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Pubblicità e stereotipi di genere

Il 29 maggio scorso Eva-Britt Svensson, vicepresidente svedese della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento Europeo, presentò una «Relazione sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità fra donne e uomini». Già altre volte, negli ultimi quindici anni, l’Europarlamento ha denunciato le pratiche pubblicitarie sessiste, senza che ciò abbia portato a nulla. La relazione Svensson, stavolta, è stata approvata dal Parlamento con ampia maggioranza: 504 voti favorevoli, 110 contrari e 22 astensioni.

La Svensson – come ben sintetizza la tesi di laurea di Elisa, discussa martedì scorso – proponeva di:

(1) lanciare campagne di sensibilizzazione sulle immagini degradanti della donna nei media;

(2) istituire organi nazionali per il monitoraggio dei media, con una sezione dedicata alla parità di genere;

(3) eliminare immagini stereotipate e sessiste da videogiochi, testi scolastici e Internet;

(4) evitare che i media usino immagini di modelle troppo magre, optando per rappresentazioni più realistiche del corpo femminile;

(5) far sì che la Commissione Europea e gli stati membri elaborino un «Codice di condotta» per la pubblicità, che preveda il rispetto del principio di parità fra uomini e donne ed eviti gli stereotipi sessisti e le rappresentazioni degradanti di uomini e donne.

Mi domando che conseguenze abbia avuto l’approvazione della rapporto Svensson, visto che – perlomeno in Italia – non se ne sa più nulla. La sua copertura mediatica, fra l’altro, è stata minima: ricordo solo un articolo di Andrea Tarquini su Repubblica, il 6 settembre scorso, peraltro vagamente ironico. Come se di questa iniziativa non ci fosse bisogno.

Silenzio anche nella blogosfera, a parte questo intervento di Loredana Lipperini, molto perplessa (giustamente) sul collega Tarquini che storce il naso; e questo post sul blog Viralmente.

Certo, l’attuazione della proposta Svensson avvierebbe un percorso lungo e tortuoso; certo, alcuni suoi punti sono problematici, altri addirittura utopistici, come l’eliminazione di immagini degradanti da Internet (come si fa…). Ma allora?

La verità è che di queste cose, in Europa, a nessuno frega nulla.

Perciò, nel frattempo, persino la belga Organ Donor Foundation, per convincere le persone a donare gli organi, fa pubblicità con quest’immagine (via Marco Valenti) e l’accompagna con una headline che recita «Becoming a donor is probably your only chance to get inside her». Clicca per ingrandire.

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Agenzia: Duval Guillaume, Bruxelles
Executive Creative Director: Katrien Bottez, Peter Ampe
Creative Director: Katrien Bottez, Peter Ampe
Art Director: Katrien Bottez
Copywriter: Peter Ampe

Holidays with Forest Love

Sono in partenza per il mare, da dove posterò qualcosina ogni tanto, giusto per non perdere l’abitudine.

Sul blog di Marco Valenti ho trovato l’ultimo video di Greenpeace, che mi pare adatto per augurarti buone vacanze. Fra il serio e il faceto, come sempre.

😉

Ciao!

Una ricerca della Bocconi

Trovo sul blog di Marco Valenti la notizia Apcom di questa ricerca, presentata il 27 giugno scorso alla Bocconi:

A oltre vent’anni dalla diagnosi del primo caso di Aids nel nostro Paese il profilattico fa ancora paura. E’ infatti gradualmente scomparso dalle campagne pubblicitarie per prevenire l’Aids realizzate in Italia negli ultimi anni e che risultano poco coraggiose, dai toni eccessivamente “soffici” e per nulla efficaci. A dare questo giudizio negativo è l’università Bocconi, che ha presentato oggi una ricerca condotta da Emilio Tanzi e Isabella Soscia della Sda sugli 85 messaggi pubblicitari per la stampa e le affissioni volute dal 1987 al 2007 da Ministero della Salute, Lila e Pubblicità Progresso.

