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Renzi e le sue nonne vallette

Giuro: non volevo parlare della copertina di Oggi in cui la settimana scorsa Matteo Renzi si è fatto ritrarre così:

Renzi con le nonne su Oggi

Non volevo, primo, perché è troppo facile smontarla. Secondo, perché, ogni volta che critico qualcosa della comunicazione di Renzi, puntualmente mi si scatena qualche “renziano” che mi accusa di essere “bersaniana”. Dimenticando tutte le volte (tante!) che ho smontato anche la comunicazione di Bersani (vedi QUI, QUI, QUI e QUI). Ma anche chi non è “renziano” finisce per dirmi cose del tipo: «Renzi proprio non ti va giù, eh?». Dimenticando che il tema non è mai se un atto di comunicazione mi “va giù” o no, ma se è ben fatto o no, efficace o meno, astuto o banale, in relazione al contesto, agli obiettivi, al target a cui è riferito.

E allora guardiamola, la copertina. Target: i lettori e le lettrici dei giornali di gossip, dal pensionato di Busto Arsizio all’intellettuale che ci butto solo un occhio quando vado dal parrucchiere, mica lo compro. Obiettivo: scollegare il concetto di rottamazione dall’interpretazione più strettamente anagrafica, per cui i gggiovani (20, 30, 40, 50 anni?) vorrebbero mandare a casa i vecchi (60, 70, 80, 90 anni?) e prendere i posti di potere che finora hanno occupato. Contesto: le primarie del centrosinistra (per ora). Il che seleziona, nel target, i lettori e le lettrici di Oggi che hanno votato e voterebbero un partito di centrosinistra.

E allora domandati: riesce davvero la copertina a staccare il concetto di rottamazione dall’opposizione gggiovani-vecchi come vorrebbe? In altri termini, raggiunge il suo obiettivo, è efficace? Pensaci bene: ti pare possibile riuscirci con un’immagine che non fa né più e né meno che proporre un giovanotto che abbraccia due vecchiette? È possibile riuscirci presentando uno stereotipo visivo della stessa opposizione che si vorrebbe negare? Non è come dire «Non pensare all’elefante»?

Dice: ma lui le abbraccia, dunque non le vuole rottamare. Non le rottama no (hanno salva la vita), ma le tratta come due vallette (si diceva ai tempi delle nonne di Renzi) o veline (si dice oggi): lui al centro e loro ai lati, in funzione decorativa. Dice: ma loro sorridono, dunque sono contente di stare con Renzi e condividono con lui la voglia di rottamare «quei politici», non loro. Sorridono, sì, ma sono le sue nonne e certo gli vogliono bene. E poi, hai mai visto una velina che non sorride? Insomma, se i critici di Renzi pensano che, oltre al conflitto generazionale, nella proposta di Renzi ci sia poco altro, qualche buona ragione ce l’hanno: è lui stesso a confermarglielo di continuo. Anche con le immagini.

Renzi che fa l’asino, ovvero l’errore del «bravo comunicatore»

Nei giorni del Big Bang a Firenze, i media ci raccontano un Matteo Renzi «bravo comunicatore». Commentano l’arredo del palco: il frigo, il divano, il microfono old style, il Mac; e alcuni addirittura battezzano i gesti di Renzi come «gesti del potere»: la pacca sulla spalla, il «give me five» eccetera (vedi Repubblica oggi: Renzi, i suoi gesti del potere).

Che la comunicazione di Renzi somigli a quella di Veltroni l’hanno già notato in molti: da Alessandro Gilioli (vedi La maschera di Renzi) a me qualche giorno fa (vedi «Il Pd che sogna» Renzi sembra una parodia di Veltroni).

«Bravo comunicatore» Veltroni, «bravo comunicatore» Renzi, ma solo nel senso che entrambi hanno la capacità di trovare titoli e slogan adatti per essere ripresi dai media. Titoli e slogan che hanno pure il pregio di «piacere alla gente che piace» di una certa élite intellettuale di sinistra, alimentando l’autoillusione che siano «vincenti».

