Buona notizia: Yamamayci prova sul serio a cambiare (un pochino) il tiro in pubblicità. Ecco infatti la sua campagna stampa per San Valentino 2012: volti e corpi belli ma meno plastificati di come di solito appaiono nelle campagne di intimo, più normali. E ci sono pure (uh!) due coppie omosessuali: una gay e l’altra lesbica (forse, perché il bacio su una guancia potrebbe essere fra amiche).
Non è detto che siano proprio i volti e corpi di coloro che hanno mandato il loro scatto di coppia, ma l’idea è che ci somiglino. E per ogni foto che Yamamay ha ricevuto fra il 7 e 14 febbraio, donerà un euro a Anlaids. Speriamo che il narcisismo degli/delle italiani/e gliene abbia fatte mandare tante.
Seguo la comunicazione del gruppoCalzedonia (di cui fanno parte Intimissimi e Tezenis) da due anni ormai. E posso dire – evviva! – che c’è stato qualche progresso.
Piccoli e timidi passi, ma li stanno facendo. Arriviamo infatti allo spot di quest’anno, sempre firmato Saatchi & Saatchi (gli stessi di «Sorelle d’Italia»), con cui Calzedonia festeggia i suoi 25 anni.
Siamo sempre immersi nell’atmosfera patinata ed estetizzante tipica di Calzedonia, sempre di fronte a volti e corpi bellissimi, tendenzialmente bianchi e coi capelli lunghi e vaporosi. Ma lo sforzo di metterci una spruzzatina di maggiore varietà va riconosciuto.
Le donne, per esempio, non si limitano a sorridere guardando l’orizzonte ma hanno un lavoro: certo, fanno le hostess come una Barbie anni Sessanta e le ballerine di un musical che pare Moulin Rouge!, ma per fortuna fanno anche le calciatrici come in Sognando Beckham.
Anche gli uomini, per par condicio di stereotipi rétro, sono immersi in un’atmosfera da film anni Ottanta, perché fanno gli «ufficiali gentiluomini» e li vediamo tutti concentrati in un simbolico alzabandiera.
E poi ci sono i bambini, che a scuola stanno ben attenti a un maestro che pare uscito da L’attimo fuggente, tutti tranne un maschietto riccioluto, che si distrae pensando alla sua stanza con gli aeroplanini, mentre appare la scritta «Da soli si va più veloce». E alla fine suona la campanella e tutti insieme corrono via felici, mentre appare «Ma insieme si va più lontano» (perché per Calzedonia sono «25 anni insieme»).
Insomma, l’azienda veneta ce la sta mettendo tutta, pur nei limiti del suo stile di comunicazione. Peccato che i progressi si notino solo nella versione lunga dello spot e nel film che ne celebra il backstage, perché la versione di 23″ Donna ritaglia i soliti frammenti di gambe e sederi perfetti.
Per fare qualcosa di nuovo, invece di mettere canottiera e mutande da uomo su un maschio lucido, palestrato e ammiccante al mondo gay, li hanno messi sulla modella russa Irina Shayk, testimonial di Intimissimi Donnadal 2007 (clic per ingrandire):
Il caso potrebbe essere liquidato come l’ennesimo uso pubblicitario del corpo femminile. La discussione, allora, si potrebbe svolgere più o meno così:
«Invece di usare il corpo maschile per l’intimo uomo, mo’ i pubblicitari sfruttano quello femminile pure per questo! Ma che si mettano le loro mutande da soli, ‘sti maschilisti insopportabili!»
«Ma no, esagerata, guarda meglio: è meno grave di altre volte, perché pubblicizzano un prodotto per cui il corpo è pertinente. Inoltre la ragazza è più vestita che nella media di pubblicità per intimo. Dunque…»
«Vabbe’, ma che palle lo stesso!»
Ma vorrei fingere per una volta di non essere in Italia, dove siamo ormai ossessionati da sesso, sessismo e antisessismo. E vorrei guardare oltre.
La pubblicità indubbiamente colpisce. Se non altro perché, la prima volta che la incontri, all’inizio ti paiono strani quei mutandoni grigi e alti sulla ragazza, poi leggi Intimissimi Uomo (uomo!) e finisci per tornare sui tuoi passi, a controllare se non hai sbagliato.
A quel punto, qualcosa ti scatta in testa. Non è chissà che, intendiamoci, ma qualcosina in più rispetto al piattume delle solite pubblicità per intimo. Qualcosa che scatta indipendentemente dal tuo genere sessuale:
Maschio etero. Vabbe’, è la storia più semplice: state giocando e le hai chiesto di indossare la tua bianchieria. Donna travestita da uomo, Nove settimane e mezzo, uauh, che sesso. È ciò che avevano in mente i pubblicitari.
Donna etero: mi piace la tua biancheria, è comoda, me la sono comprata e la metto. Che te ne pare?
Donna lesbica: vedi maschio etero e donna etero, mescola e aggiungi altri ingredienti se ti va.
