Archivi del mese: agosto 2012

Obama su Reddit: comunicazione o democrazia digitale?

Sulla mezz’ora di «Ask Me Anything» che Barack Obama ha fatto due giorni fa su Reddit, sono state già scritte diverse cose, che si dividono grosso modo in due filoni, in Italia come all’estero.

C’è chi sottolinea l’abilità comunicativa che sta dietro alla mossa: in un momento in cui l’avversario Romney è su tutti i media con la convention repubblicana, Obama rilancia sul terreno in cui più si è distinto anche nel 2008: l’uso della rete per comunicare. Un milione e 800 mila persone che si sono candidate come intervistatori, mandando in crash il sistema, e 200.000 visitatori del sito in contemporanea sono una bazzecola dal punto di vista elettorale, ma fanno boom dal punto di vista della notiziabilità. In tutto il mondo e su tutti i media.

C’è invece chi evidenzia la scarsa o nulla informatività degli scambi avvenuti in quella mezz’ora, con domande sulla vita privata di Obama (il giocatore di basket del cuore, la birra preferita, come concilia famiglia e lavoro), e risposte generiche quando le domande riguardavano temi caldi come l’economia, le tasse, la libertà di internet. Tutto ciò, si dice, è chiaramente inutile (se non addirittura negativo) dal punto di vista di una sua possibile lettura in termini di «democrazia digitale» e «partecipazione» dei cittadini alla politica.

È vero: la mezz’ora di botta e risposta in diretta fra Obama e i cittadini va certamente vista come una mossa di comunicazione, non di cosiddetta «democrazia digitale». Ma ciò non significa che la si debba bollare come «propaganda», nel senso di «comunicazione menzognera» e «cattiva» che oggi molti in Italia danno a questo termine. L’operazione Reddit è stata un grandissimo esempio di comunicazione: innovativo quanto basta, adeguato al momento, al contesto e al target, punto.

Non è un esempio di «democrazia digitale», in questo concordo con Il Nichilista. Ma siamo sicuri che i social media siano il luogo giusto per fare esperimenti di democrazia digitale?

Io ho molti dubbi, specie se andiamo a guardare la realtà dei fatti. In Italia, per esempio, i più accaniti sostenitori dell’uso della rete per il contatto con i cittadini e la «democrazia digitale» sono Di Pietro e Grillo, che la usano da sempre in modo essenzialmente broadcasting.

E negli Stati Uniti, una ricerca recentissima del Pew Research Center’s Project for Excellence in Journalism sull’uso che Obama e Romney hanno fatto dei social media nel periodo dal 4 al 17 giugno 2012, ha così concluso:

Neither campaign made much use of the social aspect of social media. Rarely did either candidate reply to, comment on, or “retweet” something from a citizen-or anyone else outside the campaign. On Twitter, 3% of the 404Obama campaign tweets studied during the June period were retweets of citizen posts. Romney’s campaign produced just a single retweet [su 16 in tutto, poco più di uno al giorno] during these two weeks, repeating something from his son Josh.

Ma invece di bollare l’uso dei social media da parte della politica come fosse per forza «propaganda» (è comunicazione, punto, e come tale può essere buona o cattiva, fatta bene o fatta male, ma non per forza cattiva o mendace), perché non ci chiediamo che senso stiamo dando esattamente all’espressione «democrazia digitale» quando la invochiamo come fosse cosa buona e giusta? O quando invece ne indichiamo i malanni?

In questo caso, per esempio, Obama ha fatto solo un grande show. E il Project for Excellence in Journalism ci ha spiegato che di fatto non usa i social media per interagire davvero con gli elettori. Ma la partecipazione dei cittadini è convogliata tutta sul suo sito, dove lo staff di Obama raccoglie proposte, domande, contributi. È democrazia digitale, quella, o no? E se non lo è, cosa lo è?

Destra-sinistra: che senso ha dubitarne?

Nei giorni scorsi l’«Uomo da marciapiede» del Fatto Quotidiano è andato per le vie di Milano chiedendo ai passanti se avesse ancora senso la distinzione fra destra e sinistra. La stessa domanda è stata fatta ieri ai lettori del Fatto. Mentre scrivo, il 28,32% di coloro che hanno risposto (finora circa 5.500 persone) dice «No, sono categorie ormai superate», e il 28,54% pensa che «Ormai la politica non esiste più: siamo sotto il dominio dei mercati finanziari». A breve distanza (25,16%) stanno poi quelli per cui la distinzione ha senso «ma non trova riscontro nell’attuale sistema politico».

