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Cari leader di sinistra, smettetela di invocare la bellezza

Un tempo, parlare di bellezza in politica era tipico della destra. Una destra, fra l’altro, della peggiore specie: pensa al culto della bellezza che avevano il nazismo (l’ariano era bello, gli ebrei e gli zingari brutti) e il fascismo («A cercar la bella morte», andavano i balilla).

Poi nel 1996 Veltroni pubblicò «La bella politica». E cominciò a parlare delle «belle cose» che accadevano a sinistra, mentre la bruttezza stava tutta a destra. In bocca a Veltroni, la bellezza divenne un passepartout banalizzante, assieme alla «semplicità» e alla «solarità». Ricordo che nel 2008 Veltroni riusciva a definire «semplici, solari e belle» le manifestazioni di piazza prima ancora che avvenissero (vedi Una manifestazione semplice e solare).

Una volta congelato il veltronismo (temporaneamente?), la bellezza è finita in bocca a Nichi Vendola, che concluse il suo discorso al primo congresso di SEL, nell’ottobre 2010, addirittura con un «elogio della bellezza».

E non poteva mancare Matteo Renzi, che queste tendenze le acchiappa subito:

La fame di bellezza come cifra della scommessa politica su un diverso modo di partecipare, su un diverso modo di vivere l’impegno pubblico a Firenze e altrove, su un diverso modo di stare assieme come comunità: un popolo, non un ammasso indistinto di gente (dal blog di Matteo Renzi «A viso aperto», vedi il post Fame di bellezza).

Infine ci si è messo anche il candidato sindaco del Pd a Bologna, Virginio Merola, che ha intitolato una parte del suo programma, quella sulla mobilità e il trasporto pubblico: «Il “progetto bellezza” per la Bologna del futuro».

Ma perché penso che la sinistra debba smetterla, con la bellezza?

Innanzi tutto perché la destra non ha mai smesso di farvi appello: da Berlusconi, che dice sempre di volersi circondare di «belle ragazze», «bei giovani» e definì Obama «giovane, bello e abbronzato» a Sandro Bondi, che ci ha persino scritto un libro: «La rivoluzione interiore per una politica della bellezza».

Dunque invocare la bellezza implica richiamare il frame degli avversari, giocare sul loro terreno. Il che in comunicazione è sempre perdente.

Ma il problema principale è che la bellezza è relativa: ciò che è bello per me, non lo è per un altro; ciò che è bello in un certo momento storico, non lo è dieci o vent’anni dopo, un secolo dopo. E in quanto relativa, la bellezza è anche autoritaria, antidemocratica: poiché non si può fare, ogni volta, una votazione per decidere quale azione politica/legge/programmazione cittadina è bella e quale no, sarà per forza il leader (e il partito) al potere a deciderlo. Ma alle cose e persone che il leader non considera belle cosa accade? Demolizione? Esclusione sociale?

Infine, il senso comune ha ormai interiorizzato un’idea di bellezza per cui i belli sono coloro che hanno soldi e potere, sono i vincenti. E allora come fa un leader di sinistra a parlare di bellezza senza apparire elitario, snob, lontano dai problemi dei meno abbienti, di quelli che non hanno il vestito giusto, il taglio di capelli giusto, il trucco giusto, non hanno una bella casa, una bella macchina, non possiedono begli oggetti – nel senso di bello che intende il leader, non importa che sia quello consumistico berlusconiano o quello pseudo-intellettuale della sinistra – solo perché non possono permettersi queste cose?

Perciò vi prego, cari leader di sinistra: non parlate più di bellezza.