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La bellezza in politica: da Veltroni a Renzi-Farinetti, passando per Vendola, Berlusconi e Sandro Bondi

Oscar Farinetti

«L’Italia è una Repubblica democratica fondata sulla Bellezza». È così che Oscar Farinetti cambierebbe il primo articolo della Costituzione. L’ha detto due giorni fa, durante la conferenza stampa per l’apertura a Milano di Eataly Smeraldo. Ha detto molte altre cose, a dire il vero, virando le sue dichiarazioni, come sempre fa, a sostegno di Renzi. Tipo: ««Il contratto unico? Un’idea geniale di Matteo», e ancora: «Bene che crei aspettative purché non diventi romano. E dategli una mano anche voi, non rompetegli le palle». Cosa c’entra la bellezza con la politica? e con la costituzione? C’entra, c’entra da anni. Continua a leggere

La differenza fra il Pd e Sel non si vede dalle federazioni romane. Ma dalla gestione della crisi un po’ sì

Accade (ieri) che la federazione romana di Sel se ne esca con un manifesto dedicato a Steve Jobs. Questo (clic per ingrandire):

Sel e Steve Jobs

Accade che gli elettori di Sel non gradiscano per niente, e in rete attacchino il manifesto a colpi di «con la crisi che c’è, questi pensano a Steve Jobs», «a Barletta  sono morte cinque donne che lavoravano in nero, e questi fanno il necrologio a Steve Jobs», «altro che Apple, ci vuole l’open source», «ecco come buttano via i soldi». E così via.

Le proteste si trasformano su Quink in esilaranti Selcrologi, ipotetici manifesti mortuari di Sel con Gesù Cristo, Bin Laden, Mike Bongiorno e altri. Fino alla morte della stessa federazione romana:

Selcrologio a SEL

Accade allora che Nichi Vendola intervenga subito sulla sua pagina Facebook, per sgridare quelli di Roma:

«Il genio di Steve Jobs ha cambiato in modo radicale, con le sue invenzioni, il rapporto tra tecnologia e vita quotidiana. Tuttavia fare del simbolo della sua azienda multinazionale – per noi che ci battiamo per il software libero – un’icona della sinistra, mi pare frutto di un abbaglio. Penso che il manifesto della federazione romana di SEL, al netto del cordoglio per la scomparsa di un protagonista del nostro tempo, sia davvero un incidente di percorso. Incidente tanto più increscioso in quanto proprio in questi giorni nella mia regione stiamo per approvare una legge che, favorendo lo sviluppo e l’utilizzo del software libero segna in modo netto la nostra scelta.»

Ora, la reazione di Vendola è a sua volta criticabile perché fatta col solito atteggiamento di chi sta sopra e accusa quelli sotto «di aver preso un abbaglio», dimenticando che un leader è responsabile anche degli errori dei sottoposti, dunque deve chiedere scusa anche per il suo, di errore, che come minimo consiste in mancato coordinamento e controllo. Inoltre Vendola si concentra solo sulla questione software libero e non dice una parola sul resto.

Infine poteva chiedere scusa con più trasporto invece di fare a tutti una lezioncina.

Vabbe’. Però ricordo l’errore di un’altra federazione romana, quella del Pd nel giugno scorso. Quando il manifesto era:

Cambia il vento Pd donna e uomo

Schiere di elettori ed elettrici del Pd si erano arrabbiati moltissimo per questo manifesto, in rete e fuori: lettere di protesta a Rosy Bindi, comunicati di «Se non ora quando» e chi più ne aveva più ne metteva.

Ma il Pd romano non si è mai sognato né di chiedere scusa né tanto meno di ritirarlo. Anzi: si sono arrampicati sugli specchi con giustificazioni pretestuose e assurde, insistendo che no e no, avevano ragione loro. Né mai Bersani si è sognato di sgridare nessuno. Trovi una sintesi del caso qui: «Il vento del Pd, le gambe delle donne e la mancanza di idee».

