Come trovare lavoro studiando Comunicazione. Prima ancora di laurearsi

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Ogni giorno cerco di sfatare il pregiudizio secondo cui gli studenti di Scienze della comunicazione sarebbero destinati a non trovare un lavoro attinente ai loro studi. Non è vero, c’è un settore della comunicazione che oggi non conosce crisi: se ti specializzi in web communication, social media marketing e internet marketing (lo dico in inglese, perché così va nel settore), sei a cavallo. Ecco cosa racconta Francesco, 21 anni, terzo anno di Scienze della comunicazione:

Quest’estate, in vista della laurea, ho deciso di trovarmi un lavoro che avesse a che fare con i miei studi. Ho sempre lavorato d’estate: come agricoltore, carpentiere e imbianchino. Stavolta però volevo un lavoro attinente ai miei studi. E l’ho trovato. Ecco come ho fatto.

Fase 1: Analisi del mercato. Ho fatto una lista delle aziende di servizi che stanno nell’area geografica vicina a casa dei miei, dove torno per l’estate. Ho selezionato quelle per cui la comunicazione sui social media mi pareva uno sbocco interessante e concreto. Dopo aver controllato la loro presenza sui social network, ne ho identificata una in particolare, che aveva le principali pagine social aperte ma quasi mai usate.

Fase 2: Caricare a testa bassa. Ho preso il motorino, sono arrivato nella sede dell’azienda, ho suonato il campanello e chiesto di parlare con la direzione. Al direttore ho spiegato cosa so fare (non in termini iperbolici ma realistici, non si deve illudere nessuno), ma soprattutto quali erano per loro le potenzialità (non sfruttate) dei socia network. Quindi mi sono offerto per un tirocinio senza acquisizione di crediti (avevo già fatto quello curricolare).

Fase 3: Adattamento. È fondamentale nel primo periodo adeguarsi a ciò a cui l’azienda è abituata. Io puntavo a lavorare da casa, ma non sarei stato ben visto se l’avessi chiesto subito. Dunque mi sono adattato ai loro orari e ritmi, alle loro regole ma soprattutto al loro linguaggio: ogni giorno 8 ore in ufficio, fianco a fianco con gli altri, alternando domande a brevi spiegazioni su cosa stessi facendo mentre “smanettavo” sui social, in modo da far capire il senso e gli obiettivi delle mie mosse.

Fase 4: Profit. Dopo un mese, allo scoccare dell’ultima ora nell’ultimo giorno, ho presentato un possibile piano per la gestione dall’esterno delle loro pagine. A pagamento. Con tariffe che ho deciso io, studiando un po’ su Internet e chiedendo in giro l’andazzo del mercato. Hanno accettato. Oggi, a distanza di tre mesi, gestisco la comunicazione social non solo di quell’azienda, ma di altre tre in zona (totale: quattro). Come ho fatto? Hanno parlato bene di me, ma soprattutto dei risultati che stanno ottenendo grazie alle pagine social da me gestite, all’azienda che cura la loro la rete informatica, che gestisce la rete informatica di molti altre imprese locali. E a catena mi sono arrivate le richieste, nel giro di pochi giorni. Quanto guadagno? È presto per dirlo, ma è realistico pensare che almeno 1000 euro netti al mese nei prossimi mesi mi dovrebbero arrivare.

Fase 5: Organizzazione. Come faccio a fare tutto, visto che devo ancora laurearmi e voglio iscrivermi a una magistrale? Lavoro al mattino – ovviamente da casa – e studio al pomeriggio: per le aziende sono contattabile dalle 8 alle 12.30, quello che chiamo “orario da ufficio”. Al pomeriggio, mentre studio, tengo sempre il tablet a portata di mano, che vibra in caso di allerte particolari che ho fissato con un software che mi permette di gestire più pagine social. A giorni aprirò partita Iva, naturalmente. Ultima cosa: sono un ragazzo normale, sto bene e non sono affatto stressato, perché faccio un lavoro che mi piace e ho smesso di chiedere soldi ai miei. La sera e al weekend trovo il tempo per stare con gli amici e con le persone a cui voglio bene. Non è difficile, basta studiare seriamente, prima, per farsi una competenza in un settore richiesto dal mercato. Poi bisogna muoversi in modo concreto, pragmatico. E usare la testa. 😉

42 risposte a “Come trovare lavoro studiando Comunicazione. Prima ancora di laurearsi

  1. Frenz Quiz (@franzquiz)

    VIva viva l’intraprendenza, complimentoni 🙂

  2. ottimo esempio di come rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco in modo attivo (anche se a costo zero per l’azienda ?…..)

    ma quando leggo
    “ho suonato il campanello e chiesto di parlare con la direzione”

    ho pensato alle aziende in cui ho lavorato, sto lavorando e che conosco bene … e sinceramente non me ne viene in mente neanche una in cui un direttore si prenda del tempo per parlare con un ragazzino che si presenta alla porta

