Chi passa molto tempo in rete per lavoro o passione sa bene cos’è un troll e cosa vuol dire «trollare» o «fare trolling». Per chi non lo sapesse o avesse ancora dubbi in merito, c’è una voce di Wikipedia che non è male come punto di partenza:
Con il termine troll, nel gergo di Internet e in particolare delle comunità virtuali, si indica una persona che interagisce con gli altri utenti tramite messaggi provocatori, irritanti, fuori tema o semplicemente senza senso, con l’obiettivo di disturbare la comunicazione e fomentare gli animi. […]
Di norma l’obiettivo di un troll è far perdere la pazienza agli altri utenti, spingendoli a insultare e aggredire a loro volta (generando una flame war). Una tecnica comune del troll consiste nel prendere posizione in modo plateale, superficiale e arrogante su una questione vissuta come sensibile e già lungamente dibattuta degli altri membri della comunità (per esempio una religion war). In altri casi, il troll interviene in modo apparentemente insensato o volutamente ingenuo, con lo scopo di irridere quegli utenti che, non capendone gli obiettivi, si sforzano di rispondere a tono ingenerando ulteriore discussione e senza giungere ad alcuna conclusione concreta.
Un difetto della voce di Wikipedia è che vede il troll come un soggetto consapevole e intenzionale, addirittura strategico. In realtà lo è solo in certi casi; al contrario molti troll (la maggior parte?) non sono affatto così coscienti come chi li subisce può essere tentato/a di immaginarli, ma trollano semplicemente perché un bel giorno hanno cominciato a farlo e hanno constatato che in questo modo riescono a ottenere attenzione e addirittura «diventare famosi» in una o più comunità.
Un’attenzione e una fama negativa – per quanto ristrette alla piccola comunità di un blog o a una manciata di profili Facebook – sono sempre meglio di niente, in un mondo sempre più ossessionato dai quindici minuti di celebrità di cui parlava Warhol. Specie se il troll è una persona isolata, frustrata e magari affetta da forme di sociopatia o altri disturbi psichici.
La consapevolezza insomma non è necessaria per essere un buon troll. Ma è fondamentale per controllare, saper trattare e difendersi dai troll. A questo proposito è utilissimo il vademecum in 12 punti (più diversi sotto-punti, fino a 27) pubblicato da Annamaria Testa la settimana scorsa.
Riporto qui i titoli:
- Zitto, testa di rapa!
- Ti ho beccato, figlio di puttana!
- Ma che c’entra?
- Ma che cavolo ti sei fumato?
- Tu non sai chi sono io
- Chi ti credi di essere
- Sarò la tua nemesi
- Ho ragione: l’ha detto lui
- Mo’ ti spiego
- Non mi basta (il trapano)
- Tu non mi fai parlare
- È tutto uno schifo
Puoi approfondire i singoli punti e sotto-punti qui: 27 modi per insultarsi con efficacia e sabotare le discussioni in rete. Tutti da studiare a menadito, applicare e praticare (anche con vere e proprie esercitazioni) per vivere al meglio la rete, arginando con consapevolezza il fenomeno del trolling senza perdere troppe energie mentali né troppo tempo.