La vicenda dei consiglieri della Regione Emilia-Romagna che hanno pagato per avere spazi nelle televisioni locali (non marcati come messaggi promozionali) ha suscitato in questi giorni un dibattito nazionale (nei limiti della disattenzione ferragostana).
Riprendo le attività del blog pubblicando l’intervista che mi ha fatto in proposito Silvia Bignami di Repubblica Bologna, apparsa il 14 agosto. Ci rileggiamo lunedì.

UN PESSIMO MESSAGGIO AGLI ELETTORI. COSENZA: I POLITICI PAGANO PERCHÉ SONO IN CAMPAGNA ELETTORALE PERMANENTE
«QUESTA vicenda dimostra che far vedere la faccia in tv ancora conta, e molto». Sono vittime di una sindrome da «campagna elettorale permanente» i consiglieri regionali che si rincorrono per farsi intervistare sulle tv locali, pagando coi fondi regionali per le loro “ospitate”.
Giovanna Cosenza, docente di Filosofia e Teoria dei Linguaggi, ragiona sul filo tra comunicazione e politica e ammette di «comprendere» la necessità dei politici regionali di garantirsi spazi di visibilità sulle emittenti locali. Il guaio è se gli spazi non sono segnalati come messaggi promozionali, e se vengono pagati coi soldi pubblici: «Così – spiega – si ottiene l’effetto comunicativo contrario: cioè quello di politici che in un periodo di crisi spendono i nostri soldi per farsi pubblicità. Un messaggio pessimo».
Professoressa Cosenza, l’ha stupita, da docente di comunicazione, questa faccenda dei politici che pagano per farsi intervistare in tv?
«Trovo molto positivo che comportamenti come questo escano allo scoperto, perché si alza il livello di consapevolezza del telespettatore. Ma non mi ha stupito, perché conosco bene l’esigenza dei politici di comparire in video.»
Cioè?
«Oggi viviamo in una campagna elettorale permanente: essere sempre in video consente alla gente di abituarsi alla tua faccia. Così, quando arrivano le elezioni, gli elettori ti conoscono già. Capisco i politici che vogliono farlo, ma se lo fanno devono “marcarlo”, segnalare che quello è un messaggio promozionale, non un’intervista. Solo il pubblico più “sgamato” o politicizzato cambierebbe canale.»
Qui c’è però l’aggravante che le interviste sono pagate con soldi pubblici.
«Infatti, e questo è un elemento non da poco, che fa sì che l’effetto comunicativo si ribalti. Il messaggio di chi spende soldi pubblici per farsi pubblicità è pessimo.»
Tra l’altro, con 300 euro di intervista, i politici creano un circuito per cui vengono poi “ripresi” pure da agenzie e giornali.
«È vero, ma questo ha a che fare con l’autoreferenzialità tipica dei media. Se anche ci fosse l’avviso che si tratta di un messaggio a pagamento, ma fosse una comunicazione degna di nota, i giornali e le agenzie lo riprenderebbero ugualmente.»
Tra coloro che hanno pagato per le interviste c’è anche il grillino Giovanni Favia. Spicca la contraddizione con Beppe Grillo, che raccomanda ai militanti di non andare in televisione, ma di comunicare attraverso la Rete.
«È curioso il comportamento di Favia. Ma è una favola che i grillini usino solo la Rete. In realtà usano “anche” la Rete. La loro informazione è soprattutto sul territorio. E anche in tv, dove appaiono tanto. Lo stesso Grillo nasce in tv, e gli anatemi contro la tv hanno l’effetto di farcelo andare ancora più spesso.»
È un caso che tutti i consiglieri regionali che hanno pagato per farsi intervistare vengano da Palazzo d’Accursio, dove c’è più visibilità che in Regione?
«In generale non è un caso, perché in Comune c’è maggiore attenzione all’effetto “campagna permanente”.»
Ha stupito anche il fatto che i politici confessassero come una cosa normale questa pratica.
«Questo accade perché se si crea un “sistema” per cui si fa così, è molto difficile poi scardinarlo o sottrarsi. Finché c’è uno solo che paga per le interviste, anche gli altri, per non scomparire, tenderanno a farlo.»
Il Pd però non l’ha fatto.
«Onore al merito, questa è una buona notizia, ma è vero anche che loro governano, e hanno più spazi di visibilità.»
A proposito di questo, la Regione compra spazi nelle tv locali per piccole trasmissioni autoprodotte sul lavoro dell’ente. Su Internet, questi filmati hanno più “non mi piace” che “mi piace”. Conviene tanto tutta questa comunicazione?
«Mi verrebbe da dire di no. Anche in questo caso però non conta il contenuto dei messaggi, ma la “ripetizione” del messaggio, che è alla base di qualunque pubblicità. Più ascolti un assessore, più ti entra in testa, più, chissà, potresti votarlo.»
Silvia Bignami
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