Quello che emerge è un panorama sconfortante: solo nel 29% dei messaggi analizzati compare il termine “profilattico”. Una lacuna che, come rilevano gli esperti, è gravissima se consideriamo la sempre maggior incidenza della trasmissione per via sessuale del virus (si è passati dal 7% del 1985 al 57,8% del 2004).

Ed è proprio la Bocconi a segnalare una svolta “reazionaria” registrata nelle pubblicità anti-Aids negli ultimi anni. Se nel periodo 1987-1991 i messaggi erano più audaci (il termine profilattico compariva nel 44% delle campagne e il riferimento agli atti sessuali nel 55% dei casi), nel quadriennio 2003-2007 la paura ha avuto la meglio (il preservativo appare solo nel 7% dei messaggi, gli atti sessuali compaiono solo nel 20%).

Una timidezza che, secondo Tanzi e Soscia, si rivela fatale per quello che è il principale obiettivo di queste campagne: cambiare i comportamenti individuali. “Servirebbero messaggi univoci e più impattanti”, segnala Soscia, che evidenzia anche come all’estero si preferisca choccare il pubblico, mentre in Italia si punta su ironia, amore e, solo in pochi casi, sulla paura.

I messaggi pubblicitari anti Aids in Italia sono anche poco concreti: solo il 44% fornisce indicazioni sui servizi aiquali rivolgersi. Inoltre, non tengono conto di un dato allarmante fornito dall’Istituto superiore si Sanità: si stima che un quarto della popolazione italiana infetta non sappia di aver contratto l’Hiv. Ma gli ideatori delle campagne sembrano ignorare questo dato: solo il 30% dei messaggi fa riferimento al test per verificare la propria condizione.

Abbiamo più volte commentato su questo blog le fallacie di molte campagne sociali in Italia. Non siamo gli unici a lamentarcene.

Spreco meno subito

Ho trovato sul blog di Marco Valenti questo web-cartoon prodotto da AMREF Italia per la campagna “Spreco meno subito”, con Demetrio Albertini testimonial e Fabio Caressa che fa la telecronaca. Sullo stesso blog ho appreso che il 5 e 6 aprile scorso i giocatori di Serie A sono scesi in campo con uno striscione a favore del risparmio idrico. Pregevole iniziativa.

Da brava femminuccia non so niente di calcio, ma trovo deliziosamente persuasiva la tifoseria che in questo cartone esulta ogni volta che il protagonista fa la mossa giusta. 🙂

E allora mi domando: perché i club calcistici non hanno acquistato anche spazi pubblicitari televisivi (con relativo ritorno di immagine) in modo che un lavoro come questo potesse andare in prima serata, invece di circolare solo sul web? Occorrerebbe infatti raggiungere un pubblico di spreconi ben più ampio dei soli utenti Internet.

Se passassero in tv spot come questo, assieme a quelli su auto e profumi, non credi che un po’ alla volta anche le persone meno alfabetizzate e sensibili cambierebbero abitudini? Non è determinismo pubblicitario il mio, casomai idealismo, visto che nessun club probabilmente si sogna di pagare per questo.

In Italia lo stipendio medio di una donna…

… è la metà di quello di un uomo.

Ma non basta.

In Italia, il 79% dei posti di lavoro manageriali è riservato agli uomini.

Con queste frasi si concludono i due magnifici spot contro la discriminazione delle donne, che stanno andando in onda dall’8 marzo su La7 e MTV.

Li ho trovati su YouTube grazie al prezioso blog di Marco Valenti sulla comunicazione sociale, che da oggi includo nel mio blogroll permanente.

Agenzia: Saatchi & Saatchi.
Creativi: Francesca Risolo (arti director) Laura Palombi (copywriter).

Finalmente un po’ di comunicazione sociale ben fatta, ti pare?