Oggi su Repubblica Bologna è uscito questo mio editoriale, col titolo «Se l’indeciso decidesse di scendere in campo»:
Anche a Bologna, che un tempo si distingueva per partecipazione civica, l’indecisione e l’astensionismo sono in crescita. Secondo l’ultima indagine di Ispo Ricerche, fra il 18 e 22 aprile il 39,1% dei bolognesi non aveva ancora deciso chi votare e il 4,1% era già sicuro di starsene a casa. Un sacco di gente, insomma, che i candidati corteggiano e inseguono in tutti i modi, perché è dalle loro scelte dell’ultimo minuto che dipende l’esito elettorale.
In questo, Bologna si è ormai allineata alle cosiddette democrazie mature: quando va bene, i cittadini si allontanano dalla politica perché pensano che il sistema funzioni a prescindere da chi lo guida; quando va male, perché rifiutano i partiti e chi li rappresenta.
L’identikit degli indecisi è fra i più difficili da fare: non solo età, sesso, istruzione, ma cosa pensano, che valori hanno e soprattutto perché sono indecisi. A Bologna, fra l’altro, mi pare siano ancora più inafferrabili e trasversali che altrove: possono essere giovani come anziani, donne o uomini, colti e meno colti, di destra o sinistra. E lo dico non tanto per impressioni soggettive, ma per aver valutato alcuni dati.
L’osservatorio Bologna Moodwatcher di Furio Camillo ha presentato in questi giorni il confronto fra un’indagine statistica sulle opinioni dei bolognesi condotta nel 1998, e una degli ultimi mesi. Dal confronto emerge un risultato sorprendente: a dispetto delle dicerie sulla sfiducia e stanchezza della città, in realtà se ai bolognesi chiedi cos’è per loro Bologna, rispondono, oggi con molta più enfasi del 1998, cose come «È un posto di cui vado orgoglioso», «È una città bellissima». Se poi gli chiedi di paragonarla a Firenze, Roma, New York o Parigi, rispondono oggi più di ieri – e la differenza è macroscopica – che tutto sommato qui si sta meglio.
E allora? Come si combina questo col fatto che, come si dice, «i bolognesi sono stufi»? Che molti sono indecisi e forse non voteranno? Si combina e comprende meglio se lo accostiamo a un altro tormentone di questi mesi: che la competizione elettorale sia stata piatta, i candidati non entusiasmanti.
È proprio perché i bolognesi si ostinano a difendere un’immagine ideale di Bologna, allora, che i candidati sembrano ancor meno interessanti di quanto sarebbero in un’ottica più realistica. È la differenza fra il sogno e la realtà, insomma: da un lato, un’immagine nostalgica e ideale della città, dall’altro candidati che non sembrano all’altezza del sogno. Va detto, a onor del vero, che confrontarsi con un sogno è duro per chiunque, anche il più capace.
Cosa vuol dire tutto ciò? Innanzi tutto che il bicchiere è mezzo pieno e che l’indecisione va intesa più in senso buono, perché i bolognesi pensano che tutto sommato il sistema regga a prescindere dal voto.
Bologna si è di fatto impoverita negli ultimi anni (lo dicono i dati 2009 dell’ufficio Programmazione del Comune), ma tutto è relativo: anche il paese, anche l’occidente stano peggio, e i bolognesi lo sanno.
Perciò, se gli chiedi un confronto con altre città, si tengono stretta la loro. Però a votare, «non so, forse sto a casa» o «forse voto a caso», perché «quei signori lì» non sono mica la Bologna «bellissima» che tutti hanno in testa.
L’indecisione può allora essere vista come un desiderio di evitare la realtà e rifugiarsi nel sogno. Ma la realtà va affrontata se si vuole crescere, cambiare, decidere in prima persona invece di aspettare che siano altri a farlo. Anche a Bologna.
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