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Bonino: “Il Quirinale? Non sono handicappata. Per far politica non bisogna per forza essere giovani e forti”

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La frase è sfuggita a Emma Bonino durante un’intervista a Radio Radicale nei giorni scorsi, in cui ha lasciato intendere di essere aperta a un’eventuale candidatura al Quirinale, facendo riferimento alle sue dichiarazioni pubbliche sul tumore che l’ha colpita e puntando il dito contro i pregiudizi, assai diffusi nella nostra società, verso chi non è giovane e sano. Mi esprime le sue perplessità in proposito Simona Lancioni, del Coordinamento del Gruppo donne UILDM: Continua a leggere

Women will save the world? Ma dai

Lunedì ero a Milano, a un incontro organizzato dall’associazione Pari o Dispare, presieduta da Emma Bonino, per presentare il «Manifesto per un uso responsabile dell’immagine femminile in pubblicità», promosso da Pari o Dispare e firmato da diverse aziende, fra cui Amplifon, Eni, Gruppo EffeGi, Maggie, Midali, presenti all’incontro. Questo era il programma (clic per ingrandire):

Pari o Dispare a Milano 4 luglio

Bene che queste iniziative fioriscano (vedi anche Il manifesto deontologico di alcuni pubblicitari). E tutto bene finché abbiamo parlato noi: da Emma Bonino a Cristina Molinari, da Annamaria Testa a Marilisa D’Amico, Giovanna Maggioni e me.

Meno bene quando hanno cominciato a parlare i rappresentanti delle aziende. Per esempio Maggie Jeans che, per dimostrare la sua attenzione all’immagine della donna in pubblicità, ha presentato con orgoglio la nuova campagna «Women Will Save the World».

Quattro ragazze altissime e magrissime, ma per nulla levissime, perché nello spot hanno una faccia talmente triste e/o arrabbiata che non augureremmo quell’umore nemmeno alla peggiore nemica. Quattro ragazze fotografate di spalle, con una striscia rossa all’altezza del sedere che dice a grandi lettere, appunto, «Women Will Save the World» (clic per ingrandire):

Women will save the world

Ebbene, il signore che rappresentava l’azienda (non ne ricordo il nome) si è dichiarato orgoglioso della campagna, per due motivi soprattutto (cito a memoria): la fascia rossa, che finalmente nasconde ciò che le altre pubblicità mostrano (sic!), e lo slogan, che vede le donne come motore di cambiamento del mondo (ri-sic!).

Qualcuno dovrebbe spiegargli che mettere una fascia rossa con una scritta sul sedere di una persona non cambia il focus di attenzione, anzi: dà al sedere un’importanza anche maggiore. E che dire alle donne che salveranno il mondo è il solito, stravecchio, modo di prenderle… per i fondelli appunto. Le donne non salveranno un bel nulla, senza gli uomini e gli altri generi sessuali. È già difficile riuscirci tutti assieme, a salvare il mondo. Figuriamoci le donne da sole.

Né tanto meno lo salveranno le modelle della campagna, dall’alto di quei tetti e tacchi. Guarda anche lo spot:

Il manifesto deontologico di alcuni pubblicitari

A furia di denunciare le campagne che offendono la dignità delle donne – e più in generale delle persone – forse stiamo davvero ottenendo qualcosa. Come dicevo qualche giorno fa, le mosse dei pubblicitari per smarcarsi dalle accuse si stanno moltiplicando. E se molti mi lasciano perplessa perché fanno lo scaricabarile (vedi Pubblicitari, non dite alle donne che sono invincibili) o cavalcano l’onda solo per far parlare di sé, qualche iniziativa per fortuna è seria.

