Nel bene o nel male, purché se ne parli. Come uscirne?

Il detto «Nel bene o nel male, purché se ne parli» (e simili) parafrasa un brano de Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde (1890): «There is only one thing in the world worse than being talked about, and that is not being talked about».

Portrait of Oscar Wilde

Da anni è diventato il motto con cui si giustifica la comunicazione più volgare, aggressiva, sguaiata. In pubblicità come in politica, in televisione come sulla stampa e su internet.

È una frase stranota, al punto che vi fanno ricorso non solo i comunicatori di professione, ma tutti quelli che vogliono mostrarsi furbi e disincantati nell’interpretare la comunicazione, quelli che vogliono dar prova di saperla lunghissima: se qualcuno si lamenta di certi eccessi, il sapientone di turno è pronto a replicare: «Ma dove vivi? Non sai che la comunicazione funziona così? Parlino bene o male, purché parlino. Svegliati, baby».

In effetti il detto mette in evidenza qualcosa che somiglia ai paradossi pragmatici studiati dagli psicologi di Palo Alto: non è criticando una comunicazione che eviti la trappola, perché parlandone male ne stai comunque parlando, il che vuol dire che attiri l’attenzione su ciò che critichi e magari gli porti pure soldi.

Ma allora come se ne esce? Non c’è una regola generale e, posto che uscire da un paradosso è sempre molto difficile, il problema si risolve caso per caso.

A volte, com’è ovvio, una sana indifferenza permette di evitare la trappola. Purché non sia così ostentata da pesare come e più di un atto di parola. Ma se il polverone è già sollevato e tutti si accaniscono, nel bene o nel male, a parlarne, il silenzio può essere scambiato per qualunquismo o disimpegno irresponsabile. E allora si è obbligati a parlarne. Ma nel farlo sarà opportuno innanzi tutto metacomunicare, e cioè fare una bella premessa che metta a nudo la situazione paradossale in cui ci si trova. E poi trovare le parole, le sfumature e gli impliciti giusti, per evitare che chi ha piazzato la trappola se ne avvantaggi. Mica facile.

Resta una speranza: la trappola è ormai così nota che forse siamo arrivati quasi al punto che possa prevalere l’indifferenza generale. Se tutti – ma proprio tutti – stanno zitti, la trappola non scatta.

In questa situazione di transizione, il 21 novembre Annamaria Testa ha proposto su Nuovo e utile uno splendido esempio di come si può aggirare il problema. Si intitola «Purché se ne parli. O anche no» e comincia così:

«Questa homepage di NeU, al contrario del solito, non vi propone alcun link perché affronta un paradosso nel quale di sicuro vi siete già imbattuti. E, per affrontarlo sul serio, non deve e non può mandarvi a vedere ciò di cui parla.

Ecco il punto: in questi giorni escono un paio di campagne pubblicitarie (una per una marca di abbigliamento, l’altra per un’automobile) per motivi diversi discutibili. Sono accomunate dal fatto che non vantano direttamente alcuna caratteristica positiva, né tanto meno esclusiva, del prodotto o della marca che dovrebbero essere oggetto della comunicazione.

Straparlano d’altro.

Se le avete viste, bene. E se no, pazienza.» Continua a leggere…

29 risposte a “Nel bene o nel male, purché se ne parli. Come uscirne?

  1. “Se le avete viste, bene. E se no, pazienza.» Continua a leggere…”
    Questa frase è il miglior trappolone che fa scattare e fermentare la trappola.
    Chi ha visto quelle pubblicità può essere caduto o no nella trappola.
    Chi non le ha viste, se è una persona normale, cercherà di vederle e qualcuno cadrà nella trappola di parlarne ….e la ruota gira.
    La pubblicità è una spinta a conoscere qualcosa e, quale ne sia il contenuto, fa il suo dovere a spingere alla curiosità. Le reazioni alla curiosità saranno poi le più varie e, perchè siano indirizzate nel senso giusto, solo l’educazione può fare qualcosa, ma quale è il modo giusto per educare ….far conoscere, costringere, convincere, punire: negli ultimi tremila anni tutti hanno cercato la via giusta. Se conoscessi solo il 20% di quel percorso educativo, sarei il più grande pubblicitario comunicatore del mondo!

