Archivi tag: Repubblica Bologna

Lavoro e maternità: quando in azienda lo squalo è donna

Donna incinta al lavoro

Mi scrive Claudia, che si laureò con me una decina di anni fa e mi ha sempre tenuta aggiornata sulla sua vita: il primo stage, i primi contratti da precaria, l’assunzione a tempo indeterminato in una multinazionale della moda, il matrimonio e infine, da circa un mese, la maternità. Che purtroppo ha portato con sé anche un’amara delusione: Continua a leggere

I lavavetri ai semafori: problema vero o falsa coscienza?

Lavavetri

Ieri è uscita su Repubblica Bologna una lettera dell’ex collega e ora amico Tino Ferrari, sul cosiddetto “problema dei lavavetri”, che in questi giorni ha suscitato un certo dibattito a Bologna, ma che riguarda tutte le città italiane. Trovo la prospettiva di Tino al tempo stesso liberatoria, pragmatica e umana. Eccola: Continua a leggere

Se i politici pagano per andare in tv: aggiornamenti

Sulla vicenda dei consiglieri della Regione Emilia-Romagna che hanno pagato per avere spazi nelle televisioni locali (non chiaramente marcati come messaggi promozionali), a dimostrazione che si tratti di un fenomeno sistemico e non occasionale, è emerso ieri che anche qualche consigliere regionale del Pd – partito che inizialmente aveva dichiarato di essere estraneo alla pratica – l’ha fatto.

7 Gold  èTV  TeleRomagna

Ne ha scritto ieri la redazione bolognese del Fatto Quotidiano. Ne ha scritto ieri sul suo blog Andrea Chiarini, giornalista di Repubblica Bologna, riprendendo la notizia del Fatto. Ne riscrive oggi Repubblica Bologna.

Così fan tutti. E nel frattempo aumenta la sfiducia dei cittadini nei confronti dei partiti. Ma anche dei media, naturalmente. Pure quelli sotto casa.

Se i politici pagano per andare in tv

La vicenda dei consiglieri della Regione Emilia-Romagna che hanno pagato per avere spazi nelle televisioni locali (non marcati come messaggi promozionali) ha suscitato in questi giorni un dibattito nazionale (nei limiti della disattenzione ferragostana).

Riprendo le attività del blog pubblicando l’intervista che mi ha fatto in proposito Silvia Bignami di Repubblica Bologna, apparsa il 14 agosto. Ci rileggiamo lunedì.

Intervista Cosenza 14 agosto 2012

UN PESSIMO MESSAGGIO AGLI ELETTORI. COSENZA: I POLITICI PAGANO PERCHÉ SONO IN CAMPAGNA ELETTORALE PERMANENTE

«QUESTA vicenda dimostra che far vedere la faccia in tv ancora conta, e molto». Sono vittime di una sindrome da «campagna elettorale permanente» i consiglieri regionali che si rincorrono per farsi intervistare sulle tv locali, pagando coi fondi regionali per le loro “ospitate”.

Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e Teoria dei Linguaggi, ragiona sul filo tra comunicazione e politica e ammette di «comprendere» la necessità dei politici regionali di garantirsi spazi di visibilità sulle emittenti locali. Il guaio è se gli spazi non sono segnalati come messaggi promozionali, e se vengono pagati coi soldi pubblici: «Così – spiega – si ottiene l’effetto comunicativo contrario: cioè quello di politici che in un periodo di crisi spendono i nostri soldi per farsi pubblicità. Un messaggio pessimo».

Professoressa Cosenza, l’ha stupita, da docente di comunicazione, questa faccenda dei politici che pagano per farsi intervistare in tv?

«Trovo molto positivo che comportamenti come questo escano allo scoperto, perché si alza il livello di consapevolezza del telespettatore. Ma non mi ha stupito, perché conosco bene l’esigenza dei politici di comparire in video.»

Cioè?

