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Umberto Eco, Erri De Luca, Rita Levi Montalcini per gli auguri di capodanno

Imperdibile l’ultima Bustina di Minerva di Umberto Eco, che ci spiega i “bersanemi”, le celebri frasi di Bersani che Crozza ha messo in parodia: tutti li chiamano metafore ma sbagliano, perché invece sono esempi paradossali. Alla fine Eco ammonisce: «Ben vengano i paradossi espressi dai bersanemi, purché non si continuino a fare cose faticose e stupidamente inutili». Ma leggi l’articolo per intero: Il senso di Bersani per la metafora.

Inevitabile, dal 2008, che a fine dicembre arrivino a questo blog le visite (centinaia!) di chi cerca il “Prontuario per il brindisi di capodanno” di Erri De Luca e trova il mio post del 31 dicembre 2008. Tanto vale allora riprenderlo: Prontuario per il brindisi di capodanno.

Impossibile, oggi, non rivedere il filmato in cui Rita Levi Montalcini rispondeva a sei giovani ricercatrici provenienti da tutto il mondo. Era la fine del 2009, Rita aveva 100 anni, si trovava in Israele e parlava di ricerca internazionale, donne, futuro. Eccola, in una pittata che Attilio Del Giudice ha intitolato “Per il primato del neocorticale”.

Rita Levi Montalcini di Attilio Del Giudice

Ecco infine il video, grazie alla Fondazione EBRI.

Come il “non comunicatore” Bersani è riuscito a comunicare

Finisco il discorso di ieri con qualche osservazione sulla comunicazione di Bersani alle primarie. Molti a dire il vero l’hanno chiamata “non comunicazione” o “anti-comunicazione”; molti, anche in questi giorni, hanno ribadito quanto Bersani sia “negato” in comunicazione. D’altra parte, solo un anno fa se ne usciva con affermazioni del tipo «La comunicazione sta alla politica come la finanza sta all’economia». Dove comunicazione e finanza sono cattive, politica ed economia buone. E tutti giù a dirgli – inclusa me – che “non si può non comunicare”, che non è vero che la comunicazione è fuffa e la politica sostanza, che comunicazione (in senso alto) e politica (in senso alto) coincidono dal V secolo a.C, che se continui così, caro Bersani, ti fai fregare dal primo “bravo comunicatore” che passa, come ha fatto la sinistra con Berlusconi. A un certo punto però…

A un certo punto qualcosa è cambiato. Pare che Bersani e il suo staff abbiano fatto clic. Pare che la scossa elettrica del “bravo comunicatore” Renzi abbia fatto bene al “non comunicatore”. In tre punti:

1. La personalizzazione: «Se ti candidi per governare l’Italia, devi raccontare anche qualcosa di te. Appuntamento alle 11 a #Bettola», scrive Bersani su Twitter il 14 ottobre 2012. Dopo aver ripetuto per tre anni di essere contrario a ogni personalismo in politica, dopo aver ripetuto cose come «Bersani non conta, contano il Pd e l’Italia», d’improvviso cede alla leva centrale della comunicazione politica contemporanea: la personalizzazione. Vedi: Bersani #pb2013. La svolta personalizzante.

2. Il sorriso. Per tre anni Bersani si è presentato soprattutto con la faccia scura e il broncio. Anche quando al Pd le cose andavano bene (vedi Lo sforzo di Bersani sul referendum). In queste primarie, invece, d’improvviso s’è messo a sorridere. O addirittura a ridere. Quando parlo dell’importanza del sorriso in politica molti sorridono, appunto, come se fosse fuffa. Preferiscono non pensare, evidentemente, che il sorriso altrui fregherà più loro di altri, visto che si ostinano a non rendersene conto. Contenti loro. Bersani invece l’ha finalmente capito e ben gliene incoglie, perché il sorriso favorisce stati d’animo di fiducia, indulgenza, benevolenza (favorisce, non determina). Il che vale quando è autentico (puoi anche simularlo, ma ci riesci solo se sei un attore bravo), non quando è simulato in malo modo. Vedi: Perché i politici di sinistra dovrebbero sorridere di più.