  2. Forse mi sbaglio, ma credo che, almeno nel breve periodo, una strategia di sana indifferenza sarebbe poco efficace, a livello politico.
    Un profilo che si rifiutasse di rispondere alle provocazioni, di cadere nelle trappole, nelle boutades degli avversari politici risulterebbe poco interessante ai media e di conseguenza all’elettorato.
    20 anni di Berlusconi e Lega Nord hanno cambiato il modo dei politici di relazionarsi ai media e questo è risaputo. Sarebbe possibile approcciarsi in una maniera differente ma di successo a livello elettorale ? O ormai la battuta , lo slogan sono l’unico modo per arrivare alla percezione dell’elettore informato solo tramite la televisione ?
    Non sono domande retoriche, ma dubbi reali.

  3. Molto interessante il “tentativo creativo” di Annamaria Testa. Purtroppo (confermo ciò che ha già scritto Attilio) l’effetto che ha (almeno su di me) è quello di incuriosire troppo riguardo alle marche di vestiario e di automobile di cui sta parlando. Non citandole esplicitamente mi ha fatto venire voglia di andare a fare una ricerca e un’indagine per scoprire quali sono. Fortunatamente l’articolo della professoressa Cosenza non provoca questo effetto, riuscendo a comunicare senza incuriosire.

    Inoltre mi fa piacere osservare come entrambe le autrici indichino come possibile soluzione una migliore educazione dello spettatore più che una disciplina dell’attore. È un concetto che cerco ogni volta di diffondere (anche in molti commenti su questo blog) trovando spesso pochi riscontri. Solitamente si propongono soluzioni di regolamentazione delle rappresentazioni. Ovvero uno strumento che penso essere da un lato necessario (tutto va regolamentato), ma decisamente insufficiente. Dall’altro troppo delicato e sfumato, che rischia di sembrare un modo per limitare la libertà d’espressione.

    L’unica strada è diffondere una educazione per una più consapevole comunicazione.

  4. icittadiniprimaditutto

    Reblogged this on i cittadini prima di tutto.

  5. Alcune note molto rapide.
    1. La scelta creativa di Annamaria Testa, l’ho adottata nel mio blog un sacco di volte, e nei blog è molto comune. Da un po’ di tempo ho smesso di adottarla, perchè farà anche poca pubblicità a una marca ma in compenso ha qualcosa di deresponsabilizzante. Ci si tira indietro – non facendo nomi – dalla’esplicita accusa a una persona, un gruppo e a quello che comporta. Non tutti hanno il nome di Annamaria Testa a garantire.
    2.Non ho mai vissuto questa cosa di cui parli però come una trappola paradossale. Il mentitore cretese non lascia scappatoie logiche, non ha gradienti diversi nelle diverse proposizioni per esempio: se una cosa non la conosce nessuno oppure tutti hanno smesso di occuparsene ci penso e dico, non comincio ora a fare pubblicità e mi rivolgo o direttamente a loro o, se sono particolarmente accanita a un ente terzo che dirima un comportamento scorretto. Se invece l’argomento è noto una mia argomentazione potrebbe essere utile a pubblicizzare certo un oggetto ma anche il mio modo di parlarne, e sta alle mie capacità far prevalere un ragionamento piuttosto che il successo di certe caratteristiche assodate come scabrose dell’oggetto in questione.
    3. E’ anche importante mandare altri messaggi alle persone: per cui non sono solo dei cretini oggetti di massificazione pubblicitaria, ma soggetti critici, e per far capire alle persone che sono soggetti critici capaci di ragionamento non puoi non dirgli le cose se no se fanno cojonà, devi ragionarci e inchiodarli.
    4. Penso che certi pareri e certi movimenti di opinione hanno un loro peso sul mercato – anche politico – e troverei populista negarlo.