«Oggi viviamo in una campagna elettorale permanente: essere sempre in video consente alla gente di abituarsi alla tua faccia. Così, quando arrivano le elezioni, gli elettori ti conoscono già. Capisco i politici che vogliono farlo, ma se lo fanno devono “marcarlo”, segnalare che quello è un messaggio promozionale, non un’intervista. Solo il pubblico più “sgamato” o politicizzato cambierebbe canale.»

Qui c’è però l’aggravante che le interviste sono pagate con soldi pubblici.

«Infatti, e questo è un elemento non da poco, che fa sì che l’effetto comunicativo si ribalti. Il messaggio di chi spende soldi pubblici per farsi pubblicità è pessimo.»

Tra l’altro, con 300 euro di intervista, i politici creano un circuito per cui vengono poi “ripresi” pure da agenzie e giornali.

«È vero, ma questo ha a che fare con l’autoreferenzialità tipica dei media. Se anche ci fosse l’avviso che si tratta di un messaggio a pagamento, ma fosse una comunicazione degna di nota, i giornali e le agenzie lo riprenderebbero ugualmente.»

Tra coloro che hanno pagato per le interviste c’è anche il grillino Giovanni Favia. Spicca la contraddizione con Beppe Grillo, che raccomanda ai militanti di non andare in televisione, ma di comunicare attraverso la Rete.

«È curioso il comportamento di Favia. Ma è una favola che i grillini usino solo la Rete. In realtà usano “anche” la Rete. La loro informazione è soprattutto sul territorio. E anche in tv, dove appaiono tanto. Lo stesso Grillo nasce in tv, e gli anatemi contro la tv hanno l’effetto di farcelo andare ancora più spesso.»

È un caso che tutti i consiglieri regionali che hanno pagato per farsi intervistare vengano da Palazzo d’Accursio, dove c’è più visibilità che in Regione?

«In generale non è un caso, perché in Comune c’è maggiore attenzione all’effetto “campagna permanente”.»

Ha stupito anche il fatto che i politici confessassero come una cosa normale questa pratica.

«Questo accade perché se si crea un “sistema” per cui si fa così, è molto difficile poi scardinarlo o sottrarsi. Finché c’è uno solo che paga per le interviste, anche gli altri, per non scomparire, tenderanno a farlo.»

Il Pd però non l’ha fatto.

«Onore al merito, questa è una buona notizia, ma è vero anche che loro governano, e hanno più spazi di visibilità.»

A proposito di questo, la Regione compra spazi nelle tv locali per piccole trasmissioni autoprodotte sul lavoro dell’ente. Su Internet, questi filmati hanno più “non mi piace” che “mi piace”. Conviene tanto tutta questa comunicazione?

«Mi verrebbe da dire di no. Anche in questo caso però non conta il contenuto dei messaggi, ma la “ripetizione” del messaggio, che è alla base di qualunque pubblicità. Più ascolti un assessore, più ti entra in testa, più, chissà, potresti votarlo.»

Silvia Bignami

Stanotte a Bologna si suicidato Maurizio Cevenini, consigliere regionale del Pd

Maurizio Cevenini, consigliere regionale del Pd, si è gettato stanotte dal settimo piano di una torre della Regione Emilia-Romagna. Qui la cronaca su Repubblica di quanto è accaduto:

Maurizio Cevenini, suicidio in Regione. Si è lanciato dalla terrazza, città in lutto.

Nell’autunno 2010, subito dopo il malore che gli impedì di continuare nella corsa alle primarie con cui il centrosinistra bolognese avrebbe deciso il suo candidato sindaco, scrissi che Cevenini «scaldava i cuori». L’ho sempre pensato e lo penso tuttora: aveva una capacità particolare di entrare in relazione autentica con le persone, cosa assai rara nella politica italiana di oggi. Ecco il mio pezzo del 2 novembre 2010:

I paradossi di Bologna dopo Maurizio Cevenini.

Maurizio Cevenini

(foto tratta dal profilo Facebook Maurizio Cevenini 1, © Federico Borella)

Lo strano caso di Amelia Frascaroli

Oggi su Repubblica Bologna è uscito un mio editoriale, col titolo «Amelia, l’anomalia di essere scomoda».