Insomma, la pasticcioneria e l’insipienza accomuna le due federazioni romane. Lo scarso coordinamento accomuna i due partiti. Ma nella gestione della crisi Vendola si è dimostrato un po’ migliore di Bersani. Tutto è relativo, eh.

 

La nuova tv di Santoro sul web: dove sta la differenza?

Ci siamo: da qualche giorno è on line Serviziopubblico.it, che lancia la nuova trasmissione di Michele Santoro «Comizi d’amore» (a proposito: cosa dice Vendola del fatto che gli ha soffiato il titolo? Immagino poi che Pasolini si rigiri nella tomba). Il programma andrà in onda dal 3 novembre fra siti internet, Sky e tv locali, ed è prodotto da una società che include anche Il Fatto Quotidiano.

In rete già infuriano le polemiche fra chi ama Santoro e chi lo detesta. Pochissimi i commenti razionali e ragionevoli: come sempre, quando si tratta di Santoro, purtroppo gli insulti e le invettive prevalgono. Mi piacerebbe invece che in questo spazio riuscissimo a ragionare in modo pacato. Di solito – per fortuna ma non per caso – ci riusciamo.

Due sono gli spunti che propongo. Che senso ha, per un uomo di televisione navigato come Santoro, uno che si muove da decenni nel mercato dei media e della politica, uno a cui il potere e i soldi non mancano, assimilare se stesso al giovane tunisino Mohamed Bouazizi, il venditore ambulante che il 17 dicembre 2010 si è dato fuoco, dopo che la polizia gli ha confiscato le merci?

Io quando ho sentito ‘sta roba ci sono rimasta male. Molto:

«Mi sento come quel tunisino da cui è nata la rivolta nel Maghreb. Che andava a vendere la frutta e la verdura al mercato e che, visto che lo Stato metteva tasse e gabelle insostenibili, si è dato fuoco. Anche noi siamo con il carrettino a cercar di vendere la nostra frutta e la nostra verdura su Internet, sulle tv a diffusione regionale, su Sky e potrebbero esserci pressioni governative per limitarci o per impedirci di andare in onda. Solo che noi non ci daremo fuoco e faremo il nostro programma lo stesso.»

Ieri mattina ho fatto l’errore di postare frettolosamente su Facebook un pezzo scritto da ilNichilista, che chiudeva dicendo:

«Io non so se Santoro si renda conto dell’incredibile mancanza di rispetto del suo paragone verso chi è davvero oppresso, verso chi è disposto a rinunciare alla propria vita (e non a una trasmissione in prima serata) per denunciare la sua mancanza di libertà.»

Anch’io mi chiedo la stessa cosa. Ma ieri mattina sulla mia bacheca è scoppiato il finimondo. Proviamo a ragionarci con calma?

Ho anche un’altra domanda però. La prima (ehm) inchiesta di «Comizi d’amore» è un’intervista di Francesca Fagnani a Imane Fadil, testimone nel processo Ruby.

La ragazza difende Berlusconi: parla di Ruby come di «una ragazza che avrebbe potuto creare problemi», «in grado di ricattarlo», dice che erano le ragazze a voler stare con Berlusconi, non viceversa. Dice che lo voterebbe eccetera.

E allora mi chiedo: che differenza passa fra questa intervista e quella che fece Alfonso Signorini a Ruby su Mediaset, da tutti additata come un atto di cortigianeria?

Io da un programma che sbarca sul web per essere «libero» e da una tv che si propone come nuova e alternativa non mi aspetterei mai, per cominciare, l’ennesima intervista a una escort (penso anche a quella che «Annozero» fece a Patrizia D’Addario il 1 ottobre 2009).

Ma Santoro, che vuole sollevare subito un bel polverone, ovvio che lo fa. E allora?

