Nei giorni del Big Bang a Firenze, i media ci raccontano un Matteo Renzi «bravo comunicatore». Commentano l’arredo del palco: il frigo, il divano, il microfono old style, il Mac; e alcuni addirittura battezzano i gesti di Renzi come «gesti del potere»: la pacca sulla spalla, il «give me five» eccetera (vedi Repubblica oggi: Renzi, i suoi gesti del potere).
Che la comunicazione di Renzi somigli a quella di Veltroni l’hanno già notato in molti: da Alessandro Gilioli (vedi La maschera di Renzi) a me qualche giorno fa (vedi «Il Pd che sogna» Renzi sembra una parodia di Veltroni).
«Bravo comunicatore» Veltroni, «bravo comunicatore» Renzi, ma solo nel senso che entrambi hanno la capacità di trovare titoli e slogan adatti per essere ripresi dai media. Titoli e slogan che hanno pure il pregio di «piacere alla gente che piace» di una certa élite intellettuale di sinistra, alimentando l’autoillusione che siano «vincenti».
Renzi – come Veltroni – ha insomma la capacità di avviare quel circolo di autoreferenzialità fra politica salottiera e media che in Italia funziona. Ma che non si traduce necessariamente in voti sufficienti a vincere. Veltroni aveva vinto due volte a Roma, ma ha perso in Italia. Renzi ha vinto a Firenze, ma a livello nazionale che farà?
Sul fatto che poi Veltroni non fosse nemmeno il «bravo comunicatore» che tanti dicevano mi sono espressa molte volte, all’epoca. (Basta fare una ricerca con «Veltroni» su questo blog.) I fatti – purtroppo per il Pd e per tutta la sinistra italiana – mi hanno dato ragione.
Su Renzi «bravo comunicatore» ho già moltissime perplessità. Comincio da quello che può apparire un dettaglio, ma per un bravo comunicatore vero, senza virgolette, non lo è, visto che la comunicazione è fatta di mille dettagli da curare meticolosamente, uno per uno.
Bersani ieri lo accusa, senza nominarlo, di essere «un giovane che scalcia». E lui risponde «Non scalcio. Non sono un asino».
Ora, Bersani non gli ha certo dato dell’asino. Ma Renzi, così facendo, ha creato nella nostra mente e attribuito a se stesso l’immagine dell’asino. Tocca citare sempre George Lakoff, insomma, per spiegare che, se non vuoi che qualcuno pensi a un elefante, tutto devi fare meno dirgli «Non pensare all’elefante!».
Poiché la frase con l’asino è perfetta per i media, i giornali e la tv l’hanno ovviamente ripresa. Col risultato che l’associazione fra Renzi e l’asino si è fatta più forte. Mi aspettavo che, nel giro di poche ore, in rete sarebbero uscite battute su «Renzi ciuchino», «Renzi che fa l’asino», e apparsi fotomontaggi di Renzi con le orecchie d’asino. Ecco il primo.

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