  3. Bravo Francesco, la tua esperienza è musica per le mie orecchie e luce per i miei occhi. Ti auguro il meglio!!!
    Simonetta

  4. Penso che tutto stia nell’intraprendenza. Anche la mossa di prendere il motorino e presentarsi direttamente, anziché passare tutto il tempo a mandare curricula tramite click da casa propria è abbastanza inusuale al giorno d’oggi! E poi è stato molto propositivo, bravo 🙂

  5. Bravo e ottimo spirito di iniziativa.

  6. Mi fate conoscere il nome delle 4 aziende che hanno affidato ad un 21enne, senza esperienza, accettando il lavoro da casa, la gestione social delle proprie pagine? E soprattutto accettando il fatto che “per le aziende sono contattabile dalle 8 alle 12.30, quello che chiamo orario da ufficio”?

  7. sì, ottimo e gran lavoro da parte di un ragazzo all’atto di inserirsi nel mondo del lavoro.
    Sono anche io scettico come 1 Little Indian però: in quale azienda il direttore perde tempo con un ragazzino? senza appuntamento? e come sarebbero stati superati i filtri?
    Dalle mie parti solo con un giubbetto esplosivo e degli ostaggi. Forse.

  8. Azienda significa una pizzeria o un negozio. Altrimenti penso che il giubbotto esplosivo sia la cosa piu`plausibile.

  9. Per 1 Little Indian e per quanti manifestano scetticismo: è chiaro che le quattro aziende sono piccole o piccolissime imprese (Francesco l’ha scritto). È altrettanto chiaro che, in una piccola o piccolissima impresa il direttore/amministratore delegato/presidente risponde direttamente a chiunque chieda di lui, se non è scemo. A 21 anni uno che si comporta come Francesco non è un ragazzino.

    Inoltre.

    Francesco ha lavorato gratis? Certo, per un mese. Certo, ha fatto un investimento e una scommessa: su di sé e su di loro. Ma la gratuità in questo caso era regolare, perché Francesco aveva già svolto il suo tirocinio curricolare: un tirocinio senza acquisizione di crediti lo fai come attività in più, solo se pensi che ci siano reali e concrete prospettive. Che in effetti ci sono state e ci sono. Dunque Francesco ha scommesso e ha visto giusto.

    Che cos’è tutto questo “scetticismo” e “pessimismo”? È irrilevante il caso di Francesco? Niente affatto: in Italia il 99% delle imprese sono piccole o piccolissime, il che vuol dire sotto i 20 addetti. Volete il nome di queste piccole o piccolissime imprese? Non ci credete? ma se Francesco vi dice che sta lavorando per la “Estetica & C.” di Mario Rossi in provincia di Vattelapesca, vi fidate di più? O state solo cercando una giustificazione per pensare sempre e soltanto male degli imprenditori italiani?
    😉

  10. Io dico che sei stato davvero molto bravo Francesco ed intraprendente, ma aspetta ad aprire una partita iva ché secondo me 250 euro netti al mese non te li danno per lavorare 4 ore la mattina. Ma nemmeno per lavorarne 8. Cioè davvero io non ci credo che un’azienda, di piccole dimensioni per giunta, riservi 250 euro al mese per i social. Non ci credo. Non è pessimismo né scetticismo, è realismo.

  11. Giovanna, solo una precisazione, per il resto tutto bene. Uno che ha un bar non e`un imprenditore, ma uno che gestisce un esercizio commerciale. Se no possiamo definire imprenditore anche un precario con la partita iva, il che mi sembra una presa per i fondelli. Rispetto a quello che ha fatto Francesco, tutto bene, anzi benissimo. Le PMI in Italia sono 99.9%, piu`o meno come la media europea (99.8%) ma piu`piccole. Quindi il mercato social e`significativo. Almeno finche`qualcuno iniziera`a richiedere delle metriche ben definite 🙂

  12. Useiqua, Francesco non lavora per quattro bar. E nemmeno per quattro negozi. Ma per quattro piccole imprese. Ok?

  13. Giovanna, questa e`casa tua, non discuto. Ma penso che chiamare impresa una bottega di estetista e imprenditore l`artigiano che ci lavora, sia una presa per i fondelli. Enrico

  14. Rispondo a nome di Giovanna (se permette…). Semplificando, il codice civile definisce l’imprenditore come colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni e servizi (nel dettaglio v/l’art. 2082). Per cui, Enrico, non è il volume d’affari che definisce l’imprenditore, bensì il tipo di attività. Ebbene sì. L’artigiano è imprenditore (o meglio, piccolo imprenditore, sempre a norma del codice civile), l’estetista è un imprenditore, il barista è un impreditore. Infatti tutti coloro che esercitano queste attività, sia in forma individuale sia in forma associata, hanno l’obbligo di iscriversi al registro imprese della camera di commercio territorialmente competente. In Italia il tessuto imprenditoriale è formato da un’altissima percentuale di pmi, molto maggiore di quella esistente in altri paesi europei. Affrontano ogni giorno difficoltà inimmaginabili e tutte avrebbero bisogno di bravi comunicatori per gestire la loro immagine e le loro strategie di posizionamento sul mercato. Sì, anche il bar può averne di strategie…che so…organizza una serata a tema? Pubblicizzare l’evento sui social può senz’altro offrire una chance in più per la riuscita dell’iniziativa. Infine un pensiero. Credo che l’esempio di Francesco (inventato o vero che sia) possa offrire uno spunto a tutti quei ragazzi che non sanno da che parte iniziare, perchè se è vero che molti giovani hanno voglia di fare, è altrettanto vero che il più delle volte non sanno COME fare. Grazie Giovanna per questi esempi. Morena