Renzi – come Veltroni – ha insomma la capacità di avviare quel circolo di autoreferenzialità fra politica salottiera e media che in Italia funziona. Ma che non si traduce necessariamente in voti sufficienti a vincere. Veltroni aveva vinto due volte a Roma, ma ha perso in Italia. Renzi ha vinto a Firenze, ma a livello nazionale che farà?

Sul fatto che poi Veltroni non fosse nemmeno il «bravo comunicatore» che tanti dicevano mi sono espressa molte volte, all’epoca. (Basta fare una ricerca con «Veltroni» su questo blog.) I fatti – purtroppo per il Pd e per tutta la sinistra italiana – mi hanno dato ragione.

Su Renzi «bravo comunicatore» ho già moltissime perplessità. Comincio da quello che può apparire un dettaglio, ma per un bravo comunicatore vero, senza virgolette, non lo è, visto che la comunicazione è fatta di mille dettagli da curare meticolosamente, uno per uno.

Bersani ieri lo accusa, senza nominarlo, di essere «un giovane che scalcia». E lui risponde «Non scalcio. Non sono un asino».

Ora, Bersani non gli ha certo dato dell’asino. Ma Renzi, così facendo, ha creato nella nostra mente e attribuito a se stesso l’immagine dell’asino. Tocca citare sempre George Lakoff, insomma, per spiegare che, se non vuoi che qualcuno pensi a un elefante, tutto devi fare meno dirgli «Non pensare all’elefante!».

Poiché la frase con l’asino è perfetta per i media, i giornali e la tv l’hanno ovviamente ripresa. Col risultato che l’associazione fra Renzi e l’asino si è fatta più forte. Mi aspettavo che, nel giro di poche ore, in rete sarebbero uscite battute su «Renzi ciuchino», «Renzi che fa l’asino», e apparsi fotomontaggi di Renzi con le orecchie d’asino. Ecco il primo.

Renzi con le orecchie d'asino

Lo spettacolo di Libertà e Giustizia al Palasharp

Sabato ho partecipato all’evento organizzato da Libertà e Giustizia al Palasharp di Milano, sperimentando in prima persona un’organizzazione capillare, accogliente ma ferrea, perfetta. Non a caso l’evento è stato un successo di partecipazione e risonanza mediatica: oltre 10.000 persone presenti (il Palasharp ne contiene più di 9.000 e molte centinaia hanno seguito la manifestazione sui megaschermi allestiti fuori), televisioni e giornali di tutto il mondo.

Ci sono andata anche se ero – e sono tuttora – molto scettica sul fatto che iniziative come questa ottengano, in concreto, le dimissioni di Berlusconi. Innanzi tutto perché non escono dall’ossessione per Berlusconi in cui da anni l’Italia si è inviluppata, ma contribuiscono ad alimentarla (il solito elefante di Lakoff). E poi perché è evidente che il premier non si dimetterà mai perché glielo chiede la piazza: per mandarlo a casa, bisogna che l’opposizione vinca le elezioni. E qui subentrano i problemi dell’opposizione.

Aggiungo che, nel caso dell’evento di Libertà e Giustizia, non c’è nulla di più sbagliato che accostarlo agli eventi di piazza, come i media hanno fatto usando parole come «manifestazione» e «ribellione». Specie in questi giorni, in cui le immagini delle piazze egiziane dominano le cronache.

La differenza con l’Egitto è infatti tale che usare le stesse parole è fuorviante in modo inaccettabile: in Egitto c’è la fame, ci sono milioni di persone che non hanno più nulla da perdere, che mettono a repentaglio la loro vita per opporsi a un dittatore che li opprime da decenni.

Al Palasharp, sabato, c’erano 10.000 borghesi ben vestiti, molti intellettuali con due o tre giornali sotto il braccio, molti vip della Milano bene e facce da salotto: un’élite, insomma. Soltanto in una cosa la platea del Palasharp rappresentava bene l’Italia: molti capelli bianchi e pochi giovani (figli? nipoti? amici dei figli?), per un’età media che direi di 50 anni, la stessa degli italiani.

E allora come chiamarlo? Uno spettacolo, ecco cosa è stato. Uno spettacolo interessante, vario, ben organizzato, adatto al suo pubblico. Come un concerto, una reunion di una celebre band che i fan attendevano da anni.

