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Le caste e il pensiero-mafia sono sempre quelli degli altri

La settimana scorsa Maurizio Crozza ha fatto due monologhi sul pensiero-mafia e le caste, il primo a «Ballarò», martedì 13 dicembre, il secondo a «Italialand», venerdì 16.

Il pensiero-mafia è quello che c’è «quando siamo in chiusura, quando ci chiudiamo: “Fate quel che volete ma non toccate i miei interessi”». Ovviamente Crozza critica il fallimento del governo Monti (almeno per ora, perché a sentire Passera «non è finita») sulle liberalizzazioni di farmacie e tassisti.

La gag di Crozza è di quelle acchiappapopolo, perfetta cioè per suscitare facile consenso e applausi. Tranne che, ovviamente, da parte delle caste interessate. Che Crozza elenca: «I notai, i giornalisti, i tassisti, i medici, i baroni universitari, i commercianti, i politici, gli avvocati, i giudici».

Vero: il corporativismo è uno dei mali peggiori della società italiana e ne abbiamo discusso diverse volte (vedi per esempio Vu cumprà, dentisti e donne: razzismo, sessismo o corporativismo?).

Vorrei ora focalizzare questo aspetto: è tipico delle caste pensare che le caste siano sempre e solo quelle degli altri, mai il gruppo cui si appartiene: «Gli altri sono chiusi, intoccabili e privilegiati. Noi no, noi. No».

Ci è caduto anche Crozza, ah, se ci è caduto. Perché a un certo punto, nel monologo di venerdì 16 a Italialand, dice:

«Facciamo una casta per comici? Dài, facciamola. Ma non si può, no che non si può. Perché se domani mattina arriva un giovane qua, che fa ridere più di me, fa un provino a La7, fa ridere e mi tolgono dai coglioni, io me ne vado. Io lo guardo e rido. Mi girano un po’ i coglioni anche a me, è chiaro, però lo guardo e rido. È bello che tutti possano fare tutto. Tutti devono fare tutto. Se un giovane viene qui a fare il comico ed è bravo, fallo, basta, me ne vado via, c’ho 52 anni, sono vecchio. Va benissimo. Però se un giovane vuol fare il tassista non può, perché deve spendere 100-150 milioni di licenza».

Eh, no caro Crozza, magari andasse come dici: in Italia il mondo dello spettacolo è una delle caste più chiuse che ci siano. Forse la favola che racconti andava così ai tempi di Ugo Tognazzi, Vittorio Gassman, Alberto Sordi e compagni. Ma abbiamo ormai due generazioni di attori, comici, registi, sceneggiatori che sono «figli di» e «parenti di». Un giovane sconosciuto fa il provino a La 7 e tu te ne vai a casa? Non so, nutro forti dubbi.

Morale della favola: fa parte del pensiero-mafia delle caste pensare che il pensiero-mafia sia sempre e solo quello degli altri. E pensarlo anche in buona fede, a volte, non solo in cattiva.