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Che fine ha fatto il neofemminismo di dieci anni fa?

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Venerdì 8 marzo è uscito sul Fatto Quotidiano questa mia riflessione, che ripropongo ora perché di alcuni problemi non bisogna parlare solo in occasione dell’8 marzo, ma tutti i giorni: Continua a leggere

Contro le divisioni fra donne: azioni concrete

Diversi blog, nei giorni scorsi, hanno messo il dito sulla piaga: sulle questioni di genere le donne italiane stentano a mettersi d’accordo, tendono a dividersi e litigare, o non si prendono in considerazione reciproca, il che a volte è peggio. Un copione già visto, che non ha fatto bene al femminismo storico italiano e oggi rischia di ripetersi.

Manifestazione donne «Libere»

Ha messo il dito sulla piaga Marina Terragni, con l’appello di sabato a fare rete. L’ha fatto Loredana Lipperini, con il post di ieri. Ma gli appelli a unirsi sono venuti più volte anche da Lorella Zanardo, dal Feminist Blog Camp, dalla Rete delle reti, dallo stesso Se Non Ora Quando, fino ai commenti che Gioia e Ondina hanno scritto ieri in calce al mio post, pregandomi di non fare io la stessa cosa che dico agli altri di non fare: escludere, non prendere in considerazione loro come altre blogger, altri gruppi e associazioni.

Sento allora anch’io il bisogno precisare alcune cose, come ha fatto Loredana Lipperini oggi sul suo blog:

  1. Il numero di blog, siti, forum, gruppi Facebook che trattano dei problemi delle donne italiane è cresciuto in modo impressionante negli ultimi cinque anni. Il che è un buon segno, ovviamente, perché indica una diffusa sensibilità e consapevolezza. Ma ciò implica che non tutti/e possano conoscere tutti/e: a volte non si menziona o non si legge qualcuno o qualcosa semplicemente perché non lo si conosce. O non ci si è pensato, fra le mille cose da fare e ricordare. Prima di sentirsi escluse/i, vale la pena riflettere su questa possibilità.
  2. Attenzione a non confondere la necessità di unirsi e lavorare assieme con l’ossessione per la visibilità, che è la malattia oggi più diffusa e le donne non ne sono certo immuni. Lavorare assieme non implica che tutte/i siano visibili allo stesso modo. Non sarebbe né utile né opportuno. Dal punto di vista dei media tradizionali (stampa e televisione) è invece utile che siano più visibili le personagge e i personaggi che sanno fare meglio questo mestiere, sanno cioè come si parla alla stampa e come si buca lo schermo. Non tutte/i sono in grado di entrare in relazione con i media, non perché non tutti «sono famosi» (non tutti i «famosi» lo fanno bene), ma perché per farlo occorre una professionalità specifica. Detto altrimenti: se vuoi farlo, o sei già preparata/o per farlo, o devi studiare molto per non fare figuracce e farle fare anche a chi rappresenti.
  3. Anche su internet è più opportuno, per la causa comune delle donne, che abbiano più visite i siti, blog, forum, gruppi che riescono sia a trattare sia a comunicare i temi e problemi delle donne al meglio, ognuno nel suo settore: ci saranno luoghi in rete in cui si parla con competenza di donne e lavoro, luoghi in cui si parla al meglio del welfare per le donne, luoghi in cui si parla in modo interessante del ruolo delle donne, bambine e ragazze nella scuola e in università, luoghi in cui si parla dell’immagine femminile in pubblicità, sui media e così via. Non tutti devono (né possono) parlare di tutto, altrimenti si rischia di sparara sciocchezze. E darsi la zappa sui piedi. Perché, invece di tentare imprese titaniche (e impossibili) di raccogliere tutto e tutti in super-mega-portali unici, non si cerca di praticare una sana divisione del lavoro? Che ognuno/a contribuisca nel settore in cui è più competente e specializzato/a: la complementarità favorisce l’aggregazione perché nessuno/a pesta i piedi a nessun altro/a.
  4. Molti inquadrano la tendenza delle donne a dividersi nello stereotipo della «tipica rivalità femminile», secondo il quale le donne sarebbero spesso in competizione fra loro, specie se vogliono ottenere l’attenzione di qualche maschio. Falso: le donne competono fra loro quanto gli uomini, a maggior ragione in ambienti in cui la competitività è un valore: l’individualismo è un tratto della società occidentale su cui gli storici e i sociologi hanno scritto montagne di libri; e il campanilismo è un tratto della società italiana, a sua volta ampiamente discusso. Solo che gli uomini riescono a transitare con più scioltezza delle donne, in nome di obiettivi precisi e concreti, dall’agonismo più duro alla solidarietà più stretta, sono cioè più capaci di allearsi anche col peggiore nemico, se pensano che il gioco valga la candela. Le donne invece sono meno abili in queste trasformazioni, perché sotto sotto pensano sempre che, per costruire un’alleanza, si debba pure essere amiche e un po’ volersi bene. Le donne insomma fanno più fatica degli uomini – per come sono state educate – a lasciar perdere le emozioni personali e vedere la costruzione di alleanze in termini di razionalità mezzo-scopo: una razionalità che sia capace di commisurare i mezzi agli obiettivi da raggiungere, senza troppi coinvolgimenti personali.
  5. Col che arrivo all’ultimo punto. Occorre mettersi assieme non perché quanto-è-bello-siam-tutti-amici-fiori-e-colori-trallalalà. Occorre mettersi assieme per raggiungee obiettivi precisi e concreti, a breve, medio e lungo termine. Negli anni Settanta il movimento femminista italiano – non da solo, assieme ai partiti e a molti uomini – vinse su obiettivi concreti come l’aborto e il divorzio. Poi svaporò. Per non fare la stessa fine ci vuole un’agenda di obiettivi concreti. E ci vuole in fretta, subito. Qualcosa di concreto, nel 2011, è stato ottenuto. Un buon esempio è la legge per le cosiddette «quote rosa» nei consigli di amministrazione delle società quotate in borsa, approvata con ampia maggioranza dal Parlamento a fine giugno 2011: i consigli di amministrazione dovranno essere composti per legge da almeno un quinto di donne a partire dal 2012 e da almeno un terzo dal 2015. La legge è stata criticata da molti «perché le donne non sono panda», e per mille altri motivi e limiti che non sto ora a discutere. Ma è un risultato concreto, che in altri paesi ha dato i suoi frutti.

