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Il derby “speranza vs. rabbia”. Una contrapposizione rischiosa

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In questi giorni la competizione fra il Partito Democratico e il Movimento 5 Stelle è stata spesso rappresentata come un contrasto fra speranza (Pd) e rabbia (M5S), che Renzi ha persino tradotto in linguaggio calcistico come “derby”. Trovo assai rischioso rappresentare la competizione elettorale del 25 maggio in questi termini, per alcune ragioni che cerco di spiegare in breve. Continua a leggere

Il confronto fra i candidati Pd su Sky Tg24: un’immagine sbagliata

Per rappresentare il confronto fra i tre candidati alle primarie del Pd che si terrà stasera su Sky Tg24 alle 21, la redazione ha usato questa fotocomposizione (clic per ingrandire):

I tre candidati Pd

L’evidente fotomontaggio sembra ritrarre

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Il bacio e il parto del Pd

Sono usciti ieri i due spot per il Pd che l’agenzia Aldo Biasi comunicazione – la stessa che ha curato i manifesti de “L’Italia Giusta” – ha affidato al regista Luca Miniero (quello di “Benvenuti al sud” e “Benvenuti al nord”). In entrambi c’è una coppia di giovani: uno finisce con un bacio, l’altro con un parto.

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Quel pasticciaccio brutto dei manifesti Pd

Non li ho ancora visti in strada, ma da qualche giorno appaiono sulla pagina Facebook del Pd nazionale (clic per ingrandire):

Accettiamo la sfida  L'Italia l'Europa la crisi

Dal punto di vista grafico, sono un’accozzaglia di rara imperizia:

  1. Marchio del Pd affogato nel rosso (dov’è finito il verde?), marginale e poco leggibile.
  2. Testi sparpagliati e disallineati, con font di diverse dimensioni e una distribuzione del maiuscolo e del grassetto che pare quasi casuale.
  3. Uso sconsiderato della bandiera italiana ai limiti del vilipendio, visto che pare tutta tagliuzzata e rattoppata. Ma ricorda anche il fascio littorio, con quel giallino che la impasta e invecchia.

Dal punto di vista dei contenuti, mi ci potrei incattivire ma non voglio, perciò mi limito a dire che i manifesti urlano troppi concetti in poco spazio, senza un filo logico, senza emozioni, senza una visione complessiva. E alla fine resta poco e niente.

Forse il Pd ha pensato che, con tutti i problemi che abbiamo, bisognasse nominarli tutti (o almeno il maggior numero possibile), in modo che ognuno trovasse il suo. E che si dovessero nominare pure un bel po’ di soluzioni. E intenzioni. E azioni. Possibili o impossibili, non importa. A breve, media e lunga scadenza. Mettici dentro più cose che puoi, devono aver detto al copy.

Essere democratici e progressisti  Il nuovo orizzonte

Tocca a noi!  Scelgano i cittadini

Bersani, il treno e la «Destinazione Italia»

Da alcuni giorni sulla pagina Facebook di Pier Luigi Bersani e sul sito del Pd (in una sezione apposita) appare questa immagine:

Bersani, Destinazione Italia

È da tempo che – pur sollecitata – non dico nulla sulla comunicazione del Pd: dal «Rimbocchiamoci le maniche» in poi, parlar male delle immagini e degli slogan che negli ultimi anni il Pd ha prodotto a raffica è diventato uno sport nazionale, tanto che aggiungermi al coro mi pare quasi di cattivo gusto, un po’ come sparare sulla Croce rossa.

Ho taciuto di «Ti presento i miei», per esempio, con Faruk, Eva e gli altri. Ma non riesco a tacere della campagna «Destinazione Italia», con cui il Pd presenta il: «progetto “Destinazione Italia” che vedrà Bersani e i dirigenti del Pd impegnati in un tour del Belpaese per discutere dei problemi seri delle persone e per avanzare risposte alla crisi», come si legge sul sito.

Ora, a parte gli elettori del Pd più convinti e i fan di Bersani più accaniti, molti restano sgomenti di fronte all’immagine perché:

  1. Bersani è ritratto in treno, solitario e pensoso, mentre guarda fuori dal finestrino. Ma il leader di un partito non viaggia quasi mai da solo, perché ritrarlo così? Inoltre: è preoccupato dopo aver letto i giornali? angosciato per la pesantezza del «tour» che lo attende? triste perché solo?
  2. Dal finestrino non si vede nulla. Ora, non c’è niente di meglio, quando si viaggia in treno e non c’è nulla di urgente da fare, che guardare il paesaggio che scorre. Specie sul nostro territorio, denso di bellezze naturali e artistiche. Perché cancellarlo? Per dar spazio e risalto allo slogan, risposta ovvia. Ma ciò aumenta l’inquietudine sia di Bersani sia nostra che lo guardiamo, e implica fra l’altro che la «Destinazione Italia» coincida col vuoto lattiginoso del finestrino: associazione quanto meno problematica.
  3. Che l’Italia sia per Bersani una «destinazione» implica che lui non ci abiti, ma debba arrivarci. E l’implicito non è certo un complimento né per lui né per il partito che rappresenta: è come dire che quei signori lì non ci «stanno dentro», all’Italia.
  4. Last but not least: negli ultimi mesi le ferrovie italiane sono state spesso al centro di polemiche, vuoi per i tagli dei treni notturni, vuoi per l’infelice campagna con cui Trenitalia ha messo persone di colore negli scompartimenti di quarta classe, vuoi per i vagoni extralusso abbandonati o le proteste contro la Tav sulla Torino-Lione e non solo. Era proprio necessario, di questi tempi, associare l’immagine di Bersani a quella, da più parti contestata, delle ferrovie italiane?

Ecco insomma l’ennesimo esempio di quella che chiamo SpotPolitik: una politica (in questo caso del Pd, ma non solo) che usa in malo modo tecniche pubblicitarie mal digerite. Piuttosto che ottenere questi risultati, meglio evitare affissioni, slogan, banner e compagnia bella, per concentrare tutti gli sforzi comunicativi verso il contatto diretto con le persone, sul territorio e in rete.

PS: questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

I costi della politica raccontati da un parlamentare del Pd

Gli eventi degli ultimi giorni mi inducono a interrompere la pausa di agosto. Ho apprezzato un dossier pubblicato da Salvatore Vassallo, deputato del Pd oltre che docente di Scienza Politica all’Università di Bologna.

Vassallo riflette sul bilancio della Camera dei Deputati, pubblicato il 2 agosto, e offre un resoconto dettagliato su quanto prende lui stesso al mese, quanto spende e quanto gli resta.

Montecitorio

Ecco i dettagli (i grassetti sono miei) (trovi QUI il resto del dossier, incluso il bilancio della Camera):

«Al contrario di quanto è stato sostenuto sino ad oggi da più parti, l’ammontare complessivo delle risorse che viene impegnata dalla Camera per lo svolgimento delle attività di un singolo Deputato (senza incarichi negli organismi interni) è inferiore rispetto agli altri parlamenti europei con cui ha senso una comparazione (si può vedere al riguardo questo dossier appena elaborato dall’ufficio studi della Camera ed in particolare la tabella a pagina 32, riportata qui sotto). Il complesso delle risorse impegnate per il reddito personale e le attività di servizio (viaggi, telefono, collaboratori, diaria, altro) poste nella diretta disponibilità di un deputato italiano è pari, al massimo, a circa 20mila euro al mese. In Francia questa somma è pari a 23mila euro, in Germania a 27mila, in Gran Bretagna a 21mila, per i parlamentari europei a 35mila.

Attenzione, qui non stiamo parlando dello “stipendio del deputato” ma dell’intero budget mensile, inclusivo delle tasse e degli oneri previdenziali, che viene messo a disposizione di un deputato per organizzare il suo lavoro. Se ci si pensa, senza seguire le leggende metropolitane dell’antipolitica, si tratta di un bilancio inferiore a quello di un modesto studio individuale da avvocato o commercialista, in cui ci siano uno o due praticanti come collaboratori e una segretaria.

Dove sta il problema? Che in Italia una gran parte di queste risorse sono trasferite cash ai singoli parlamentari che le amministrano un po’ come vogliono. Negli altri paesi, una parte consistente è invece gestita, per conto del parlamentare, dall’amministrazione della camera di appartenenza. Da qui le narrazioni che accreditano lo “stipendio dei parlamentari” a non meno di 12mila euro al mese. La verità è abbastanza diversa e varia comunque da Deputato a Deputato, oltre che tra Deputati e Senatori.

Per dare un’idea, faccio l’esempio del mio “bilancio personale come deputato”. In un conto corrente acceso presso uno sportello bancario con sede a Montecitorio, che io uso solo per l’attività parlamentare, arrivano ogni mese: circa 5.000 euro di indennità (lo stipendio netto in senso stretto, per 12 mesi), 3.500 di diaria (per spese di vitto e alloggio), 3.690 euro per il rapporto eletto-elettori (collaboratori, eventuale acquisto di beni e servizi, ufficio nel collegio, ecc). Poi ci sono altri trasferimenti periodici (per trasporti, telefono, computer) che tradotti in un valore medio mensile, ammontano a circa 1.000 euro. Per un totale di 13.200 euro.