bersani che ride

3. Le emozioni. Per tre anni la comunicazione di Bersani ha trascurato le emozioni, in due sensi: ne ha parlato poco e ne ha espresse poche, se non negative (preoccupazione, rabbia). Ma le emozioni sono una leva fondamentale della comunicazione (tutta, non solo politica). Lo hanno spiegato molto bene studiosi americani come Drew Westen e George Lakoff. In queste primarie, invece, abbiamo percepito le emozioni di Bersani quasi tutti i giorni: da Bettola al salotto di Bruno Vespa, fino al discorso di domenica sera, che chiude, guarda caso, parlando proprio di emozioni (soprattutto positive): «Questo viaggio lo facciamo assieme. Si governa con un popolo, mettiamoci forza, mettiamoci energia, e mettiamoci anche un po’ di allegria, che è un tratto del nostro popolo, siamo italiani, no? E un po’ di convinzione, un po’ di tranquillità e un po’ di serenità, non bisogna agitarsi, non bisogna intimorirsi, bisogna essere tranquilli e forti, e decisi [con gesto della mano di taglio]. Grazie a tutti.»

Insomma, il “non comunicatore” è diventato un “bravo comunicatore”? Ci andrei piano: al momento pare più uno studente alle prime armi, che però mostra di impegnarsi. Di imperfezioni le sue performance trasudano. Le stesse imperfezioni che in queste primarie gli hanno conferito quell’effetto di autenticità che gli ha guadagnato consensi e simpatie, specie in contrasto con la confezione patinata di Renzi. Ma di qui in avanti la comunicazione di Bersani sarà tutta da studiare e riverificare in relazione a fatti, programmi e futuri avversari: Grillo anzitutto, e chissà chi di centrodestra. Con Monti che aleggia intorno.

Questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

Un Bersani chiaro e deciso sulla scuola. Continuerà?

Nell’incuria generale che la scuola soffre nel nostro paese, ieri Bersani è stato l’unico a pronunciare parole nette contro la parte della legge di stabilità che la colpisce in modo insensato per l’ennesima volta. (Perché insensato? per questi, questi e questi motivi.)

Così Bersani su Twitter e Facebook: «Voglio dirlo con chiarezza, noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola». In entrambi i casi poi linka a questo articolo sul sito Bersani2013:

Lavagna e gessi

Legge di stabilità: non potremo votare le norme sulla scuola così come sono. Sarebbe un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa.

In questi giorni continueremo con i dipartimenti del Pd e con i gruppi parlamentari nell’approfondimento della legge di stabilità e discuteremo con altri gruppi di maggioranza cercando il massimo di convergenza.

Nel rispetto dei saldi chiediamo al governo di rendersi disponibile a modifiche significative. Noi metteremo attenzione alla questione fiscale cercando una soluzione più equa e più adatta a incoraggiare la domanda interna. Metteremo attenzione al tema ancora aperto degli esodati.

In particolare, voglio dirlo con chiarezza, noi non saremo in grado di votare così come sono le norme sulla scuola.

Sono norme al di fuori di ogni contesto di riflessione sull’organizzazione scolastica e che finirebbero semplicemente per dare un colpo ulteriore alla qualità dell’offerta formativa. Voglio credere che ciò sarà ben compreso dal governo.

Diversamente, saremmo di fronte a un problema davvero serio.

Finalmente Bersani ha detto “qualcosa di sinistra”, come diceva Moretti? Pare di sì. Però.

Però ieri i telegiornali hanno ripreso le dichiarazioni di Bersani mescolandole a quelle di Alfano, per esempio.

Però oggi le prime pagina dei giornali che evidenziano le parole del segretario con apposita titolazione sono solo La Stampa, Pubblico, l’Unità, Il Piccolo, mentre il Corriere dice, bipartisan: «Pd e Pdl avvertono Monti: su scuola e fisco si cambi», ma anche Repubblica parla di «partiti» in generale e poi si concentra sul ministro: «Partiti contro la manovra. Scuola, Profumo ci ripensa». E questi sono i due più diffusi, ma anche in altri casi abbiamo per esempio: il Messaggero «Fisco e scuola, si cambia», Il Mattino «Irpef e scuola, i ritocchi del governo», e così via. Come se i cambiamenti si autogenerassero o dipendessero da ripensamenti dello stesso governo.