E ora, che si fa? Ci vogliono obiettivi e azioni concrete, ripeto: a breve, media e lunga scadenza. Ci vogliono azioni di lobbying nei confronti della politica, locale e nazionale, delle parti sociali, dell’Europa. Ognuno con la sua professionalità e le sue capacità concrete, non tutte/i su tutto. Loredana Lipperini conclude in modo analogo il suo post di oggi Dettare l’agenda e fa la sua, di proposta. Alcuni commentatori, come Ben, ieri hanno fatto proposte concrete anche su questo blog. Altro?

Sanremo, le donne e la rete: un bilancio mesto

Che quest’anno la rappresentazione delle donne a Sanremo dovesse essere più avvilente del solito era chiaro ancor prima che il festival cominciasse: la scenetta di Morandi e Papaleo allupati attorno alla poco più che maggiorenne Ivana Mrazova, andata in onda il 25 gennaio nel promo del Tg1, parlava già chiaro.

Per questo era nata subito una mobilitazione in rete, stimolata da Lorella Zanardo e Giorgia Vezzoli e ripresa da diversi blog, fra cui il mio; l’Associazione Pulitzer aveva lanciato un appello alla direttrice della Rai Lorenza Lei; e il blog Un altro genere di comunicazione aveva organizzato un mailbombing.

Tardivamente, e cioè solo sabato 18 febbraio, anche il blog del Corriere La 27sima Ora ha pubblicato una lettera aperta a Gianni Morandi «Ma sulle donne cambiate copione», ripresa da Giorgia Vezzoli e altre.

Risultati? Una flebile dichiarazione iniziale, da parte della Rai, sul fatto che il servizio del Tg1 fosse «solo un gioco». Poi la consegna delle firme raccolte dall’Associazione Pulitzer a un’addetta stampa Rai (non a Lorenza Lei in persona, perché «troppo impegnata»). Infine una magra risposta di Morandi alla lettera aperta de La 27sima Ora, pubblicata ieri in un trafiletto sul Corriere:

«Non è vero che le donne hanno avuto un ruolo di sola vetrina in questo festival. Sono venute Federica Pellegrini, Geppy Cucciari, Sabrina Ferilli. Tre donne nei primi tre posti, per me era un festival al femminile».