Ogni mese verso: 1.500 euro al gruppo PD della Camera; 1.000 euro al PD regionale dell’Emilia-Romagna; circa 500 euro in media per contributi vari (iniziative speciali del PD, MoDem, Democratica, contributi di solidarietà, ecc, ecc); circa 2.500 euro in media per una collaboratrice a Roma con regolare contratto part-time, per collaborazioni occasionali varie (tipo gestione del sito internet), spese telefoniche, taxi, organizzazione di iniziative a Bologna; circa 2.000 per spese di soggiorno a Roma o in altri posti in cui mi capita di andare per iniziative politiche. Per un totale di circa 7.500 euro in media al mese.

Il netto mensile che deriva da questi semplici conti è pari a 5.700 euro, se non si considerano eventuali spese straordinarie, come potrebbero essere quelle di una eventuale campagna elettorale (nel caso in cui cambiasse il sistema elettorale e pensassi di ricandidarmi). Su tredici mensilità, vuol dire un netto di circa 5.200 euro.

Se non avessi accettato la candidatura, come professore ordinario di università, oggi avrei uno stipendio di circa 3.250 euro nettiper tredici mensilità.  Nel 2007, un anno nel quale avevo già iniziato a dedicare parecchio del mio tempo libero alla politica, le attività di ricerca extra-accademica, editoriali, le collaborazioni con quotidiani o altro, mi hanno fruttato un reddito netto di circa 25.000 euro, pari ad una media mensile di 2.000 euro.

Quindi, verosimilmente, se non fossi deputato, oggi disporrei di un reddito pressoché identico.

I benefit collaterali non sono così generosi come si narra. La sanità integrativa, che effettivamente può essere un vantaggio in quanto rimborsa per più della metà anche spese sanitarie elevate, non è carico dell’erario, ma è integralmente finanziata dai versamenti dei Deputati (opera come una cassa di mutua assistenza). Quindi in alcuni anni e per alcuni soggetti “mutuati” è un vantaggio, per altri genera una perdita.

La tessera da Deputato consente di addebitare il costo dei biglietti aerei e ferroviari per il territorio nazionale direttamente su un conto della Camera. C’è chi ne abusa. Per quanto mi riguarda, devo ammettere che mi è capitato per comodità di usare la tessera per viaggi non strettamente riconducibili all’attività politica che avranno aggiunto al mio reddito personale poche centinaia di euro in tre anni. Non so se esistano, credo facciano parte della leggenda, ma in ogni caso non ho mai ritirato tessere di sorta per spettacoli o altre amenità.

Il vitalizio, per un deputato entrato in carica per la prima volta nel 2008, verrà erogato solo se la legislatura non verrà interrotta anticipatamente, a partire dal 65° anno d’età, per un importo pari al 20% dell’indennità. A partire dalla prossima legislatura, come richiesto dal PD, il sistema sarà integralmente basato sul principio contributivo, come per le altre pensioni.

In sintesi, per riprendere il filo del discorso: se un Deputato “semplice” usa le risorse che gli vengono assegnate per le finalità previste, riesce a tenere in piedi una micro-segreteria (lo stretto indispensabile per lavorare) e ottiene un reddito personale pari a quello di un dirigente o di un libero professionista di medio livello.

Ripeto: dove stanno i problemi? Ecco una rassegna forse non esaustiva:

  1. I Senatori ricevono indennità, rimborsi e benefit collaterali aggiuntivi quantificabili in 1.500-2.000 al mese, senza che questo abbia una qualsiasi giustificazione.
  2. I parlamentari che lavorano meno guadagnano di più! Se ad esempio un parlamentare non assume nessun collaboratore (perché crede di non averne bisogno), oppure se assume personale poco qualificato pagandolo magari in nero, o se non va mai in trasferta a sue spese per iniziative politiche, oppure se risiede a Roma e quindi non deve gestire due diverse “sedi di lavoro”, incamera una parte dei vari rimborsi come reddito personale (a tutti gli effetti, tranne che a quello fiscale). Quindi non solo usa i rimborsi per scopi diversi da quelli per cui li ha ricevuti ma evade pure le tasse.
  3. I parlamentari che ricoprono incarichi in organismi interni come le presidenze di commissione o di gruppo, ricevono indennità aggiuntive (cosa in sé stessa ragionevole) di entità ignota (non c’è verso di scoprirlo guardando la pagina internet della Camera), oltre ad ottenere un ufficio aggiuntivo e uno o più collaboratori retribuiti. È quindi probabile che finiscano per ricadere nella categoria (2) di cui si è detto prima se ad esempio smettono di pagare i collaboratori personali con i soldi dei rimborsi.
  4. Alcuni parlamentari continuano a svolgere, mentre sono in carica, una intensa attività professionale. A volte meno intensa che in passato, ma con tutta probabilità non meno reddittizia proprio grazie alla “autorevolezza” aggiuntiva prodotta dall’incarico pubblico. Ci si potrebbe chiedere se sia corretto che la Presidente della Commissione Giustizia continui a patrocinare cause penali, per fare l’esempio di una persona che gode di una diffusa stima. Per non parlare di chi è stato nominato Deputato proprio allo scopo specifico di continuare a fare l’avvocato, come nel caso dell’On. Niccolò Ghedini (e di altri) che non ho visto se non raramente a Montecitorio, come peraltro dimostra il suo tasso di presenza in Aula e il suo indice di produttività parlamentare (indicatori imperfetti che però qualcosa dicono).