Il manifesto deontologico dell’Art Directors Club Italiano (ADCI), firmato da Pasquale Barbella, Massimo Guastini (presidente dell’ADCI) e Annamaria Testa, è intelligente, ponderato e ben scritto. È stato già approvato dagli ex presidenti dell’ADCI, sarà presentato oggi a Roma al Consumers’ Forum (corso Vittorio Emanuele II, 349, ore 10-13) in presenza di Emma Bonino e Mara Carfagna, e sarà fatto circolare nei prossimi giorni ai soci dell’ADCI, perchè tutti vi si riconoscano.

E facciano seguire le azioni alle parole.

Oltre al manifesto, mi convince il modo in cui Guastini lo commenta sul suo blog:

«Basterà? Certo che no. Serve altro, molto altro. A cominciare da una maggiore onestà intellettuale, da parte di tutti. La voglia di comprendere il “quadro” nella sua completezza, senza limitarsi a punti di vista superficiali o parziali.

Considerare solo la pubblicità significa iniziare questa “battaglia” partendo da un avamposto. Sicuramente è un obiettivo suggestivo e suggestionante, carico di simboli e significati, ma è solo una parte del problema e nemmeno la più grande.

Il mezzo più determinante nella formazione dell’immaginario collettivo è ancora la TV, in Italia. E per legge la pubblicità non può superare il 17%, vale a dire poco più di 10 minuti ogni ora. Degli altri 50 minuti non vogliamo occuparci?

Tuttavia, nel Paese in cui lo scaricabarile è lo sport più praticato dopo il calcio, noi dell’Art Directors Club Italiano possiamo e vogliamo dare un esempio importante. Per questo un manifesto deontologico.»

Mi convince molto, inoltre, la presentazione che Annamaria Testa fa oggi al Consumers’ Forum a Roma. La puoi consultare QUI su Slideshare.net. Questa è la copertina (clic per ingrandire):

Copertina presentazione Testa al Consumers' Forum

Per gentile concessione di Annamaria Testa, pui scaricare da QUI il manifesto deontologico dell’ADCI. Per tua comodità, lo riporto anche di seguito (i grassetti sono miei):

Noi soci ADCI siamo consapevoli del fatto che la comunicazione commerciale diffonde modi di essere, linguaggi, metafore, gerarchie di valori che entrano a far parte dell’immaginario collettivo: la struttura mentale condivisa e potente, tipica della culture di massa, che si deposita nella memoria di tutti gli individui appartenenti a una comunità, e ne orienta opinioni, convinzioni, atteggiamenti e comportamenti quotidiani.

Il nostro mestiere è raccontare le offerte dei nostri clienti attraverso narrazioni efficaci. Ironia, humour, paradosso, appartengono al patrimonio storico del miglior linguaggio pubblicitario. Sono, fra i molti tratti distintivi della pubblicità, forse i più popolari e apprezzati, se e quando vengono impiegati con competenza, precisione e misura.

Per questo crediamo, come professionisti e come individui responsabili, di dover assumere, condividere e promuovere un insieme di princìpi che servano da positivo fattore di sensibilizzazione e orientamento etico per chi, ogni giorno, crea e diffonde linguaggi e simboli. Ad animarci non è un intento censorio, che non ci appartiene, ma il desiderio di portare un contributo positivo alla crescita, non solo materiale ma anche culturale, di questo paese.

In questo spirito sottoscriviamo otto semplici appelli che auspichiamo possano essere raccolti e condivisi anche al di fuori dell’ Art Directors Club Italiano . Non solo dagli altri colleghi che si occupano – in vari modi – di comunicazione, ma anche dagli enti e dalle imprese per cui lavoriamo e da chiunque abbia l’opportunità, oltre che la responsabilità, di veicolare messaggi attraverso i media.

In linea generale, i princìpi cui ci ispiriamo sono già tutelati da altri organismi e, nei casi di infrazione più sospetti, dal codice civile. È nostro intento contribuire, con questo appello, a modificare modalità di comunicazione che, pur lecite formalmente, possono tuttavia favorire il consolidarsi di stereotipi negativi e il deteriorarsi della cultura collettiva.