Ma insomma, perché ci sono andata? Perché è vero che in Italia l’evento va compreso in questi termini. Ma nei confronti dell’Europa, degli Stati Uniti e di molti altri paesi nel mondo, serviva a prendere le distanze dai comportamenti del premier, che in quei paesi sono inaccettabili. A mostrare che c’è un’Italia che non vi si riconosce. Come ha ben spiegato Umberto Eco (onore al mio maestro! 🙂 ):

Il Pd guadagna col Terzo Polo?

«Il Pd guadagna col Terzo Polo» è uno dei titoli di Repubblica oggi. L’affermazione si basa sui risultati di dicembre del sondaggio che Ipr-Marketing conduce ogni mese per la testata. Poiché non credo affatto che il Pd guadagnerebbe consensi e voti, se si alleasse col cosiddetto Terzo Polo (composto da Udc, Alleanza per l’Italia (Api), Futuro e Libertà (Fli) e Movimento per le autonomie), anzi, perderebbe voti, sono andata a guardare meglio.

Dai dati del sondaggio Ipr-Marketing risulta che il centrosinistra raggiungerebbe il 39% di voti, se Casini, Rutelli e Fini accettassero la proposta di alleanza che Bersani ha fatto loro (ma Fini, nota bene, ha già detto no), mentre arriverebbe a 39,5% se il Pd si alleasse a sinistra a non al centro, e cioè con l’Italia dei valori e con Sinistra e Libertà (trovi QUI la tabella coi dettagli). La coalizione che regge l’attuale governo, invece, pur in calo di consensi, si mantiene al 43%.

Certo, il titolo di Repubblica è motivato dal fatto che, nella prospettiva di un’alleanza al centro, il Pd prenderebbe il 26,5% di voti; nella prospettiva di un’alleanza a sinistra, si fermerebbe invece a 25,5%. Un punto in meno.

Strettamente parlando, dunque, è vero che il Pd ci guadagnerebbe. Ma il centrosinistra ci perderebbe.

Detto questo, è chiaro che le differenze sono talmente piccole che una cosa sola è certa: il quadro è molto instabile. Per tutto il centrosinistra. Meno per il centrodestra, come al solito.

E tuttavia, un’altra cosa secondo me è certa: Fini e i suoi non accetteranno mai di allearsi col Pd. Perderebbero troppi voti nel loro elettorato. Infatti hanno già detto di no.

Ma allora perché i dirigenti del Pd insistono a infilarsi in questo vicolo cieco? Per paura che Vendola se li mangi, se si spostano a sinistra. Una paura talmente forte – terrore! – da indurli a scegliere il suicidio.

Perché parlo di suicidio? Perché credo che la perdita di voti del Pd, se davvero si alleasse col Terzo Polo, non solo ci sarebbe, al contrario di quanto emerge dal sondaggio di Repubblica, ma sarebbe molto più forte di quanto lo stesso sondaggio ci fa immaginare oggi.

A tal proposito, ricordo una delle regole che George Lakoff suggeriva ai democratici americani dopo che, nel 2004, avevano perso contro Bush. Per non tornare a perdere:

«Non spostarsi a destra. Lo spostamento a destra è pericoloso per due motivi: allontana la base progressista e aiuta i conservatori attivando il loro modello [cioe il loro frame] negli elettori indecisi» (G. Lakoff, Non pensare all’elefante!, Fusi Orari, 2006, pp. 56-58).

Santoro: nuovo medium, vecchio messaggio

L’evento “Raiperunanotte” organizzato ieri a Bologna da Michele Santoro e dal sindacato dei giornalisti Fnsi contro la decisione di sospendere i talk show politici in Rai è molto interessante dal punto di vista comunicativo, perché ha coinvolto una molteplicità di ambienti e mezzi di comunicazione, dalla rete alle piazze, che riprende, amplifica e rende sistematici il metodo introdotto in Italia da Beppe Grillo.

Notevoli anche i numeri (relativamente ai mezzi). La conta del giorno dopo riporta 125mila accessi contemporanei al sito dedicato, più diverse decine di migliaia fra YouDem, sito di Repubblica e altri siti collegati. Più il tam tam non denumerabile nei blog e social network. E le 200 piazze reali in tutta Italia, dove persone in carne ossa si sono ammassate attorno ai maxi schermi della trasmissione (a Bologna circa 6000 dentro al PalaDozza e più o meno altrettanto fuori).