Infine ancora non si trova, né su YouTube né su YouDem, un video che ritagli ed evidenzi le dichiarazioni di Bersani ai giornalisti: peccato, perché potrebbe essere ripreso da tutti gli insegnanti e studenti che in questi giorni si stanno mobilitando contro ciò che la legge di stabilità prevede per loro.

Bersani #pb2013: la svolta personalizzante

«Se ti candidi per governare l’Italia, devi raccontare anche qualcosa di te. Appuntamento alle 11 a #Bettola», ha scritto ieri mattina Bersani su Twitter.

E infatti: dopo aver ripetuto per tre anni di essere contrario a ogni personalismo in politica, dopo aver detto che «la comunicazione sta alla politica come la finanza sta all’economia» (cattive le prime due, buone le seconde), dopo aver ripetuto cose come «Bersani non conta, contano il Pd e l’Italia», d’improvviso ha ceduto alla leva centrale della comunicazione politica contemporanea: la personalizzazione. Perciò ieri:

  1. ha aperto la campagna per le primarie nel suo paesello natio (Bettola, provincia di Piacenza), mostrando la pompa di benzina che era del padre e l’officina gestita dal cugino;
  2. ha pubblicato su Twitter e Facebook alcune foto di sé bambino: con i genitori e il fratello, in mezzo ai compagni di scuola, davanti a una cartina dell’Italia, e così via;
  3. si è fatto riprendere più volte sorridente (finalmente qualche sorriso!), mentre abbracciava diversi compaesani e il cugino;
  4. ha lasciato che il fratello Mauro rilasciasse, con quella voce che pare la sua, un’intervista a Repubblica Tv, in cui ha espresso opinioni sulle primarie («un esperimento ancora non codificato perfettamente, ma sarà una carta importante per il centrosinistra»), su chi le vincerà («dovrebbe vincerle Pier Luigi, mi sembrerebbe strano il contrario, però è una gara vera»), su Renzi («credo non sia ancora pronto per diventare il capo del governo. E poi è un po’ ambiguo»).

Bersani bambino in famiglia

Bersani e la cartina geografica

Sto dicendo che Bersani è caduto in contraddizione? che si è fatto irretire da qualche spin doctor? che vuole prenderci in giro? Niente di tutto questo: Bersani cerca di fare l’unica cosa possibile per mettersi al passo con Renzi, che nel frattempo sta usando tutte le tecniche del marketing, della pubblicità e dello storytelling che può.

Certo, il risultato è meno smagliante di quello di Renzi, perché forse Bersani è meno abile nel comunicare, forse meno diligente nell’allenarsi, o forse sono i suoi coach a essere meno agguerriti. Potrebbe ad esempio migliorare la postura e la gestualità, potrebbe disimpastare la parlata e alleggerire i testi. Ma tutto ciò che a un tecnico sembra un difetto può essere preso dagli elettori di centrosinistra – che da sempre demonizzano la comunicazione – come manifestazione di autenticità e immediatezza. Il che non esclude, fra l’altro, che i difetti siano conservati ad arte. Staremo a vedere.

Questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

Bersani e i «fascisti del web»

Dell’uscita di Bersani sui cosiddetti «fascisti del web» – e ricordiamo che l’espressione è solo un titolo giornalistico, perché Bersani non l’ha mai pronunciata – molto si è detto negli ultimi due giorni. Aggiungo alcune cose.

