In questi giorni si stanno moltiplicando, in rete e fuori, gli appelli per la liberazione di Rossella Urru, la cooperante oristanese rapita il 22 ottobre 2011 in Algeria con due colleghi spagnoli. Alcuni comuni in giro per l’Italia (fra cui Bologna) hanno da tempo affisso la foto di Rossella, e negli ultimi giorni si stanno diffondendo in rete appelli per chiedere al proprio comune, piccolo o grande che sia, di fare altrettanto.
L’attenzione è poi salita con l’intervento di un paio star della televisione: giorni fa Geppi Cucciari ne ha parlato a Sanremo, e ieri Saro Fiorello ha lanciato su Twitter lo hashtag #FreeRossellaUrru e diffuso un video in cui pregava i tg di mandarlo in onda e parlare del caso, ottenendo, com’era prevedibile, un buon riscontro.
Nelle stesse ore, però, il depudato Pd Andrea Sarubbi ha scritto un pezzo in cui metteva tutti in guardia da questa mobilitazione. Ecco perché:
Se Rossella Urru fosse stata rapita in un’isola in mezzo all’oceano, tutto sarebbe più facile: il governo italiano si metterebbe in contatto con quello locale, e i servizi segreti di entrambi i Paesi comincerebbero a lavorare insieme. Prima o poi – più prima che poi – se ne verrebbe a capo. Purtroppo, invece, il sequestro della cooperante italiana è avvenuto in un’area dai confini abbastanza labili, gli stessi tracciati a tavolino con la riga quando i colonizzatori europei se ne andarono; l’ultimo episodio analogo andato a buon fine – quello dei coniugi Sergio e Philomène Cicala – iniziò a dicembre 2009 in Mauritania con il rapimento, finì ad aprile 2010 in Mali con la liberazione e passò attraverso “un grande lavoro diplomatico”, come disse l’allora ministro Frattini, coinvolgendo addirittura il presidente del Burkina Faso (Paese di origine della signora Philomène). Un altro caso recente – chi ricorda la turista fiorentina Alessandra Mariani, anche lei sequestrata nel sudovest dell’Algeria? – è ancora irrisolto dopo un anno. Anche per Rossella, dicono dunque i precedenti, i Paesi da coinvolgere potrebbero essere più di uno, con conseguente moltiplicazione degli sforzi (“L’unità di crisi della Farnesina è impegnata costantemente”, ha scritto l’altro giorno proprio su twitter il ministro Giulio Terzi) e dei rischi di fallimento. Più se ne parla – penserei, se fossi un diplomatico al lavoro su questo caso – peggio è, perché ogni attenzione mediatica sulla vicenda rafforza la posizione dei rapitori. E lo stesso direi se fossi un familiare di Rossella: quello che mi sta a cuore è la sua liberazione, non che diventi un simbolo, perché di fronte ai simboli – come ha dimostrato la vicenda del soldato israeliano Gilad Shalit, liberato dopo cinque anni di trattative che hanno coinvolto mezzo mondo – i negoziati si complicano all’ennesima potenza. L’incontro di Cagliari tra il presidente Napolitano e i familiari di Rossella testimonia che lo Stato è presente, ed è questa la cosa essenziale.
A favore del riserbo si erano peraltro già pronunciati il presidente Napolitano e il ministro Terzi qualche giorno fa:
«Le condizioni di Rossella Urru sono buone», dice il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, dopo l’incontro con i genitori della donna. Nel colloquio il Capo dello Stato ha rassicurato i familiari sulle condizioni della congiunta. Il ministro degli Esteri Terzi precisa che «Il riserbo è d’obbligo per la soluzione positiva» del caso. (TgCom, 20 febbraio 2012, vedi anche la notizia sul sito del Tg1)
Naturalmente sui social media sono già in molti a polemizzare con la posizione del deputato Sarubbi e del ministro Terzi, considerandola, come dire, troppo «conservatrice» e d’«apparato».