  6. La lucida e logica esposizione dei fatti di Zauberei arriva ad una conclusione, “far capire alle persone che sono soggetti critici capaci di ragionamento non puoi non dirgli le cose se no se fanno cojonà, “, corretta, ma non tiene presente che la comunicazione pubblicitaria è di tipo, perdonatemi l’estensione del significato, subliminale.
    E allora? Solo una lunga abitudine e solo il far diventare il messaggio pubblicitario qualcosa che di vede, ma non si guarda, possono far decadere il valore di quel tipo di comunicazione.
    Il comunicatore pubblicitario confenziona il messaggio in funzione dell’aumento delle vendite, se un certo tipo di messaggio ha solo l’effetto di far parlare gli addetti, diretti ed indiretti, ai lavori, nessun comunicatore pubblicitario continuerà a confezionare quel tipo di messaggio soprattutto se crea effetti spiacevoli nella pancia del possibile cliente. Il “purchè se ne parli” spesso aumenta il cachet del pubblicitario definendolo “di rottura”, mentre la “pancia” del consumatore collega quel messaggio sgradevole al prodotto pubblicizzato cui viene “appiccicato” lo stesso livello di sgradevolezza.

  7. E’ curioso ma stavo pensando proprio a questo tipo di strategia comunicativa mentre seguivo la polemica tra Cosenza e luziferszorn su “sfruttamento del corpo femminile” vs. “moralismo neofemminista” riguardo l’immagine pubblicata da Wired.
    Ho pensato: a prescindere dalle ragioni di Cosenza, l’analisi ha raggiunto lo scopo prefissato? Oppure il post, con relativa coda polemica, non fa altro che contribuire alla polarizzazione (“balcanizzazione” direbbe Sunstein) tra chi denuncia l’abuso e chi attacca le “bacchettone”, finendo per esaltare le prese di posizione ideologiche e pregiudiziali a scapito degli spunti di riflessione ragionati (non necessariamenti di chi partecipa direttamente alla polemica, ma anche solo di chi la osserva)?

    Quindi mi chiedo e chiedo alla prof.ssa Cosenza (come riflessione e senza pretese risolutive): è veramente utile alla causa (parità, tutela dell’immagine femminile) criticare, attaccare, denunciare per l’ennesima volta l’altrettanto ennesimo sfruttamento del corpo femminile a scopi pubblicitari?
    Piuttosto che a Bateson (come fa Annamaria Testa), mi rifaccio un po’ a Lakoff e ai suoi studi sul framing. “Non pensare all’elefante” fa necessariamente pensare all’elefante. Piuttosto che negare il framing, non è più utile combatterlo proponendo un contro-framing (strategia molto usata, ad esempio, dai movimenti sociali e dai culture jammers in ambito politico-sociale).
    In soldoni, non sarebbe più utile diminuire la quantità (ma non la qualità) delle critiche a scopo di denuncia, e aumentare a dismisura esempi e modelli positivi, immagini che esaltano il ruolo e la figura della donna, storie e narrazioni da trasformare in simboli per le nuove e vecchie generazioni?
    Personalmente ne ho visti pochi di questi tentativi.

  8. Eh… Già. Al contrario quando altri hanno stroncato Sorrentino+Yamamay la mutanda ha perso quota. Come mai?

  9. Dalla teoria alla pratica.
    La statua di paolina Bonaparte, indipendentemente da giudizi artistici, raffigura una bella donna nuda in una posa abbastaza intrigante ed invitante.
    La sua vista appaga la vista, il gusto e, solo vagamente, ispira pensieri poco meni che casti. Come veicolo pubblicitario non avrebbe molto successo.
    Una figura femminile, anche non vestitissima, anche non completamente nuda, ma con lo sguardo complice ed invitante attira l’attenzione di molti uomini e, volenti o nolenti, spinge all’imitazione molte donne che sperano, usando il prodotto reclamizzato, di raggiungere gli stessi successi cui quella figura fa pensare. Ovviamente tutto questo ragionamento uomo/donna può tradursi nel corrispondente donna/uomo.
    Indipendentemente da considerazioni moralistiche o filosofiche, il pubblicitari vuol raggiungere la promozione dell’oggetto da vendere e poco si cura se il contenuto del suo messaggio rende “oggetto” la figura rappresentata.
    Questo secondo me è il mondo reale ed il modo in cui il mondo reale intende le cose, il resto è filosofia astratta…..tra 1000 le cose cambieranno!
    Questa è laa realtà “umana

  10. fab – temo che non potrai mai capire molto se a uno dei due poli metti la necessità di denuncia davanti a una campagna abusante. I poli non sono tra bacchettona e denuncia quando è il caso. I poli sono tra veterofemminismo e rigurgito cattolico per cui il sesso non si deve vedere mai, e l’idea che scotomizza l’abuso e la discriminazione per cui il sesso si deve poter vedere sempre.
    Perchè la tua seconda strategia vada bene – e trovo piuttosto falso il fatto che non ci siano tentantivi in giro in questa direzione, bisogna produrre non solo modelli ma anche pensiero che faccia venire voglia di produrre certi modelli, e questo non tanto nella graziosa cerchia della rete.