ONESTÀ

La fiducia è uno dei pilastri su cui si fonda ogni società civile. Tradire la fiducia di altri esseri umani è una forma di inquinamento morale che rende tutti più vulnerabili. Per questo noi soci ADCI ci impegniamo a evitare espedienti retorici tesi a creare aspettative che il prodotto o il servizio pubblicizzato non sarà mai in grado di soddisfare. Fuorviare il pubblico a cui parliamo indebolisce il nostro stesso lavoro.

BELLEZZA

Noi soci ADCI ci impegniamo a lottare ogni giorno contro la trasandatezza, la sciatteria, la trascuratezza e la volgarità, virus la cui diffusione va a discapito della bellezza. «Tutti noi che per mestiere usiamo i mass media contribuiamo a forgiare la società. Possiamo renderla più volgare. Più triviale. O aiutarla a salire di un gradino». (Bill Bernbach).

APPROPRIATEZZA

Ogni volta che creiamo un messaggio noi soci ADCI ci interroghiamo sulla sua appropriatezza. I nostri messaggi entrano nelle case e nelle vite altrui: dobbiamo chiederci sempre se quello che a noi pare appropriato lo sia anche per gli altri. La vera creatività non risiede nella trasgressione distruttiva e fine a se stessa, ma nel reinventare la norma aprendole prospettive nuove e fertili.

RISPETTO

Noi soci ADCI siamo consci che con i nostri messaggi non dobbiamo mai offendere gli altrui diritti e meriti. Nemmeno quando sono i committenti a spingerci in questa direzione, perché accontentarli significherebbe procurare un danno a tutto il sistema. Se la pubblicità non rispetta gli esseri umani nella loro individualità e nella loro differenza, questi smetteranno di rispettare la pubblicità. Sta già accadendo.

CORRETTEZZA

Noi soci ADCI ci rifiutiamo di favorire con il nostro lavoro rappresentazioni gratuite di violenza, in tutte le sue forme: fisica, verbale, psicologica, simbolica, morale. Siamo contrari a promuovere direttamente o indirettamente qualunque tipo di discriminazione, in quanto è essa stessa una forma di violenza.

STEREOTIPI

Una certa dose di stereotipi è necessaria in pubblicità come in ogni forma di comunicazione di massa. Ma l’abuso di stereotipi e cliché relativi a etnie, religioni, classi sociali, ruoli e generi favorisce il consolidamento di pregiudizi e ingessa lo sviluppo sociale, ancorandolo a schemi culturalmente arretrati e quindi dannosi. Dunque occorre usare gli stereotipi con attenzione e consapevolezza, sempre chiedendosi se una soluzione alternativa non sia possibile – e migliore.

INTELLIGENZA

Il fatto che la pubblicità debba essere chiara, diretta e comprensibile a tutti non implica che debba essere stupida, né che si debba trattare da stupido il suo pubblico. Noi soci ADCI condanniamo e combattiamo il ricorso alla stupidità sia come espediente retorico, sia come scorciatoia per guadagnare facili consensi. Difenderne l’utilità a fini comunicativi è un alibi cinico e mediocre, tipico di chi disprezza i suoi simili e di chi è incapace di produrre o riconoscere idee nuove. Per ridurre ciò che è complesso a semplice, senza essere semplicisti e conservandone tutta la ricchezza, occorre – parola di Bertrand Russell – la dolorosa necessità del pensiero.

PUDORE

Consideriamo la sessualità libera da condizionamenti un grande valore, per la donna e per l’uomo. Il nudo in sé non può recare offesa, come l’arte stessa ci ha insegnato attraverso innumerevoli esempi. Ma giudichiamo profondamente scorretto ridurre i corpi umani a oggetto sessuale da abbinare a un prodotto in modo incongruo e pretestuoso, al solo scopo di rendere quest’ultimo desiderabile. Questo schema pavloviano è, oltre che inefficace nel promuovere l’autonomo valore del prodotto, immorale, perché svilisce l’esperienza e l’identità umana.

