Archivi tag: Loredana Lipperini

Esaltazione della maternità 2.0, ovvero: come tagliare le mamme fuori dal mondo

Honey Maid

Ricevo da Elisa, che si laureò con me molti anni fa (oggi ha 35 anni), una riflessione interessante – che condivido parola per parola – sul modo in cui oggi in Italia è spesso rappresentata la maternità, in rete e su tutti i media main stream: Continua a leggere

«Che tristezza, una vecchia tutta rifatta.»

Donna anziana truccata

Bologna, via Irnerio, ore 8:30 del mattino. In un bar frequentato da studenti e colleghi universitari, faccio colazione leggendo il giornale. Di fianco a me, due ragazze chiacchierano animatamente, in attesa di andare a lezione. Incuriosita dal timbro squillante e dal volume alto delle loro voci, guardo meglio: stanno sfogliando e commentando una rivista di gossip. Continua a leggere

Hate speech, femminismi, omofobia, quote rosa… e altro

Radio Radicale

Ieri sera ho partecipato alla trasmissione Presi per il Web di Radio Radicale, assieme a Anna Paola Concia, Loredana Lipperini, Vladimir Luxuria, Alessandra Moretti. In apertura Alessandra Moretti ha annunciato la nuova proposta di legge sullo hate speech, con cui il Pd punta a ottenere un sistema immediato e gratuito che permetta in 24 ore (sic!) la rimozione di contenuti offensivi, denigratori e discriminatori dalla rete. Chi rimuove? Come? Perché? Ehm. Mah. Boh. Continua a leggere

Femminicidio: il fact-screwing dei negazionisti

Riprendo il lungo articolo con cui oggi Loredana Lipperini risponde ai diversi interventi che in questi giorni hanno messo in dubbio la rilevanza del problema del femminicidio in Italia, in base a diverse considerazioni, non ultima la questione dei numeri e delle statistiche sbagliate.

«Fabrizio Tonello, Davide De Luca, “Daniele”, Sabino Patruno. Sono, nell’ordine, un docente di Scienza dell’Opinione Pubblica, un giornalista a cui “piacciono i numeri e l’economia”, un laureato in filosofia che scrive per Vice e un notaio. Cos’hanno in comune è presto detto: una serie di post (sul Fatto Quotidiano, Il Post, Quitthedoner, Noisefromamerika), pubblicati a distanza ravvicinata e decisamente simili nei contenuti, nelle conclusioni e nel commentarium, nei quali dichiarano il femminicidio vicenda montata mediaticamente e fondata su numeri sbagliati. Continua a leggere

#TISALUTO

#TISALUTO FEMMINILE #TI SALUTO MASCHILE

In Italia l’insulto sessista è pratica comune e diffusa. Dalle battute private agli sfottò pubblici, il sessismo si annida in modo più o meno esplicito in innumerevoli conversazioni. Spesso le donne subiscono commenti misogini: dalle considerazioni sull’aspetto fisico per intimidirle e ridurle alla condizione di oggetto, al rifiuto violento di ogni manifestazione di soggettività e di autonomia di giudizio. Continua a leggere

#apply194

Ieri la Corte costituzionale ha dichiarato «manifestamente inammissibile» la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge n. 194 sull’aborto, sollevata dal giudice tutelare del Tribunale di Spoleto. Una nuova conferma per la norma che dal 1978 in Italia permette e disciplina l’interruzione volontaria di gravidanza.

#save194 a Bologna

Bene, ma non è finita. Per ragioni che spiega Loredana Lipperini:

È accaduto ieri. Mentre i giudici della Consulta decidevano sulla legittimità costituzionale dell’articolo 4 della legge 194 sull’interruzione di gravidanza, erano a Roma, Napoli, Salerno, Bologna, L’Aquila, Mestre, Torino, Milano, Livorno, Reggio Calabria. Erano a Londra. Erano in rete: su Facebook, dove venivano condivise notizie e fotografie dai presidi. Erano su Twitter, dove lo hashtag #save194 veniva rilanciato continuamente fino all’annuncio: la Corte respinge il ricorso giudicando “manifestamente inammissibile” la questione di legittimità sollevata.

