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Perché in Italia non si alzano le tasse ai redditi più alti?

Lunedì sera François Hollande, il candidato del Partito Socialista alle prossime elezioni presidenziali in Francia, ha promesso in diretta sul canale TF1 che, se sarà eletto, cambierà il fisco francese in questa direzione:

«Chi guadagna più di un milione di euro all’anno dovrebbe pagare il 75% di tasse» (QUI i dettagli della proposta).

François Hollande

Discutevo di questo argomento nei giorni scorsi con un amico commercialista, che mi faceva notare come l’idea di alzare le aliquote fiscali dei redditi più alti sia sempre stata un tabù in Italia. E lo è tuttora, malgrado il chiacchiericcio suscitato dalla pubblicazione dei redditi milionari dei ministri del governo Monti. Scrive il commercialista, che preferisce restare anonimo:

«Nessuno nega (certo non io) che il merito vada premiato con una giusta differenziazione dei redditi. Occorre però capire che, oltre una certa soglia di reddito, l’arricchimento si trasforma in impoverimento della società, perché il profitto di uno è pagato da tutti gli altri senza un proporzionale ritorno in tassazione. Il problema moderno perciò è la smodata ricerca individuale di una illimitata ricchezza che penalizza tutti gli altri.

Se poniamo per esempio come limite di ricchezza un reddito di 500.000 euro, cioè la ricchezza annua prodotta dallo 0,1% della popolazione italiana, bisognerebbe tassare oltre il 60% l’imponibile che eccede questa cifra, diminuendo così il tasso di plutomania nella popolazione. L’obiettivo sarebbe il 90%, fino a che il coefficiente di Gini – che misura la sperequazione tra redditi, patrimoni, capacità di spese – non sia sceso almeno a 0,27%.

Poiché il sistema economico italiano è fortemente plutocratico, la retorica politico-mediatica dominante ci propina l’identificazione dell’evasore con l’artigiano, il libero professionista, il medico, e così via. Ma ragioniamoci su: un idraulico può, al più, fare circa 35.000 euro di lavoro in nero, un medico intorno ai 90.000. Quindi, al netto degli studi di settore che obbligano a dichiarare un reddito in funzione di molte varabili, diciamo che l’idraulico può evadere in media 17.500 euro di tasse e il medico 45.000. In base all’attuale sistema plutocratico, le fasce di aliquota sono le seguenti: 23% (fino a 15.000 euro), 27% (15.000-28.000), 38% (28.000 -55.000), 41% (55.ooo-75.000), 43% (oltre i 75.000).

È un sistema allucinante. Infatti, se uno guadagna un milione di euro paga in tasse circa 400.000 euro e si tiene 600.000. Nel caso l’aliquota fosse del 60% per i redditi eccedenti la nuova soglia dei 500.000 euro, dovrebbe versare 85.000 euro in più di tasse, ben oltre quelli evasi dai due professionisti sommati assieme. La domanda allora, o se vuoi la provocazione, è: chi «evade» di più tra il primo e i secondi? Uso l’espressione «evade» in senso metaforico, ovviamente, per dire qualcosa che idealmente sarebbe dovuto (in una società meno plutocratica della nostra) ma, data la legge attuale, di fatto non è versato.»

A questo punto sorge spontaneo il dubbio: l’idea di aumentare le tasse ai redditi che superano i 500.000 euro annui è forse un tabù solo perché chi dovrebbe deciderlo gode di redditi milionari?

PS: questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

Le caste e il pensiero-mafia sono sempre quelli degli altri

La settimana scorsa Maurizio Crozza ha fatto due monologhi sul pensiero-mafia e le caste, il primo a «Ballarò», martedì 13 dicembre, il secondo a «Italialand», venerdì 16.

Il pensiero-mafia è quello che c’è «quando siamo in chiusura, quando ci chiudiamo: “Fate quel che volete ma non toccate i miei interessi”». Ovviamente Crozza critica il fallimento del governo Monti (almeno per ora, perché a sentire Passera «non è finita») sulle liberalizzazioni di farmacie e tassisti.

