni Ovadia raccontava una storiella che forse può rendere l’idea di ciò che intendo. Una volta lui era in macchina con degli amici e parlava del più e del meno. A un certo punto uno di loro, parlando scherzosamente di un altro conoscente lo ha definito “tirchio come un ebreo”. Notando che Moni era rimasto in silenzio, mentre gli altri amici continuavano a ridere e a scherzare, questo tizio – imbarazzato e anche un po’ dispiaciuto – gli fa: «Ma Moni, hai capito vero che non voleva essere una battuta razzista? Avrei potuto dire “tirchio come uno scozzese, come un genovese”, sarebbe stata la stessa cosa». Moni sorride e gli dice: « No, non sarebbe stata la stessa cosa. Perché gli Scozzesi e i Genovesi non hanno avuto milioni di morti nei campi di concentramento».
Sono stata lunga e sono finita decisamente O.T., ma mi sembrava importante. 🙂
@ Anna. Comunque sul piano delle pubblicità svilenti cui ti riferisci tu sono assolutamente d’accordo e ho spesso partecipato a mail bombing e a segnalazioni allo IAP. Quindi, come vedi, siamo decisamente dalla stessa parte. 🙂
Un aggiornamento, perché credo che vi possa interessare. Nella versione americana Ken dice “That f***kin’ B**ch”, che è un po’ più pesante di “str…”. All’estero il problema è stato sollevato anche qui:
http://www.businessgreen.com/bg/opinion/2077399/ken-drivi…
https://www.facebook.com/help.greenpeace.respect.women
La ragazza polacca che ha creato la pagina ha elencato diversi commenti sessisti e omofobi che sono comparsi sul profilo di Greenpeace. E un altro utente nota come lo spot, specie per la chiusa “That f***kin’ B**ch” sia in contrasto con la mission di Greenpeace che recita: “Greenpeace does not permit the use of language or images in its fundraising or marketing materials that in any way promotes racial, gender, sexual, religious or cultural intolerance”.
@Renata
Io penso che dire “questa è la struttura narrativa e funziona così” non ci risolva il problema. In primo luogo perché una pubblicità non è un romanzo o un film, in cui l’autore può anche regolarsi in base ai suoi interessi personali, alla sua poetica, magari anche in maniera non consapevole al 100%. La scelta di una struttura narrativa in pubblicità avviene sempre alla fine di uno studio accurato in vista dell’obiettivo che si intende ottenere. Quindi se io scelgo di utilizzare una struttura narrativa che mette in gioco due personaggi in contrasto tra loro (vedi quella famosa della Apple “I’m a Mac”, “I’m a PC”), vuol dire che credo che funzioni meglio per l’obiettivo che intendo raggiungere. E ovviamente nello scegliere metto in conto e valuto le reazioni che potrò ricevere e che, positive o negative, potranno farmi gioco. Quindi, appunto, identificare la struttura narrativa è solo il primo step.
Renata, io ho detto che la struttura narrativa è quella e funziona così solo per dire che una struttura è neutra rispetto ai suoi attanti. Tutto qui, lungi da me fermarmi lì. Lungi da me anche derivare per la tangente però. Secondo, una pubblicità è un testo e come tale va interpretato. Io potrei trovare discriminazioni di genere anche nel cartello del dare la precedenza, con quel triangolino posto su una verticale così felicemente eretta. L’esempio Mac Vs Pc si fonda in effetti su un contrasto ma sarebbe meglio chiamarlo competizione (apple vuole ridicolizzare il concorrente economico e quello è lo scopo del testo). Al contrario nel testo di Greenpeace,la competizione di genere tra Barbie e Ken è ingiustificata e non pertinente; il contrasto non è volto a far vincere un genere e perdere l’altro. Ken è un attante collettivo che sta per tutti noi; Caratterizzarlo sessualmente è usare il testo. Barbie sta per la Mattel. Vedervi la signora della porta accanto è usare il testo.
Se poi lo spettatore lo usa a suo piacimento, beh, che devo dirti, il testo non risponde delle perversioni altrui.
A quel punto se proprio vuoi ancora argomentare metti da parte l’analisi qualitativa e il potere predittivo della semiotica (che distingue quel che è interpretazione da uso, lo ripetiamo) e commissioni una statistica.