Insomma diciamocelo senza mezzi termini: stavolta la mobilitazione ha fatto flop. E perché ha fatto flop? La mia diagnosi si riassume in due punti.

Innanzi tutto, dopo le dimissioni di Berlusconi e l’insediamento del governo Monti, si è diffusa l’impressione che le priorità siano altre. Cosa ti stai a preoccupare dell’immagine femminile a Sanremo? C’è «ben altro».

In secondo luogo, nonostante si parli tanto di rete, le varie associazioni, i blog, le testate giornalistiche stentano a fare davvero rete su questi temi. La tendenza è frammentarsi, dividersi, magari pure litigare. O non prendersi nemmeno in considerazione reciproca. Mi stupisce e mi dispiace, per esempio, che la lettera aperta de La 27sima Ora sia arrivata così tardi, e non abbia fatto nessuna menzione delle iniziative che l’avevano preceduta. Brutto segno. E Se Non Ora Quando? Perché non hanno sostenuto l’iniziativa dell’Associazione Pulitzer oltre al semplice mettere il logo in testa all’appello? Con la potenza di fuoco mediatico che hanno, se avessero lavorato in modo che qualche nome noto e visibile facesse qualche dichiarazione su stampa e televisione, sicuramente l’Associazione avrebbe raccolto molte più firme delle 3.792 che oggi il contatore mostra.

Non a caso, poi, a Sanremo, le cose non sono andate meglio che nel servizio del Tg1. Alla faccia della vittoria finale «tutta femminile», come si dice. Un fermo immagine vale per tutti: Morandi che piazza la manona sul seno di Ivana Mrazova, per sistemarle (?) il microfono. In quel momento mi sono vergognata quattro volte: per lui e il suo compare, per la ragazza, per la Rai. E per me stessa, che nel 2012 sono ancora costretta a parlare di queste cose.

Morandi sistema il microfono di Ivana Mrazova

Sul dopo Sanremo vedi anche il post di oggi su Lipperatura, che segnala fra l’altro un appello di Marina Terragni, affinché in rete… si faccia più rete.

Da New York a Roma la campagna «Non farti scippare il futuro»

Lo so che in un momento di gravissima emergenza contestare la manovra finanziaria del governo pare una bestemmia.

E so pure che le contestazioni dei parlamentari avvocati e notai del Pdl, ieri, hanno messo in brutta compagnia qualunque protesta.

Ma è vergognoso che nella manovra non ci sia niente – niente di niente – che riguardi il welfare a favore delle donne. L’ennesima dimostrazione di sordità della politica nei confronti di ciò che accade fuori dai palazzi.

Dunque.

SE NON ORA QUANDO E PARI O DISPARE CONTRO LA MANOVRA FINANZIARIA. DA ROMA A NEW YORK, PROSEGUE LA CAMPAGNA “NON FARTI SCIPPARE IL FUTURO”

I gruppi Se Non Ora Quando e Pari o Dispare denunciano una manovra che sottrae al welfare per le donne la cifra record di 4 miliardi di euro.

Questi soldi, per una legge approvata dal parlamento italiano qualche mese fa, dovevano essere impegnati per politiche di conciliazione, inclusione delle donne nel mercato del lavoro, assistenza e cura. Non investimenti a fondo perduto, ma un modo per ridare respiro al potenziale al femminile e per investire nella crescita del nostro paese.

La manovra finanziaria ha cambiato destinazione a questo tesoretto, scippandolo letteralmente dalle borsette delle donne italiane, visto che è dall’aumento dell’età pensionabile nel pubblico impiego delle donne che si riscuoterà la ragguardevole cifra di 4 miliardi.

Non una sola parola del Governo su questo furto. Né una spiegazione. Omissioni, anche durante il question time al Senato, dove il Ministro Sacconi interrogato su questo ha evitato di rispondere su che fine avesse fatto “il malloppo”. Silenzio o bugie da parte degli altri componenti del Governo, oltre che un certo imbarazzo presso la maggioranza.

“Occorre non tacere, fare quanto più rumore possibile, in modo che tutte sappiano quanto sta accadendo. Ce ne ricorderemo a tempo debito e lotteremo perché questo scippo non avvenga. E se dovesse accadere, continueremo a insistere perché si torni su questa sciagurata decisione.

