Volkswagen Golf: verso un’immagine d’uomo diversa?

In fondo a te basta sapere che è una Golf

Per completare i ragionamenti di ieri sull’immagine del maschio italiano che emerge da certe pubblicità di automobili, mi sembra interessante riflettere sull’ultima campagna di Volkswagen Italia per la Golf, realizzata dall’agenzia stvDDB, che si contraddistingue per lo slogan “In fondo, a te basta sapere che è una Golf”. Qui abbiamo un giovane (un figlio?) che si contrappone a un uomo più agé (il padre?), ostentando indifferenza e noia – e pure un pizzico di superiorità nell’espressione finale del volto – rispetto alla competenza sulle caratteristiche tecniche dell’auto ostentata dall’adulto, che in questo invece obbedisce allo stereotipo del maschio medio italiano, che lo vuole ossessivamente attento a tutto ciò che riguarda auto e motori. Detto in altri termini, il giovane sembra aver superato lo stereotipo in cui cade l’adulto, e sembra averlo superato al punto da non preoccuparsi nemmeno di fingere competenze che non ha.

Interessante, poi, confrontare il comportamento del giovane con quello della mamma che appare nel secondo spot della stessa campagna: qui è un bimbo maschio a spiegare le caratteristiche tecniche della Golf alla madre, mentre dalle reazioni di lei si capisce che nulla sa e nulla vuole sapere (le basta il marchio Volkswagen per fidarsi), anche se alla fine – per non perdere la sua autorevolezza di madre – finge di sapere. Insomma, il superamento dello stereotipo messo in scena dal giovane uomo (che dal confronto con la madre risulta quasi femminilizzato) non si dà nel bambino, anche se la simpatia (e dunque la valorizzazione suggerita dallo spot) va più verso l’indifferenza della mamma che verso l’atteggiamento saputello del ragazzino.

11 risposte a “Volkswagen Golf: verso un’immagine d’uomo diversa?

  1. Perfetto. Cosenza e luzy sono in sintonia perfetta; postano nello stesso istante lo stesso discorso, solo con una piccola quasi impercettibile differenza…………

    Pubblicità educativa universitaria fai da te? Ahi, ahi, ahi, ahi!

    Se la pubblicità è qualcosa di invasivo nella nostra vita, per evolvermi dal mio stato di babbeo, oggi come oggi, devo innanzitutto eliminarla dal quotidiano. Poi, dopo, solo dopo, posso cominciare a ragionarci sopra. Chiedere che la pubblicità si evolva diventando “educativa” significa credere in una dimensione di assoggettazione permanente dell’essere umano. Che senso ha lo spot pubblicitario che racconta storielle deficienti, o “educative”, in una idea evoluta di società? Le storielle appartengono all’epoca di Carosello. Ce ne dobbiamo liberare. Punto! Se vuoi presentarmi un’automobile fammi vedere l’automobile e non un vecchio rimbambito che tenta di scoparsi la moglie.

    Tra la pubblicità demenziale e becera e quella “educativa” preferisco la prima. Perché procura un fastidio di facile individuazione e di cui l’essere umano tende a liberarsi, prima o poi (questo thread e decine di altri ne sono la prova: in una maniera o nell’altra nessuno vuole sorbirsi questa roba). La pubblicità politicamente corretta ed educata, concepita per educare la massa, produrrà solo l’annichilimento e l’assoggettamento definitivo della razza umana a quello che voi, carissimi docenti universitari, chiamate “obsolescenza programmata”. Questo è intollerabile ed è questa prospettiva che si sente spesso dipingere quando si cerca di combattere l’abuso della sessualità in pubblicità: fateci vedere donne e uomini normali… Ma neanche per idea! Dio ce ne scampi! La normalità, la realtà, non vive nella pubblicità. La pubblicità è non-realtà e tale deve rimanere se non è in grado di evolversi in una dimensione di comunicazione logico-funzionale superiore. L’iperbole dell’umano raffigurato in pubblicità ci salva dall’identificazione totale con il pirlottone sessualmente inibito che ha una fantasia erotica mentre guarda l’automobile parcheggiata a lato strada.

    Quindi l’unica maniera per rendere la pubblicità televisiva accettabile è spazzolare via tutto il ridondante è puntare sul prodotto. Se il prodotto vale, terrà la scena da sé.

  2. Fin ora avevo visto solo la pubblicità con la mamma e il bambino, e mi ero un po’ indispettita perché c’è il solito cliché della mamma che non sa guidare o che non sa nulla di auto.