  15. E’ buffo ma ogni volta che si presenta una bella storia c’è sempre chi dice “sì vabbè ma chissà chi conosce”, “sarà stato fortunato”, “è un caso su un milione” o come qui “non ci credo”, “sarà un caso molto particolare”, “non nel mondo che conosco io”.

    Capita sempre anche a me, mi son sempre sentita dire queste cose e mi son fatta l’idea (forse un po’ qualunquista lo ammetto) che a noi italiani piace tanto dare la colpa a questo sventurato paese senza analizzarsi e vedere come ci si può migliorare.

    Ora lavoro in una grandissima multinazionale molto attenta al benessere del dipendente e quello che mi hanno insegnato è stato: se le cose vanno male tu cosa puoi fare per cambiarle?

    Scusi prof se sono andata un po’ fuori tema, ma di potenziali Francesco ne avremmo pieno il paese se solo fossimo un po’ più coraggiosi, meno cinici e meno pronti a vedere sempre e tutto sfigato qui e bellissimo fuori.

  16. io credo invece come questo sia un ottimo esempiodi concretezza e intraprendenza. In più il canale web ha riaperto le porte ai comunicatori oramai strozzati da un mercato saturo.

  17. Risponda a Useiqua.
    Anche una p. fa impresa, e deve presentare al meglio il suo prodotto.
    Tant’è che il cachet può variare da 30 a 300, a 3.000 …, e anche il cliente, e tutto il prodotto-servizio varia moltissimo in funzione della comunicazione,
    che mi pare sia l’unica cosa veramente “concreta” nel mondo occidentale.

  18. Ho detto Estetista & C. per fare un esempio come un altro… useiqua, ma che fai, mi prendi alla lettera? In ogni caso sul tema PMI quoto e ringrazio Morena. 🙂 E anche Elisa che pur testimonia dalla grande impresa. 🙂

    Ps: il caso di Francesco è autentico, anche se lo studente non si chiama Francesco e le quattro piccole imprese non sono bar.

  19. @Morena scrive: ” In Italia il tessuto imprenditoriale è formato da un’altissima percentuale di pmi, molto maggiore di quella esistente in altri paesi europei.”

    Cara Morena, il punto è che per piccola media impresa (PMI) non si intende il commerciante al dettaglio o l’artigiano. Per questo motivo, come ripete giustamente Useiqua, chiamarli imprenditori è una risemantizzazione da presa per il culo. Entriamo nel dettaglio con cui l’Unione Europea ha normato le definizioni in gioco:
    Tipo Occupati Fatturato (milioni di Euro)
    Media impresa <250 <=50
    Piccola Impresa <50 <=10
    Micro Impresa <10 <=2

    Naturalmente la stragrande maggioranza di commercianti non si avvicina nemmeno lontanamente alla soglia superiore della microimpresa con due milioni di euro di fatturato e 10 dipendenti. Quindi parlare di altissima percentuale di PMI per riferirsi poi al ristoratore, all'esercente del bar, all'idraulico o al pizzaiolo, è non aver capito cosa siano le PMI (dove le micro non ci sono e non ci sono mai state).
    Per questo l'immaginario collettivo, e la semantica che ne segue, continua ad associare il termine "imprenditore" a chi come minimo appartenga alle PMI, quindi a fatturati da svariati milioni di euro e decine di dipendenti, e querelle sull'applicabilità dell'art.18 etc.. E non lo associa alle Micro imprese ma continua a usare il termine artigiano e commerciante per definire chi è imprenditore non è. Poi quando va a votare quando sente parlare di imprenditori si riferisce a fatturati, patrimoni personali, consumi, stili di vita, che tracciano sociologicamente il solco tra classi sociali alle quali non appartengono gli artigiani e i commercianti.
    Sempre che non ci si voglia riferire a loro in termini esatti di nano-imprenditori.
    Ma allora anche chi possieda un euro in banca è un nanocapitalista e così salta tutta la semantica condivisa.
    E allora si può così dedurre che Francesco non può che aver bussato alla porta di commercianti o artigiani visto che è difficile pensare che già una PMI non abbia uno straccio di comunciazione web e se non ce l'ha, dato il fatturato, vuol dire che è un settore che non ne abbisogna.
    Oh, non c'è niente di male a dire che si lavora per la comunicazione eventi della parrucchiera all'angolo. Se la chiamiamo coiffeuse fa già la cosa più ganza. Ma se si astrae ancora chiamandola imprenditrice la cosa comincia a suonare velleitaria e a dimostrare l'esistenza di un complesso d'inferiorità in chi vi vada a fare social media marketing. Non vorrei che alla fine ci si dicesse che si lavora per una grandissima multinazionale solo perché tra le clienti si servono somale, nigeriane, tunisine, marocchine…