Sappiamo che sono tempi difficili e che tutti dobbiamo fare sacrifici, ma non è possibile che a fronte di tagli assenti o scarsi su voci come i costi della politica, le province e molto altro, venga chiesto alle donne l’ennesimo sacrificio. – spiegano le promotrici – Vogliamo ricordare che le donne sono già chiamate a rispondere, con il loro lavoro volontario e non pagato ai tagli del welfare degli ultimi anni”.

Per opporsi al provvedimento le donne dei due gruppi, diverse parlamentari (hanno già aderito Emma Bonino, Paola Concia, Francesca Marinaro, Flavia Perina) e tutte coloro che vorranno sostenerle, si daranno appuntamento a Piazza Montecitorio oggi, giovedì 14 luglio, alle ore 17:30 in coincidenza con la discussione della manovra alla Camera.

La data è stata scelta anche per sottolineare che in queste ore è in corso a New York la presentazione del  rapporto ombra sulla disuguaglianza di genere in Italia, in margine alla sessione internazionale della Convenzione CEDAW (ONU, Committee on the Elimination of Discrimination against Women). Dal testo emerge, ancora una volta, il ruolo secondario a cui le donne sono condannate in Italia, nonostante gli impegni e le promesse presi dai governi che si sono succeduti negli ultimi anni.

Per info e contatti: segretariapod chiocciola gmail.com

mobile: 342 17 62 202

 

«Se non ora quando» a Siena: tre cose che mi sono piaciute e tre no

Non ho potuto andare a Siena per «Se non ora quando» perché avevo già preso un impegno per il «Salone della parola» a Pesaro, ma da sabato pomeriggio ho seguito la manifestazione in streaming sul web.

Mi sono piaciute:

  1. La comunicazione: gli spot che sono andati in onda sabato, nel primo pomeriggio, mi sono sembrati semplici, incisivi, ottimisti. Peccato non siano ancora su YouTube. Spero ci arrivino in fretta, che vorrei rivederli e analizzarli.
  2. La plurivocità: oltre alle organizzatrici, alle donne con cariche istituzionali e politiche, alle celebrità, sono salite sul palco decine di donne provenienti da tutta Italia, per dire la propria in 3 minuti, anche senza rappresentare niente e nessuno, solo se stesse.
  3. La mille volte dichiarata volontà di fare rete, includere, unire, per superare le divisioni e i settarismi che contribuirono a far arenare, a suo tempo, il femminismo storico italiano. Spero che alle parole seguano i fatti.

Non mi è piaciuto:

  1. Che ci fossero pochi uomini. Alcuni c’erano, li ho visti bene. Ma erano troppo pochi per una che, come me, crede che sui problemi delle donne si dovrebbero mobilitare tutti i generi sessuali, non solo le donne. Sono problemi che riguardano tutta la società e l’economia italiana, dunque le donne non bastano.
  2. Che molti discorsi – troppi, per i miei gusti – contenessero tante dichiarazioni di principio, slogan, racconti personali e collettivi, ma tutto sommato poche proposte concrete, liste di cose da fare, obiettivi da raggiungere a breve, medio e lungo termine. Negli anni Settanta il movimento femminista italiano vinse – non da solo, assieme ai partiti e agli uomini – su obiettivi concreti come l’aborto e il divorzio. Poi svaporò. Per non fare la stessa fine ci vuole un’agenda di obiettivi precisi e concreti, subito.
  3. Che a rappresentare le donne di destra ci fossero solo Giulia Bongiorno e Flavia Perina. Quest’ultima, peraltro, si è beccata pure qualche fischio. Ma scherziamo? La questione femminile non è proprietà privata della sinistra, ma riguarda tutti i partiti, gli schieramenti e le ideologie.

Per questo concordo con Giulia Bongiorno quando dice: «Le donne non devono più votare singolarmente per destra, sinistra, centro, ma per quei partiti che mettono al centro della politica i temi femminili». E quali sono, questi partiti? incalza l’intervistatore. «Per ora nessuno – risponde lei – ecco perché ci vuole un grande cambiamento».

Giulia Bongiorno per Repubblica:

 

 

Aspettando «Se non ora quando» a Siena il 9-10 luglio

In attesa della manifestazione «Se non ora quando, un paese per donne?», che si terrà a Siena il 9 e 10 luglio, Annamaria Testa e io abbiamo fatto una chiacchierata sulla questione femminile in Italia, su ciò che è accaduto negli ultimi tre o quattro anni, sull’accelerazione degli ultimi mesi, sul femminismo storico, sul futuro, le difficoltà e i rischi del movimento neofemminista italiano.