Per queste ragioni, ho proposto che d’ora in poi la parte preponderante dei rimborsi per collaborazioni e servizi siano liquidati solo dietro presentazione di validi giustificativi o, meglio, siano gestiti direttamente anche sul piano contrattuale dagli uffici della Camera.

Ho anche chiesto maggiore trasparenza in merito ai benefici accessori riconosciuti ai Deputati che ricoprono incarichi negli organismi interni. Queste due proposte sono state parzialmente incluse nell’ordine del giorno del PD, approvato dall’Aula. Ho proposto anche l’abolizione dei benefici aggiuntivi per i parlamentari cessati dall’incarico (gli ex presidente, ad esempio, anche se lo sono stati più di dieci anni fa, continuano ad avere un ufficio e tre collaboratori), ma questa ipotesi non è stata accolta.»

Leggi QUI il resto del dossier di Vassallo, incluso il bilancio della Camera.

La manovra economica: Di Pietro vs. Bersani

All’indomani della presentazione della bozza di manovra del governo, mi colpisce il forte contrasto fra la reazione di Di Pietro e quella di Bersani. Mi colpisce, attenzione, non stupisce.

Bersani assume subito il solito ruolo distruttivo: «È una farsa drammatica», «Una presa in giro colossale per l’Italia».

Non solo distruttivo, ma controfattuale, cioè basato sul se avessimo fatto… ora non saremmo: «Non avremmo dovuto essere a questo punto», «L’Unione europea ci ha chiesto il pareggio di bilancio, che non sarebbe sinonimo di 45 miliardi di manovra, se ci fosse più crescita e se le riforme in cui cincischiamo a parole le avessero fatte per bene sul serio tre anni fa».

D’accordo sul passato, ma ora che si fa? Infatti Carlo Bertini de La Stampa gli chiede: «Presenterete una contromanovra?». E lui prima allude alle solite belle cose che il Pd avrebbe preparato ma si guarda dallo svelarci: «Noi abbiamo le nostre proposte, sul fisco, pubblica amministrazione, giustizia civile, se vogliono discutiamo quelle». Poi dice diretto che non presenterà nessuna contromanovra:

«perché non ci fanno vedere i conti veri [che brutta immagine di esclusione e impotenza] e sono pure curioso di capire come finisce il dibattito tra rigoristi e non [pensa di starsene zitto a guardare?]. Hanno preso la spending review di Padoa Schioppa [alzi la mano chi sa cos’è] e l’hanno buttata dalla finestra, ora parlano di nuovo di spending review. Ma è da persone serie? [di nuovo critiche e lamentele]» (La Stampa, Manovra, Bersani: Ci fanno un regalino da 40 miliardi, 29 giugno 2011).

Opposta la reazione di Di Pietro, grintoso e propositivo: «Esprimeremo il nostro parere solo dopo aver letto il testo. Noi esamineremo voce per voce la manovra di Tremonti e alla fine diremo un sì o un no. Se poi il ministro Tremonti voterà i nostri emendamenti ne saremo ben felici».

E in qualche ora si è precipitato ad annunciare che darà a Tremonti una contromanovra. Non solo: ieri sera sul canale YouTube dell’Idv era già apparso uno spot che la presenta. Come sempre, lo slideshow dell’Idv è dilettantesco: con le scritte mal definite, gli sfondi invasivi, le animazioni standard di PowerPoint e la canzone «Pensa» di Fabrizio Moro in sottofondo (avranno chiesto i diritti? Moro è loro amico?). Sembra fatto da un ragazzino delle medie.

Però è concreto, semplice, e ti dà l’idea di gente che non sta con le mani in mano.

Non entro nel merito della proposta di Di Pietro, ma mi chiedo: perché il leader del Pd che, grazie al calo di consensi del Pdl e di Berlusconi, aspira a diventare il primo d’Italia (lo è stato per qualche giorno, ora pare in calo), non può assumere un atteggiamento come quello che ha Di Pietro in questi giorni?

Non è così difficile, su, Bersani. Mutatis mutandis, eh, mi raccomando: non è che ora devi dire anche tu «Che ci azzecca».