Perciò mi chiedo: fino a che punto in questo caso è utile, vano, o addirittura controproducente fare tam tam in rete e sui media tradizionali? Ha senso aderire agli appelli, fare pressione sui comuni, affollare lo hashtag #FreeRossellaUrru di messaggi di solidarietà? Io sono molto perplessa.
Il video di Fiorello
Qualche considerazione semplice semplice. Nessun governo (Italiano) ha mai lasciato cooperanti o altri cittadini marcire in paesi “complessi”. il lavoro del diplomatico e`parlare con il nemico o il bandito, non con il governo amico.
Una volta che lo stato entra in gioco, la soluzione e`quasi sempre positiva, a parte casi estremi come quello di Arrigoni, in cui i banditi erano profondamente disconnessi dalla realta` e i tempi molto, troppo limitati.
Parlo anche per una piccola esperienza personale. Un cittadino Italiano non rimane mai solo, a meno che non abbia commesso un delitto capitale in USA< CIna, Iran, etc. In quel caso, poco si puo`fare.
in sostanza, una volta ricevuta l`assicurazione che un canale o piu`canali di comunicazione sono aperti, meglio lasciare la cosa alla famiglia e ai diplomatici. E, come sempre, sperare che un giorno questo sporco lavoro e i soldi che purtroppo arrivano a gruppi di banditi non siano piu`necessari.
E, per favore, evitiamo di andare in certi posti, se non e` strettamente necessario. Basta aggiornarsi con CIA factbook , US travel department, Wikipedia, e fonti locali. In memoria di Calipari.
Personalmente sono molto combattuto, Da un lato è vero che un eccesso di clamore può essere nocivo per le trattative, però ricordo di alcuni casi di rapimenti in cui gli stessi rapitori dissero di essere stati convinti a rilasciare gli ostaggi anche in seguito al clamore e alle proteste che ne seguirono. Per cui non so, attendo di farmi un’idea.
Ma dico io, ne saprà di più un professionista di razza dei rapporti diplomatici e crisi internazionali come il ministro Terzi? Oppure i fautori del tam tam internettiano pretendono di sapere tutti meglio di lui quale sia l’atteggiamento collettivo migliore?
Non è che, siccome viviamo in un mondo ipercomunicante, allora dobbiamo tutti partecipare a tutte le iniziative e in più fare derivare da questa sorta di mania di partecipazione totale anche l’auto-attribuzione arbitraria di competenze specifiche, se non specialistiche.
In più, vorrei dire cavolo il ministro Terzi sarà del mondo no? Vivrà su questo pianeta ed avrà accesso lui stesso alle nuove tecnologie sociali no? Avrà una vaga idea di come le dinamiche odierne della comunicazione possano influire sul proprio mestiere che, tra l’altro, è già alla base fatto principalmente di comunicazione?
Meno mania di partecipazione, meno cieca retorica sui nuovi media.
Più umiltà per favore
E se leviamo gli inutili tam tam mediatici e i sentimentali appelli in rete come facciamo poi a sentirci tutti buoni e votati alla ricerca di un mondo migliore? Oggi Urru, ieri Ai Weiei, l’altro ieri Sakineh, il giorno prima il Tibet teocratico, quello precedente…Cosa vuoi mai che gliene freghi alle persone di sconosciute/i che hanno il solo scopo di essere sostituiti dai prossimi nella memoria collettiva? Queste sono terapie che servono a chi le fa, non a chi le riceve. Senza contare la funzione sociale del rinforzare le relazioni permettendo di mantenerle attraverso le catene di sant’Antonio che fungono da pretesto per rapporti che magari rischierebbero l’oblio. E il movimentismo che nel giovane è l’effetto dell’ormone che incontra la cultura e crede che la propria generazione sia la più importante di sempre e comunque quella che deciderà il destino del mondo che verrà? Vantaggi anche per la persona matura: l’appello incazzato, sofferto, disinteressato permette di avvertire ancora il brivido acerbo del collettivo universalistico, la scappatoia per non dirsi incartapecoriti del tutto nel grigiore del pompiere che si è diventati quando si è deciso che non aver il conto in rosso implicava cromaticamente non essere incendiari.