Uno spot facile ma difficile

Su segnalazione di Luisa Carrada ho visto lo spot della campagna di Emma Bonino per le regionali nel Lazio. La regia è di Francesca Archibugi, la voce è di Margherita Buy, la produzione di Riccardo Tozzi e Angelo Barbagallo.

Mi è piaciuto perché è tutto giocato su un montaggio fotografico, un’idea narrativa e un buon testo. Insomma, non occorrono una regista e un’attrice nota per realizzarlo: bastano una speaker professionista e un/a neolaureato/a in comunicazione che abbia una buona testa e un po’ di esperienza di regia, montaggio e produzione video, per fare altrettanto a costi bassissimi. (E suppongo/spero che Archibugi e Buy non si siano fatte pagare.)

In questo senso lo spot è davvero semplice.

Unico problema: ci vuole una storia densa, interessante ed emotivamente coinvolgente come quella di Emma Bonino, per dare significato e conferire autenticità a quel «Ma io ci sono» finale. Come dire, più in generale: occorre trovare un candidato che abbia idee, contenuti, qualcosa da trasmettere, per farne uno simile.

È qui che il compito si fa difficile. In Italia, quasi impossibile.

Non solo donne per le donne

Il 14 febbraio scorso a Roma, Napoli, Milano, Bologna, diversi cortei hanno sfilato in difesa della legge 194. Nel commentare i cortei, alcuni hanno salutato con gioia la presenza di molte ragazze a fianco di donne mature; altri hanno lamentato, al contrario, che di giovani ce ne fossero poche.

A Bologna le ventenni non mancavano, perché fra le promotrici della manifestazione c’erano Figlie femmine, collettivo femminista universitario. A Roma invece, pare che le ragazze scarseggiassero, come ha notato Emma Bonino in questa intervista. Eppure anche a Roma di giovani ce n’erano (vedi il post di Loredana Lipperini).

Se poi guardi il video di Repubblica che s’intitola “I battibecchi con le forze dell’ordine”, l’impressione è ancora un’altra: i battibecchi che mostra, più che con le forze dell’ordine, sono fra donne manifestanti e donne che non sopportano i disagi creati dalla manifestazione perché – dicono – non hanno tempo da perdere. “Ma voi non ce l’avete una casa, un lavoro?”, grida una ragazza esasperata. Anche se non c’ero, sono sicura che a Roma le cose siano andate meglio di così.

Però, però.

Il problema di queste manifestazioni è un altro, a mio modo di vedere. Non basta contare quante ventenni, quante donne, quante anziane. Il problema è che ancora oggi, a trent’anni da quando la 194 fu istituita, a quaranta dal ’68, a marciare per i diritti delle donne sono sempre e soltanto le donne. Con l’aggravante che ormai sono di meno e – quel che è peggio – molto più scettiche e stanche di quarant’anni fa.

Eppure il problema delle diseguaglianze di genere è un problema di tutti, non solo delle donne. Lo dimostra il report annuale del World Economic Forum (e lo ricorda Lipperini nel suo Ancora dalla parte delle bambine): in tutti i paesi del mondo c’è una stretta correlazione fra alto grado di diseguaglianza fra i sessi e scarso sviluppo economico.

E allora? Perché le femministe non chiamano gli uomini nei loro collettivi, dibattiti, cortei? (Intendo tanti, tantissimi, non gli sparuti che di solito vi appaiono.) Perché gli uomini non sfilano anche da soli per difendere i diritti delle donne? E perché i ventenni, nati e cresciuti nella presunta parità dei generi, neppure si accorgono se la parità è minacciata?

Pensa quanto sarebbe bella una piazza stracolma di giovani, adulti, anziani, tutti rigorosamente uomini, tutti a difendere la 194. Boom che notizia. Pensa come bucherebbe il video.