  20. “Per 1 Little Indian e per quanti manifestano scetticismo: è chiaro che le quattro aziende sono piccole o piccolissime imprese (Francesco l’ha scritto). È altrettanto chiaro che, in una piccola o piccolissima impresa il direttore/amministratore delegato/presidente risponde direttamente a chiunque chieda di lui, se non è scemo. A 21 anni uno che si comporta come Francesco non è un ragazzino.”

    @Giovanna

    Volevo precisare che non sono assolutamente scettico sul caso specifico di Francesco e non dubito di nulla di quello che è stato riportato da lui o da te. Perché dovrei?

    Ovviamente non siamo qui a fare un’inutile gara per stabilire se statisticamente un imprenditore si mette ad ascoltare uno che passa di lì e chiede di parlare.

    Non è questo il punto del mio intervento e basta rileggerlo per capirlo (se si vuole capire…senza preconcetti).

    Come ho detto, riportavo la *mia* esperienza di lavoro e di conoscenza *diretta* (da dipendente e in vari anni) di realtà medio-grandi e micro-imprese (cioè 1 titolare/direttore e max 1/2 dipendenti) e mi stupivo del fatto che Francesco fosse riuscito a prendere un primo contatto così valido.

    A lui il merito, ovviamente.

    E’ probabile (non “altrettanto chiaro” però…) che se in una piccola impresa uno chiede del titolare/direttore questo si presenti per vedere chi è (ripeto: per vedere chi è).

    Ma il punto è che (sempre per la mia esperienza….) il contatto si ferma lì, con la consegna di un CV ed eventualmente la promessa di risentirsi in un secondo momento.

    Chiunque abbia lavorato e conosce *bene* certe realtà sa che non è questione di essere “scemi”, ma che l’imprenditore ha semplicemente ha mille cose da fare.

    A Francesco è andata così e ovviamente meglio per lui e – ripeto – è un ottimo esempio per tutti, sia chi cerca un primo impiego sia chi vuole tentare nuove strade.

    Per quanto riguarda la parola “ragazzino”, non era usata in modo dispregiativo, denigratorio nè come giudizio di valore sulla sua iniziativa, che sicuramente è stata portata avanti con molta più maturità, capacità analitica e organizzativa di suoi “colleghi” più grandi.
    Chiedo scusa (a lui) se è risultata offensiva …. ma non era certo questa l’intenzione.

    Sulla questione del “gratuito”

    non esprimo dubbi sulla sua situazione universitaria, sulla regolarità o legittimità della sua esperienza.
    Proprio non è questo il punto.
    Parlo del fatto che ti proponi per lavorare gratis (se ho capito bene).
    Che non è una “scommessa”, ma è un modo alquanto discutibile di porsi sul mercato.

    Francesco non ha risposto ad un annuncio di tirocinio gratuito, ma ha si è presentato dicendo che avrebbe lavorato gratis.

    Non gliene faccio nessuna colpa e non voglio assolutamente personalizzare la questione, ma è un approccio controproducente verso se stessi e scorretto verso chi – a parità di competenze – è in grado di competere con te.

    Mi chiedo se questo è un atteggiamento che può essere portato come esempio, in particolare per chi si approccia al mondo del lavoro per la prima volta.

  21. @Giovanna
    PS
    Ma allora perché Francesco, invece di scrivere la sua avventura, non ha speso nemmeno una riga per darci le informazioni fondamentali ovvero il tipo di aziende per cui è andato a lavorare, quale fosse il prodotto e la gradezza? No, perché alla fine chi ha scritto questo pezzo motivazionale ha buttato lì il punto primo con nonchalance, come se fosse un niente (mentre invece è tutto). Rileggiamolo: “Analisi del mercato. Ho fatto una lista delle aziende di servizi che stanno nell’area geografica vicina a casa dei miei, dove torno per l’estate. Ho selezionato quelle per cui la comunicazione sui social media mi pareva uno sbocco interessante e concreto”.
    Quindi Francesco ha fatto un’analisi di mercato di PMI per selezionare una lista di “aziende di servizi” vicino a lui per poi proporre (attraverso se stesso) aumenti di fatturato coicidenti con lo sviluppo di una strategia di comunciazione web a suo dire presente ma sottosfruttata.
    Ma se il fanciullo fosse in grado di far ciò potrebbe direttamente candidarsi a lavorare alla McKinsey. Ci ha pensato chi ha scritto l’articolo?

  22. Ugo l’hai detto. Il “fanciullo” fra un paio di anni potrebbe direttamente candidarsi per lavorare alla McKinsey. È bravo. Punto. E tutta la lunga discussione sulle PMI e i bar non scalfisce l’esempio perché, ripeto, Francesco NON lavora per quattro commercianti.