Maschio etero attratto da transessualità e androginia: pensaci, ce n’è anche per te.
To be continued (grazie a Sandro per le utili osservazioni).
La novità più interessante delle affissioni (e insisto: solo di quelle) sta nel fatto che la modella allude a qualche forma di attività: gli scatti fotografici sono infatti interpretabili come fermi immagine di una storia più ampia, in cui la ragazza non è immobile, non è passiva, non si limita a farsi guardare – come fanno tutte le modelle – ma è un soggetto attivo dotato di volontà e addirittura intraprendente.
Ma è solo mezzo spunto, purtroppo.
Infatti nello spot la modella torna passivissima. La fantasia dei pubblicitari è stata insomma, come al solito, molto più limitata e piatta di come avrebbero potuto. A questo proposito, leggi anche il post di Giulia, su Un altro genere di comunicazione.
Mi segnala Luca di Zeroviolenzadonne.it che dieci giorni fa Intimissimi ha lanciato lemutande per uomo «Bunga Bunga Dance»: vi compare la caricatura di una ragazza di colore che, sorridente, è inseguita da vecchiotti in giacca e cravatta che la rincorrono con la lingua di fuori, man mano spogliandosi. Ecco le mutande come appaiono in una vetrina di Genova.
Fronte e retro (clic per ingrandire):
Ora, è chiaro il riferimento alle varianti di Bunga Bunga Dance che a fine 2010 sono state inventate da alcune palestre e discoteche italiane sulla falsariga della canzone parodistica di Elio e le Storie Tese (QUI il video di Elio). Le ritroviamo anche su YouTube (basta cercare «Bunga Bunga dance» o «ballo Bunga Bunga»), dove alcuni hanno tentato il colpaccio del video virale, sperando che per ottenerlo bastasse andare a traino dello scandalo Ruby e della parodia di Elio.
Non ci sono riusciti, però. Né mi risulta che le discoteche e le palestre abbiano per questo aumentato il loro fatturato nel 2010.
Mi stupisco che, prima di tentare il suo, di colpaccio, Intimissimi non abbia riflettuto sul silenzio che ha avvolto questi tentativi invernali. Una sordina che suppongo (e spero) si trasformerà in un flop per Intimissimi, specie ora che sono passati alcuni mesi e l’aria attorno a queste vicende si è fatta ancora più pesante.
Non penso infatti che saranno molte le italiane disposte a regalare queste mutande ai loro uomini, né che saranno molti gli uomini che le compreranno per sé o le regaleranno a qualche amico o parente, neanche per «fargli uno scherzo». È come dirsi o dire all’amico/fidanzato/parente «Sono/sei un vecchiaccio bavoso»; è come dirsi o dirgli che è meglio pagarsi una prostituta: «Tanto, nessuna donna mi/ti vuole». Chi può apprezzare uno scherzo del genere? In questo momento, in questa Italia?
Ma forse sono troppo fiduciosa nel buon gusto degli italiani e delle italiane. Staremo a vedere, chissà. Nel frattempo, propongo a tutti/e di scrivere a Intimissimi (che assieme a Tezenis fa parte del gruppo Calzedonia) una mail analoga a quella che ho appena spedito io (basta solo cambiare la conclusione, l’indirizzo è info chiocciola intimissimi.it):
«Spettabile azienda Intimissimi, ritengo che le mutande “Bunga Bunga Dance”, che avete da poco proposto, offendano:
le giovani donne in generale e in particolare quelle di colore (rappresentandole come ben felici di farsi inseguire da vecchiacci bavosi),
gli uomini italiani (rappresentandoli come vecchiacci brutti e ridicoli),
le relazioni fra i generi sessuali (riducendole a un caricaturale inseguimento fra cacciatori e prede).
Ritengo inoltre che le mutande “Bunga Bunga Dance” danneggino l’immagine dell’Italia, visto che – seppure non commercializzate all’estero e nemmeno in tutta Italia – ricordano in modo macchiettistico ai turisti che in questo periodo visitano le nostre città una vicenda su cui non c’è nulla da scherzare.
Vi chiedo quindi di ritirare immediatamente dal commercio l’articolo, pubblicando una lettera di scuse ai consumatori e alle consumatrici italiane. Finché non lo farete, cesserò di acquistare prodotti del gruppo Calzedonia e userò tutti i mezzi che ho in rete (blog, Facebook, Twitter, Friendfeed, mailing list) e fuori dalla rete (centinaia di studenti a cui faccio didattica) per persuadere il maggior numero di persone possibile a fare come me. Cordialmente, Giovanna Cosenza».
Si diceva – in uno dei primi post di quest’anno (Crisi, bellezza e nostalgia) – che in tempi di crisi la nostalgia ha una funzione rassicurante e consolatoria di assodata efficacia.