  11. Diciamo anche che un corpo erotico crea una situazione erotica che è piacevole alla vista indipendentemente dal fatto che poi l’osservatore abbia una dipendenza dal flusso di informazioni pubblicitarie.
    Esempio pratico sex n. 2 : la pubblicità della Pirelli materassi un paio di anni fa utilizzava un corpo di donna nudo di schiena, disteso su un fianco a margine materasso, in modo da risultare in primissimo piano, quasi a portata di mano. Chi conosce la Venere di Velasquez non può non fare un parallelo; in ogni caso l’effetto era altamente sensuale e l’immagine piacevole da guardare, osservare, ammirare (arte vs foto pubblicitaria). Se pigliate il Pirelli per questo siete tonti a prescindere. Se parlate di abuso del corpo femminile dovete darmi modo di capire le vostre ragioni, dovete stilare un’analisi dettagliata di come e perché secondo voi questo accada. Se al contrario le lamentele si limitano al solito mantra puritano finite per fare pubblicità alla Pirelli. Questo imho il nocciolo della questione di cui al topic.

  12. Metacomunicazione = metafisica stop

  13. Mi dispiace Giovanna ma questa volta dissento da te e dalla signora Testa. Il “paradosso” di cui parlate si pone solo perché voi avete una funzione critica, e quindi metacomunicate comunque e così facendo producete un testo che vorrebbe porre nell’irrilevanza il testo di partenza. Purtroppo il fatto che altri ne parlino è però ciò che fa parlare anche voi, pur sotto forma di lamentela. Se non ne parlassero voi tacereste. Quindi sia chiaro che non si esce dal paradosso e la tecnica del rumore vincerà comunque. Se la gente ne parla ne parla. Punto. Per questo motivo hanno fatto quella pubblicità. O cambi la gente o la accetti.
    Mi dirai che l’unica soluzione è educare l’interpretazione e il gusto del lettore. Sono d’accordo. A patto che tu riconosca che il “purché se ne parli” è già il bilancio consuntivo di una strategia vincente nel momento in cui qualcuno è chiamato a usare questa espressione per giustificare ciò che ha fatto.
    Metacomunicare non è una soluzione perché qualsiasi preambolo introduttivo o premessa funziona per chi già sia immune al testo di partenza e comunque anche metacomunicando si ribadisce l’esistenza dell’oggetto comunicato. Inutile tranne i casi in cui è superfluo.
    Rimanere in silenzio appare una soluzione irrealistica se ipotizzata collettivamente (che poi vuol dire mediaticamente) perché si tratta di chiudere la stalla quando i buoi son già scappati. È come dire che il metodo migliore per non far guardare agli uomini i culi delle donne è chiedere loro di non guardarli. Tra l’altro questo implicherebbe che i media non fossero media ma qualcos’altro.
    Ci sono solo due soluzioni al “paradosso pragmatico” del far tacere il rumore:
    1) Forza bruta. Se si possiedono i mezzi aumentare il rumore, seppellendo letteralmente un messaggio sotto altri messaggi che parlino d’altro.
    2) Metodo Judo. Se si possiede l’abilità fare quello che si fa in elettrotecnica: produrre un segnale in controfase che sommandosi all’originale lo cancellerà dandoci come risultato l’assenza di forma d’onda. In altri termini non è un salto logico quel che serve ma sfruttare la forza dell’avversario per farlo cadere. Produrre quindi un spot pubblicitario che parta dalle caratteristiche del primo per superarne l’attrattività. Ma non è forse quello che sono chiamati a fare i migliori pubblicitari? Se non ci riescono (e non ci sono ancora riusciti) è inutile che ci vengano a questuare di dar loro ragione quando l’ennesimo pseudo Toscani fa parlare di sé. Sta a loro dimostrare di saper ipnotizzare il pubblico dei topi con flauti migliori.