    Infine sì, ti do la notizia: l’Italia è piena di PMI che sono tali secondo la tua definizione e che NON sanno comunicare né sui social media né sul web. Dunque se sei bravo/a lo spazio per lavorare c’è. Punto.

  23. Non per fare la punta ai chiodi, ma perché l’argomento è importante.
    Francesco ha avuto successo grazie alla sua intraprendenza, che è tanto più vantaggiosa quanto più rara. Se tutti fossero intraprendenti come lui, è improbabile che avrebbero eguale successo (teoria evoluzionistica dei giochi di John Maynard Smith).
    E’ però probabile che se i ragazzi fossero mediamente più intraprendenti, qualche vantaggio per loro complessivamente potrebbe esserci.

  24. Ben ha riassunto benissimo.

    1 Little Indian: non hai mai pensato che sbagli approccio o atteggiamento tu? Ho lavorato sempre per piccole imprese (in Italia e all’estero) e se penso a come ho trovato lavoro solo una volta è stato grazie ad una candidatura via web classica. Una volta ho bussato alla porta, un’altra ho conosciuto la ragazza che offriva il lavoro su un forum, un’altra via mail dopo che avevo letto il libro dell’autore. E poi la “grande azienda” (una di quelle che riceve 1mln di cv all’anno e non è un’esagerazione) ha chiamato me. Pensa un po’? Direttamente, senza nemmeno mandarglielo il cv.

    Scusate se sembro arrogante ma sono così stufa della storia della fortuna. Ho così tanti amici validi ma che non ci provano e non si muovono fuori dagli schemi…
    @Ugo: si vede che non sei del mestiere, sul digital in Italia ci sono così tante opportunità… E se sei bravo a portare risultati 250€/mese sono una spesa che una PMI fa volentieri, ripeto: se porti risultati….

  25. @elisa
    nei miei commenti (se uno li leggesse…) ho fatto riferimento ad un’esperienza *personale*. la mia.

    da qui il semplice stupore (non incredulità o altro) per com’è andata a francesco.

    fine della storia, che più semplice di così non potrebbe essere.

    ma è così difficile capire la differenza tra un’opinione soggettiva (mio caso) e una buttata lì come la verità assoluta?

    mah.

  26. Ciao Little Indian, ma non credo che nemmeno Giovanna parlasse di verità assoluta, solo una bella esperienza. E credo che le belle esperienze dovrebbero sempre ispirare positività e ottimismo, tutto qua. E magari anche la voglia di cambiare il proprio modo di vedere le cose…

    Fine della storia 😉

  27. @ugo Sai che mi avevi quasi convinta? Il tuo post sulla questione “pmi sì, pmi no” mi aveva gettato un pochetto nel dubbio…allora ho fatto come suggerisce il buon senso. Sono andata alla fonte. Eccola qui http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/facts-figures-analysis/sme-definition/index_it.htm e anche qui http://ec.europa.eu/enterprise/policies/sme/facts-figures-analysis/performance-review/files/countries-sheets/2012/italy_it.pdf . Sai, non è che ho la coda di paglia, ma quando mi scrivono che non capisco qualcosa su un argomento di cui ho certezze…insomma, tutto vacilla. Ora il mio baricentro è al suo posto, anzi, ho imparato del nuovo (e di questo ti ringrazio per averne creato l’opportunità). Peraltro vorrei aggiungere un paio di pensieri, o meglio di domande a tutti voi. La prima: ma credete veramente che sia più soddisfacente (attenzione, ho scritto soddisfacente, non lusinghiero) lavorare per una grande impresa piuttosto che per una piccola azienda? La seconda domanda necessita di una premessa. Eccola: immagino che questo blog abbia, come caratteristica principe, quella di essere seguito da un’alta percentuale di comunicatori, gente addestrata a scegliere modi, termini, persino virgole, quando si rivolgono ai cosiddetti “Alter” . Ed ecco la domanda: non rilevate un pelino di aggressività nei commenti che abbiamo letti fino qui? Perchè mai?

  28. @Morena
    Ha quindi scoperto l’acqua calda. Ora però vada a studiarsi per quale motivo le micro imprese dal 2003 fanno parte delle PMI. Quindi per quale motivo l’acronimo originario sia da buttare via, non crede? Altrimenti si rischia davvero di chiamare imprenditore il mio elettricista di fiducia.