Destra e sinistra

Il sondaggio non rappresenta certo la popolazione italiana e nemmeno i lettori del Fatto, ma solo coloro che hanno deciso di rispondere; dunque vale solo come esercizio di riflessione. Ma è comunque significativo che la domanda sia stata posta.

Perciò voglio ricordare cosa scriveva Norberto Bobbio nel 1994, in un momento storico in cui, in Italia, la distinzione fra destra e sinistra veniva messa in dubbio un po’ come ora:

«I due termini di una diade si reggono l’uno con l’altro: dove non c’è destra, non c’è più sinistra, e viceversa. Detto altrimenti, esiste una destra in quanto esiste una sinistra, esiste una sinistra in quanto esiste una destra. […] In una situazione in cui una della due parti diventa tanto predominante da lasciare all’altra uno spazio troppo piccolo per essere considerato ancora politicamente rilevante, l’esautoramento alla diade diventa un naturale espediente per occultare la propria debolezza. La destra è stata sconfitta? Ma quale senso ha ancora porre il problema in questi termini – si domanda lo sconfitto – se la distinzione fra destra e sinistra ha fatto il suo tempo? In un universo in cui le due parti contrapposte sono interdipendenti, nel senso che l’una esiste se esiste anche l’altra, l’unico modo per svalutare l’avversario è quello di svalutare se stesso.» (Norberto Bobbio, Destra e sinistra, Donzelli, 1994, pp. 15-17).

Il che vale sia quando è la destra a essere sconfitta (o è in difficoltà), sia quando la sinistra lo è. Oggi, purtroppo, la politica italiana è arrivata al punto che entrambe le parti sono messe male. Ed ecco che rispunta il dubbio: destra e sinistra hanno ancora senso? Legittimo chiederselo, ma a cosa porta rispondere di no?

In tutti i paesi del mondo in cui ci sia una democrazia ben funzionante, la distinzione può prendere altri nomi (progressisti-conservatori per esempio), ma c’è. Ed è bella chiara. Inoltre la storia ci insegna che da quando, durante la Rivoluzione francese, l’opposizione fra destra e sinistra fu inventata, tutti i tentativi di confonderla o addirittura cancellarla, dicendo che era una cosa del passato, hanno coinciso con momenti di debolezza del dibattito democratico. O, nei casi peggiori, di debolezza della stessa democrazia.

E oggi? Che ne è della nostra democrazia? Ma soprattutto, cosa vogliamo farne?

Questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

Pisapia e Zingaretti sui social media

Nel preparare una relazione per il prossimo convegno della SISP, sto osservando da qualche mese in dettaglio cosa fanno su Twitter e Facebook tutte le political celebrities italiane.

Studia che ti ristudia, scopro che il lavoro che stanno facendo gli staff di Giuliano Pisapia e Nicola Zingaretti è straordinario: questi si prendono – davvero! – la briga di rispondere in modo pertinente e documentato a chiunque chieda informazioni, faccia commenti, esprima critiche. Un lavoraccio durissimo e capillare ora per ora, minuto per minuto: leggono, si documentano e rispondono dopo qualche ora o il giorno dopo, se la ricerca necessita di più tempo. Un vero servizio alla cittadinanza.

Certo, tutto è migliorabile: sia da parte delle due amministrazioni sia nell’uso che i loro staff fanno dei social media (già immagino che qualche lettore alzerà il dito per criticare questo o quello, la tal risposta mancata o insufficiente). Ma nel complesso chi sta dietro all’account Twitter e alla pagina Facebook di PisapiaZingaretti (non so chi ci sia in quegli staff, ma li immagino seri, appassionati e… sempre distrutti di fatica) merita davvero una lode pubblica. E tanti auguri di buon lavoro! 🙂

Non sono gli unici, eh: anche lo staff del sindaco Virginio Merola a Bologna lavora in questo modo sui social media. Ma vivendo io a Bologna… be’, nemo propheta in patria.

Verifica tu stesso/a: qui c’è l’account Twitter di Pisapia, aperto il 6 luglio 2010, con una media di 4,3 tweets al giorno. Qui quello di Zingaretti, aperto il 2 novembre 2011, con una media di 7,1 tweets al giorno.Ed ecco lo screenshot di qualche buon esempio (clic per ingrandire):

Zingaretti e il wi fi

Zingaretti e le aree giochi

Pisapia e il wi fi

Pisapia e le piscine

Pisapia e le primarie

Idea per una tesi: un’analisi comparata di tutto ciò che fanno i sindaci italiani sui social media. Per concordare impostazione e metodologia, iscriviti a ricevimento.