  3. Bah, non se ne viene fuori. I pornocasalinghi-rinco-registi-autori italiani (tutto in uno) mettono le pillole nel serbatorio, mentre i tedeschi continuano a raccontare agli italiani di supremazia tecnologica. E le donne sono le eterne seconde anche quando hanno le sembianze della Schiffer e sopperiscono furbescamente alla loro incolmabile inferiorità psichica con il servomeccanismo che “basta schiacciare un bottone” della Oh! opel (sottointeso che il maschio, invece, mica scemo, è sempre in grado di scendere da una rampa elicoidale a occhi bendati come Tazio Nuvolari).
    La verità è che le auto sono una commodity più che matura, che il design (lo styling) è alla canna del gas (vedi quella schifezza inguardabile del frontale della nuova Yaris alla cui guida c’è l’alias di Ali Acga che canta a squarciagola – e che avranno da cantare i ragazzi a bordo di quella patacca? Che essendo dentro non ne vedono il fuori?) e che il marketing, esauriti i deserti, le lande incontaminate e i muri imbrattati, deve ricorrere alle demenze senili per avere un minimo di sub-attenzione almeno dalle casalinghe pensionate mentre si godono i cuochi che “vanno a” pelare, che “vanno a” tagliare alla giulienne, e che mai acquisteranno un’autovettura. Volkswagen insiste con la superiore tecnologia teutonica da ventennio nazifascista (che è da almeno un secolo che ci hanno detto che l’hanno più grosso del nostro e noi l’abbiamo creduto), sapendo bene che le auto sono sempre più simili, formate da componenti che provengono da ogni parte del mondo, assemblate da operai turchi e polacchi, dove solo qualche inutilissimo gadget può forse svolgere il ruolo di becchime per polli.
    La comunicazione non è da meno, e se fosse, come vorrebbe luzy, descrittiva del prodotto, rivelerebbe tutta l’inconsistenza di una merce dall’obsolescenza programmata (cinque anni), fatta per essere consumata nel più breve tempo possibile e sostituita prima di ogni ragionevole ragione, solo perché è arrivato il restyling che ha fatto invecchiare la stessa identica scatola di latta che tanto aveva attratto e appassionato durante la puntata precedente della soap. La pubblicità cretina è lo specchio di una merce altrettanto cretina, ammantata di novità che molto rapidamente si rivela per ciò che è: fuffa stantia e un po’ rancida.

  4. Sto scrivendo questo commento con la pubblicità del ragazzino e della mamma che passa alla tv 🙂

    La cosa che mi era piaciuta di più, la prima volta che vidi lo spot con protagonista il ragazzo, era stata il vedere un uomo, peraltro giovane, fosse mostrato come indifferente ai vari ed eventuali tecno-potenziamenti della macchina di turno. Per una volta non è la donna a sembrare incompetente e/o indifferente dietro il volante! mi sono detta. La “seconda puntata”, con madre e figlio, ha sgonfiato non poco il mio entusiasmo, lo devo ammettere.

    Sulla pubblicità della Fiat 500 Crossover non so trovare parole, temo. Continuo nonostante tutto a stupirmi dei livelli di banalità scontata e stereotipata raggiunti da certe pubblicità. Possibile che ci sia una tale carenza di creatività ed idee diverse? Sarebbe interessante vedere se questa pubblicità aumenterà le vendite oppure no … no, forse non voglio saperlo, la risposta potrebbe essere ancora più deprimente.

  5. E’ bello leggerla… spesso non ci si fa caso!

  6. Simpatica la pubblicità del bambino. Non ci offendiamo, tanto lo sappiamo che i bambini ne sanno quanto le mamme! XD
    Ma, negli anni, la mia preferita rimarrà sempre questa!

  7. ma perchè dare queste interpretazioni forzate? L’azienda produttrice delle auto vuole far risaltare il suo marchio per incrementare le vendite. Costi quel che costi; che si tratti di svilire il maschio, l’eunuco o il velociraptor. Leggere in ogni secondo delle visioni di genere, pseudo messaggi subliminali, cospirazioni…. Io non sono d’accordo. Ridurrei il tutto al mero commercio e relativo marketing; si cerca di far emergere la forza del brand a discapito dell’analisi tecnica della vettura che comunque avviene e non lesina complimenti. Tutto il resto è fuffa.