Erano le donne e gli uomini che ribadivano diritto di scelta. La sentenza ha dato loro ragione.

Tutto finito? No. Tutto comincia, e comincia adesso.

Accendere i riflettori su una questione significa porla in primo piano, dove è giusto che sia. In queste settimane molte donne e uomini si sono chiesti come mai occorra, ancora, difendere una legge degli anni Settanta.

Occorre difenderla, è la risposta, perché quella legge non solo viene posta sotto attacco da anni, in innumerevoli campagne che da questo momento non vanno più, per motivo alcuno, definite “pro life”, ma solo e unicamente “no choice”.

Occorre difenderla perché è come se non ci fosse. Perché la percentuale di obiezione di coscienza (oltre il 90% nel Lazio, ma con numeri altissimi in tutte le regioni italiane) fa sì che per molte donne sia più semplice andare altrove. Rivolgersi a un privato, o espatriare (come fanno altre donne: quelle cui la legge 40 impedisce, di fatto, di diventare madri).

Occorre difenderla non solo perché verrà attaccata ancora, ma perché, fra pochi anni, non ci saranno più neanche quei pochi ginecologi che la attuano, oggi, fra mille difficoltà.

Occorre difenderla e rilanciare:

  • con una legge che introduca educazione sessuale e al genere nelle scuole, e campagne sulla contraccezione;
  • con il rafforzamento dei consultori;
  • con una presa di posizione netta e pubblica sulla non liceità dell’obiezione di coscienza dei farmacisti per quanto riguarda la pillola del giorno dopo;
  • con la possibilità reale e diffusa di usufruire della ru486;
  • con misure che garantiscano l’ingresso negli ospedali di nuovi medici non obiettori e di tutte le altre che sarà possibile mettere a punto in Italia e in Europa, con un coinvolgimento dei rappresentanti dei cittadini che non sia occasionale.

Perché il momento è adesso. I diritti che garantiscono libertà e dignità non sono un ripiego, non sono questione da rimandare a causa di una delle crisi economiche più drammatiche vissute da questo paese. I diritti sono ciò su cui questo paese si regge. Da questo momento, dunque, #apply194.

Postato in contemporanea da Blogger Unite(D): Associazione Pulitzer, Loredana Lipperini, Marina Terragni, Giorgia Vezzoli. Se vuoi, condividi il post anche tu.

Contro la violenza di genere: competenze, dialogo e obiettivi concreti

Marisa Guarneri è presidente onoraria della Casa delle Donne Maltrattate di Milano. Nel 1988, stanca di attendere l’esito dell’iter della legge sulla violenza – che arriverà a destinazione nel 1996 – condivise con altre due donne il desiderio di fare da subito “qualcosa di concreto”, dando vita all’associazione e al centralino antiviolenza, il primo in Italia. Dal 1991 la Casa offre anche ospitalità. “Volevamo sperimentarci immediatamente sul tema della violenza in una pratica concreta di relazione con le donne maltrattate” dice Guarnieri. “Il nostro percorso è iniziato così”.

In questi giorni Marina Terragni le ha fatto un’intervista, che trovo molto interessante perché:

  1. esprime riserve sul clamore mediatico che negli ultimi giorni si è improvvisato attorno al cosiddetto “femminicidio”: può essere non solo inutile, ma strumentale a diversi interessi economici e politici, oltre che mediatici;
  2. sottolinea la necessità di dialogare con gli uomini, per comprendere le infinite sfumature della violenza sulle donne e prevenirla in tutte le sue forme, da quella psicologica a quella fisica, sempre ricordando che la violenza comincia nelle relazioni più intime, ma evitando di confermare gli uomini nel ruolo di aggressori e le donne in quello di vittime;
  3. sottolinea la necessità di affrontare il tema – difficilissimo, oltre che doloroso – dandosi sempre obiettivi concreti e facendolo con tutte le competenze necessarie – psicologiche, giuridiche, sociali – competenze che però di fatto pochi/e hanno, anche se molti/e, da quando il tema va di moda, cercano di cavalcarlo.