Partecipa (con rimborso spese) a un Social Media Team

L’Internet Festival che si terrà dal 4 al 7 ottobre a Pisa seleziona 20 giovani per formare il Social Media Team ufficiale nei ruoli di:

  • Social Media Editor & Animatore
  • Multimedia Editor (Photographer)
  • Multimedia Editor (Videomaker)

La scadenza per presentare la tua candidatura è il 20 settembre 2012.

Social Media Team

I membri del Social Media Team selezionati (20 posti) avranno diritto a:

  • Rimborso forfettario: di € 280 lorde per il ruolo di multimedia editor e di € 240 lorde per il ruolo di social media editor/animatore.
  • Assicurazione: I membri sono coperti da assicurazione RCT per l’attività svolta durante il periodo stabilito. L’assicurazione è a carico dell’organizzazione.
  • Rimborso spese di viaggio, a fronte della presentazione dei giustificativi di spesa. È previsto il rimborso di un viaggio di A/R con mezzo pubblico; se il viaggio avviene con mezzo privato, sarà rimborsato il costo equivalente di un viaggio di A/R in treno (II classe).
  • Attestato di partecipazione: la Fondazione Sistema Toscana conferirà, a chi lo richiede, un Attestato di Partecipazione Attiva.

Per ogni giorno di servizio sarà garantito:

  • n.1 buono pasto da consumarsi in locali convenzionati con l’Internet Festival (successivamente sarà indicato dove).

Per chi viene da fuori Pisa, l’organizzazione dell’Internet Festival suggerisce di visitare il sito http://www.couchsurfing.org/ per trovare sistemazioni economiche in città.

Per sapere i requisiti che ti sono richiesti e cosa dovrai fare al Festival se sarai selezionato/a, visita il sito o scarica il bando completo: Bando Social Media Team IF2.

Bersani e i «fascisti del web»

Dell’uscita di Bersani sui cosiddetti «fascisti del web» – e ricordiamo che l’espressione è solo un titolo giornalistico, perché Bersani non l’ha mai pronunciata – molto si è detto negli ultimi due giorni. Aggiungo alcune cose.

Bersani a Reggio Emilia

Più che l’implicita demonizzazione del web – che pure c’è (vedi Mantellini e Civati), ma vabbe’, in Italia si fa anche di peggio – non mi è piaciuta l’uscita da bullo: «Vengano a dircelo, non ci impressionano, vengano qui a dircelo, via dalla rete». Come se dal rimboccarsi le maniche che significa «lavoriamo sodo», Bersani volesse passare al gesto che prelude al menare le mani. E non mi è piaciuta perché:

  1. Implica mettersi sullo stesso piano dei modi aggressivi e dei «linguaggi fascisti» che tanto si criticano.
  2. Mi pare un’uscita progettata solo in parte (della serie «Di’ qualcosa di forte contro Grillo, Di Pietro e quelli che t’insultano»), ma più che altro mi pare sia stata improvvisata, come se la foga del comizio gli avesse preso la mano. Cose che capitano, certo, anche se per me in comunicazione nulla andrebbe lasciato al caso. Ma allora vuol dire che davvero i linguaggi e modi tanto biasimati gli sono entrati dentro.
  3. Nei limiti in cui l’uscita è stata progettata, qual è l’obiettivo? Mostrare un segretario forte (persino macho) e autonomo, per smarcarlo dall’appoggio al governo Monti? Caricare gli elettori del Pd più convinti, mostrando loro che la crescita del Movimento 5 Stelle non deve fare paura? Un po’ entrambe le cose, direi.
  4. E tuttavia, sempre pensando agli obiettivi, Bersani con quel gesto – che certo funziona con gli elettori del Pd più convinti – rischia (ancora una volta) di dimenticare tutti gli ex elettori del Pd ora incerti e delusi, che magari guardano con simpatia al Movimento 5 Stelle. Rischia di dimenticare che l’M5S può accogliere molti transfughi del Pd (localmente è già successo) perché non è fatto solo di gente che insulta con la bava alla bocca (dentro e fuori dal web). Come non è fatto solo di web, ma si affida moltissimo alla comunicazione capillare sul territorio (vedi la vittoria di Pizzarotti a Parma) e alla televisione (Grillo viene da lì e la sua faccia ci torna fra le notizie decine volte al giorno). Insomma l’M5S non è fatto solo di quelli che Bersani chiama «fascisti». Non varrebbe la pena di rivolgersi (anche) a queste persone?

