La campagna Volkswagen «Eyes on the Road» è uscita in giugno e il video è tuttora uno dei venti virali più visti al mondo. Eccolo: Continua a leggere →
Scrive Angela Gambirasiosul blog Ironicamente diversi (ringrazio Simona Lancioni, del Coordinamento del Gruppo donne UILDM, per la segnalazione):
L’handicappato è diventato lo spauracchio preferito dei pubblicitari. Ormai ci mettono in mezzo ogni qualvolta serva spaventare i normodotati e il messaggio, gira e rigira, è sempre lo stesso: Continua a leggere →
Ricevo da Simona Lancioni, del Coordinamento del Gruppo donne UILDM(Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), una riflessione critica sull’ultima campagna per la sicurezza stradale «Pensa a guidare», lanciata dall’Ania (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), che condivido e rilancio:
«Le campagne in tema di sicurezza stradale sono iniziative indiscutibilmente apprezzabili e tuttavia alcune scelte di comunicazione possono destare qualche perplessità.
Proprio nei giorni scorsi è uscita su Superando una riflessione critica sulla recente campagna lanciata dall’Ania. Il testo, a firma di Carlo Giacobini (vedi: «Un’immagine figlia di troppi pregiudizi»), si concentrava sul manifesto dell’iniziativa, che contiene tre scritte numerate: 1. Entrare in bagno accompagnati. 2. Passare molto tempo a casa. 3. Muoversi solo in carrozzina. Segue la raccomandazione: «Rispetta le regole della strada. Eviterai regole più dure a te e agli altri». Di lato, sullo sfondo, si vede un pezzo di sedia a rotelle manuale.
Pur apprezzando l’iniziativa, Giacobini osserva: «È però l’immagine della disabilità che trovo tragicamente foriera di distorsioni e pregiudizi. O forse è solo figlia di questi ultimi.
La disabilità come “castigo”, come “disgrazia”, come ineluttabile fonte di dipendenza dagli altri, di sofferenza di cui è responsabile il caso, o il non avere rispettato alcune regole. Subdolamente transita e ci permea il concetto che della disabilità non è mai responsabile il contesto; il contesto la subisce, la sopporta, la compatisce. Ne ha pietà».
Chi si occupa di disabilità, infatti, sa benissimo che molti dei disagi che interessano chi ha una disabilità sono legati più al contesto e alla mancanza di servizi adeguati che non alla condizione di disabilità.
La tentazione peraltro di persuadere a stili di vita corretti facendo leva sullo stigma negativo associato alla disabilità non è affatto nuova e talvolta si riscontra anche in prodotti realizzati da professionisti della comunicazione.
Un altro esempio? La campagna sulla sicurezza stradale «Mettici la testa» (vedi sotto), ideata e prodotta da Rai Educational di Giovanni Minoli, in collaborazione con Autostrade per l’Italia nel 2008. In essa si usa la testimonianza di Jacqueline Saburido, una ragazza del Texas che, all’età di vent’anni, nel 1999, mentre era in auto, venne travolta dalla vettura guidata da un giovane in stato di ebbrezza. Nell’incidente morirono due amici di Jacqueline. Lei venne miracolosamente salvata, ma subì quaranta interventi chirurgici ed è rimasta gravemente disabile e completamente sfigurata nel viso e nel corpo.
Il servizio mostra insistentemente il prima e il dopo di Jacqueline e quest’ultima riveste il ruolo della persona “che non vorremmo mai diventare”.
Anche in questo caso l’iniziativa è apprezzabile, ma l’atteggiamento con il quale si è indotti a guardare a Jacqueline è ben distante dall’invito al rispetto per la persona,qualunque siano le sue condizioni e il suo aspetto, tanto che viene da chiedersi se sia possibile fare campagne sulla sicurezza senza stigmatizzare la condizione di chi ha una disabilità. Io credo di sì. Probabilmente basterebbe pensarci e non discutere di questi aspetti solo all’interno del mondo della disabilità» (l’articolo è uscito anche su Superando, col titolo «Quella che non vorresti essere»).