La gag di Crozza è di quelle acchiappapopolo, perfetta cioè per suscitare facile consenso e applausi. Tranne che, ovviamente, da parte delle caste interessate. Che Crozza elenca: «I notai, i giornalisti, i tassisti, i medici, i baroni universitari, i commercianti, i politici, gli avvocati, i giudici».

Vero: il corporativismo è uno dei mali peggiori della società italiana e ne abbiamo discusso diverse volte (vedi per esempio Vu cumprà, dentisti e donne: razzismo, sessismo o corporativismo?).

Vorrei ora focalizzare questo aspetto: è tipico delle caste pensare che le caste siano sempre e solo quelle degli altri, mai il gruppo cui si appartiene: «Gli altri sono chiusi, intoccabili e privilegiati. Noi no, noi. No».

Ci è caduto anche Crozza, ah, se ci è caduto. Perché a un certo punto, nel monologo di venerdì 16 a Italialand, dice:

«Facciamo una casta per comici? Dài, facciamola. Ma non si può, no che non si può. Perché se domani mattina arriva un giovane qua, che fa ridere più di me, fa un provino a La7, fa ridere e mi tolgono dai coglioni, io me ne vado. Io lo guardo e rido. Mi girano un po’ i coglioni anche a me, è chiaro, però lo guardo e rido. È bello che tutti possano fare tutto. Tutti devono fare tutto. Se un giovane viene qui a fare il comico ed è bravo, fallo, basta, me ne vado via, c’ho 52 anni, sono vecchio. Va benissimo. Però se un giovane vuol fare il tassista non può, perché deve spendere 100-150 milioni di licenza».

Eh, no caro Crozza, magari andasse come dici: in Italia il mondo dello spettacolo è una delle caste più chiuse che ci siano. Forse la favola che racconti andava così ai tempi di Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e compagni. Ma abbiamo ormai due generazioni di attori, comici, registi, sceneggiatori che sono «figli di» e «parenti di». Un giovane sconosciuto fa il provino a La 7 e tu te ne vai a casa? Non so, nutro forti dubbi.

Morale della favola: fa parte del pensiero-mafia delle caste pensare che il pensiero-mafia sia sempre e solo quello degli altri. E pensarlo anche in buona fede, a volte, non solo in cattiva.

Nasce OsservatorioTivvù. Tutto fa politica (a nostra insaputa)

A cura di Dis.amb.iguando e Valigia Blu.

In Italia la televisione è in assoluto il mezzo di comunicazione più diffuso, e lo è ancora oggi, nonostante la crescita di internet, anche perché questa è più lenta rispetto alla media europea.

Il 45° rapporto annuale Censis, presentato all’inizio di dicembre, parla chiaro: nel 2011 la televisione raggiunge il 97,4% della popolazione e l’80,9% degli italiani considerano i telegiornali la fonte principale per informarsi. Certo, quest’ultimo dato scende fra i più giovani (14-29 anni), ma la maggioranza resta comunque molto alta anche fra loro (69,2%). Insomma, per quanto giornalisti e massmediologi parlino di «informazione fai da te», perché sempre più spesso i cittadini – specie se giovani e istruiti – si informano usando un mix di ricerche su Google, giornali on-line e social network, in realtà la televisione è ancora centrale per tutti. Specie in un paese che ha un’età media molto alta.

Inevitabile, dunque, che i partiti prestino sempre grande attenzione a questo mezzo: non solo per comunicare questa o quella iniziativa (come ha fatto il governo Monti per la manovra), ma più in generale per costruire l’immagine dei leader, per aumentare o consolidare il proprio elettorato, orientarlo o fargli cambiare rotta. A maggior ragione la televisione serve ai partiti per strategie di comunicazione a medio e lungo termine, vale a dire per trasmettere ai cittadini-telespettatori contenuti e valori in modo continuo e indipendente dalle singole scadenze elettorali, sedimentando il consenso in modo tanto più efficace quanto più lento, quotidiano e capillare.

