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Impressioni (a caldo) sulla vittoria di Trump negli Stati Uniti

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Provo a buttar giù qualche appunto per far ordine fra i pensieri che mi passano per la testa in queste prime ore dopo la vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti:

  1. Sondaggi d’opinione: è sempre più chiaro che, nelle democrazie occidentali cosiddette “mature”, i sondaggi diffusi dai media nei mesi che precedono qualunque competizione elettorale, sbagliano. E di molto. Vedi l’Italia prima delle elezioni politiche del 2013 (sottostimavano il Movimento 5 Stelle), vedi il Regno Unito prima della Brexit (davano vincente il remain), vedi fino a ieri gli USA (davano vincente la Clinton). Questo però non vuol dire, secondo me, che i sondaggisti non sanno più fare il loro mestiere, né che l’arma del sondaggio è ormai spuntata. Oddio, un po’ vuol dire anche questo, ma non solo. Vuol dire soprattutto che i sondaggi Continua a leggere

Mi scrive Barack che ha bisogno di soldi

La legge statunitense vieta agli stranieri di fare donazioni a favore della campagna presidenziale: solo i cittadini americani e coloro che hanno una Green Card possono contribuirvi. Nel gennaio 2010, però, la Corte suprema ha stabilito che lo stato non può vietare alle corporation di contribuire in modo indipendente alle campagne elettorali; nel marzo del 2010 la Corte d’appello del distretto di Columbia ha poi aggiunto che le donazioni dai gruppi indipendenti (i cosiddetti Super Pac, dove Pac sta per Political Action Committee) non devono essere limitate. Dunque oggi è sempre più difficile capire se le campagne presidenziali sono alimentate anche da fondi esteri. E di fatto lo sono, anche se io, come straniera e come individuo, non posso fare nessuna donazione.

Pur sapendo queste cose, ho provato a fare clic su «Donate» a favore della campagna di Obama. Da allora sono nella mailing list dei potenziali donatori: gente che ha già dato e potrebbe rifarlo, incerti che volevano ma all’ultimo non l’hanno fatto, e così via. A questi – me inclusa – in questo periodo arriva più o meno una mail al giorno da Obama, sua moglie (che si firmano Barack e Michelle), Bill Clinton (che si firma più distaccato con nome e cognome) e vedremo chi altri.

Obama, Stand with me

Il tono è allo stesso tempo diretto, concreto (cifre alla mano) e accorato, pensato apposta per chi si suppone fosse lì lì per donare (dunque un simpatizzante motivato), ma si è fermato/a per qualche ragione. Proprio come ho fatto io, ma per motivi diversi dai miei: gli Stati Uniti sono pieni di gente che nel 2008 si entusiasmò per Obama e oggi, in difficoltà per la crisi, pensa di astenersi. È questi che Obama cerca di recuperare. Esempio:

Friend —

I will be outspent in this re-election campaign, if things continue as they have so far.

I’m not just talking about the super PACs and anonymous outside groups — I’m talking about the Romney campaign and the Republicans themselves. Those outside groups just add even more to the underlying problem.

The Romney campaign and the Republicans have recently raised more than us, and the math isn’t hard to understand. In August, we hit a milestone of over 3.1 million donors to this campaign, and in July, our average donation was $53, and 98 percent of our donations were less than $250. In that same period, only 25 percent of the money Romney and the Republicans raised came from donations of $250 or less — his campaign is being driven by a team of wealthy donors.

And, again, that’s not including the massive outside spending by super PACs and front groups funneling up to an additional billion dollars into ads trashing me, you, and everything we believe in.

We can be outspent and still win — but we can’t be outspent 10 to 1 and still win.

So thanks for getting on board for this election.

Today, I’m asking you to help us close the gap. Donate now.

This isn’t about me or the outcome of one election.

This election will be a test of the model that got us here. We’ll learn whether it’s still true that a grassroots campaign can elect a president — whether ordinary Americans are in control of our democracy in the face of massive spending.

I believe we can do this. When all of us chip in what we can, when we can, we are the most powerful force in politics.

Donate today:

https://donate.barackobama.com/Being-Outspent

Thank you,

Barack

Questo articolo è uscito ieri pomeriggio anche sul Fatto Quotidiano.