Ma la maturità interpretativa, sempre a mio sindacabile giudizio, la si allena seriamente eliminando la gran parte di quelle interpretazioni che magari ci piacciono, ci seducono, perché confermano le nostre tesi, perché sconfermano le tesi altrui. Interpretazioni che vorremmo salvare ma che – ahimè! – non rispettano il testo
Io non credo che si possa parlare di sessismo o di discriminazione solo quando la motivazione (” in quanto donna”, “in quanto rom”, “in quanto gay o lesbica”) è resa esplicita.
Concordo e rilancio: a maggior ragione non possiamo parlare di sessismo o di discriminazione quando è talmente implicita da non esistere. E infatti tu aggiungi:
Tant’è vero che nelle cause di licenziamento per discriminazione in base al sesso, alla razza, all’orientamento sessuale la parte lesa deve portare delle prove per dimostrare che la motivazione per cui quella persona ha subito quel trattamento è stata discriminatoria.
Appunto a dimostrazione che occorrono prove che dimostrino che la discriminazione c’è stata in quanto donna, in quanto rom, in quanto gay o lesbica, e non invece in quanto a altri motivi. Prove che mancano del tutto nel caso di Barbie e Ken perché la discriminazione c’è nei confronti di Barbie ma solo in relazione al suo bistrattato ecologismo e a nient’altro.
“invertendo X con Y il risultato cambia eccome”.Non perché non si possa, ovviamente, assegnare a una donna (o a un nero, o a un gay) un ruolo negativo. Ma semplicemente perché nella storia di questo pianeta la condizione degli uni e degli altri non è la stessa. […] Ma spesso vorrei ricordare, sorridendo, a chi dice che le femministe fomentano la guerra fra i generi e roba simile, che la letteratura, la scienza mondiale sono da secoli costellate di pagine misogine
No, Renata. Cambia se è la struttura a attribuire importanza all’elemento genere di X e Y. Non è un gioco facile da giocare l’interpretazione. E infatti sorrido alla grande quando il femminismo mi dice che le pagine sono costellate di pagine misogine. Non che non concordi con la maggior parte delle battaglie femministe ma questo è proprio il classico caso di (ab)uso del testo. L’errore interpretativo consiste nell’attribuire al pensiero di allora la nostra weltanschauung, come direbbero i nostri effimeri amici filosofi. Invece di leggere, si rilegge un testo e così facendo si deduce che i maschi sono stati brutti e cattivi. Così facendo non si scorgono i limiti di ogni epoca, le possibilità articolabili in un dato contesto tecnologico-economico-sociale. E si fa cattiva lettura perché poi ci si avvelena sulle (assurde) rivendicazioni del passato credendo che questo sia un argomento buono per le (sacrosante) rivendicazioni del presente.
Moni Ovadia raccontava una storiella che forse può rendere l’idea di ciò che intendo. Una volta lui era in macchina con degli amici e parlava del più e del meno. A un certo punto uno di loro, parlando scherzosamente di un altro conoscente lo ha definito “tirchio come un ebreo”. Notando che Moni era rimasto in silenzio, mentre gli altri amici continuavano a ridere e a scherzare, questo tizio – imbarazzato e anche un po’ dispiaciuto – gli fa: «Ma Moni, hai capito vero che non voleva essere una battuta razzista? Avrei potuto dire “tirchio come uno scozzese, come un genovese”, sarebbe stata la stessa cosa». Moni sorride e gli dice: « No, non sarebbe stata la stessa cosa. Perché gli Scozzesi e i Genovesi non hanno avuto milioni di morti nei campi di concentramento»
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Io posso permettermi di scherzare sugli ebrei quanto voglio (così come su tutte le altre minoranze discriminate nella Storia) in loro presenza e pure in loro assenza.