Ora, è sempre importante curare il proprio elettorato più solido, specie in una festa di partito. Ma ciò che un segretario dice durante una festa di partito arriva immediatamente anche a chi alla festa non c’è. E poiché si va verso la campagna elettorale (anzi, ci siamo già dentro) e le elezioni si vincono soprattutto convincendo gli incerti e riacchiappando i fuggitivi, mi domando: quand’è che Bersani penserà anche a loro? Io negli ultimi anni li ho visti sempre trascurati.

Quest’articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

Le parole esatte di Bersani:

Buon compleanno Taslima Nasreen!

Ricevo e volentieri pubblico un scritto di Till Neuburg in occasione del cinquantesimo compleanno di Taslima Nasreen. Forse non tutti/e sanno chi è: un’occasione buona per impararlo.

Taslima Nasrin

Giorno di festa! di Till Neuburg

Oggi sabato 25 agosto, una donna molto speciale raggiunge la prima metà di un secolo di vita. Lo annuncio con la serena certezza che nel 2062 qualcun altro avrà l’onore di scrivere una dedica ‘doppiamente’ significativa di questa.

Per capire il valore di questa straordinaria combattente, partiamo qui da noi dove, per fortuna, abbiamo delle rompiscatole come Tina Anselmi, Emma Bonino, Paola Concia, Milena Gabanelli, Sabina Guzzanti, Margherita Hack, Rita Levi Montalcini, Rossana Rossanda, Franca Valeri. Eppure, a ben trentasette anni dalla legalizzazione dell’aborto, le donne italiane sono tuttora una maggioranza discriminata – nel lavoro, nella politica, nell’economia. Il divario tra diritti costituzionali e realtà, è tuttora vergognoso.

Se qui, a pochi chilometri dal Vaticano, c’è sempre poco da ridere e molto da ridire, figuriamoci cosa succede a una ribelle che nasce nel Bangladesh. Anche lì, l’interruzione della gravidanza è legalmente accettata ma – uso un termine trucemente paradossale – il più delle volte si tratta di aborti “selettivi”. Questo significa semplicemente che quando negli screening prenatali il feto risulta di sesso femminile, l’interruzione di gravidanza è incoraggiata, se è maschile, no.

Taslima Nasreen è medica, scrittrice, poetessa, giornalista, attivista dei diritti civili, femminista, atea e dichiaratamente gay. Cosa significhi tutto questo per una donna che agisce in un contesto massicciamente misogino e fondamentalista, noi non ce lo possiamo immaginare nemmeno alla lontana.

Per punirla per le cose che racconta nei suoi libri, i militanti musulmani avevano emesso nei suoi confronti ben tre Fatwa promettendo che, se catturata, avrebbe pagato i suoi peccati con il linciaggio per lapidazione. In India, le minoranze musulmane, hanno offerto una taglia di 500.000 rupie per la sua decapitazione. Nel suo paese d’origine, la sua autobiografia è severamente proibita e lo stesso governo l’ha accusata di blasfemia. Dopo un lungo peregrinare in vari stati europei, oggi vive in esilio, prevalentemente negli USA.

Nonostante anni di persecuzioni, Taslima Nasreen è stata insignita di ben 21 premi umanitari e letterari internazionali tra i quali spiccano il Premio Sakharov per la Libertà di Pensiero conferitole nel 1994 dal Parlamento Europeo, il Premio Simone de Beauvoir per i Diritti Civili del governo francese, il Premio UNESCO Madanjeet Singh per la promozione della tolleranza. È cittadina onoraria di Parigi, Nantes, Lione, Metz, Esch, Venezia e Barcellona. Ha ricevuto il dottorato honoris causa delle università di Gent e dell’Università americana e dell’Université Didérot di Parigi. Ha parlato all’UNESCO, nel Parlamento Europeo, nell’Assemblea Nazionale di Francia, alla Sorbona, a Oxford, Harvard e Yale.

Nell’infanzia ha subito ripetute violenze sessuali da parte di parenti e altri uomini, eppure scrive sin dall’età di 13 anni. Finora ha pubblicato 35 libri.