  14. Oppure, rispondo a Ugo sulle soluzioni, metacomunicare con un metalinguaggio o un linguaggio speciale che non sia lo stesso del linguaggio oggetto della metacomunicazione.
    Non necessariamente un linguaggio formale, un linguaggio di programmazione, anche se questa soluzione matematizzante è stato l’esito turingiano dei paradossi wittgensteiniani e profondamente leibniziani del tractatus (la storia, in certo senso, si ripete).

    Spezzare il linguaggio, innovare, usare forme non prosastiche, poesie futuriste tipo Luciano Folgore, scritti telegrammatici. Tutto l’inventario della scienza dei segni da mettere o rimettere in campo, per spezzare letteralmente la comunicazione.
    Segni d’interpunzione, punti e virgola, uso di soli segni d’interpunzione, l’esempio degli esperimenti dell’oulipo. Insomma (+=): abbandonare il linguaggio ordinario ma senza entrare in una lingua formale (magari anche quello). Contaminarlo, creare una neolingua, non nel senso di Orwell, o forse anche nel senso di Orwell: two plus two equal five, ma con segno positivo (la matematica, questo grande rimosso, da Lacan per primo = contaminare i linguaggi parlare la lingua di Babele senza dover sforzarsi di trovare una lingua perfetta. Rompere la comunicazione, break, brakets, (+[*^) aprire parentesi, finestre.
    Uso davvero creativo del linguaggio che non è più la lingua parlata, ma senza neologismi e heideggerismi o derridianismi. I grandi antileibniziani, i grandi rimossori, si può dire?,
    Altro che logocentrismo detto con il metalinguaggio ordinario della metafisica. Fisica, non metafisica: f=ma ma Newton è un po’ troppo datato, formule, molecole, moli linguistiche. E una nuova semiotica. Come voleva Deleuze, lui si leibniziano.

  15. Metacomunicazione e salti di livello logico sono cose abbastanza chiare in logica matematica, ma solo lì.
    Bateson ha cercato di estenderle all’interazione animale, umani inclusi, e Watzlawick ne ha divulgato le idee, ma con esiti molto dubbi.
    Tanti studi di pragmatica linguistica hanno mostrato come ogni enunciazione, nelle interazioni concrete, abbia sempre sia una componente metacomunicativa sia una comunicativa, con una inevitabile pluralità di livelli logici presenti in ogni azione comunicativa, anche minima.
    Per cui, se metacomunichi su quella pubblicità, mettendo a nudo la situazione paradossale in cui ti mette (Giovanna), nello stesso tempo comunichi la tua posizione rispetto ad essa.

    In pratica, mi sembra che non siano possibili terze vie fra il parlare e il non parlare di una certa cosa. Resta vero, troppo ovviamente, che se ne può parlare in tanti modi diversi.
    In effetti, anche la “via d’uscita” suggerita da Annamaria Testa non è tanto chiara. Assomiglia al modo in cui il card. Bagnasco stigmatizzava i comportamenti libertini di Berlusconi senza nominarlo (ma tutti capivano a chi si riferiva, e se non capivano faceva moltissima differenza.).
    Tecnica rispettabilissima, quella di parlare del peccato riferendosi al peccatore in modo non aperto, ma più o meno manifesto.
    Però non vedo il “salto logico”, né in un caso né nell’altro.

  16. Precisazione.
    Dicendo “se metacomunichi su quella pubblicità, mettendo a nudo la situazione paradossale in cui ti mette, nello stesso tempo comunichi la tua posizione rispetto ad essa”, sottintendevo che la posizione comunicata può essere sia favorevole, sia avversa, sia anche neutrale.
    Non mi sembra che Annamaria pensasse, come “via d’uscita”, a un atteggiamento neutrale. Che in effetti sarebbe difficile da comunicare, ove non fosse del tutto sincero.