Bersani a Reggio Emilia

Più che l’implicita demonizzazione del web – che pure c’è (vedi Mantellini e Civati), ma vabbe’, in Italia si fa anche di peggio – non mi è piaciuta l’uscita da bullo: «Vengano a dircelo, non ci impressionano, vengano qui a dircelo, via dalla rete». Come se dal rimboccarsi le maniche che significa «lavoriamo sodo», Bersani volesse passare al gesto che prelude al menare le mani. E non mi è piaciuta perché:

  1. Implica mettersi sullo stesso piano dei modi aggressivi e dei «linguaggi fascisti» che tanto si criticano.
  2. Mi pare un’uscita progettata solo in parte (della serie «Di’ qualcosa di forte contro Grillo, Di Pietro e quelli che t’insultano»), ma più che altro mi pare sia stata improvvisata, come se la foga del comizio gli avesse preso la mano. Cose che capitano, certo, anche se per me in comunicazione nulla andrebbe lasciato al caso. Ma allora vuol dire che davvero i linguaggi e modi tanto biasimati gli sono entrati dentro.
  3. Nei limiti in cui l’uscita è stata progettata, qual è l’obiettivo? Mostrare un segretario forte (persino macho) e autonomo, per smarcarlo dall’appoggio al governo Monti? Caricare gli elettori del Pd più convinti, mostrando loro che la crescita del Movimento 5 Stelle non deve fare paura? Un po’ entrambe le cose, direi.
  4. E tuttavia, sempre pensando agli obiettivi, Bersani con quel gesto – che certo funziona con gli elettori del Pd più convinti – rischia (ancora una volta) di dimenticare tutti gli ex elettori del Pd ora incerti e delusi, che magari guardano con simpatia al Movimento 5 Stelle. Rischia di dimenticare che l’M5S può accogliere molti transfughi del Pd (localmente è già successo) perché non è fatto solo di gente che insulta con la bava alla bocca (dentro e fuori dal web). Come non è fatto solo di web, ma si affida moltissimo alla comunicazione capillare sul territorio (vedi la vittoria di Pizzarotti a Parma) e alla televisione (Grillo viene da lì e la sua faccia ci torna fra le notizie decine volte al giorno). Insomma l’M5S non è fatto solo di quelli che Bersani chiama «fascisti». Non varrebbe la pena di rivolgersi (anche) a queste persone?

Ora, è sempre importante curare il proprio elettorato più solido, specie in una festa di partito. Ma ciò che un segretario dice durante una festa di partito arriva immediatamente anche a chi alla festa non c’è. E poiché si va verso la campagna elettorale (anzi, ci siamo già dentro) e le elezioni si vincono soprattutto convincendo gli incerti e riacchiappando i fuggitivi, mi domando: quand’è che Bersani penserà anche a loro? Io negli ultimi anni li ho visti sempre trascurati.

Quest’articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

Le parole esatte di Bersani:

Quei sorrisi di Camusso e Bersani a Cernobbio

Più tempo passa, più l’abilità comunicativa di Monti dà il meglio di sé. A parte qualche scivolone infatti (vedi «Il governo Monti sta perdendo sobrietà comunicativa?»), per il resto il Presidente del consiglio sta dando prova di capacità notevoli nell’uso strategico dei media per appianare situazioni di difficoltà e contrasto politico. Capacità in parte favorite dal consenso complessivo con cui le maggiori testate giornalistiche accompagnano le sue azioni, ma non per questo meno degne di nota.

Il pranzo a Cernobbio con vista lago è un esempio magistrale: Monti sceglie un tavolo davanti a un’enorme vetrata proprio per facilitare fotografie e videoriprese (come dire: «Non abbiamo nulla da nascondere»); e sceglie di avere accanto Susanna Camusso proprio per permettere i ritratti di loro due sorridenti, amichevoli e quasi intimi che sono apparsi sui principali quotidiani, nei Tg e pure sullo sfondo dell’intervista di Lucia Annunziata alla leader della Cgil. È chiaro che immagini del genere servono ad addolcire – se non a contraddire – qualunque dichiarazione di scioperi e proteste da parte del sindacato. Stesso discorso vale per Bersani: uno come lui, che di solito sorride poco nelle interviste, appare invece di ottimo umore assieme a Monti.