Indecisi e astensione a Bologna. Come in Italia

Oggi su Repubblica Bologna è uscito questo mio editoriale, col titolo «Se l’indeciso decidesse di scendere in campo»:

Anche a Bologna, che un tempo si distingueva per partecipazione civica, l’indecisione e l’astensionismo sono in crescita. Secondo l’ultima indagine di Ispo Ricerche, fra il 18 e 22 aprile il 39,1% dei bolognesi non aveva ancora deciso chi votare e il 4,1% era già sicuro di starsene a casa. Un sacco di gente, insomma, che i candidati corteggiano e inseguono in tutti i modi, perché è dalle loro scelte dell’ultimo minuto che dipende l’esito elettorale.

In questo, Bologna si è ormai allineata alle cosiddette democrazie mature: quando va bene, i cittadini si allontanano dalla politica perché pensano che il sistema funzioni a prescindere da chi lo guida; quando va male, perché rifiutano i partiti e chi li rappresenta.

L’identikit degli indecisi è fra i più difficili da fare: non solo età, sesso, istruzione, ma cosa pensano, che valori hanno e soprattutto perché sono indecisi. A Bologna, fra l’altro, mi pare siano ancora più inafferrabili e trasversali che altrove: possono essere giovani come anziani, donne o uomini, colti e meno colti, di destra o sinistra. E lo dico non tanto per impressioni soggettive, ma per aver valutato alcuni dati.

L’osservatorio Bologna Moodwatcher di Furio Camillo ha presentato in questi giorni il confronto fra un’indagine statistica sulle opinioni dei bolognesi condotta nel 1998, e una degli ultimi mesi. Dal confronto emerge un risultato sorprendente: a dispetto delle dicerie sulla sfiducia e stanchezza della città, in realtà se ai bolognesi chiedi cos’è per loro Bologna, rispondono, oggi con molta più enfasi del 1998, cose come «È un posto di cui vado orgoglioso», «È una città bellissima». Se poi gli chiedi di paragonarla a Firenze, Roma, New York o Parigi, rispondono oggi più di ieri – e la differenza è macroscopica – che tutto sommato qui si sta meglio.

E allora? Come si combina questo col fatto che, come si dice, «i bolognesi sono stufi»? Che molti sono indecisi e forse non voteranno? Si combina e comprende meglio se lo accostiamo a un altro tormentone di questi mesi: che la competizione elettorale sia stata piatta, i candidati non entusiasmanti.

È proprio perché i bolognesi si ostinano a difendere un’immagine ideale di Bologna, allora, che i candidati sembrano ancor meno interessanti di quanto sarebbero in un’ottica più realistica. È la differenza fra il sogno e la realtà, insomma: da un lato, un’immagine nostalgica e ideale della città, dall’altro candidati che non sembrano all’altezza del sogno. Va detto, a onor del vero, che confrontarsi con un sogno è duro per chiunque, anche il più capace.

Cosa vuol dire tutto ciò? Innanzi tutto che il bicchiere è mezzo pieno e che l’indecisione va intesa più in senso buono, perché i bolognesi pensano che tutto sommato il sistema regga a prescindere dal voto.

Bologna si è di fatto impoverita negli ultimi anni (lo dicono i dati 2009 dell’ufficio Programmazione del Comune), ma tutto è relativo: anche il paese, anche l’occidente stano peggio, e i bolognesi lo sanno.

Perciò, se gli chiedi un confronto con altre città, si tengono stretta la loro. Però a votare, «non so, forse sto a casa» o «forse voto a caso», perché «quei signori lì» non sono mica la Bologna «bellissima» che tutti hanno in testa.

L’indecisione può allora essere vista come un desiderio di evitare la realtà e rifugiarsi nel sogno. Ma la realtà va affrontata se si vuole crescere, cambiare, decidere in prima persona invece di aspettare che siano altri a farlo. Anche a Bologna.