Tu vuoi romperci il giochino? Ma dopo come faremmo a prendere sonno senza sognare che se il mondo fosse governato da persone come noi sarebbe migliore di quello che è?
Sarò naif, ma la prima cosa che mi sono chiesta è: perché le famose due simone hanno avuto tanta risonanza nei media, mentre uno come enzo baldoni è morto così male e magari questa rossella urru, prima che partisse il discorso in rete, nessuno sapeva chi fosse?
Quindi ci dobbiamo fidare dei governi: se se ne parla è perché fa bene alla trattativa, se non se ne parla è perché va bene così. Insomma ci sarà una questione di agenda setting e di packaging del “sequestrato” che va oltre al discorso diplomatico, no? Secondo me è in questo dubbio che la società civile cerca il suo spazio di comunicazione: cercando un perché tra una vittima ipercomunicata e una di cui nessuno si occupa. Poi sì, concordo con Ugo, l’attivismo non si fa con i tweet nè con i like, già ne parlammo con Giovanna in un’altra occasione.
Non entro nel merito se la strategia del silenzio sia meglio o peggio del tam-tam su Twitter: desidero solo precisare che Fiorello non ha “lanciato su Twitter” l’hashtag contestato in data 27/02/2012, ma l’ha solo rilanciato dall’alto del suo account con 500.000+ follower. Se l’abbia fatto in buona fede, o solo per dar lustro alla sua immagine di personaggio pubblico grazie a un’iniziativa di sicuro impatto di opinione, questo non lo so (anche se ovviamente ho una mia idea in merito). Fattostà che Twitter registra l’hashtag #freeRossellaUrru almeno a partire dal 21 febbraio, ovvero sei giorni prima che se ne “accorgesse” Fiorello.
Giulio Curiel, capisco il suo punto. Ma si parla di “lancio” vero e proprio solo quando uno hashtag decolla e viene ripreso da un numero consistente di persone, il che è successo solo grazie a Fiorello. Se io e lei inventiamo uno #hashtag e lo riprendono in dieci, possiamo dire che io e lei lo abbiamo lanciato? Secondo me no.
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Sono combattuta anche io, pur avendo partecipato al Blogging Day. Onestamente, non credo che la mia presenza sia incisiva per la liberazione di Rossella.
Credo che però più voci contino, per sostenere le famiglie dei rapiti, che spesso si sentono sole (come scritto nel sito ufficiale http://www.rossellaurru.it/).
Credo anche, da persona che lavora nel web, che da qui si può partire per una riflessione non su chi vuole farsi bello o scaricarsi la coscienza, ma su chi vuole approfondire, confrontare le notizie, capire cosa accade e vedere se può collaborare per rendere questo mondo migliore.
La rete non è solo di chi cerca disperatamente dei Like. La rete è anche un luogo di confronto, di informazione, formazione e azione.
Mi associo a Mariantonietta qui sopra e anche io ho partecipato al blogging day per una questione di solidarietà con la famiglia. Ora mi verrebbe da dire che è inutile disquisire se aiuti più l’ attenzione mediatica o il silenzio perché ci saranno sempre dei casi a favore o contro entrambe le strategie. Ma una cosa che ricorre abbastanza frequentemente sono le dichiarazioni di prigionieri politici, ostaggi, detenuti ingiustamente, dissidenti, che dopo mesi e anni di prigionia dichiarano di essere riusciti a resistere mentalmente alla prigioni, a torture, isolamento ecc. dal momento in cui capivano che il mondo parlava di loro e si stava muovendo. Il sapere o intuire di non essere da solo pare sia la discriminante fondamentale, io non posso giudicare non essendomi mai trovata in prima persona in una situazione del genere e così spero anche di tutti coloro che partecipano a questa discussione.