  29. per tutti
    ps
    Posto qui la nuova (2003) definizione di “impresa” che ne dà l’Unione europea:«ogni entità, a prescindere dalla forma giuridica rivestita,
    che eserciti un’attività economica».
    Il che vuol dire che chiunque lavori è un’imprenditore.Ovviamente il giochino serve a far sì che chiunque figuri come impresa e quindi abbia accesso a fondi europei d’ogni ordine e grado.
    Non solo. Leggendo il punto 2.2.1 (pag.15) si impara che con la nuova definizione nessuno può essere definito “imprenditore”, termine che scompare, bensì tutti tranne gli apprendisti con contratto di apprendistato e gli studenti con contratto di formazione sono definiti come “effettivi”: dai dipendenti ai proprietari, tutti uniti dalla stessanuova semantica.
    (Nello specifico:
    • le persone che lavorano per l’impresa, ne sono
    dipendenti e, secondo la legislazione nazionale,
    sono considerati come gli altri dipendenti
    dell’impresa;
    • i proprietari-gestori;
    • i soci che svolgono un’attività regolare
    nell’impresa e beneficiano di vantaggi finanziari
    da essa forniti.)

    Si potrebbe sostenere che tutta questa questione terminologica sia un divagare inessenziale. Eppure urge rispondere a una domanda finale: visto che, con la nuova definzione, le microimprese rientrano nel vecchio acronimo delle PMI, chiunque svolga un’attività economica “fa impresa” e tutti si chiamano “effettivi”. Cosa ce ne facciamo del termine imprenditore, visto che non identiifca più nessun soggetto?
    Ringrazio anch’io Monica per avermi fatto approfondire ulteriormente l’argomento e sopratutto la stupidità umana.

  30. elisa, non mi riferivo a giovanna parlando di “verità assoluta”.
    intendevo che *io* non ponevo la mia opinione come verità assoluta, ma come una semplice valutazione personale.

    cmq (se uno leggesse…) la mia prima reazione è stata
    “ottimo esempio di come rimboccarsi le maniche e mettersi in gioco in modo attivo”

    poi ho espresso (purtroppo istintivamente e senza farcire di faccine il mio intervento) una perplessità veramente marginale e banale (ma che non mi pare fuori dal mondo) parlando di un aspetto ben preciso dell’esperienza di francesco, senza generalizzare né usare un tono polemico o disfattista.

    ma mi pare che tutto venga letto con un po’ di preconcetto e voglia di difendere e proprie posizioni senza mettersi in discussione.

    dimostrazione è il fatto che si è aperta una diatriba inutile (visto il tema e visto il sito) sulla definizione di PMI e una polemica sterile su chi è “positivo” e chi è “negativo” o “scettico” (ma de che?).

    dimenticandosi del punto principale, cioè il metodo di francesco, che si è organizzato al meglio per studiare le proprie capacità e punti di forza specializzandosi su un argomento ben preciso, ha analizzato il mercato e ne ha individuato le debolezze e i margini di miglioramento, ha individuato una zona e scelto un modo di presentarsi e di proporsi che è risultato vincente, si fa un’esperienza lavorativa e un curriculum, mette piede in azienda (che non è poco) e … gli arrivano dei soldi in tasca.

    poi che differenza fa se gestisce i profili social di sua zia che fa lavori all’uncinetto e li vende su web o della pizzeria da asporto o della pmi che fa lavorazioni meccaniche?

    se a questi porta valore e loro glielo riconoscono, sempre di lavoro si tratta.

    poi mi stupisco di alcune cose o non condivido la scelta di proporsi gratuitamente, ma sono valutazioni personali che non mettono in dubbio la sua determinazione o la maturità di aver adottato un metodo che – ripeto – molti suoi colleghi più adulti si sognano.

    buon lavoro e studio a tutti

  31. @1 Little Indian
    No, no, no. La polemica sulle PMI non è affatto marginale poiché né Francesco, né Giovanna sollecitata in seguito, hanno spiegato con un paio di righe di dettaglio di quale tipologia d’azienda si trattasse, come se il metodo intraprendente di Francesco funzionasse indipendentemente dal fatto che si faccia web communication per l’estetista all’angolo o per un magazzino di forniture industriali.
    Quindi, poiché abbiamo capito che tutti fanno impresa e tutto lo è, occorre specificare nel dettaglio visto che la categoria del PMI non ci aiuta più a capire di cosa parliamo.
    Il punto qui, non notato abbastanza, è che non può essere eletto a metodo andare in una Piccola o media impresa
    Non vorremmo infatti consigliare come metodo di andare a bussare porta a porta a piccole e medie imprese, spero, nel tentativo di convincerle personalmente di un rapporto causa-effetto tra comunicazione web e aumento di fatturato, condizione (scommessa) a cui vincolare il proprio stipendio dopo avervi lacorato gratis? A questo punto facciamo consulenza d’impresa. Che è un altro mestiere, un’altra facoltà, e sopratutto altri stipendi.
    il metodo-Francesco può funzionare con la microimpresa, nel senso di intortare il gestore di un pub ad allargare lo spettro della sua clientela nonostante non si capisca come tale gestore (e vale per ogni microimpresa) possa verificare dopo un mese “l’aumento di valore”. Certo, può succedere, ma la valutazione non sarà economica bensì umana.
    Insomma, al postuttto di queste estemporanee considerazioni, se io dovessi cercare lavoro la lettura di un racconto simile, tutto basato sulla fortuna intraprendenza personale e non sulla sistematicità ripetibile di un metodo, ne uscirei fuori scornato e razionalmente demotivato.