Francesca Fagnani intervista Imane:

Signorini intervista Ruby (da un servizio del Tg1, perché non trovo più l’originale):

Prima parte dell’intervista a Patrizia D’Addario, «Annozero» 1 ottobre 2009:

Ma Bagnasco parlava di Berlusconi o no?

Era da tempo che molti lamentavano il silenzio della chiesa sui comportamenti del presidente del consiglio che emergono dalle inchieste. Lo aveva fatto Barbara Spinelli su Repubblica giorni fa, per esempio. Ma abbiamo sentito e letto lagnanze del genere fin dai primi scandali sessuali nel 2009. Lagnanze che venivano anche dalle parrocchie.

Ora che Bagnasco ha parlato di «comportamenti licenziosi e relazioni improprie», «non solo contrari al pubblico decoro ma intrinsecamente tristi e vacui»; ora che ha ricordato l’articolo 54 della costituzione dichiarando «Chiunque sceglie la militanza politica, deve essere consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore», la stessa Spinelli legge le parole di Bagnasco come fossero «chiare», e i titolisti di Repubblica parlano di «condanna» e di «vescovi contro Berlusconi».

Più cauto, giustamente, è il Corriere che titola «I vescovi e le critiche indirette al premier». Indirette, appunto. Sta tutto lì, il gioco, perché Bagnasco ha parlato in generale e non ha mai nominato Berlusconi. E come avrebbe potuto? Non poteva, certo. Per mille motivi, ufficiali e ufficiosi. E allora?

Allora sono già arrivate le reazioni degli uomini del Pdl, che parlano di «strumentalizzazione», come hanno fatto Giovanardi e Bondi, il quale precisa che «la società italiana, nella sua interezza, ha bisogno di un profondo rinnovamento». Analogamente il ministro Rotondi: «Il monito non va mai riferito a una persona, la tradizione vuole che sia rivolto alla generalità dei cittadini». Vedi: Il Fatto Quotidiano, «Ma Bagnasco non parlava di Berlusconi».

Per non parlare dell’uscita di monsignor Giacomo Babini, vescovo emerito di Grosseto, che aggiunge la sua chicca omofoba: «Credo che l’omosessualità praticata sia un peccato gravissimo e contro natura, peggiore di chi va con l’altro sesso. Alla luce dei fatti, senza stilare classifiche, Vendola pecca molto più di Berlusconi». Non dimentichiamo, infatti, che Vendola è cattolico. Vedi: Il Giornale, «E il monsignor pro Cav attacca Vendola: lui pecca più di Silvio».

Ecco qua: tutti nello stesso calderone.

Ma Bagnasco parlava di Berlusconi o no?

Né sì e né no. Ha semplicemente alzato il tiro. Infatti Gianni Letta si prepara a trattare. Scommettiamo?

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Se ce l’hai con Berlusconi, non c’entra niente dargli del «vecchio»

Dei mali del berlusconismo si parla molto. Meno di quelli dell’antiberlusconismo, che pure sono tanti. In questi giorni l’antiberlusconismo ha aggiunto un danno ai già molti che Berlusconi può lasciarci in eredità: l’invettiva contro i vecchi.

Lunedì sera Gad Lerner ha festeggiato i 70 anni di Bossi e i 75 di Berlusconi, con la domanda «Hanno fatto il loro tempo?». Dimenticando che lo stava chiedendo a signori come Umberto Galimberti, che di anni ne ha 70, e infatti era imbarazzato e ha fatto un intervento insolitamente farcito di stereotipi e banalità, contro il quale il «giovane» Massimo Corsaro, del Pdl, ha avuto gioco facile nel ricordare tutti i grandi vecchi e vecchissimi della letteratura e dell’arte che da sempre la sinistra ama, da Moravia a Monicelli.