Certo, a parole sia Bersani sia Camusso continuano a essere critici e guardinghi nei confronti della riforma del lavoro. Ma quelle immagini e quei sorrisi da un lato dicono il contrario, dall’altro inglobano i due leader – che più di tutti dovrebbero rappresentare le fasce meno abbienti e più sofferenti della popolazione italiana – nella stessa atmosfera elitaria che contraddistingue il governo Monti: ambienti raffinati, belle maniere e cibi buoni. Ora, in comunicazione un’immagine vale più di mille parole. E Monti lo sa.

Foto Ansa:

Pier Luigi Bersani a Cernobbio, foto Ansa

Susanna Camusso a «In 1/2 ora» di Lucia Annunziata, 25 marzo 2012:

Susanna Camusso In 1/2 ora, 25 marzo 2012

PS: questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.

Bersani, il treno e la «Destinazione Italia»

Da alcuni giorni sulla pagina Facebook di Pier Luigi Bersani e sul sito del Pd (in una sezione apposita) appare questa immagine:

Bersani, Destinazione Italia

È da tempo che – pur sollecitata – non dico nulla sulla comunicazione del Pd: dal «Rimbocchiamoci le maniche» in poi, parlar male delle immagini e degli slogan che negli ultimi anni il Pd ha prodotto a raffica è diventato uno sport nazionale, tanto che aggiungermi al coro mi pare quasi di cattivo gusto, un po’ come sparare sulla Croce rossa.

Ho taciuto di «Ti presento i miei», per esempio, con Faruk, Eva e gli altri. Ma non riesco a tacere della campagna «Destinazione Italia», con cui il Pd presenta il: «progetto “Destinazione Italia” che vedrà Bersani e i dirigenti del Pd impegnati in un tour del Belpaese per discutere dei problemi seri delle persone e per avanzare risposte alla crisi», come si legge sul sito.

Ora, a parte gli elettori del Pd più convinti e i fan di Bersani più accaniti, molti restano sgomenti di fronte all’immagine perché:

  1. Bersani è ritratto in treno, solitario e pensoso, mentre guarda fuori dal finestrino. Ma il leader di un partito non viaggia quasi mai da solo, perché ritrarlo così? Inoltre: è preoccupato dopo aver letto i giornali? angosciato per la pesantezza del «tour» che lo attende? triste perché solo?
  2. Dal finestrino non si vede nulla. Ora, non c’è niente di meglio, quando si viaggia in treno e non c’è nulla di urgente da fare, che guardare il paesaggio che scorre. Specie sul nostro territorio, denso di bellezze naturali e artistiche. Perché cancellarlo? Per dar spazio e risalto allo slogan, risposta ovvia. Ma ciò aumenta l’inquietudine sia di Bersani sia nostra che lo guardiamo, e implica fra l’altro che la «Destinazione Italia» coincida col vuoto lattiginoso del finestrino: associazione quanto meno problematica.
  3. Che l’Italia sia per Bersani una «destinazione» implica che lui non ci abiti, ma debba arrivarci. E l’implicito non è certo un complimento né per lui né per il partito che rappresenta: è come dire che quei signori lì non ci «stanno dentro», all’Italia.
  4. Last but not least: negli ultimi mesi le ferrovie italiane sono state spesso al centro di polemiche, vuoi per i tagli dei treni notturni, vuoi per l’infelice campagna con cui Trenitalia ha messo persone di colore negli scompartimenti di quarta classe, vuoi per i vagoni extralusso abbandonati o le proteste contro la Tav sulla Torino-Lione e non solo. Era proprio necessario, di questi tempi, associare l’immagine di Bersani a quella, da più parti contestata, delle ferrovie italiane?

Ecco insomma l’ennesimo esempio di quella che chiamo SpotPolitik: una politica (in questo caso del Pd, ma non solo) che usa in malo modo tecniche pubblicitarie mal digerite. Piuttosto che ottenere questi risultati, meglio evitare affissioni, slogan, banner e compagnia bella, per concentrare tutti gli sforzi comunicativi verso il contatto diretto con le persone, sul territorio e in rete.

PS: questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto Quotidiano.