Esistono tanti registri, cara Renata. Si può ridere con gli ebrei per mezzo degli ebrei senza essere ebrei. Si può ridere *con* gli ebrei per mezzo degli ebrei in assenza di ebrei. Quello che non si può fare è ridere *degli* ebrei. L’importante non è salvare l’apparenza del politically correct. L’importante è salvare la sostanza. Male hanno fatto gli “amici” di Ovadia che si sono giustificati con un excusatio non petita perché il loro non era razzismo, era un uso di una frase fatta che appartiene al passato. Locuzione completamente dissociata dal reale, formula sclerotizzata come chi dica all’amico di Lisbona “non fare il portoghese” per invitare all’onestà non va certo pensando che lui e i suoi concittadini abbiano l’abitudine a non pagare la corsa del tram. Su, un po’ di flessibilità e principio di carità. O vorresti credere che la frase tradisca davvero un razzismo e che il tipo della battuta sia incline a pensare che oggi (se non addirittura geneticamente) gli ebrei del mondo reale siano tutti tirchi?
Ecco un caso in cui la presunta vittima della battuta diventa il censore,irrigidendosi interpretativamente e ricattando l’incosapevole gaffeur. (Ci sono persone che hanno il bisogno di confermare a se stesse la propria immacolata verginità aspettando che tu emetta la locuzione sospetta (quando non è solo un aggettivo) per comminarti giudizio e sentenza senza processo. “Sei un razzista, hai detto quella parolina quindi è così “Non conta la forma della sostanza ma la forma della forma. Qui non saremmo più ai dilemmi dell’interpretazione bensì alle finalità del Sant’Uffizio).
Ma al postutto, cosa c’entra Barbie con tutto ciò? Sbertucciarla per benino – anche a rischio di far apparire la nullità di Ken come una momentanea rivincita dell’uomo nel gineceo di Barbieland – non è scherzare sulle donne del presente né su quelle del passato. Au contraire: è difenderle.
@ Ugo Un solo chiarimento perché su questo forse mi sono spiegata male io. Quando parlavo delle pagine misogine che costellano la storia della letteratura non volevo dire che dobbiamo guardarle con gli occhi dell’oggi. Certo che dobbiamo storicizzare la percezione. Dico solo che certe cose si costruiscono gradualmente nel tempo e diventano granitiche proprio per questo. Non penso che i maschi siano stati brutti sporchi e cattivi, dai su, non banalizziamo. È chiaro che il problema è più complesso. Dico solo che accusare il femminismo di aver inventato l’odio di genere mi sembra un po’ un controsenso.
Comunque guarda non c’è problema, vediamo la cosa da un punto di vista differente. Libero tu di vedere tutto a posto così, libera io di non accettare ( e onestamente di non capire) una pubblicità con valore sociale che si conclude con le parole ‘That fucking bitch’. Non riesco a vederci una scelta neutra e non credo fosse necessario, visto che la mission statement di GP recita altrimenti. A voi invece la pubblicità è piaciuta, o non vi crea nessun problema, ne prendo atto e andiamo avanti.
Bella la discussione Renata-Ugo.
Ugo mi convince, ma ho un dubbio su un punto, esemplificato dalla barzelletta sugli ebrei.
Secondo me, bisogna o almeno conviene tenere conto di sensibilità altrui, quando siano ben note e comprensibili.
E’ noto che gli ebrei non sono stati solo innoq(c)uamente canzonati, come scozzesi e genovesi, ma anche perseguitati, e quindi hanno qualche ragione per essere più suscettibili alle canzonature. Perciò scherzare sulla loro tirchieria è forse inopportuno.
A meno che chi scherza sappia già che gli ebrei presenti sono così comprensivi da condividere la posizione semiotica espressa da Ugo. 🙂
il risentimento di Ovadia credo si possa spiegare così: l’amico di Ovadia non era ebreo e il “tirchio come un ebreo” in bocca a lui assume un senso diverso.Le storielle ebraiche sulla tirchieria così come sulla possessività della “mamma ebrea” non si contano e Moni Ovadia lo sa molto bene, i comici ebrei sono maestri nello scherzare su loro stessi, sulla loro cultura e sull’antisemitismo anche in maniera pesante e “scorrettissima” (vedi Borat, e solo Mel Brooks avrebbe potuto scrivere un musical come The Producers con il numero musicale Springtime for Hitler).. è un po’ come per la parola “negro”..in bocca a me ha un significato,in bocca a Samuel L. Jackson o in un cartoon di Aaron McGruder ne ha un altro.