  8. Sono intervenuto altre due volte sul tema proposto da questo e dal precedente post. Vorrei aggiungere un’ulteriore considerazione che non so bene se è off topic o se è invece il topic reale di disambiguazione.
    Chiedo a Giovanna Cosenza un suo parere, dato che questo blog è di semiotica e non di sociologia dei consumi.
    Le auto, come ogni altro prodotto industriale, sono il risultato non tanto di un progetto tecnico quanto di un progetto sociale e politico. Il progetto tecnico è solo uno strumento che consente la fattibilità di un’idea già definita.
    Uno studio avanzato proprio della VW ha dimostrato che, a parità di costo, è possibile produrre auto della durata media di trent’anni, con una percorrenza di oltre un milione di chilometri, con un consumo di un litro di carburante ogni 45 chilometri, e con un costo di manutenzione proporzionalmente di molto inferiore all’attuale. La spesa complessiva nei 30 anni si ridurrebbe a meno di un quarto dell’attuale (e per questo probabilmente non si farà mai).
    Questa ricerca è finalizzata a valutare l’eventualità di non vendere l’auto ma di darla in locazione a lungo termine.
    È un’alternativa analizzata anche dai produttori di elettrodomestici, i quali potrebbero affittare la lavatrice completa di manutenzione, oppure potrebbe essere la società che fornisce l’energia a fornire l’elettrodomestico e metterne i costi in bolletta.
    Una scelta di questo tipo produrrebbe auto o lavastoviglie profondamente diverse dalle attuali, poiché sarebbero fatte per durare senza guasti e con una manutenzione minima programmata meno onerosa possibile per il fornitore.
    Ovviamente ciò costituisce un cambio di paradigma profondo. Chi vorrebbe avere la stessa auto per trent’anni? Io sì, e già cerco di farlo. Avendo coscienza dei costi ambientali e della devastazione che lo sfruttamento intensivo delle risorse comporta per le generazioni future.
    Ma finché gli artefatti saranno dominati, nella loro configurazione, dalla finanza più che dall’etica o dall’economia nel senso di risparmio, il risultato sarà che occorrerà sempre di più, sopratutto per i prodotti maturi, dove l’innovazione delimitata dalle strategie stantie del marketing può produrre solo gadget dispendiosi quanto inutili, ricorrere a una comunicazione sessuata, tecno-iperbolica, categorizzante, discriminante e stigmatizzante, sostanzialmente idiota, capace di produrre piccole ilarità, ma non più delle barzellette della Settimana Enigmistica.

  9. Quando ho visto questa pubblicità ho pensato ai miei quasiventanni di lavoro in una vita normal-grigia-standard; quella normale. Immerso in persone normali, niente creativi che qui, niente letterati che la.
    Vita da azienda, da fabbrica, di provincia. Però attraverso il lavoro e le competenze di diversi lavori che richiedono precisione e conoscenza.

    Questa pubblicità sembra semplicemente prendere atto che il nuovo uomo-fico è un coglione ignorante, incompetente, che non sa che diavolo compra, che non sa come fare praticamente niente. L’unica cosa che sa è che il suo amico SFIGATO (lui che le cose le sa, ma che barba però … però so che le sa, risolve sempre i casini) si fida … e quindi, petto gonfio, pensa “lo dice persino lo sfigato nerd”. Perché il nerd, quello che le cose le sa, ha lasciato il posto al geek, quello che i gadget tecnologici nuovi li vuole e basta, come il famoso paio di scarpe nuove per la donna stereotipata.

    Quel tizio alla guida è semplicemente “l’uomo di oggi”. Uno che non sa e non vuol sapere. Si fida di quelli che sanno … anche se … my god … sono COSI’ sfigati…

    E così il bambino: su, caro, non rompere. Mamma sa. Anche se non sa.

    E così ecco che si fa un mega-branco di debosciati, tutti felici perché insomma la golf è sempre la golf, dai. E comunque se va o non va lo dice lo sfigato. E lui ha detto che va. Quindi a posto.

  10. Questa pubblicità sembra semplicemente prendere atto che il nuovo uomo-fico è un coglione ignorante, incompetente, che non sa che diavolo compra, che non sa come fare praticamente niente.
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    Lol! Dici così perché ancora non hai visto la pubblicità col grassone, panzone, orrendamente soddisfatto del suo stato di consumatore annichilito… Forse ci stiamo avvicinando alla catarsi finale.

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