  17. Lo ammetto chiaramente. Ho letto gli ultimi tre interventi e, tra heidegghiani metalinguaggi e Bateson con Watzlawick, non ho capito niente …..ma sicuramente perchè io non sono un comunicatore filosofo.
    Da banale utente “target” della pubblicità mi viene in mente solo qualche banale riflessione.
    Il corpo fisico dell’altro sesso, da sempre, è stato elemento di attrazione animale perchè la natura, cioè sviluppo naturale delle cose, si è organizzata in questo modo. Nel caso dell’essere umano, visto che tentiamo di elevarci, abbiamo voluto riempire questa attrazione di sensi filosofici e morali.
    Nel corso dei secoli la “esposizione” del corpo umano, sia mostrandolo sia rappresentandolo, è cambiata e la “quantità e qualità” di esposizione è cambiata variando con continuità dal tutto al niente e viceversa. Questo processo di cambiamentto si evidenzia nello scoprire un po di più quando lo “scoperto precedente” non è più sufficente ad attrarre. Chiaramente con il termine “scoperto” si intende sia la misura che la posizione. Il processo è continuo e reversibile quando raggiunge il suo limite cioè il nudo integrale o il coperto integrale.
    Di questa tecnica/processo si sono impossessati i comunicatori pubblicitari e la usano e sfruttano ampiamente. Osservando le illustrazioni pubblicitarie, dalle insegne delle botteghe pompeiane ai moderni giornali, ne abbiamo esemplificazioni perfette.
    Nel corso dei secoli le variazioni di rappresentazioni sono state legate al target da colpire e questo, negli ultimi due secoli, è coinciso con l’uomo in quanto la maggior parte delle donne era “relegata a casa”. Negli ultimi 50 anni, senza bisogno di parlare di veterofemminismo, la donna è felicemente “uscita di casa” ed il pubblicitario ha iniziato ad usare anche il “target” femminile usando il corpo maschile.
    Oggi, ad un disattento esame, siamo quasi arrivati al nudo integrale e di questo si stanno esplorando “posizioni” sempre più attrattive. Io penso che rapidamente questa tendenza si invertirà riscoprendo il “vedo e non vedo”….e così via.
    Che poi su questa materia si voglia costruire un dottorato di ricerca è giusto per sistematizzarla e per aiutare chi vuole comunicare ad ottenere i migliori risultati rapidamente.
    E, senza offesa, come diceva una nota canzone …..”tutto il resto è noia!”.

  18. Scusa Attilio per l’uso di termini tecnici non spiegati.

    Si metacomunica quando si dice o si segnala qualcosa riguardo alla comunicazione in corso. Dire “fra virgolette”, o fare il gesto corrispondente con le dita, o fare l’occhiolino, mentre si dice qualcosa, è metacomunicare.

    Ho ricordato che un po’ di metacomunicazione c’è sempre, quando si comunica qualcosa.
    Vale anche il viceversa: per questo metacomunicare non è una via d’uscita dalla situazione descritta da Annamaria Testa.
    Lei peraltro non parla di metacomunicazione (lo fa Giovanna), ma di “salto di livello logico”, che tuttavia è caratteristico della metacomunicazione: non dico che X è cattivo, ma spiego le ragioni per cui non mi pronuncio sulla possibile cattiveria di X — e però tutti cercheranno di capire se io ritenga X cattivo o meno e lo capiranno facilmente da dettagli e tono della mia spiegazione.

    A mio parere, nel suo post Annamaria Testa non faceva nessun salto di livello logico. Semplicemente focalizzava il suo discorso, con molta finezza, sul caso generale (il peccato) piuttosto che sugli esempi reali (i peccatori), cui pure manifestamente si riferiva, anche se non li nominava.
    E’ una linea che può comunque avere qualche vantaggio rispetto a una critica aperta e diretta.

  19. Grazie della spiegazione, con l’aiuto di altre discipline e qualche ricordo di greco sino a metaxxxx ci si può arrivare. La mia nota si riferiva a “heidegghiani metalinguaggi e Bateson con Watzlawick,” illusti concetti e personaggi che forse, come tentavo di raccontare nel seguito della mia nota, forse è inutile scomodare parlando di abilità comunicative messe in atto tutti i giornii.
    Sono un banale tecnicastro e, come i pubblicitari, tento di andare al sodo: loro per vendere, io per farmi capire anche da chi non è del mestiere.
    Buon Natale!