Poi una considerazione di carattere di comunicativo: se un governo si sta muovendo in silenzio e vuole evitare clamori per poter svolgere meglio il proprio lavoro sarebbe opportuna fin dall’ inizio un’ opera di coinvolgimento dei familiari, magari mandando qualcuno di persuasivo che non sia poi necessariamente un presidente della Repubblica che esiste invece per le dichiarazioni pubbliche, ma fornire un contatto alla famiglia, convincendola che è fondamentale mantenere un profilo basso. A questo punto chi vuole rivedere i propri cari e in più ha la certezza di potersi rivolgere a qualcuno coinvolto direttamente nelle operazioni di liberazione, non farà altro, in condizioni semplici, che dichiarare la propria fiducia nello stato, nel mondo e in chi se ne occupa ed evitare invece di ridursi a fare il clamante nel deserto, che prima o poi qualcuno lo sente e rilancia la notizia e partono le blog-action. Quindi oltre a sapere con immutata fiducia che i servizi segreti sono al lavoro competentemente, sarebbe segno di altrettanta competenza pensare anche a rassicurare il fronte domestico e familiare, altrimenti il lavoro professionale resta a metà, con le conseguenze che vediamo ora.
Questo ancora non ho capito se sia stato il caso della famiglia di Urru o meno.
Ho aderito al Blogging Day, ma considero legittime le perplessità e le argomentazioni sostenute dal deputato Sarubbi e dal ministro Terzi. Però ricordo che la vicenda del cooperante di Emergency Azzarà ha avuto una svolta decisiva proprio sotto la spinta dell’opinione pubblica. Ognuno deve fare il suo dovere (e il suo mestitere): è giusto che la politica, le istituzioni e i servizi lavorino in silenzio; ma lo è altrettanto tenere viva l’attenzione.
ciao Giovanna, ho inserito il tuo post nello storify che tenta di ricostruire la storia della mobilitazione web per Rossella Urru, ricostruzione che ho provato a fare in modo neutrale, proprio per capire da dove è nato questo tam tam, unico secondo me per situazioni di questo tipo.
http://storify.com/rivistavps/freerossellaurru-storia-di-una-mobilitazione
L’hashtag è partito da @Einaudieditore il 20 febbraio…sì molto prima che se ne accorgesse Fiorello 🙂
Solo per precisare che non volevo screditare in toto chi si impegna, magari anche dotato di competenze profonde, in battaglie, dibattiti, prese di posizione sul web. Anzi, sono esattamente dell’opinione opposta.
Non ho fatto fatica a notare che questa nostra relativamente nuova dimensione super-mediatizzata abbia per lo più risvolti benefici e rappresenti un clamoroso passo avanti per l’attuale e futuro sprigionamento di potenzialità collettive e individuali che prima semplicemente erano, per così dire, invisibili. Proprio per questo, in quanto patrimonio, ha la necessità
che da qualche parte ci siano i luoghi e i momenti per il suo studio.
In più, anche per rispondere a un quesito su cui questo blog spesso si interroga, sono tra quelli che credono fermamente che il web in generale sia il luogo del “fare”, oltre che del discutere. Anzi…che sia soprattutto il luogo del fare. Trovo sempre ingenuo e superficiale il giudizio di chi pensa il contrario. Credo che sia un’ evidenza talmente macroscopica…chi vive giornalmente la rete e ancor più chi ci lavora lo da, giornalmente, per scontato (poi, per carità, si può ovviamente discutere anche su questo).
