Mi scrive Barack che ha bisogno di soldi

La legge statunitense vieta agli stranieri di fare donazioni a favore della campagna presidenziale: solo i cittadini americani e coloro che hanno una Green Card possono contribuirvi. Nel gennaio 2010, però, la Corte suprema ha stabilito che lo stato non può vietare alle corporation di contribuire in modo indipendente alle campagne elettorali; nel marzo del 2010 la Corte d’appello del distretto di Columbia ha poi aggiunto che le donazioni dai gruppi indipendenti (i cosiddetti Super Pac, dove Pac sta per Political Action Committee) non devono essere limitate. Dunque oggi è sempre più difficile capire se le campagne presidenziali sono alimentate anche da fondi esteri. E di fatto lo sono, anche se io, come straniera e come individuo, non posso fare nessuna donazione.

Pur sapendo queste cose, ho provato a fare clic su «Donate» a favore della campagna di Obama. Da allora sono nella mailing list dei potenziali donatori: gente che ha già dato e potrebbe rifarlo, incerti che volevano ma all’ultimo non l’hanno fatto, e così via. A questi – me inclusa – in questo periodo arriva più o meno una mail al giorno da Obama, sua moglie (che si firmano Barack e Michelle), Bill Clinton (che si firma più distaccato con nome e cognome) e vedremo chi altri.

Obama, Stand with me

Il tono è allo stesso tempo diretto, concreto (cifre alla mano) e accorato, pensato apposta per chi si suppone fosse lì lì per donare (dunque un simpatizzante motivato), ma si è fermato/a per qualche ragione. Proprio come ho fatto io, ma per motivi diversi dai miei: gli Stati Uniti sono pieni di gente che nel 2008 si entusiasmò per Obama e oggi, in difficoltà per la crisi, pensa di astenersi. È questi che Obama cerca di recuperare. Esempio:

Friend —

I will be outspent in this re-election campaign, if things continue as they have so far.

I’m not just talking about the super PACs and anonymous outside groups — I’m talking about the Romney campaign and the Republicans themselves. Those outside groups just add even more to the underlying problem.

The Romney campaign and the Republicans have recently raised more than us, and the math isn’t hard to understand. In August, we hit a milestone of over 3.1 million donors to this campaign, and in July, our average donation was $53, and 98 percent of our donations were less than $250. In that same period, only 25 percent of the money Romney and the Republicans raised came from donations of $250 or less — his campaign is being driven by a team of wealthy donors.

And, again, that’s not including the massive outside spending by super PACs and front groups funneling up to an additional billion dollars into ads trashing me, you, and everything we believe in.

We can be outspent and still win — but we can’t be outspent 10 to 1 and still win.

So thanks for getting on board for this election.

Today, I’m asking you to help us close the gap. Donate now.

This isn’t about me or the outcome of one election.

This election will be a test of the model that got us here. We’ll learn whether it’s still true that a grassroots campaign can elect a president — whether ordinary Americans are in control of our democracy in the face of massive spending.

I believe we can do this. When all of us chip in what we can, when we can, we are the most powerful force in politics.

Donate today:

https://donate.barackobama.com/Being-Outspent

Thank you,

Barack

Questo articolo è uscito ieri pomeriggio anche sul Fatto Quotidiano.

19 risposte a “Mi scrive Barack che ha bisogno di soldi

  1. Sarebbe interessante leggere anche cosa scrive Romney 🙂
    Al di là delle simpatie politiche che uno può avere, si tratta di un ulteriore esempio di come siano diverse la nostra democrazia e quella americana.

  2. E’ proprio “tendere la mano”. Non credo sia sbagliato, ma qualcosa mi urta. Alla fine il coinvolgimento, l’impegno concreto della partecipazione civica significa metter mano al portafogli? Generosità e soldi, ansia di controllo di società nevrotiche.

  3. Giorgio, perché tu credi che le campagne si facciano senza soldi???

    Tieni conto anche del contesto, per favore: negli USA i due candidati non prendono finanziamenti pubblici, Romney ha multimilionari che lo finanziano e in questo i democratici, per quanto ben sostenuti anche loro da varie corporation, sono in netto svantaggio. Dopo le due sentenze del 2010, questa sarà la campagna più costosa che finora gli USA abbiano visto e d’ora in poi saranno sempre più danarose. Obama sta cercando di recuperare i delusi del 2008, quel messaggio è mandato a chi fa clic sul pulsante “donate” e poi non procede a compilare i dati. Dunque uno/a che era lì lì per donare e non l’ha fatto.