Da una sua intervista di Bianca Madeccia, cito: «Sono convinta che l’unico modo di arginare il fondamentalismo e la sua perversa influenza sia l’unità di chi crede nei valori dell’umanesimo e del laicismo».

È un frase particolarmente significativa se consideriamo che tra pochi giorni dovrà essere votata nel parlamento tunisino la nuova Costituzione nella quale la donna non sarà più considerata “uguale”, ma “complementare” all’uomo.

Till Neuburg

Zagrebelsky, l’ingenuità e i media

Oggi su Repubblica Gustavo Zagrebelsky torna sulla questione che nei giorni scorsi l’ha visto contrapporsi a Eugenio Scalfari, da una parte e dall’altra dei due schieramenti politico-mediatici che si sono formati nelle ultime settimane: o con i magistrati di Palermo o con il Presidente della Repubblica. Ho già scritto, sia sul mio blog sia sul Fatto Quotidiano, quanto penso sia nocivo fomentare tifoserie del genere, specie in questo momento in Italia.

Né Scalfari né Zagrebelsky, ovviamente, vogliono fomentare un bel nulla. Non certo nei termini perentori e banalizzanti cui la questione è stata ridotta da molti (inclusi giornalisti): o di qua o di là. Perché il problema è più complesso, i loro articoli sono lunghi e pieni di distinguo, e così via. Cose che ho giò scritto qui.

Il problema è che, mentre loro disquisiscono in modo raffinato, chi di costituzione e cavilli giuridici capisce poco e nulla, finisce per firmare appelli, inveire, sparare sentenze nei bar, negli uffici e su internet: o con Napolitano o con i magistrati di Palermo. E fa tutte queste cose «anche» in conseguenza delle disquisizioni fra Scalfari e Zagrebelsky. O almeno delle semplificazioni che gli arrivano.

Pensando alla mia riflessione su quanto siano sempre trascurati, in Italia, i meccanismi di funzionamento della comunicazione di massa, trovo interessante che oggi Zagrebelsky si definisca «un vero ingenuo», per difendersi da chi l’ha accusato (più o meno esplicitamente) di «falsa ingenuità»:

Giornali

Sei un ingenuo, perché avresti dovuto sapere che le tue parole sarebbero state strumentalizzate; anzi, sei un falso ingenuo – in sostanza, un ipocrita – perché lo sapevi benissimo. Qui, vorrei essere il più chiaro possibile: la linea di condotta cui mi sono ispirato non è dei falsi, ma dei veri ingenui. Il compito di chi si dedica a una professione intellettuale è d’essere, per l’appunto, un vero, consapevole e intransigente ingenuo (con l’unica riserva che dirò). Non è sempre facile. Talora lo è di più tacere, tergiversare, adeguarsi. È una questione d’integrità professionale, almeno così come la vedo.

E immaginando una possibile obiezione sul fatto che sia compito dell’intellettuale assumersi responsabilità politiche e sociali, dice:

Forse che l’attività intellettuale non deve anch’essa essere responsabile? Certo che sì. Ma responsabile verso chi o che cosa? Verso la sua natura: una natura diversa da quella politica. Forse che l’attività intellettuale non ha anch’essa una propria valenza politica? Certo che sì, ed elevatissima, ma non nel senso di chi opera nella politica, intesa come la sfera dei partiti, della competizione per il potere, della conquista del consenso: da noi, c’è difficoltà ad ammettere che non tutto è politica in questo senso. Esiste invece una funzione diversa, “ingenua”, non legata al potere e al consenso – la cui esistenza è essenziale alla vita libera della pólis.

L’implicito è che dall’esercizio dell’attività intellettuale sia esclusa la capacità di riflettere su come funzionano i media, a cui pur si affidano i propri pensieri. E come funziona, più ampiamente, il sistema di autoreferenzialità mediatica che, di titolo in titolo, di articolo in articolo, di servizio in servizio, continua a girare in tondo fomentando la contrapposizione che lo stesso Zagrebelsky non vuole.

Detto questo, credo che Zagrebelsky su questa storia sia stato un «vero ingenuo», proprio come ha scritto. Prova ne è che abbia firmato l’appello del Fatto Quotidiano, un appello che certo non dimostra la stessa pacatezza analitica che Zagrebelsky frequenta: «Stato-mafia, pm accerchiati: la nostra raccolta di firme per rompere il silenzio».