  32. Morena, grazie per i tuoi interventi. E grazie anche per aver colto un punto. C’è sempre un certo grado di aggressività nel tono con cui intervengono alcuni commentatori su questo blog. In particolare, in questi giorni, il commentatore Ugo si dimostra piuttosto irrequieto. Ma ce ne sono anche altri, come ad esempio colui che per molto tempo si è firmato luziferszorn e ultimamente si firma luzy o qualcosa del genere. Premetto che non li conosco né li ho mai incontrati, anche se ormai accompagnano la mia quotidianità in rete fin dal 2008, e dunque fanno parte della mia vita “virtuale”, diciamo così.

    In questa “pura virtualità” io li accetto così come sono, sia perché a volte scrivono cose intelligenti e contribuiscono a farmi imparare qualcosa (come in questo caso è successo a te, grazie a Ugo, anche se la cavillosa disquisizione sulle piccole imprese era marginale rispetto al tema del post), sia perché credo che esprimano un malessere, a volte più acuto, a volte meno, ma in ogni caso un malessere: non solo il loro, che mi pare chiaro, ma un malessere più generale (la rete? la crisi? i temi di questo blog? il modo in cui io stessa li propongo? chissà), un malessere che credo sia giusto lasciare esprimere. Li accetto al punto tale che li ho persino ringraziati alle fine del mio libro “SpotPolitik”, loro come altri: persone che non conosco ma che, pur col veleno sempre in coda, mi hanno spesso aiutata a riflettere. Ho ringraziato loro come molti altri commentatori (la maggioranza, per fortuna) che riescono a intervenire, magari anche criticando (le critiche sono sempre ben accolte, in questo spazio), ma senza mai metterci quel quid di emotività negativa (e a volte persino di maleducazione) che loro ci mettono. Ma tant’è, fa parte del gioco di tenere un blog e di questo sono consapevole: ci sono le persone gentili e quelle che non lo sono.

    Se un bel giorno però riuscissero a evitare certa inutile animosità, non solo ne saremmo tutti più felici, ma credo ci guadagnerebbero loro per primi. Tanto per dire. Nei giorni in cui Ugo, Luzy e altri intervengono col sorriso, sono contenta per loro, perché mi dico: “Oggi Ugo sta bene. Oggi Luzy è contento”. Quando mi aggrediscono, mi dico: “Oggi ce l’ha col mondo, chissà cosa gli è successo”. Poi per fortuna passa, e domani è un altro giorno. Quando addirittura spariscono per un po’, li immagino finalmente sereni, da qualche parte nel mondo reale, magari a prendere il sole su qualche spiaggia caraibica. Poi però tornano, sempre col veleno. È da anni che va così. La vita è dura, cara Morena, e per chi combatte tutti i giorni contro certi brutti fantasmi neri, lo è ancor di più.

    Benvenuta fra noi Morena. E grazie per l’equilibrio e la morbidezza che hai portato. 🙂

  33. Ugo, a ridanghe. Francesco non ha spiegato “la tipologia” dell’impresa blablabla e ha preferito l’anonimato per una semplicissima ragione. Ogni volta che pubblico un’esperienza positiva, i commenti si fanno si fanno acidi, contorti, involuti. Sembra non si voglia perdonare a nessuno di essere capace, di avere successo. Metterci il nome e cognome, fare nomi di aziende, precisare guadagni eccetera, porta guai a chi lo fa. Capitato, provato. Dunque sono io per prima che dico: teniamo l’anonimato. Non crederanno all’autenticità di ciò che sta scritto? Peggio per loro.

    By the way. Ogni volta che invece pubblico un’esperienza negativa, sono tutti pronti a fare “pat pat” sulla spalla e piangere con chi ha raccontato la disgrazia. Anche in quel caso i guai possono arrivare, ma il rischio è molto inferiore. Ci sarebbe da riflettere su questo punto, non trovi?

  34. @Giovanna Cosenza
    Io pensavo che il tuo blog incentivasse il commento al fine di emendare gli eventuali punti deboli del contenuto del post stesso e che perciò commenti più utili fossero quelli tecnicamente polemici. Ora scopro che questa funzione serve a trattare me ed altri alla stregua di psicolabili, depressi patologici che si sfogano qui del loro malessere esistenziale.
    E tu, indulgente psicoterapeuta, che ascolti e passi oltre, con la pacca sulle spalle a questi poveri (de)relitti persi per il web.
    Resto basito da tale snobistica arroganza.
    Tu premetti che non mi conosci e non mi hai mai incontrato. Bella faccia da culo quella di chi, Pietro, rinnega pure chi si è laureato con lei a firma relatrice. Complimenti. Niente male davvero.

