
Un paio di mesi fa ho deciso di parlare di maternità, anche se non sono una “mamma naturale”. E anche se difficilmente parlo in pubblico del mio privato. Ho voluto farlo per questi motivi.
(1) La maternità è un concetto molto vasto, che non riguarda solo le “donne che hanno partorito”, ma tocca tutte e tutti, non solo perché tutte e tutti abbiamo, o abbiamo avuto, una madre (naturale o meno, femmina o maschio, non importa), ma perché tutte e tutti possiamo, e a volte dobbiamo, essere madri in varie relazioni: con amiche e amici, compagni e compagne di vita, mariti, mogli, fratelli, sorelle, allieve e allievi, dipendenti, collaboratori e collaboratrici, e anche con le conoscenze più superficiali, come quelle di vicinato, ad esempio. Ma ti dirò di più: si può essere madri persino con la propria madre e il proprio padre, non solo nella vita adulta o quando sono anziani, ma fin dal’infanzia.
(2) Da qualche anno sto riflettendo sui confini fra pubblico e privato, specie per chi, come me, lavora (e insegna) nella comunicazione. In un mondo in cui la tendenza è esibire anche le vicende più intime, la mia scelta è sempre stata la riservatezza. Nella didattica, però, l’esempio conta molto più delle spiegazioni e gli esempi migliori sono sempre i più concreti e diretti. Come escludere, allora, i vissuti privati dall’insegnamento e dalla divulgazione? È la domanda che mi faccio sempre. Nel tempo, ho gestito il confine fra pubblico e privato in modi diversi. E negli ultimi anni, ho inserito sempre più ingredienti personali nelle mie relazioni con le studentesse, gli studenti e con tutte le persone, di tutte le età, a cui faccio formazione. Senza esibire nulla, ma selezionando, di volta in volta, l’ingrediente privato che potesse essere più utile a chi mi ascolta o legge.
Perché, allora, ho rilasciato questa intervista? Perché in Italia si fanno sempre meno figli, perché sul tema della famiglia dominano stereotipi vecchi almeno cinquant’anni, perché in Italia il sessismo non muore mai, e perché tutto ciò è talmente importante nelle nostre vite, che non si può pensare di stimolare non dico un pensiero critico, ma un minimo di raziocinio, prescindendo da questi problemi. E poi è ora di smetterla col mito della maternità naturale, tanto astratto quanto pesante, al punto che schiaccia tutti e tutte: madri (naturali e non), figli e figlie (naturali e non), padri (naturali e non), persone che non hanno figli/e (per scelta o necessità) e persino gli animali domestici, che troppo spesso sostituiscono la prole mancante. Ho scelto il formato pop della comunicazione etica di un’azienda rivolta al mercato di massa, perché volevo dare una forma leggera a contenuti impegnativi. Il risultato è questo. Spero sia utile.
Grazie Giovanna per le tue parole. Essere madri (e padri) è la cosa più difficile al mondo, ma forse anche la più entusiasmante. Non dovremmo certo relegarlo a un ruolo biologico, a uno stereotipo, a un ruolo rigido, sarebbe un vero peccato.
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Credo che la maternità biologica, (quella di fare un / una figlia in nove mesi poi di partorirla eccecc debba essere ancora molto molto indagata dalle donne stesse perché le riguarda) per ora tranne poche eccezioni, per mancanza di dati, per introiezione del pensiero patriarcale che ancora permea la vita di tutte e tutti , per ragioni religiose ecc ecc credo sia difficile capirci qualcosa… sempre più però viene meno il credere alla favoletta della mamma felice col bambinO e così sia . Tutto il mio rispetto per chi ci prova( a capire) e per chi lo è ( madre e padre con le difficoltà del nostro tempo) per chi lo vuole diventare o essere nei mille modi possibili e ce la fa
Ha avuto coraggio Prof. a toccare argomenti così importanti e problematici.Soprattutto nelle culture mediterranee come la nostra.Credo però che i concetti e la considerazione di paternità o maternità naturali cambino e si evolvano coi tempi,portando un briciolo di civiltà nelle relazioni tra generi e nella cultura.Forse considerandoli in maniera più generale e dando peso alla relazione formativa simmetrica tra maternità naturale e acquisita ,si potrebbe discutere su valori più aperti e conviviali tra le persone.Forse,perchè bisognerebbe sperimentare queste emozioni e relazioni straordinarie,in vari modi,e maturandole nei rapporti quotidiani con le altre persone. Ritengo però che il momento per fare il salto sia ancora prematuro perchè le incrostazioni delle abitudini e delle istituzioni sono ancora potenti,tanto che la maggioranza delle famiglie considera questi comportamenti alla stregua di un possesso,volendo plasmare la prole secondo i rigidi principi, giusti o sbagliati, della propria cerchia,piuttosto che iniziare una relazione di altro ordine educativo e formativo.Egoisticamente infatti vale anche la perpetuazione dei propri DNA o la trsmissione del proprio cognome,a contenere atteggiamenti materni /paterni diversi e più cpmprensivi.Giustamente dice che anche gli animali nelle famiglie,in cui non ci sono figli, vengono plasmati ad uso e consumo dei casuali genitori.Speriamo che le nuove generazioni siano più libere di noi ed abbiano relazioni meno egoiste e stereotipate delle nostre.
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Mi hai ispirato un comizio, una specie di risposta: https://ilcomizietto.wordpress.com/2022/06/25/essere-genitori/