  20. giacinto scelsi ( fake )

    “nel bene o nel male, purché se ne parli”, è una frase priva di senso, ritenuta da molti “vera”. L’effetto dell’applicazione di tale messaggio, quando è applicabile, è comunque probabilmente indimostrabile; questo messaggio applicato a se stesso sembrerebbe valere, dal momento che è una stronzata che viene ripetuta ancora oggi, ma in realtà anche se tutti noi ci impegnassimo a non pronunciarlo mai più tale e quale, il senso implicito ha comunque motivo di esistere in un mondo in cui la pubblicità fa la differenza sulle sorti di molti oggetti, concetti etc. un qualsiasi prodotto che deve essere venduto ha bisogno ( non è fondamentale, ma aiuta ) di pubblicità, che sia mediatica o di passaparola, per aumentare le proprie vendite, noi stessi ci raccontiamo molte cose inutili tanto per dire qualcosa, è umano. Nei fatti, la pubblicità negativa fa male. I paradossi veri in questo caso non ci sono. Se l’obiettivo di tale discussione è arrivare alla conclusione che abbiamo bisogno di una comunicazione più utile, rispettosa etc. ciò che ci serve è che chi si occupa di comunicazione sia rispettoso etc. ma l’asticella dove la mettiamo? Più che ai paradossi bisogna rivolgersi ai dilemmi del prigioniero, in questa società potremmo stare molto meglio ma ognuno pensa che l’altro ci farà male, e così preferiamo condividere i mali comuni avendo paura, per quanto umana sia.

  21. @Agostino
    il valore di una frase non dipende soltanto dalla quanatità di citazioni. Talvolta una frase è la sintesi di una osservazione del mondo reale e del comportamento che le persone hanno nel mondo reale. Il valore pratico della comunicazione si basa su questo ….che poi sia eticamente e moralmete giusto è un’altra questione.
    Spesso il bambino piccolo ripete ossessivamente una richiesta, sino a chè la madre la accoglie ….o gli da uno schiaffone.
    La comunicazione pubblicitaria usa lo stesso metodo: talvolta chiudiamo il cervello, talvolta le orecchie,,,,talvolta compriamo il prodotto!
    La frase “homo homini lupus” (da Plauto a Erasmo ad Hobbes) è una osservazione della realtà: se la demonizziamp, abbiamo perso; se la interpretiamo, saremo capaci di ridurre la sua forza distruttiva!

  22. OT: In Italia c’è appena stato uno dei peggiori pogrom degli ultimi anni. Non c’è scappato il morto solo perchè le vittime sono scappate per i campi. Sto facendo il giro di tutti i principali blog che conosco per sollecitare tutti a scrivere due parole di indignazione in proposito.

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/12/10/torino-stuprata-smentisce-fiaccolata-finisce-lincendio-campo/176718/

  23. Ugo, tu dissenti da me e Annamaria Testa, ma io non dissento da ciò che tu hai scritto.
    🙂

    Ho detto per prima che non è possibile dare regola generale per uscire dal paradosso. La “soluzione metacomunicativa” è possibile solo in certi contesti e modi, come tu stesso rilevi.

    Ma mi premeva affrontare in generale qualcosa che varie volte abbiamo discusso su casi particolari. Inoltre mi pareva interessante il testo di Annamaria proprio perché in parte cade in ciò che molti hanno rilevato (fa venire la curiosità). Ma nello stesso tempo fa riflettere sulla possibile usura del giochetto. Non nel senso della consapevolezza diffusa, ma nel senso dell’anestesia diffusa. A furia di provocazioni, la gente non ci fa più caso e il provocatore è lasciato solo.

    Perciò ho detto «situazione di transizione». Una transizione che, se va male, può approdare all’anestesia; se va bene, alla consapevolezza diffusa.

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  26. L’ha ribloggato su D I S . A M B . I G U A N D Oe ha commentato:

    Riprendo questo vecchio post, perché è un argomento su cui continuamente si discute – ancora! – nel mondo della comunicazione, online e offline. E perché quasi ogni giorno qualcuno mi interroga su questo tema.

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