Commissionata all’agenzia Saatchi & Saatchi, la campagna del Ministero dell’economia e delle finanze (Agenzia delle entrate) e della Presidenza del consiglio (Dipartimento per l’informazione e l’editoria) è fatta da due spot e due radiocomunicati, destinati agli spazi gratuiti televisivi e radiofonici della Rai, da affissioni nelle principali stazioni e negli aeroporti di Milano e Roma, e da annunci stampa sui maggiori quotidiani e periodici.
Uscita il 9 agosto, è stata già schiacciata da una montagna di critiche, insulti, commenti indignati.
Le principali invettive possono stare sotto il titolo «Da che pulpito viene la predica»: con che coraggio – ci si chiede – un committente così poco credibile (non solo il governo, ma tutti i politici) può definire «parassiti della società» gli evasori e proporre slogan come «Chi vive a spese degli altri danneggia tutti»? Proprio ora, fra l’altro, che si discute dei costi della politica e si osserva tutti i giorni la resistenza dei parlamentari a ridurli. Ma non si rendono conto che sono proprio loro, i politici, i primi a «vivere a spese degli altri» e «danneggiare tutti»?
Il secondo gruppo di critiche se la prende con lo stereotipo visivo che rappresenta l’evasore fiscale: ha la barba incolta e lo sguardo torvo di uno che ti pare subito un poco di buono, mentre invece – osservano tutti – gli evasori veri, quelli che fanno il grosso dell’evasione in Italia, hanno la faccia perbene, la camicia candida e la cravatta impeccabile del professionista strapagato e del riccone più invidiato.
Aggiungerei che l’immagine fa di peggio: l’evasore sembra un uomo del sud, uno dei ceti bassi (sempre ragionando per stereotipi ovviamente). Perciò la campagna conferma implicitamente i peggiori slogan leghisti, che scaricano sul meridione i mali d’Italia.
Infine ci sono quelli che dicono che la campagna non serve a fermare l’evasione, perché «certo gli evasori non si fanno dissuadere da un paio di spot». Con queste critiche non sono d’accordo, perché fanno il paio con quelli che dicono che «i consumatori non si fanno abbindolare dalla pubblicità».
Ma le campagne abbindolano e persuadono, eccome. Se sono ben fatte. Questa campagna non dissuade gi evasori e non convince nessuno semplicemente perché è sbagliata, non perché in generale gli spot non servono.
Perché il Ministero e la Presidenza del consiglio l’hanno fatta? Per comunicare l’attenzione al tema, per dire che ci stanno lavorando, che hanno buone intenzioni. Per comunicare di comunicare.
Come doveva essere fatta? Mi limito a pochissimi spunti:
- non basta una campagna, ma ce ne vogliono molte, a ripetizione: bisogna martellare, insistere, perché in comunicazione ripetere è fondamentale;
- non bastano i formati classici della pubblicità esplicita (spot, affissioni ecc.), ma bisogna coinvolgere tutti i media, vecchi e nuovi, in tutti i loro formati e linguaggi;
- occorre ribaltare la prospettiva, smetterla di ribadire il valore negativo che «evadere il fisco è male» (anche fumare fa male, ma dirlo non dissuade i fumatori) e proporre immagini e situazioni che valorizzino positivamente l’atto di pagare le tasse e chi lo fa, lo rendano desiderabile, socialmente apprezzato, cool, di tendenza;
- bisogna lavorare sul linguaggio con cui i politici, i media, tutti parliamo di tasse: come fossero un peso («pressione», «carico», «imposizione»), qualcosa che toglie la libertà (le tasse sono «vincoli», «lacci e lacciuoli»). Non pagare le tasse sa invece di aria fresca, divertimento, tempo libero: «evasione» vuol dire innanzi tutto «fuga da ciò che opprime» o «fuga da luoghi di detenzione»;
- è un lavoro di anni, perché implica un cambiamento culturale, di mentalità, per il quale servono strategie di media e lunga prospettiva.
Lo spot «Parassiti»:
Lo spot «Se»:
Idea per una tesi triennale: un’analisi della campagna e delle iniziative regionali che in questi anni sono state fatte sul tema. Per concordare la metodologia e l’impostazione, iscriviti a Ricevimento.