    Sì, la partecipazione civica comporta mettere mano al portafogli se la posta in gioco è vincere un avversario che ha il portafogli bello gonfio. Altrimenti ti rassegni a perdere e punto.

  4. Non vedo il problema. Quando da ventenne partecipavo alle campagne elettorali mi facevo il mazzo tanto porta a porta con volantini, ad aiutare per gli incontri pubblici, etc. Se e` vero che la strategia delle campagne e` ormai decisa (e lautamente pagata) da (a) fini comunicatori come Joanne WithWithout, e` anche vero che la manovalanza e` richiesta e ben accetta.
    Insomma, nulla di male a dare un piccolo contributo, proporzionato al reddito e alle aspettative.

  5. E’ straordinaria la differenza rispetto alla comunicazione politica prevalente in Italia: chiarezza, semplicità e concretezza che qui ce le sogniamo.

    L’unico che riesce a muoversi in questa direzione mi sembra essere Renzi. Spero in qualche altra dritta su Renzi da parte di Giovanna, che forse non è tanto d’accordo su questa mia impressione.
    (Mi riferisco alla comunicazione più che ai contenuti, anche se le due cose si possono separare solo parzialmente.)

  6. Ecco, Giovanna, io non mi rassegno al “se ho meno soldi perdo”. Vabbè, non importa. Sono “macchine” elettorali e di consenso diverse, ciascuna sensata a suo modo, con sotto valori diversi. Inizialmente però mi interessava proprio lo stile, quel modo “accorato” di chiedere soldi, e americanamente pragmatico.

  7. Cara Giovanna, io ho contribuito sia alla campagna Obama/Biden del 2008 e a questa del 2012: nel 2008 ero solo una resident alien (in possesso da piu’ di 12 anni della “green card”), ma da quest’anno contribuisco come cittadina americana. Sono iscritta, anche solo per “default”, a diversi gruppi democratici, liberali e progressisti, e quotidianamente ricevo richieste di $, e quando posso, rispondo alle richieste. Oltre che in aiuto alla campagna presidenziale, ci sono centinaia di altre campagne locali, cui non sono direttamente coinvolta dal punto di vista geografico, e quotidianamente ricevo richieste sia dalla DNC (Democratic National Convention), che da altri gruppi che mi chiedono di fare un “chip in”, in pratica dare un contributino, un obolo, a campagne elettorali che, pur se “lontane” geograficamente, sono fondamentali per riportare nella House of Representatives e nel senato se non una maggioranza progressista, almeno ripristinare un certo equilibrio di forze, dopo che nel 2010 cosi’ tanti rappresentanti del Tea Party, l’accozzaglia pseudo-politica che reppresenta le masse urlanti bigotte di chi pensa che il governo sia da eliminare (scordandosi che senza governo sparirebbero anche quei pochi programm sociali che TUTTI gli americani amano e usano, come medicare e social security) ma non ha un vero programma politico.

    Non che poi cambi niente perche’ sono convinta che l’incredibile odio che una parte di americani ha verso il presidente Obama e’ dovuta senza dubbio al fatto che sia … per dirla con Berlusconi, piu’ abbronzato della maggioranza americana. Ne parlo spesso (anche qui http://www.mokysblog.com/2012/02/american-bumper-stickers-la-vita-dio-le.html): mai nessun presidente fu odiato tanto (a parte forse Lincoln, dopo la “emancipation proclamation”) quanto Obama: prima ancora che si insediasse alla Casa Bianca la destra americana si era data un unico compito, quello di fare di Obama “a one term president”. Prima ancora che potesse firmare una legge, fare una richiesta al congresso… avevano deciso che non gli avrebbero MAI dato una chance.
    Il perche’ e’ chiaro, a me e tanti altri americani: in America il razzismo esiste ancora, in alcune “bolle”geografiche del sud ad esempio dove e’ ancora all’aperto, e piu’ diffusamente, lo riscontro quotidianamente nella upper-middle class, dove e’ latente, e “nascosto” sotto la maschera benevolente dell’americano medio.
    Pensa che quasi quotidianamente mio marito viene verbalmente attaccato da colleghi (lavora in una base militare, quindi proprio per natura un posto che pullula di repubblicani/tea party-isti) per la sua posizione di “independent”, quindi non affiliato a nessun partito… il che, per i republicans piu’ conservatori (esistono forse altri tipi di repubblicani, oggi?) e’ uguale ad essere un democrat. L’altro giorno un collega gli ha detto “There should be an IQ tests before letting people vote”, cioe’ prima di consentire ad una persona di votare, dovrebbe essere fatto un test per determinarne il quoziente intellettivo. Il che, a dire il vero, sarebbe un disastro totale per qualsiasi candidato repubblicano.