Sono la persona che ha deciso di lanciare il bloggin day per Rossella, semplicemente perchè la famiglia, dal sito che hanno creato per questa vicenda, ha chiesto solidarietà. Sto qui leggendo dei commenti che sanno di dito puntato tanto per sputare giudizi e sentirsi onniscenti. 460 persone (ad ora) hanno risposto all’appello e lo hanno fatto di cuore. Io non sono ne’ buona ne’ buonista, ma preferisco vivere in un paese che pensi di più alle persone “importanti” come questa ragazza . Sono certa che questo non influirà nel rilasciodi Rossella, ci sono persone addette che se ne stanno occupando, ma mi piace pensare che si sia attenzione per queste vicende piuttosto che per la bionda di Schettino o la mutanda di Belen. I Care
ancarola: grazie per essere intervenuta. È vero che occuparsi, in rete e fuori, di casi come quello di Rossella Urru è un bel segno di civiltà, oltre che di solidarietà. Infatti credo che in questo caso la mobilitazione abbia soprattutto una funzione emotivo-affettiva, serva cioè a esprimere vicinanza a Rossella, alla sua famiglia e ai suoi amici: in questo senso è bene che ci sia.
Ho espresso le mie perplessità, riprendendo l’articolo di Sarubbi, solo perché molti – non tu, certo – spesso si abbandonano al «clic facile» per quasi qualunque causa, contribuendo poi a svuotare di senso queste mobilitazioni, che sempre più spesso finiscono nel nulla. Non volevo dubitare minimamente delle buone intenzioni di chi ha avviato la mobilitazione e certo di molti che la seguono, solo stimolare una riflessione ponderata sul tema. Ciao!
Non volevo attaccare le tue perplessità che sono venute anche a me specie nel momento in cui vedevo crescere le adesioni, la paura di fare danni c’era e c’è, ma so che possiamo essere di conforto ai familiari di Rossella e in qualche modo cercheremo di tenere viva l’attenzione. Adesso sosterremo l’iniziativa di Alessandra Giraldo http://www.progettieducativi.com/rossellaurru in cui chiediamo ai comuni di esporre l’immagine di Rossella. Come ho scritto ieri sera mi da fastidio chi giudica e fa il saccente così tanto per il gusto di andare contro facendo di tutta l’erba un fascio come se sapesse cosa pensano le persone. Circa 500 hanno risposto all’appello per il bloggin day e si moltiplicano continuamente le iniziative a riguardo. So che c’è una bella parte sana del nostro paese, non vorrei fosse mortificata da intellettuali, so che poi capire.
Un caro saluto.
Se serve a liberare Rossella, ben venga il riserbo. Se è necessario parlarne, parliamone.
Gentile Prof. Cosenza, vorrei tornare sull’argomento della data e paternità del “lancio” perché in realtà lo ritengo significativo riguardo all’argomento del suo post originario. Chi, come lei, ha una buona conoscenza di Internet, sa che la capacità di ascoltare è parte integrante dell’esperienza dello “stare in rete”. La sua risposta perciò mi ha stupito e dispiaciuto. Come anche evidenziato da un’altra commentatrice più sopra, l’hashtag in questione non è stato affatto lanciato da Fiorello. Per rendersene conto basta andare all’URL http://analytics.topsy.com/?q=%23freerossellaurru e verificare (pur con tutte le riserve sull’accuratezza di Topsy, che tuttavia non credo inventi i dati proprio di sana pianta…) che #freerossellaurru ha totalizzato 3975 menzioni in data 20 febbraio, ovvero ben sette giorni prima che Fiorello se ne “accorgesse”, e qualche migliaio di menzioni al giorno in tutta la settimana successiva. Non si tratta esattamente di un hashtag ripreso da dieci persone prima che intervenisse l’artista siciliano, tanto che troverei opportuno sostituire la frase “si parla di “lancio” vero e proprio solo quando uno hashtag decolla” con un ancor più accademico “si parla di “lancio” vero e proprio solo quando me ne accorgo io”. Fiorello ha certamente portato a un raddoppio delle impressioni, ma il “lancio” era già ben che stato fatto da altri, diversi giorni prima. Comunque, non sono qui per fare sterili polemiche, quanto piuttosto per chiedermi, per chiederle, per chiedere