Ne è venuto fuori un video di venti minuti per Esemplare tv, la neonata web tv di Didi Gnocchi.

(Manca il preview, perché l’embedding oggi aveva qualche problema, ma se fai clic il video funziona.)

Vodpod videos no longer available.

Il vento del Pd, le gambe delle donne e la mancanza di idee

Come ormai tutti sanno, in questi giorni il Pd romano sta pubblicizzando la Festa Democratica con questi manifesti (clic per ingrandire):

Cambia il vento Pd donna e uomo

Il problema, naturalmente, sono le gambe della ragazza, non la cravatta svolazzante: che senso ha pubblicizzare il Pd con un’immagine che ricorda Marilyn sulla presa d’aria della metro in Quando la moglie è in vacanza e/o Kelly LeBrock che la cita nel film del 1984 La signora in rosso?

Nessun senso, solo mancanza di idee, sopperita da una foto intitolata «Female Legs» e pagata pochi euro sul sito Istockphoto.com, che dimostra che nemmeno la pur banale citazione è farina del sacco di coloro che hanno fatto il manifesto.

Piattezza e scarsa cultura della comunicazione: come sempre nella politica italiana, locale e nazionale.

Eppure, poiché la scarsa cultura della comunicazione non riguarda solo la politica, ma l’Italia intera, nel giro di due ore mi arrivano una trentina di segnalazioni personali, esce una dichiarazione di «sconcerto» del comitato «Se non ora quando», le donne democratiche romane prendono le distanze dal manifesto, l’associazione Corrente Rosa scrive una lettera indignata a Rosy Bindi, le proteste sui blog e su Facebook gonfiano, premono, gareggiano fra loro a chi la spara più grossa, più veloce o più fine, a seconda dei gusti, o si rimandano l’un l’altra, dichiarandosi solidarietà reciproca, a seconda dell’indole (competitiva o meno).

Puntuali come sempre, da quando in Italia s’è risvegliato il femminismo (come lo chiamiamo: post-femminismo? neo-femminismo?), arrivano pure coloro che s’indignano contro le/gli indignate/i, con argomentazioni del tipo:

  • «le gambe della ragazza non sono affatto volgari, con quelle deliziose ballerine fucsia»;
  • «c’è pure il manifesto con l’uomo, dunque la campagna è paritaria» (a cui è stato risposto: «se fosse parità vera, il vento avrebbe dovuto aprirgli la patta dei pantaloni»);
  • «tutte scuse per prendersela col Pd, povero piccolo Pd»;
  • «ci sono campagne ben più volgari e offensive»;
  • «cosa stiamo a parlare di queste sciocchezze, ci sono problemi ben peggiori (si chiama «benaltrismo»);
  • «le solite babbione femministe: frustrate, moraliste e bacchettone», e via dicendo.

E io? Mi annoio, ecco cosa faccio. Il Pd gira a vuoto come la sua comunicazione, la politica e l’Italia girano a vuoto: l’abbiamo discusso più volte in questo spazio, analizzando casi ben più interessanti di questo. Non sarebbe ora di parlar d’altro?

Perciò non avrei mai scritto un post sulla minigonna al vento, se non fosse che finalmente mi segnalano ben tre guizzi di originalità da parte del Pd:

  1. il movimento LGBT romano di area Pd difende il manifesto sostenendo che non abbiamo capito nulla: quelle sono le gambe di un uomo, non di una donna, ed è in questo senso che «cambia il vento». 😮
  2. la segreteria del Pd di Roma ha inviato una lettera aperta al comitato «Se non ora quando», in cui propone «una discussione pubblica alla festa» (il dibattito, il dibattito!) affinché possano «confrontarsi in modo libero diversi punti di vista, senza rappresentazioni caricaturali frutto di pregiudizi che banalizzano una discussione seria, dove nessuno pensi che un giudizio critico corrisponda a un moralismo bacchettone e un giudizio positivo ad un’assenza di posizione etica» (fonte: Mainfatti). 😮
  3. pare che alcuni del Pd stiano azzardando un’altra interpretazione del manifesto: «il vento sta cambiando» perché la ragazza cerca di coprire, non di scoprire, le gambe (fonte: Mainfatti). 😮

Questa sì, che è originalità. 😀