    Tornando al tuo post, visto che mi sono lasciata andare, confermo che i Super PAC sono un abominio anticostituzionale e la decisione della corte suprema in pratica ha dato la benedizione federale all’assioma money=speech e corporations=people (tanto da creare spunto per prese per i fondelli raffinate, come questa di Stephen Colbert che ha creato mesi fa un Super PAC con il motto “Americans for a better tomorrow, tomorrow” http://en.wikipedia.org/wiki/Colbert_Super_PAC)

    Tuttavia la campagna elettorale di Obama e’ ancora sostenuta da “piccoli” donatori come me, che diamo 200$ o meno (nel nostro caso, mooolto meno…) e molti, come me, anche in un momento di crisi come questo, preferiscono dare 5$ alla campagna di Obama che un’altro tax cut ai multi-miliardari come Romney e i fratelly Koch.

  8. Grazie per la testiomonianza, Mocky: è talmente articolata e documentata che mi verrebbe voglia di dedicarle un post…

  9. Anch’io avevo avviato, già dalla campagna del 2010, la procedura di finanziamento poi, apprendendo che la legge americana non lo consentiva, mi sono fermato. Come Giovanna, e certamente tantissimi altri italiani, ricevo quotidianamente mail che mi invitano a donare. A questo punto come potremmo fare? Che ne direste di chiedere a Mocky se possiamo fare dei versamenti a lei (senza metterla nei guai) e poi lei li gira ad Obama? Mi dispiace non fare nulla per i Democrat americani, anche se la politica estera americana non mi sembra molto diversa da quella di Bush.

  10. Grazie. Lascio a Giovanna il compito di contattarmi. Parafrasando il vecchio slogan, yes I think we can…

  11. Anch’io voglio dare i soldi ad Obama. Dio ci scampi da Romney e il Tea Party! Maledetti loro e le madri che li hanno figliati.

  12. E pure i padri… se no vengo accusata di sessismo.

  13. Per quale motivo un cittadino comune dovrebbe pagare la campagna del suo politico di riferimento che gli sta dicendo che con meno soldi dell’avversario si perde? Buttiamo là qualche considerazione.
    Ammettere che con meno soldi si perde è una trappola mortale per chi faccia comunicazione politica. A quel punto per quale motivo il cittadino dovrebbe essere interessato alla qualità dei programmi proposti se l’esito della persuasione è SEMPRE (controllare prego) una questione quantitativa e sempre meno qualitativa? La soluzione più razionale è non finanziare per niente i politici e spieghiamo perché.
    Finanziare un candidato vuol dire infatti autorizzarlo a spendere sempre di più per la sua campagna. Certo, si potrebbe puerilmente obiettare che la politica è questa e si vicne con i soldi, il che sarebbe tragicamente verissimo. Ma pensiamoci su e vestiamo i panni di un me che riceve via mail il fundraising del politico: poiché il ritorno positivo di una donazione si ha solo proporzionalmente al contributo dato, e quindi si hanno le spalle larghe di una corporata, il contributo del cittadino comune finisce per avere una duplice e infruttifera funzione. Primo, la sua azione non fa altro che aumentare il montepremi totale a disposizione del candidato ma questo non incide né sulla probabilità personale di avere un ritorno diretto dall’investimento né sulla qualità della proposta politica del suo candidato. Anzi, così facendo l’elettore-donatore si tira la zappa sui piedi perchè regalando i suoi soldi a un candidato alza la posta del budget ad ogni campagna elettorale aumentando di fatto la divaricazione tra persuasione quantitativa (che ingrassa solo i politici e l’industria mediatica che gli sta dietro) e qualitativa (che dovebbe contraddistinguere, per chi ci crede, la bontà del metodo democratico). Si noti che il fatto che una campagna costi un dollaro o un miliardo di dollari è solo a vantaggio del sistema politico-mediatico laddove il cittadino contribuente non ha alcun beneficio sistemico dall’aumentare delle spese elettorali altrui – che anzi, rappresentano una passività per la collettività che quei soldi li vede bruciare in uno scontro che per perlei avrebbe lo stesso beneficio politico anche a costo zero.
    Secondo, il suo contribuo arricchisce ulteriormente il ricco (che quei soldi li ha già) ma impoverisce se stesso nel momento del suo atto donatorio.
    Naturalmente la soluzione piàvantaggiosa per il cittadino comune, equivarebbe semplicmente a fissare una soglia massima di spese elettorali massime sostenibili per tutti i contendenti.
    Però gli statunitensi sono onesti con noi italiani. Solo a noi appare evidente in cosa consista un Super pac(co).