Come si vota negli USA

In questa notizia Apcom, una sintesi utilissima di come si vota negli USA.

Usa 2008/ Tutti i possibili incubi della notte elettorale

Il voto elettronico non lascia traccia su carta in 22 Stati

Usa 2008/ Tutti i possibili incubi della notte elettorale

New York, 30 ott. (Apcom) – A dirlo meglio di tutti è Homer Simpson, nella puntata del cartone animato cult che andrà in onda domenica prossima, e che è dedicata interamente alle elezioni presidenziali del 4 novembre. Di fronte allo schermo al tatto, in un seggio della fantomatica Springfield, Homer prova a votare per il democratico Barack Obama, ma il computer registra il suo voto per il repubblicano John McCain, non una, ma più volte, prima di inghiottirlo.

Il segmento dei Simpsons, diffuso in anticipo su YouTube, è stato visto da milioni di persone ed è diventato una sorta di manifesto degli incubi elettorali nella notte in cui gli americani sceglieranno il prossimo presidente. Anche perché l’incidente di Homer è accaduto per davvero, in alcuni stati è previsto il voto anticipato, e potrebbe succedere anche martedì prossimo.

I guai in vista sono numerosi, vanno dalle irregolarità nelle operazioni di voto con il possibile malfunzionamento delle ‘macchine elettorali’ ai problemi legati alle liste, alle code interminabili ai seggi. E poi naturalmente ci sono i timori di più banali brogli: voti invalidati, elettori che per qualche motivo saranno respinti dai seggi o se ne andranno perché stufi di aspettare il loro turno, magari sotto la pioggia.

La premessa è d’obbligo: negli Stati Uniti non si vota – salvo rare eccezioni – con una scheda elettorale e una matita indelebile, ma con sistemi meccanici o informatici spesso bizzarri, modernissimi o gli stessi di decenni fa. E neppure lo scrutinio assomiglia a quello cui sono abituati gli italiani: in molti i casi i voti sono contati dalle stesse macchine o con speciali scanner ottici. Non ci sono copie in carta del voto espresso e non esiste, in almeno 22 Stati americani, alcuna possibilità di controllare che le operazioni si siano svolte in maniera legittima. Di più: nove milioni di elettori, inclusi quelli di Florida e Ohio, useranno macchinari introdotti nel marzo scorso e mai sperimentati.

Anche dove il voto è espresso con carta e penna, o dove vengono utilizzati macchinari che timbrano o bucano le schede premendo pulsanti o muovendo leve, i rischi di irregolarità sono concreti.

Sembra impossibile, ma la realtà del voto assomiglia drammaticamente a quella di Homer Simpson. Ad esempio in West Virginia, Colorado, Tennessee e Texas dove alcuni elettori hanno premuto sullo schermo al tatto sul nome di un candidato notando che il voto veniva attribuito all’altro. Su YouTube ci sono i filmati che dimostrano questi problemi. I sistemi di voto sono previsti dagli Stati e non sono uniformi sull’intero territorio americano.

Il 55 per cento degli elettori voterà con sistemi elettronici a scanner ottici, il sei per cento in più rispetto alle politiche del 2006. Un terzo degli americani sceglie il candidato su un touch screen, che assomiglia a quello di un bancomat, ma spesso non rilascia la ricevuta. Lo stato di New York utilizza ancora un sistema meccanico a leve introdotto negli anni Sessanta. I terribili macchinari che bucano le schede quando l’elettore preme il pulsante relativo al proprio candidato, sono ancora in vigore in Idaho: si tratta degli stessi utilizzati in Florida nel 2000, nel contestatissimo duello tra George W. Bush e Al Gore, poi deciso dalla Corte Suprema. Solo alcune piccole contee di Maine e Vermont usano le schede di carta e le preferenze espresse dagli elettori vengono contate a mano.

Dopo lo scandalo della Florida (ci sono le prove di migliaia di voti non contati o attribuiti al candidato sbagliato) il governo federale ha investito milioni di dollari per rinnovare i sistemi di voto in molti stati. Sono state quindi introdotte le nuove macchine con schermo al tatto. La tecnologia non è garanzia di accuratezza. I voti vengono registrati su un chip di memoria, non su carta e la manomissione è un gioco da ragazzi: Cnn ha filmato il procedimento simulato da una associazione che si batte per garantire la regolarità del voto: basta togliere il vecchio chip, sostituirlo con uno nuovo.