E i contenuti? Interessante mescolanza di intrattenimento, musica e talk show, più spiccata del solito.

Ma per il resto, c’era tutta l’ossessione (anti-)berlusconiana che ci si poteva aspettare da Santoro, Travaglio & C. Insomma, l’elefante è stato seduto nel bel mezzo dell’arena, per tutto il tempo. Anzi, crescendo minuto dopo minuto.

Perciò concordo con quanto Aldo Grasso ha scritto oggi sul Corriere:

«Il Santoro show che ieri è andato in onda dal PalaDozza è stato molto più interessante per le modalità di fruizione che per i contenuti (a parte il dramma dei lavoratori che perdono il posto).

Nel nome della libertà d’espressione si sono incrociati generi differenti (informazione, intrattenimento, musica, satira…), tutte le nuove tecnologie distributive (Internet, satellite, digitale terrestre, tv locali, radio, siti, blog, social network, dirette streaming, maxischermi, persino 200 piazze), personaggi di diversa provenienza, professionale e artistica, chiamati in platea come fossero grandi star.

Ma il problema, e grave, è un altro. Quando Luttazzi conclude il suo monologo ricordando che «odiare i mascalzoni è cosa nobile » non fa un enorme regalo elettorale a Berlusconi?

Fomentare l’odio, alla vigilia delle elezioni, non è un atto di irresponsabilità? Se oggi la maggioranza reagirà pesantemente sarà inutile nascondersi dietro la retorica della libertà d’espressione o della rivoluzione. La politica è effetto di scena e la censura il peggiore dei suoi effetti, un indice di stupidità, ma spesso il rumore delle piazze, delle adunate, degli applausi ottunde le menti e copre i pensieri.»

Gad Lerner, Berlusconi e le donne

Ieri sera ho guardato L’infedele di Gad Lerner (se non l’hai vista, è sul sito della trasmissione). E mi sono abbacchiata. Per due motivi.

Uno. Il giochetto che fa Berlusconi è sempre lo stesso dal 1994: un po’ di show prima delle elezioni, e tutti abboccano. Avversari politici e media, per giorni e giorni, non fanno che parlare di lui. E ci cade anche chi, come Lerner, presume di essere più furbo degli altri, e fuori dal coro perché parla da un tv non controllata da Berlusconi. Sarà anche non controllata, ma se lui fa così è peggio che se lo fosse.

Mi annoio da sola a riparlarne, ma ricordo per l’ennesima volta la regola principale di Non pensare all’elefante! di George Lakoff:

«Ricordarsi di “non pensare all’elefante”. Se accettate il loro linguaggio e i loro frame [degli avversari] e vi limitate a controbattere, sarete sempre perdenti perché rafforzerete il loro punto di vista» (trovi le altre regole QUI).

Due. Mi avvilisce in modo crescente la nicchia che Lerner ha riservato alla questione femminile nel nostro paese (che ora lui chiama «donna tangente»). Intendiamoci: sulla tv italiana è l’unico che lo fa, da quando il 4 maggio 2009 invitò Lorella Zanardo a presentare Il corpo delle donne. All’inizio non dico che ci credevo (vedi il commento che feci QUI), ma stavo a vedere.

Ora non ce la faccio più: si vanta a ripetizione di essere l’unico uomo, in Italia, ad avere questa attenzione costante. Il che è vero, povere donne. Ma puntualmente le sue ospiti stanno lì come in una gabbietta per le scimmie.

Il tempo è sempre ridotto agli ultimi minuti di trasmissione, e vabbe’: non si può parlare sempre di quello. Ma il confine col fenomeno da baraccone è stato oltremodo superato, specie da quando è iniziata la carrellata di escort chiamate a spiegarci “perché lo fanno”.