  14. Ugo, le elezioni qui negli US si vincono anche grazie agli ads in tv, che costano diverse centinaia di milioni di dollari. Queste pubblicita’ (spesso negative, come sta facendo Obama che ha delineato sin da principio il carattere poco chiaro di Bain Capital/Romney) saranno da oggi in poi concentrate principalmente negli stati chiamati “toss-up” che potrebbero andare verso Obama quanto verso Romney. Ad esempio la Florida, che nel 2008 aveva votato per Obama (e col discorso dei collegi elettorali e ‘ sempre un po’ un casino spiegare come funziona il sistema), l’Iowa, il North Carolina e qualche altro, stati dove nessuno e’ sicuro in quale direzione andranno i voti. Ci sono state elezioni perse per poche centinaia di voti. E il consenso generale e’ che chi ha perso avrebbe potuto far passare più pubblicita’ in quello stato.
    Buona parte dei soldi finisce quindi in campagne pubblicitarie. Poi i vari tour in giro per gli US, le spese per fare il training e coordinare le migliaia di volontari…
    Questa e’ la trascrizione di un’intervista radio fatta su NPR (National Public Radio, a tendenze piu’ porgressiste) a 2 esperti di campagne elettorali
    http://www.npr.org/2012/07/16/156829985/presidential-election-how-much-does-fundraising-matter
    Alla fine McKinnon, un adviser della campagna di Bush e di McCain:
    “I mean, it could come down to, you know, three electoral votes in a, you know, a state like New Mexico. And there, five or 10 or $15 million goes a long way if you want to just pick off a few hundred”