E vogliamo dimenticare che Giorgio Napolitano ha 86 anni? Può piacere o meno, ma è sul suo equilibrio che si stanno giocando gli ultimi scampoli di credibilità internazionale dell’Italia. Ed è a lui che oggi la maggioranza degli italiani riserva la massima fiducia.

Poi ci si è messo pure Nichi Vendola, col discorso di martedì a Civitavecchia:

«Ci fa vergognare l’idea che quattro vecchi maschi un po’ rimbecilliti possano con la loro volgarità entrare nella politica e sporcarla tutti i giorni».

Non ci siamo: Berlusconi, Mora e Fede, che Vendola nomina uno a uno, non sono volgari perché vecchi, come l’invettiva suggerisce. Sono volgari perché, avendo molti soldi e potere, li usano per fare del corpo umano una tangente. Corpi soprattutto femminili, ma anche maschili, perché Lele Mora compra anche quelli. Tanto è vero che, nel novero, Vendola ci mette pure Tarantini, che vecchio non è.

Ma prendersela coi «vecchi» in generale cattura applausi facili e Vendola ci è cascato. Come puntare il titolo di una trasmissione sulla vecchiaia degli uomini di potere implica alludere alla loro mortalità, e questa può fare ascolti. È come dire «crepa!».

Ma è questo che vogliamo? Dire ai vecchi «crepa!» dimenticando che gli esseri umani non sono brutti o cattivi perché vecchi, né belli o buoni in quanto giovani? Dimenticare che il mondo è pieno di persone di 70-80-90 anni intelligenti, attive, generose, stracolme di esperienza da condividere, e che queste saranno sempre più numerose nei paesi ricchi del mondo, dove per fortuna la vita media si allunga?

Dimenticare che il mondo è pieno di «gggiovani» di 20-30-40 anni idioti e senza cultura, incapaci di alcunché?

Cioè: un essere umano non è buono o cattivo, bello o brutto, in base all’età. Non scordiamolo mai. E se oggi diciamo «crepa!» a qualcuno, stiamo gettando le basi affinché qualcuno, un domani, dica «crepa!» a noi.

I commenti ai politici su Facebook: Italia migliore, peggiore o inutilmente rabbiosa?

NB: Ho scritto il pezzo che segue nei ritagli di tempo fra venerdì e domenica mattina, cioè prima di sapere de I segreti della casta di Montecitorio e dunque prima di decidere di scrivere il post di ieri. Penso sia utile, oggi, accostare le due riflessioni.

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Ho esaminato i commenti sulle pagine dei politici italiani più attivi e seguiti su Facebook: Nichi Vendola (514.780 «mi piace»), Antonio Di Pietro (242.424), Renato Brunetta (77.999), Pier Luigi Bersani (60.732) (numeri aggiornati a domenica 17 luglio ore 11:25).

In questi giorni di massima rabbia contro la «casta» – per l’approvazione bipartisan della manovra finanziaria – gli insulti sono equamente distribuiti fra chi sta al governo e chi non, in parlamento e non. Cioè non risparmiano nemmeno Vendola e Di Pietro, che di solito si distinguono per un certo codazzo di fan entusiasti.

Qua sotto alcuni commenti presi a caso fra venerdì e sabato. Gli italiani e le italiane che scrivono su queste pagine appaiono, sì, molto arrabbiati – giustamente – ma anche superficiali, presuntuosi, capaci solo di turpiloquio e insulti al politico di turno o al vicino di discussione, e inclini a ripetere slogan vuoti come ad esempio, con frequenza sorprendente, l’accusa per cui gli altri sarebbero «l’Italia peggiore» e chi parla quella «migliore».

Un rancore inutile. Uno sfogo fine a se stesso. Da parte di chi, a parole, cita gli 8 milioni 272 mila poveri relativi (quelli che vivono con 992,46 euro al mese in due) di cui parla il rapporto Istat 2010, ma nei fatti è abbastanza privilegiato/a da permettersi il lusso di perdere tempo a battere la tastiera di un computer per scrivere futilità.