  35. Ugo, ebbene, sì, facciamo coming out. Un giorno ti laureasti alla triennale con me come relatrice. Erano i primi anni Duemila, se non ricordo male. E fu l’unica volta che in vita mia non fui presente alla sessione di laurea, giustificandomi, per motivi personali. Anni dopo una volta venisti a trovarmi in studio, caro Ugo. Quattro anni fa? Tre? Non ricordo di preciso. Per me era la prima volta che ti vedevo: fosti tu a ricordarmi l’episodio della laurea. Diciamo allora che ti ho incontrato talmente tanti anni fa (qualche colloquio prima della laurea?) e così poche volte (due o tre in tutto in dieci anni e passa), che se io camminassi per strada e tu transitassi di fianco, non ti riconoscerei proprio. Ho mentito disconoscendoti, allora? Si può dire che ti conosco nella vita reale per averti incontrato una volta in studio? Nessuno, credo, potrebbe dirlo.

    Inoltre, quando eccedi con la maleducazione e l’aggressività (nei miei confronti o di chiunque altro), non solo non ti conosco, ma proprio non ti riconosco né ti voglio riconoscere. Quindi piantala, una buona volta e ricordati che non desidero affatto mettermi nel ruolo di “indulgente psicoterapeuta” (che poi non è psicoterapia, altrimenti staresti già meglio, ma solo pazienza, la mia). Ci sono semplicemente costretta da chi fa come te.

  36. @Giovanna Cosenza
    Ecco, allora visto che i panni li laviamo in pubblico e hai deciso che sputtanare è l’ultima ratio per salvarti la faccia facciamo outing.
    Veramente non sono mai venuto di mia sponte nel tuo studio post laurea: o meglio. Mi ci hai chiamato tu (3 anni fa, quindi secoli dopo) perché volevi propormi un lavoro a cui non ero interessato per il pretesto di incontrarmi.
    Così come volevi incontrarmi privatamente a Giugno di quest’anno, visto la nostra corrispondenza personale che ogni tanto teniamo, ma non sono mai venuto. Tra l’altro ricordi i tuoi ringraziamenti a me ed altri nel tuo Spotpolitik, come se il mondo girasse attorno a te – e in effetti dev’essere così per il tuo ego visto che all’epoca mi hai in privato addirittura chiesto di inventarmi quattro righe “divertenti” da infilarci (e le hai infilate) quando hai invitato i lettori a cimentarsi sulle liste di Destra e sinistra (e chi si va a rileggere il post dell’epoca noterà a verifica di ciò che dico che quel che scrissi all’epoca non ha nulla a che fare con quello che è finito nel tuo testo a mia firma che nel blgo non c’è). Il divaolo sta nei dettagli e perciò l’aspetto più narciso è l’aver pensato che la cosa in sé fosse lusingante per chi vi appariva e non invece una letterale scocciatura e – tecnicamente e per quanto piccolo – un favore.
    In ogni caso, dire che non mi conosci e non mi hai mai incontrato è – tecnicamente? – una balla.
    Poi se vuoi prendere le distanze dalle critiche volte agli inconsistenti testi e personaggi che sempre più spesso avalli in pubblico e hai criticato in privato, faccenda tua. Critiche precise a cui però non hai risposto svicolando sui problemi psichiatrici, a tuo dire, dei tuoi lettori, me in primis. Imbarazzante.
    Oh, non te la devi prendere se ti rimbalzo in privato e non rispondo da mesi alle tue mail. È che a me interessano gli argomenti in pubblico.

    Ora, ti pare che questa sceneggiata fosse necessaria? Se la prossima volta magari non dici balle si evita di mettere in pubblico i cazzi di ciascuno. Perché le balle son balle e poi rischi figure barbine tirando fuori il privato degli individui e lanciandoti andare addirittura nella pretesa di psicologizzarli per screditarne sottilmente le critiche che ti vengono poste.
    Quando poi trovi il tempo magari fatti spiegare da qualcuno (bravo) quali processi di rimozione sono in atto quando uno scrive falsamente: “Premetto che non li conosco né li ho mai incontrati.”
    Alla fine della fiera non c’è alcun problema: nessuno ti obbliga a essere migliore di quello che sei. Quanto a me nessuno mi costringe a frequentare ulteriormente questi spazi.
    Come vedi hai ottenuto il tuo scopo. Ma da un punto di vista comunicativo c’erano altri modi e tu ne hai scelto uno davvero pessimo..

  37. Ugo, mettila come vuoi. Va benissimo, ognuno si farà la sua opinione. Non ho mai cancellato i tuoi commenti e non l’ho fatto nemmeno stavolta. Ora basta però: la rete è grande, commenta altrove.

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  39. Gli ultimi commenti di Ugo mi tranquillizzano. Non e`chi pensavo (temevo) fosse. Mi dispiacera`non leggere piu`i suoi commenti, davvero. Io non ho la stessa profondita` di pensiero, mi limito ad ascoltare. Sia Giovanna, quando dicre cose (per me) interessanti, sia Ugo, sia (pochi) altri qui sopra.
    Neanch`io ho apprezzato molto la notazione psicoterapica e compassionevole di qualche post fa. Se fosse stata diretta a me, mi sarei incazzato. Spero che sia stato solo un momento di sfogo.

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