In questo quadro va interpretato lo spot che il Ministero della Difesa ha realizzato, in collaborazione con la FIGC, per celebrare i 150 anni dell’unità d’Italia, che ci riporta a una visone idealizzata della provincia italiana anni cinquanta: paesino assolato (del sud?), anziani seduti in strada, ragazzini che giocano al pallone, banda musicale, bella ragazza che si affaccia al balcone (un po’ come quella di Calzedonia, ricordi?).
Il problema non è l’idealizzazione, intendiamoci: uno spot del genere non può prescinderne. Né starei a criticare – con snobismo tipicamente italiota – la retorica nazionalista, se ci aiutasse a recuperare uno straccio di immagine pubblica.
Ma si poteva immaginare un’Italia idealizzata e orgogliosa che, oltre a ricordare il passato (neanche da quello si può prescindere, data la celebrazione), si rivolgesse al futuro: ad esempio rappresentando tecnologie, lavoro sereno, ambiente pulito. Così, tanto per darci una sferzata di vita. Invece per l’ennesima volta si guarda indietro.
Last but not least, come qualcuno ha già notato in rete (ad esempio questa blogger), nello spot le donne sono soprattutto spettatrici: l’anziana, la ragazza alla finestra. Solo la ragazza che suona nella banda è attiva. Ma resta sullo sfondo, perché i veri protagonisti sono i ragazzini che giocano: tutti deliziosi e tutti maschi.
Un’Italia maschile, presa dal calcio e rivolta al passato: ecco come il Ministero della Difesaci invita a immaginare noi stessi. Peccato, perché la confezione e l’impatto emotivo dello spot non sarebbero male. 😦
Picin non entra nel merito della questione principale sollevata dal post e dalla discussione successiva, ma si sofferma solo su due punti:
«Gentile Dott.ssa Giovanna Cosenza e gentili utenti del blog DIS.AMB.IG.UANDO,
Sono Angela Picin e lavoro all’ufficio marketing di Calzedonia.
In merito ai commenti generati dal post della Dott. ssa Giovanna Cosenza sullo spot Calzedonia desideravo precisare due soli punti:
• Calzedonia non ha alcun legame di natura commerciale, sociale od economica con il gruppo Omsa, che allo stato delle cose, altro non è che un nostro competitor dall’interno dello stesso segmento di mercato.
• Per quanto riguarda il canale Ufficiale Calzedonia su YouTube segnalo che abbiamo deciso,nel rispetto di tutti i visitatori, minorenni inclusi, di chiudere i commenti al video spot perché alcuni utilizzavano un linguaggio eccessivamente scurrile e volgare.
Ringraziandovi per lo spazio concesso vi saluto. Angela Picin»
L’anno scorso in ottobre uscì lo spot Calzedonia che declinava al femminile l’inno di Mameli: «Sorelle d’Italia, l’Italia s’è desta…», ricordi? Scoppiò la polemica, cui per diversi giorni contribuirono uomini politici, giornalisti, conduttori televisivi: tutti scandalizzati per il vilipendio all’inno. Lo spot fu denunciato allo IAP, che con pronuncia del 10 novembre 2009 ne ordinò la cessazione.
Allora parlai di doppia tristezza per le donne (La doppia tristezza dello spot Calzedonia). La prima perché, anche se formalmente l’accusa era quella di sfruttare l’inno per scopi commerciali, in realtà si era turbati dalla sua declinazione al femminile. Proprio in quei giorni, infatti, la Costituzione era usata da Ikea per vendere mobili («L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul riposo»), ma nessuno si lamentò.
La seconda tristezza a carico delle donne era più sottile, infida, tanto che molte commentatrici, su questo blog e in rete, la considerarono una mia esagerazione: a loro lo spot piaceva.
Dal mio punto di vista, invece, Calzedonia metteva in scena i soliti stereotipi femminili, il che era triste. Se vuoi magnificare le donne fino al punto di introdurle nell’inno nazionale – mi dicevo allora – rappresentale in modo più vicino alla realtà: mettici donne anziane, giovani rotondette, adolescenti col piercing, bambine di colore. Concediamo pure che siano belle, dolci, smaglianti, ma diverse perché no?
A questa domanda Micaela Trani (art director) e Antonio Gigliotti (copywriter) dell’agenzia Saatchi & Saatchi, ideatori della campagna, diedero la risposta che i pubblicitari danno sempre in questi casi: gli stereotipi ci sono perché li vuole il pubblico (vedi Risposte stereotipate per spot stereotipati).
E così, a distanza di un anno, Calzedonia ci propina di nuovolo spot. Ovviamente privato dell’inno e accompagnato da femmineo lamento, mentre scorrono queste parole: «A chi sorride [sulla ragazza che all’inizio sorride], a chi segue una passione [sulla ragazza in scooter col ragazzo], a chi ha un sogno [sulla bambina che viene pettinata], e a tutte le sorelle d’Italia che non hanno bisogno di parole [leggi: convenzionalmente belle, sorridenti e… mute!].
Chicca finale e coda di paglia di Calzedonia: sul suo canale YouTube ufficiale, dove appare lo spot, i commenti sono stati disattivati.