il contesto cambia tutto, chi dice una certa cosa e quando.Una frase razzista pronunciata da un delinquente in un film non è come se la dicesse un tuo amico in macchina
io adoro la comicità anche quando è “cattiva”e politicamente scorretta però bisogna saperla fare,adoro South Park, i Griffin (che sovente, per il gusto di provocare si muove proprio sul filo del rasoio) però non riuscirei mai a satireggiare la cultura pop afro-americana con la stessa ferocia di The Boondocks, questo però è un limite personale che non deve diventare prescrittivo.
riguardo allo spot di Greenpeace, forse ha ragione Marino Buzzi quando scrive sul suo blog che avrebbero potuto dipingere sia Ken sia Barbie come serial-killer in stile Assassini nati di Oliver Stone (un film che mi colpì moltissimo, tra l’altro), attaccare Barbie è la via più facile e scontata..però credo che la attacchino non in quanto “donna” ma in quanto prodotto di punta della Mattel, avessero fatto uno spot contro la Disney avremmo visto Topolino serial-killer davanti ad una incredula Minnie…a questo proposito mi viene in mente un episodio di South Park in cui il boss della Disney è immaginato come un Topolino cattivissimo e violento.
@Renata
Sono d’accordo con te, non banalizziamo come ha fatto e fa purtroppo ancora un certo femminismo acerbo (che finisce per indebolire l’azione persuasiva di quello maturo) che ritiene davvero la Storia una umiliazione del genere femminile a opera dell’uomo.
Che certe cose si costruiscano gradualmente nel tempo e diventino granitiche proprio per questo mi trova naturalmente d’accordo. Allo stesso modo però devi saper riconoscere che certe espressioni non sono più espressione di un vero razzismo e il vero razzismo sostanziale si trova altrova.
E arrivo a Ben. La differenza sostanziale tra un uso accorto che è bene attuare e una battuta che non reca danno, non concerne la capitalizzazione vittimistica del passato da parte di un gruppo etnico o di una minoranza discriminata nella Storia. Anche perché se guardi alla Storia trovi sempre nel passato remoto una discriminazione subita da qualunque ceppo etnico e quindi la liceità a rivendicare le proprie sofferenze è legittima per tutti.
La sensibilità va usata verso le discriminazioni dell’oggi, che sono tante, di matrice differente e riguardano altre minoranze e altre etnie.
Nessun ebreo oggi è perseguitato, né rischia di esserlo per fortuna.
Prendo il primo aneddoto più recente che mi viene in mente a tema.
Un Lars Von Trier, pur con un chiaro registro di provocazione alla petulanza giornalistica che gli chiedeva maliziosamente delle origini tedesche del suo film, è stato inopportuno nelle sue sparate a Cannes. Ma non lo è stato perché ha preso in giro gli ebrei: lo è stato perché non ha fatto ridere con le sue battute ma piangere, e pietosamente, uscendosene con una provocazione da ultimo bar della Wehrmacht. Magari parodiava ma l’ha fatto malissimo e avrà modo di pentirsene. Sbagliare una battuta è peggio di un delitto: è un errore.
Ma altrettanto fuori di testa è stata la reazione di tutti gli altri, a cominciare da tutte le distribuzioni statunitensi che hanno detto che non vorranno il suo film neanche gratis, che non sarà distribuito e che Von Trier è nella lavagna dei cattivi da qui all’eternità.
In questo caso, sono sincero, mi fa molta più paura la violenza della reazione allucinata rispetto alla battuta-cazzata di Von Trier. Mi fa molto più paura il lettore paranoico allo scrittore goffamente maldestro.
Perché gli ebrei di oggi non sono più minoranza, non sono discriminati, hanno giustamente uno Stato tutto loro per chi sentisse l’esigenza di emigrarvi. Quindi queste reazioni stanno vivendo un anacronistico tempo in cui chi critica non era nemmeno nato, magari e quei fatti li ha solo letti da altri. Quindi perché tanta passione gratuita? In questo caso l’ossessione si è ribaltata, ma risponde sovente alla stessa irrazionalità patosensibile: prima si perseguitava l’ebreo, oggi si perseguita chi lo critica.