I commenti a Vendola (clic per ingrandire):

Commenti a Vendola, 17 luglio 2011 ore 11.25

I commenti a Di Pietro (clic per ingrandire):

Commenti a Di Pietro 17 luglio 2011 ore 11.25

I commenti a Brunetta (clic per ingrandire):

Commenti a Brunetta 17 luglio 2011 ore 11.25

I commenti a Bersani (clic per ingrandire):

Commenti a Bersani 17 luglio 2011 ore 11.25

Perché i politici di sinistra dovrebbero sorridere di più

Ho più volte lamentato il fatto che Bersani non sorride quasi mai. Anche Rosy Bindi lo fa poco. Vendola già meglio, ma giusto un po’.

Quando lo dico, puntualmente mi becco la risposta scocciata di qualche militante di sinistra: «Perché dovrebbero? Con tutti i problemi che abbiamo, non c’è niente da ridere». Oppure: «Non sorridere è forse una colpa?». O ancora: «Fra il sorriso falso di Berlusconi e la faccia seria di Bersani, meglio Bersani».

Ho trovato su PsyBlog – un blog inglese di divulgazione psicologica molto ben fatto e sempre aggiornato con ricerche accademiche accreditate – una sintesi in 10 punti dei benefici sociali e individuali del sorriso.

Traduco liberamente solo i tre più rilevanti per la comunicazione politica (trovi gli altri QUI):

1. Se sorridi di più, è più probabile che gli altri si fidino di te

Il sorriso è un segnale di affidabilità: le persone che sorridono di più sono considerate più generose e disponibili di chi sorride meno (Mehu et al., 2007). Uno studio economico ha addirittura valutato che sorridere in una trattativa può aumentare del 10% la disposizione degli altri a fidarsi (Scharlemann et al., 2001).

2. Se hai sbagliato e sorridi, sarai trattato con più indulgenza

Secondo una ricerca condotta da LaFrance and Hecht (1995), siamo più indulgenti con chi si è comportato male o ha trasgredito qualche regola, se dopo averlo fatto sorride. Fra l’altro, non importa nemmeno che sia un sorriso falso, autentico o triste: se dopo aver sbagliato lo ammetti con un sorriso, gli altri saranno più propensi a perdonarti. Stessa cosa se hai commesso una gaffe: anche il sorriso imbarazzato induce indulgenza (Keltner & Buswell, 1997).

3. Se devi nascondere ciò che pensi o mentire, un sorriso ti aiuta a farlo

Come molti sanno, i sorrisi falsi coinvolgono solo la bocca, mentre quelli autentici muovono anche la parte superiore del volto, producendo le cosiddette zampe di gallina. Una ricerca recente (Duchenne: Key to a Genuine Smile?) dice che l’80% delle persone riesce a simulare bene, a comando, un sorriso autentico, che coinvolga anche la parte superiore della faccia. Resta però difficile farlo bene, perché bisogna calcolare anche i tempi: il sorriso non deve essere troppo lungo né troppo breve, ma soprattutto non deve partire troppo in fretta, perché pare che il sorriso autentico si diffonda lentamente (circa mezzo secondo) sulla faccia.

In ogni caso, è questione di pratica. E, poiché in politica le occasioni in cui si deve mentire o nascondere ciò che si pensa sono ogni giorno moltissime, è fondamentale che un leader si alleni a farlo.

Inoltre, fra un sorriso falso e un broncio, è sempre meglio il sorriso falso. Il che spiega perché Berlusconi ha sempre sorriso molto, anche a costo di stamparsi in faccia sorrisi visibilmente fasulli.

Infine, se leggi gli altri 7 buoni motivi per sorridere, pare che chi sorride spesso si senta meglio, tenda a essere circondato da molti sorrisi, e addirittura si allunghi la vita.

Perciò Bersani, sorridi! 😀

Bersani serio   Bersani che sorride