I ‘bancomat’ elettorali sono semplici computer, in fin dei conti, e quello utilizzato per votare è un semplice software: basta poco per riprogrammarlo in maniera da aggiungere un 10% di voti a un candidato. Chi mai riuscirebbe ad accorgersene? La Florida insegna inoltre che il voto può essere influenzato ancora prima che i voti siano espressi: è sufficiente che i commissari responsabili dei seggi non consentano di votare ad alcuni elettori, per presunte irregolarità nelle liste elettorali.

È vero che il voto è segreto, ma fino a un certo punto poiché gli elettori sono registrati come democratici, repubblicani o indipendenti. E non è un segreto, ad esempio, che il 95 per cento degli afroamericani voti per Obama e che per il democratico votano la stragrande maggioranza degli americani di origine ispanica, due terzi di quelli che hanno un nome ebraico, quasi tutti i giovani sotto i 25 anni.

Apcom 19:43 – ESTERI – 30 OTT 2008

Ho trovato su un canale francese di YouTube l’anticipazione della puntata in cui Homer Simpson finisce maciullato dalla macchina per votare.

😦

Le contraddizioni dell’avversario

Una mossa di grande efficacia in un dibattito politico è mostrare una contraddizione dell’avversario. Assicurandosi – naturalmente – che il pubblico non solo veda la contraddizione, ma la consideri obiettiva e non pretestuosa. Insomma non basta ripetere, come fanno i nostri politici: «Ieri dicevi una cosa, oggi il contrario». Occorre provarlo.

Non sempre, durante un dibattito, si hanno le prove che servono (a meno che l’avversario non si sia contraddetto da solo, durante lo stesso dibattito). Inoltre, additare le contraddizioni dell’avversario può restituire un’immagine fastidiosamente pedante o troppo aggressiva di chi lo fa. Cosa non sempre desiderabile.

Allora si fa come lo staff di Obama che, dopo l’ultimo faccia a faccia, ha diffuso un video su YouTube e uno spot in televisione, a proposito dell’affermazione di McCain “Senator Obama, I’m not president Bush”, ormai divenuta celebre.

Quanto tempo dovrà ancora passare prima che i politici italiani riescano ad applicare queste – peraltro elementari – regole della controversia politica?

Il video

Lo spot

Who is right?

Commentando il post di ieri, Angelo mi chiedeva che «effetto farebbe un video di risposta democratica [al video repubblicano che ho mostrato ieri] in cui si evidenziano le critiche a McCain nel discorso di Obama».

Quel video esiste, è uscito subito dopo che sul sito di McCain era comparso «McCain Is right», e si intitola «The Right Judgement in Iraq». (Presumo che i democratici, già consapevoli dell’errore di Obama, abbiano montato il video esattamente nelle stesse ore in cui gli avversari preparavano il loro.)

Come funziona? Hanno ritagliato dal faccia a faccia fra i due candidati il momento in cui Obama sottolinea con più forza gli errori di McCain sull’Iraq, ripetendo «You were wrong». Tocco finale: il titolo, dove «right» annuncia un «aver ragione» che, dopo aver visto il video, siamo indotti ad attribuire letteralmente a Obama e solo ironicamente a McCain.

Le concessioni di Obama

La concessione è una mossa retorica che si usa nelle dispute e consiste nel dare temporaneamente ragione all’avversario, per poi ritorcere questa ragione contro di lui. Di solito si concede qualcosa su un tema secondario, o parziale, per vincere su uno più importante, e decisivo.

Si perde una battaglia per vincere la guerra, insomma.

La concessione è molto efficace nei dibattiti pubblici, perché chi la esercita mostra all’uditorio fair play e sicurezza: dare ragione all’avversario significa essere non solo capaci di mantenere la calma, ma talmente onesti e imparziali da riuscire a dire le cose come stanno, anche se favoriscono l’altro.

Naturalmente, però, non si deve esagerare: chi concede troppo rischia di perdere forza.

È quello che è successo a Barack Obama nel suo primo faccia a faccia con McCain. Ha detto così tante volte «McCain is right», che dopo poche ore i repubblicani hanno avuto gioco facile nel montare questo spot.