Dimostrando che avete ragione voi: per molti i tempi non sono ancora maturi per prendersi in giro.
da ebrea, quoto e sottoscrivo integralmente Ugo:
In questo caso, sono sincero, mi fa molta più paura la violenza della reazione allucinata rispetto alla battuta-cazzata di Von Trier. Mi fa molto più paura il lettore paranoico allo scrittore goffamente maldestro
Nel caso Von Trier, poi, credo che quel “capisco Hitler” si riferisse al fatto che entrambi hanno scoperto che i rispettivi padri non erano quello che pensavano. Quanto a Susanne Bier, è stata la casa di produzione di Von Trier a produrre il suo ultimo film vincitore di un Oscar.
Da commiserare, Von Trier, per la china che ha imboccato con la depressione e tutto il resto. Ma….
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Cara Giovanna,
scusa l’intrusione, ma sono molto sorpresa che di tutte le varie analisi negative che si stanno facendo di questa campagna, nessuno tenga conto della campagna originale di Mattel alla quale quella di Greenpeace è ispirata!
Su NinjaMarketing c’è un riassunto della recentissima campagna virale Mattel http://www.ninjamarketing.it/2011/02/07/la-campagna-crossmediale-di-mattel-barbie-e-ken-si-rimetteranno-insieme/ nella quale Ken, lasciato da Barbie, chiedeva l’aiuto del pubblico per cercare di riconquistarla. La campagna di Greenpeace non fa altro che creare una parodia di questa campagna, ribaltandola.
Poi capisco benissimo che uno possa criticarla ugualmente, ma bisognerebbe tenere presente questo background, secondo me, per fare un’analisi corretta.
Un saluto,
Lara
Purtroppo la Barbie è il giocattolo più femminista che c’è, almeno che io sappia. E’ una ragazza indipendente che fa molti lavori diversi, è fidanzata ma non è subalterna al suo uomo ne a nessun’altro/a. Possiede case, auto, cavalli, ecc… Nonostante la fissazione per la moda e il corpo anoressico rimane sempre la più femminista, al contrario dei vari bambolotti e cucine che fanno giocare la bambina a fare solo la mamma-casalinga, o delle varie streghette o bratz vestite da prostitute o che parlano solo di ragazzi.
Comunque la cosa che mi disturba nel filmato di Greenpace è come è posto Ken e il messaggio che da: sembra una checca sfranta, svilente per gli omosessuali, e perché dovrebbe essere gay? Il mio Ken faceva cose turche a letto con Barbie 🙂 Voi lo vedete gay, le bambine no! E’ gay perché pensa ai vestiti o perché non sottomette Barbie? E quindi lascia Barbie (è questa la maggior tragedia per Barbie? è questa la sua pena per l’assassinio?) per motivi d’immagine. Svilente…
Il Ken di Toy Story 3 è vanesio ma non gay e alla fine si riscopre veramente innamorato e giusto. E supratutto Barbie lo molla senza tante storie quando si comporta male. Approved!
Molto interessante. davvero.
Mi domando però come mai il ‘Social media strategist’ di Greenpeace (Chris Eaton, se non ricordo male) non abbia fatto alcun accenno a questo precedente, rispondendo alla ragazza polacca che ha creato il gruppo HelpGreenpeace.respect.women… Forse che non lo conosce neanche lui? In ogni caso, grazie per averci rivelato quello che è evidentemente il modello di partenza. In cui però, purtroppo devo insistere, Ken non è raffigurato secondo lo stereotipo della checca isterica (ovviamente, questa è la Mattel) e lo spot finisce in tutt’altro modo rispetto ai gentili epiteti proferiti dal Ken di Greenpeace, sui quali ad oggi Greenpeace non ha ancora fatto nessun passo indietro, sebbene siano in palese contrasto con il suo mission statement.
mi associo a Puff!
p.s. In inglese, l’epiteto “bitch” è meno offensivo del nostro “stronza”.
@diait – Ma insomma! A me non pare proprio che bitch sia meno offensivo: a parte che vuol dire letteralmente “cagna”, e già lì… E’ usato sia come stronza che come puttana (di carattere, non professione). Racchiude tutti questi significati ed è estremamente offensivo! Poi che possa essere usato anche ironicamente, magari tra amicche, ok, ma è un po’ come “nigger”: se lo usa un nero ok, ma chiunque altro lo squoiano!
@Serenainthesky
Scuoiano anche te se scrivi squoiano.
😉
ODDIO!!!!! Azz, vedi, a fare la saputella! 🙂
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