Infine – cosa per me più grave – se invita donne a parlare di “cose da uomini”, il tempo e l’attenzione che riserva loro è sempre inferiore (molto) a quelli per gli uomini. Esempio di ieri: ha invitato la politologa Sofia Ventura a parlare di Berlusconi e bla bla bla, con il sociologo Ilvo Diamanti, lo storico Marco Revelli, il filosofo Marcello Veneziani e altri uomini. Era seduta in prima fila con Revelli e Veneziani (bene!), ma la camera saltava sempre da Diamanti (dietro) a questi due, mentre Ventura era meno interpellata e spesso interrotta. Non la conosco personalmente e non sempre condivido ciò che pensa, ma ieri diceva cose molto più interessanti, dal mio punto di vista, non dico di Diamanti, ma sicuramente degli altri due in prima fila.

Non ho avuto tempo né voglia di misurare col cronometro (se ti va, QUI c’è la trasmissione), ma la differenza era macroscopica.

L’appello delle donne su Repubblica

Venerdì 9 ottobre Michela Marzano, Barbara Spinelli e Nadia Urbinati hanno lanciato su Repubblica l’appello «Quest’uomo offende noi donne e la democrazia, fermiamolo» . L’ho letto velocemente e firmato.

L’ho fatto per ragioni analoghe a quelle per cui avevo sottoscritto l’appello dei tre giuristi in difesa di Repubblica, pur riconoscendo – come avevo notato QUI – l’ambivalenza di una posizione del tipo «conosci-il-gioco-ma-ti-presti-al-gioco»: poiché in Italia, al momento, non sono possibili giochi alternativi né meta-giochi, stare da una parte ha pur sempre un valore.

Detto in altri termini, piuttosto che niente è meglio piuttosto.

Stavolta, però, devo fare una precisazione. Più urgente – dal mio punto di vista – di quella che avevo fatto sull’appello dei tre giuristi, perché in questo caso è in gioco il corpo delle donne, come dice Lorella Zanardo. E l’appello delle donne può trasformarsi in un boomerang nel giro di pochi giorni. Anzi, temo lo sia già diventato.

Innanzi tutto, la questione delle donne non riguarda solo le donne, ma gli uomini e tutti i generi sessuali. Eppure – leggevo su Repubblica ieri – alla Casa delle donne di Roma, in nome di quell’appello, si è registrata «su 400 presenze una disciplinata decina di uomini, tra cui Valentino Parlato, direttore del Manifesto».

E gli altri uomini dove sono? Gli altri generi sessuali? E perché l’appello è lanciato solo da tre donne? Vogliamo chiusure, ghetti, barriere? Vogliamo riprodurre gli errori del femminismo storico?

Inoltre, legare troppo strettamente i problemi delle donne italiane alle uscite infelici del premier è:

  1. a ben pensare, miope;
  2. a mal pensare, cinicamente strumentale.

Miope perché, invece di parlare di donne, si sta mettendo ancora una volta Berlusconi al centro del discorso. La solita questione dell’elefante di Lakoff (ancora, ancora e ancora!). Basta rileggere l’appello per vedere quanto sia grosso l’elefante al suo stesso interno: comincia col premier («È ormai evidente che il corpo della donna è diventato un’arma politica di capitale importanza, nella mano del presidente del Consiglio») e finisce col premier («Quest’uomo offende le donne e la democrazia. Fermiamolo»).

Ma legare la questione femminile al destino del premier può anche essere cinicamente strumentale, perché tutti coloro che vogliono eliminare Berlusconi dalla scena politica ora possono usare il corpo delle donne come un’arma in più.

Credi che, se Berlusconi si dimettesse davvero – o fosse costretto a farlo (certo non grazie ai suoi guai con le donne) – le discriminazioni di genere in Italia sparirebbero per incanto? Io penso di no, perché riguardano la destra come la sinistra, i ceti intellettuali e quelli meno alfabetizzati, i ricchi come i poveri.

Dice l’appello su Repubblica – giustamente – che il corpo delle donne è usato dal premier «come un dispositivo di guerra». In realtà ora il dispositivo è rivolto contro di lui.

Ma è sempre uno strumento. Da usare finché serve. Da gettare nel dimenticatoio quando non servirà più. Comunque vada a finire.

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Abbiamo già parlato della rilevanza della questione femminile per tutti i generi sessuali:

Non solo donne per le donne

I generi nell’orto

La Banca d’Italia e le donne

Sull’elefante di Lakoff:

Lakoff applicato a Veltroni