un po’ a tutti: ma questo hashtag alla fine ha giovato più a Rossella Urru o a Rosario Fiorello??? Il mio commento originale voleva proprio indurre una riflessione in tal senso. Io credo che i rapitori di Rossella, semplicemente, siano indifferenti a qualche migliaio di tweet in italiano, e quindi che l’iniziativa di #freerossellaurru serva più a dare una visibilità “nobile” a Fiorello, a Sarubbi e a tanti altri che si sono accodati al TT, piuttosto che spostare di un millimetro la difficile situazione della cooperante rapita. Per noi che usiamo intensamente Internet forse è un po’ doloroso ammettere che il nostro potere in rete è assai più limitato di quanto siamo disposti a credere, di quanto vorremmo che fosse, almeno in situazioni di politica internazionale. Non siamo Assange e non abbiamo rivelazioni-bomba da fare su Internet. E’ probabile che i rapitori di Rossella vogliano denaro, più che visibilità. Ma anche se fosse quest’ultima il loro scopo finale, bene, le notizie su giornali e TV in merito al rapimento (pur non abbondanti) hanno comunque superato di gran lunga il coverage mediatico permesso da uno strumento ancora elitario (almeno in Italia) come Twitter. Tutte le decine di ore-uomo complessive spese per il suo post, la tesi di Sarubbi e i nostri commenti serviranno forse per stimolare le nostre menti di colti occidentali, per farci sentire parte di un dibattito alto e nobile, ma per poco altro. Per liberare Rossella probabilmente sarà più utile un bel riscatto, un blitz di qualche reparto speciale o la consapevolezza dei rapitori che stanno per essere catturati. Non vorrei sembrare cinico, supponente o sottovalutare l’importanza di Internet (luogo che adoro, frequento da 18 anni e che mi è indispensabile), ma solo ricondurre la discussione al di fuori di questo nostro mondo, stavolta troppo virtuale rispetto alla vera natura del problema.
Intanto la popolarità di Fiorello aumenta ancora, e a questo invece Twitter è servito.
Vi do una bellissima notizia: secondo fonti ufficiose Rossella sarebbe stata liberata in Mali, che bello!
Caro Giulio, non è carino il modo in cui risponde, tutto carico del pregiudizio sulla “scarsa capacità di ascolto” degli accademici. Qual è il suo punto? Io ho parlato di “lancio” nel caso di Fiorello, non di certo perché “me ne sono accorta io”: tanto è vero che avevo seguito la faccenda dall’inizio e stavo già interrogandomi, in privato, con persone vicinissime a chi aveva usato per prima lo hashtag, sull’opportunità di fare pressione sui comuni per far affiggere la foto di Rossella Urru. Ho parlato di “lancio” da parte di Fiorello solo perché è stato dopo l’uscita di Fiorello che la questione è entrata nel mainstream televisivo.
Ma questo l’avevo già chiarito nel mio commento precedente (dove dicendo “dieci” non intendevo 10 letteralmente, ma un numero esiguo rispetto ai numeri che può fare Fiorello, spero fosse chiaro). Che senso ha, ora, per lei, polemizzare ancora su questo punto? Vuole forse confermare il suo pregiudizio contro gli accademici “che non sanno ascoltare”? Io non solo l’ascolto, ma le rispondo due volte. E dunque?
Per inciso: le piacerebbe che io avessi detto una cosa come “quando me ne accorgo io” a lei? le sarei sembrata educata nei suoi confronti? Se lo chieda e si dia una risposta.
Ma forse la sua polemica è rivolta contro Fiorello. E allora cosa c’entro io? Però mi chiedo e le chiedo: dunque lei pensa davvero che Fiorello avesse bisogno di questo appello per “aumentare la sua popolarità”? Ma ha presente gli ascolti e la popolarità di cui già gode Fiorello? Di fronte ai numeri televisivi di Fiorello persino il suo mezzo milione e rotti di followers su Twitter impallidisce. Figuriamoci il numero di coloro che hanno usato lo hashtag #freerossellaurru. O forse lei crede che Fiorello avesse bisogno di questa iniziativa per andare sui telegiornali? Lo capirei se l’immagine di Fiorello fosse in crisi, ma in questo momento non lo è affatto. Suvvia.
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