  15. @Moky
    Forse per te sarà pacifico ma l’equazione US, mai invalidata, tra maggiori spese elettorali e vittoria getta completamente a mare la qualità del processo democratico. Per gli addetti ai lavori potrà anche essere appassionante ma difficilmente si può chiedere al cittadino razionale di farsi accendere per la fatuità dei fuochi di paglia.
    Siamo razionali e prendiamo un’ottima pagina di riassunto wikipedico (http://en.wikipedia.org/wiki/Voter_turnout).
    Bene, osserviamo per cortesia la tabella in basso a destra che ci mostra l’affluenza elettorale in Paesi industrializzati in un intervallo che copre il periodo 1960-1995 e scopriamo che gli USA, pur avendo alle spalle la più lunga serie di elezioni, sono all’ultimo vergognoso posto con una media di partecipazione del 48% di chi si reca alle urne tra gli aventi diritto e del 55% per le sole presidenziali (che è ciò che ci interessa). Per le elezioni successive i isultati sono i seguenti:
    1996 196,511,000 96,277,634 49.00%
    2000 205,815,000 105,405,100 51.21%
    2004 215,694,000 122,267,553 56.69%
    2008 231,229,580 132,645,504 57.37%.
    Potremmo certamente invocare le procedure (di obbligo) di registrazione alle liste elettorali come attenuante a questa emorragia di partecipazione democratica, ma sarebbe solo ammettere che appunto la democrazia US non viene presa molto sul serio dagli stessi statunitensi se sgambetti del genere vengono creati e mantenuti a danno di loro stessi.
    Ma quello che ci interessa studiare è che l’affluenza non è in relazione alle spese elettorali sostenute per la causa (ovviamente inclusi i PAC e le sue versioni contemporanee). Spese che continuano inesorabilmente ad aumentare. Invito a riflettere sulle tabelle elaborate da opensecret.org, che contabilizzano le spese elettorali dalle compaghne del 1976 all’ultima che ha visto prevalere Obama. E che maliziosamente confrontano il bilancio tra ricevuto e investito, mostrando che dalle campagne elettorali i candidati guadagnano sempre, di fatto intascando la differenza tra i contributi e le spese effettive (http://www.opensecrets.org/pres08/totals.php?cycle=2008).
    Del resto tutto il mondo è Paese, ma pensare che quella differenza sia pagata dall’obolo (della circonvenzione) della middle e sopratutto low class è imbarazzante.
    Insomma, correlando l’incremento di spesa elettorale con i risultati di affluenza possiamo esprimere un chiaro giudizio sulla medietà dell’elettore statunitense: o è completamente (e realisticamente) disilluso dalla possibilità che un voto elettorale possa incidere sulla sua vita concreta (e quindi non va a votare) o è letargicamente pigro (e allora può essere convinto all’immane sforzo del voto solo se bombardato di advertisement, pagati dai suoi simili).
    Ancora nel 2008 quasi 100 milioni di aventi diritto non sono andati a votare. Mancanza di pubblicità o di relazioni civiche? In ogni caso è interessante fare un confrono tra 1996 (Clinton) e 2008 (Obama) per scoprire quanto costa portare un cittadino indifferente al voto a diventare momentaneamente elettore o a continuare a esserlo nella tornata successiva. 239,9 milioni di dollari per Clinton-Dole e 96277634 votanti e 1.324,7 m$ per Obama-McCain e 132645504 m$ fanno 2,49 $ di costo elettore nel 1996 e 9,98$ nel 2008. Perciò a fronte di un costo elettore letteralmente quadruplicato (400%), il rapporto tra votanti e non votanti è migliorato solo del 17% (vedi dati citati sopra).
    Però, che elettori esigenti. Quando si dice non svendere il proprio voto.
    Si dirà che se quel che conta è vincere la partita, allora un canestro in più è quel che ci preme ottenere. Sarà, ma la pratica del tifo rischia di sopravvalutare la posta in gioco perché l’esito della partita non dipende dalla grandezza dello stadio – anche se malignamente abbiamo mostrato come il numero di paganti influisca sulle tasche di coloro che lo stadio lo possiedono.

  16. Tutte giuste e utili, per me, le considerazioni di Ugo.
    Però non mi convince la conclusione totalmente negativa, se non l’ho fraintesa.

    Forse perché non mi aspetto gran che dalla democrazia. Mi riferisco non a una democrazia ideale, quale potrebbe essere progettata a tavolino da intelligenti e benintenzionati ingegneri sociali. Mi riferisco alle democrazie esistenti nei paesi meno brutti, cioè quelli dove la gente tende più ad immigrare che a emigrare (direi che gli Stati Uniti vi rientrano).
    Queste democrazie, insieme con i sistemi economici che inevitabilmente le condizionano molto (Marx su questo aveva ben ragione), hanno pro e contro. Ma il bilancio sembra positivo, rispetto alle alternative esistenti.
    Sembra così non tanto a me, quanto alle masse umane attuali sul nostro pianeta.

    Se vale questo, a me sembra utile usare intelletto ed energie per proporre e cercare di attuare cambiamenti in meglio, caso per caso, anche riguardo al funzionamento delle democrazie viventi, negli Stati Uniti o in Italia, non più esecrabili di tante altre forme di vita.

    Oppure progettare e provare a fare nascere forme di vita radicalmente diverse, socio-economiche e socio-politiche.
    Ma non vedo al momento cantieri aperti, con ingegneri, muratori e materiali su cui contare per una realizzazione dell’opera (in tempi prevedibili, anche lunghi, ma non totalmente indefiniti).

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