Gli spot della campagna Ania «Pensa a guidare» (2011):
Lo spot della campagna «Mettici la testa» di Rai Educational (2008):
Abbiamo parlato di campagne per la sicurezza stradale anche qui:
Gli incidenti stradali sono determinati da tre fattori principali: l’infrastruttura stradale, il veicolo e l’errore umano (ne avevamo già parlato QUI).
Negli ultimi anni diverse ricerche americane, europee, e ora finalmente anche italiane, hanno identificato in particolare nella distrazione la causa fondamentale di errori per chi guida un veicolo.
La distrazione è definita dal National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) «una deviazione di attenzione dal compito primario, che è quello di guidare, a causa di altre attività visive, cognitive, uditive, o biometriche».
I tempi di reazione di chi guida e nello stesso tempo usa un dispositivo elettronico si riducono del 50%.
A una velocità di 110 km orari chi parla al cellulare fa 14 metri in più prima di fermarsi.
La distanza di arresto diventa di 39 metri se si guida col cellulare (8 metri se si usa l’auricolare o il kit vivavoce).
Usare un dispositivo elettronico abbassa la soglia di attenzione rendendola simile a quella di chi guida con un tasso alcolemico di 0,8 g/l.
Per chi parla al cellulare il rischio di fare incidenti aumenta di 4 volte.
Dunque non c’è cosa peggiore, per il rischio di incidenti gravi, che mandare sms mentre stai guidando.
A questo proposito la compagnia telefonica statunitense AT&T ha avviato da alcun mesi una campagna di sensibilizzazione e prevenzione dal titolo «Don’t text while driving», che comprende un documentario di 10 minuti e diversi spot.
Gli incidenti stradali sono determinati da tre fattori principali: l’infrastruttura stradale, il veicolo e l’errore umano.
Negli ultimi anni diverse ricerche americane, europee, e ora finalmente anche italiane, hanno identificato in particolare nella distrazione la causa fondamentale di errori per chi guida un veicolo.
La distrazione è definita dal National Highway Traffic Safety Administration (NHTSA) «una deviazione di attenzione dal compito primario, che è quello di guidare, a causa di altre attività visive, cognitive, uditive, o biometriche».
I tempi di reazione di chi guida e nello stesso tempo usa un dispositivo elettronico si riducono del 50%.
A una volocità di 110 km orari chi parla al cellulare fa 14 metri in più prima di fermarsi.
La distanza di arresto diventa di 39 metri se si guida col cellulare (8 metri se si usa l’auricolare o il kit vivavoce).
Usare un dispositivo elettronico abbassa la soglia di attenzione rendendola simile a quella di chi guida con un tasso alcolemico di 0,8 g/l.
Per chi parla al cellulare il rischio di fare incidenti aumenta di 4 volte.
In concomitanza con l’uscita della ricerca, la Fondazione Ania ha lanciato la campagna «Pensa a guidare» (agenzia McCann Erickson Italia), che ci accompagna da alcuni mesi.
È la prima campagna italiana per la sicurezza stradale che cerchi (lontanamente, molto lontanamente) di allinearsi con quanto fanno da anni i governi e le istituzioni di molti paesi nel mondo (dagli USA alla Francia, dall’Austrialia al Regno Unito), per mettere in guardia le persone dai disastri di morte e gravi menomazioni che può produrre una minima distrazione alla guida di un veicolo.
All’estero le campagne mostrano immagini molto esplicite delle conseguenze di incidenti stradali (sangue, funerali, disperazione): abbiamo visto l’anno scorso un video inglese che fu girato assieme ai ragazzi delle scuole superiori del south Wales e che da noi non passerebbe mai (vedi Comunicazione sociale e realismo inglese).
La campagna «Pensa a guidare» si ferma cinque passi in qua. Ma è sempre meglio di niente.
Questi gli annunci stampa/affissioni (clic per ingrandire):
Questi gli spot: (Per inciso: nota le differenze. Quello sul telefonino, che riguarda tutti, è il meno esplicito. Quello sul rossetto non solo è il più esplicito, ma finisce su una carrozzina… A te le considerazioni).