In questo quadro, Arianna Ciccone di Valigia Blu e io abbiamo deciso di avviare OsservatorioTivvù.

OsservatorioTivvù

Un gruppo di giovani giornalisti e blogger, da un lato, e di studenti e neolaureati dell’Università di Bologna, dall’altro, seguiranno sotto il nostro coordinamento alcuni programmi della televisione generalista italiana, diversi per contenuto, canale, fascia oraria e target, da oggi alla fine di febbraio 2012.

Vogliamo registrare e annotare sistematicamente:

  1. quanti e quali politici italiani vengono ospitati nei vari programmi televisivi;
  2. quanti e quali personaggi pubblici vengono invitati perché notoriamente connessi a leader o partiti politici, perché parenti (figli, mogli, ecc.) di politici, o perché legati ai vari leader e partiti per amicizia o ragioni professionali;
  3. cosa i leader politici e i personaggi pubblici dicono e fanno di preciso in trasmissione, anche se non parlano esplicitamente di politica, ma si limitano a giocare, scherzare e interagire con altri ospiti in studio o con il pubblico su temi di intrattenimento e spettacolo;
  4. quante e quali volte, anche in assenza di leader politici o personaggi pubblici a loro connessi, uomini e donne di spettacolo (cantanti, attori, attrici, presentatori, ecc.) parlano di o alludono a personaggi, eventi e contenuti della politica italiana, anche in contesti di intrattenimento che non avrebbero nulla a che fare con la politica;
  5. cosa dicono di preciso uomini e donne dello spettacolo quando parlano di politica o anche soltanto vi alludono.

Perché lanciamo OsservatorioTivvù proprio ora? Perché pensiamo che questo particolare momento storico, con il governo Monti in prima linea e i partiti che in apparenza stanno solo sullo sfondo, sia particolarmente fecondo per capire in che modo e fino a che punto il cosiddetto «politainment» televisivo (la mescolanza di politica e intrattenimento) servirà ai partiti, nel prossimo anno, per costruire, ricostruire o correggere l’immagine dei loro leader, e proporne nuovi in vista delle prossime elezioni politiche. Che siano nella primavera 2013, come molti sostengono, o prima, non importa: la campagna elettorale è già cominciata.

Ecco i programmi che OsservatorioTivvù terrà sotto controllo*:

Uno Mattina in famiglia (Rai 1), Unomattina (Rai 1), La prova del cuoco (Rai 1), La vita in diretta (Rai 1), Soliti ignoti (Rai 1), Domenica in (Rai 1), Porta a Porta (Rai 1), Ti lascio una canzone (Rai 1), Ballando sotto le stelle (Rai 1), Mezzogiorno in famiglia (Rai 2), Quelli che il calcio (Rai 2), I fatti vostri (Rai 2), L’Italia sul 2 (Rai 2), Agorà (Rai 3), Ballarò (Rai 3), Che tempo che fa (Rai 3), Verissimo (Canale 5), Striscia la notizia (Canale 5), Domenica 5 (Canale 5), Mattino 5 (Canale 5), Uomini e donne (Canale 5), Pomeriggio cinque (Canale 5), Avanti un altro (Canale 5), Matrix (Canale 5), Kalispera (Canale 5), Ricette in famiglia (Rete 4), Studio aperto (Italia 1), Omnibus (La 7), Otto e mezzo (La 7), In onda (La 7), Piazza pulita (La 7), Italialand (La 7), Servizio Pubblico (reti diverse).

*La lista di programmi e il periodo di osservazione potranno subire variazioni in base alla programmazione televisiva e ai primi risultati del monitoraggio.

Come partecipare: se qualche studente/ssa, laureando/a, dottorando/a, assegnista che fa ricerca nel settore della Comunicazione politica e delle Scienze politiche fosse interessato/a a partecipare, può inviare il proprio cv, le proprie motivazioni e la propria disponibilità di tempo, scrivendo a: giovanna.cosenza chiocciola unibo.it.