Mi segnala Igor lo spot con cui in questi giorni Sky Cinema sta pubblicizzando il fatto che, dal 14 settembre, manderà in onda un po’ di cinepanettoni.
Lo spot valorizza positivamente i cinepanettoni e negativamente la «cultura» e l’«arte», mettendo in scena due caricature: quella di chi «si interessa di cultura e arte», tanto antipatico/a quanto vacuo/a, e quella di chi «preferisce divertirsi», laddove il divertimento è appiattito sulla soneria truzza e la visione dei cinepanettoni.
Così facendo, i pubblicitari hanno chiaramente focalizzato il loro target, e in questo senso lo spot è perfetto: persino chi decide, per una sera, di concedersi un cinepanettone (magari vergognandosene un po’), in quel momento sarà indotto a pensare al se stesso che va a teatro o vede un «film impegnato» come a un personaggio barboso. Per non parlare dei cinepanettoniani convinti, quelli che se li sono già visti tutti e li rivedranno pure su Sky: loro già pensano che l’opposizione fra «cultura» e «divertimento» sia letteralmente come si vede nello spot.
Ora, la pubblicità lavora sempre con stereotipi, perché altrimenti non raggiunge un pubblico vasto, e spesso con caricature, perché fanno ridere o almeno sorridere. E questo lo sappiamo. Ma era proprio necessario che l’agenzia pubblicitaria e il suo committente scegliessero di nutrire l’immaginario dei telespettatori Sky con questa ennesima ridicolizzazione dell’«avere cultura» e del «fare cose culturali» in un paese che già fatica a valorizzare cultura, educazione, istruzione?
Non era necessario, solo facile, perché qualla svalutazione sta già nella testa del target (cinepanettoniani convinti o occasionali) e un po’ in quella di tutti: basta solo riprenderla, senza inventarsi nulla. Ma riprendendola, non fai altro che rinforzarla. Et voilà, il circolo vizioso (al ribasso) è fatto.