Ecco l’intervista di Marina Terragni:

Hope and Fear by Mr. Toledano

(da Hope&Fear di Mr. Toledano)

Che cosa pensi della stramobilitazione di questi giorni sul femminicidio, a partire dall’appello del comitato promotore di Se Non Ora Quando?

“Si è prodotto un salto simbolico significativo, e questo va senz’altro bene: tutto ciò che aumenta la coscienza del fenomeno è importante. Ma mantengo qualche riserva”.

Quale?

“In questi anni il discorso sulla violenza è aumentato e si è capillarizzato, eppure la violenza peggiora. Del sommerso sappiamo poco: la gran parte dei casi di molestie, percosse, stalking e stupro non vengono denunciati. Ma i femminicidi si vedono. E quelli sono in netto aumento”.

Come te lo spieghi?

“I colpi di coda del patriarcato, il dominio maschile… certo. Ma queste spiegazioni non bastano più. Il fatto è che a mio parere la violenza fa comodo”.

Comodo? E a chi?

“Al sistema sociale nel suo complesso. Finché le donne si percepiranno come potenziali vittime di violenza, terranno basse le loro pretese, si accontenteranno di poco sul fronte del lavoro, dei servizi… In più la violenza sulle donne costituisce un’ottima valvola di sfogo delle tensioni sociali. Sei disoccupato, non ce la fai a tirare avanti? Puoi sempre scaricare la rabbia su tua moglie o sulla tua compagna. In sostanza, per battere davvero la violenza si dovrebbe ribaltare la società patriarcale. C’è poi un terzo elemento che va considerato”.

Quale?

“Intorno alla violenza sulle donne si è costituito un business notevole. Una sorta di indotto, un po’ come quello delle pari opportunità. Studi legali, psicologici, formazione, progetti finanziati dall’Europa… Un progettificio. Tanti si improvvisano per intercettare questi fondi. Anche noi delle Case, che operiamo concretamente e in prima linea – in Italia ce ne sono 60, nei capoluoghi di provincia – dobbiamo spesso rassegnarci a sfornare qualche progetto per integrare i finanziamenti, che non sono sufficienti”.

Vedi anche un eccesso di iniziative politiche?

“Il fatto che ogni donna si senta mobilitata va bene. Ma ci si deve dare obiettivi precisi”.

Indicane alcuni.

“Primo: andare a fondo, dialogando intimamente con uomini che si rendano disponibili a farlo, per comprendere da dove viene la violenza maschile, come si forma, come devono cambiare le relazioni tra i sessi. Noi stiamo facendo questo percorso con l’associazione Maschileplurale: ne parleremo tra qualche mese in un convegno a Milano.

Secondo: finanziare in modo adeguato e continuativo i centri antiviolenza, anziché promuovere convegni e ricerche a ripetizione che servono più all’autopromozione di questo o quel politico o di questa o quella associazione che a dare davvero una mano alle donne. Il mio sogno, per esempio, sarebbero centri in ogni quartiere, o anche camper, gestiti da donne e non dalle istituzioni, a cui ci si possa rivolgere con discrezione per parlare di sé, per ottenere ascolto e un primo orientamento”.

Voi lavorate molto sullo stalking…

“Facciamo un monitoraggio costante, caso per caso. La donna ci tiene costantemente informate su quello che accade, sulle gesta del suo persecutore. Su questa base noi valutiamo insieme a lei il grado di pericolo. E quando è il caso, la convinciamo ad abbandonare la sua casa o addirittura a cambiare città. Abbiamo prevenuto svariati femminicidi, in questo modo. La gran parte delle uccisioni avviene dopo una “filiera” di violenze e molestie”.

Tutte oggi vogliono occuparsi di violenza: non c’è il rischio che questo tema “saturi” l’agenda politica delle donne, distraendo da temi come il lavoro e la rappresentanza?

“Il tema, diciamo così, è “di moda”, e sta avendo grande risonanza mediatica. Ma le competenze sono indispensabili se si vogliono ottenere risultati. Serve un lavoro concreto, quotidiano, umile, tenace e consapevole. E lontano dai riflettori. E servono fondi certi per finanziare questo lavoro”.

Postato anche da Manuela Mimosa Ravasio, Marina Terragni e Loredana Lipperini.