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E poi dicono che Grillo non va in tv

La settimana scorsa, il 15 gennaio, è cominciato lo Tsunami Tour di Beppe Grillo ovvero, in termini più comuni, la campagna elettorale del Movimento 5 Stelle. In una settimana Grillo è apparso in due talk show: Servizio pubblico, giovedì 17, e Piazzapulita, lunedì 21. Inoltre, ovviamente, in molti servizi dei Tg: più o meno ritagliato, ma è apparso. Mi sfugge qualche ulteriore apparizione?

Ieri sera fra l’altro a Piazzapulita Grillo non è stato ripreso solo mentre faceva il comizio a Salerno, ma intervistato direttamente da una giornalista della redazione: appariva sotto il titolo “Grillo contro tutti”, bagnato di pioggia, con un cappello calato sugli occhi per ripararsi, stretto fra tante persone, affannato, pressato. Bastava la contrapposizione fra queste due immagini a parlare chiaro: lui in mezzo alla gente (=nella vita reale), i politici al caldo del salotto televisivo (=in un mondo distaccato e privilegiato). Scusate se è poco.

Grillo intervistato da Piazzapulita

Lo studio di Piazzapulita 21 gennaio

Santoro e Berlusconi a #serviziopubblico: chi vince e chi perde

CHI VINCE

  1. Vince Berlusconi, perché – solo contro tutti in un’arena che i più presupponevano avversa – non si fa mettere nell’angolo, ma agisce (più che reagire) con vigore, vivacità, rinnovata capacità di ridere e far ridere. Prende la scena, addirittura in certi momenti pare sostituirsi alla regia. A Servizio Pubblico, ieri, Berlusconi ha recuperato più voti che da Vespa il giorno prima: voti di ex elettori che fino a ieri erano magari dubbiosi, ma guardando la trasmissione di Santoro (non la guardano quasi mai, ma per l’occasione sì) si sono convinti che il loro leader è ancora brillante, capace, vincente. Secondo Roberto Weber, presidente di Swg, “dopo la presenza televisiva da Santoro, Berlusconi è cresciuto ancora, forse di un paio di punti”.
  2. Vince Santoro perché la presenza di Berlusconi in trasmissione (agognata per anni) gli regala un boom di ascolti: «Sono stati 8.670.000 gli spettatori di Servizio Pubblico, andato in onda ieri su La7, pari al 33,58% di share. Santoro ha polverizzato il record d’ascolti di La7, dopo aver sfiorato l’impresa all’esordio del suo programma, il 25 ottobre 2012, con 2.985.000 spettatori e il 12.99% di share, avvicinando il risultato ottenuto dalla prima puntata di Quello che (non) ho di Fabio Fazio e Roberto Saviano (3.036.000 spettatori e 12,66% di share), andata in onda il 14 maggio 2012».
  3. Vincono la politica pop, l’informazione spettacolo, il cabaret, che culminano nella scena finale di Berlusconi che, prima di tornare a sedersi sulla sedia occupata per qualche minuto da Travaglio, ostenta di pulirla accuratamente, prima con i fogli di carta che ha in mano, poi con un fazzoletto che estrae dalla tasca.

Berlusconi da Santoro

CHI PERDE

  1. Perdono il giornalismo d’inchiesta e il fact checking: le domande sono deboli, mai incalzanti, persino Travaglio si limita ai soliti monologhi e ammette «che non gli vengono domande». Un esempio – tanto banale quanto sconcertante – di mancato fact checking. All’inizio della trasmissione Santoro manda il video d’inizio novembre 2011, quando Berlusconi negava la crisi sostenendo che «i ristoranti sono pieni». Berlusconi replica dicendo che nel 2009 lui parlava così perché la situazione era molto diversa: nessuno che gli abbia fatto notare che lui negava la crisi a fine 2011, e cioè pochi giorni prima di dimettersi, non solo nel 2009.
  2. Perdono le donne – povere donne, come sempre da Santoro – perché Giulia Innocenzi e Luisella Costamagna, di solito nelle retrovie, sono state gettate nell’arena in quanto donne, bionde e belle, solo per solleticare le fantasie pruriginose di coloro che – ingenui – immaginavano che Berlusconi potesse fare autogol con qualche complimento o battutina rivolta alle loro grazie. Autogol che ovviamente non è mai arrivato. Mica scemo.
  3. Perde la politica, perde l’informazione: ieri molti si sono divertiti, alcuni rattristati, ma chi, oggi, ricorda un solo concetto, un punto programmatico, chi può dire di aver imparato qualcosa di nuovo, di avere oggi un’informazione più di ieri?

L’insostenibile leggerezza dei commenti su Facebook

Di solito posto su Facebook ogni articolo che scrivo per il blog, subito dopo averlo chiuso. È un’abitudine che ho da sempre, qualcosa che gli amici di Facebook si aspettano: se non lo facessi penserebbero che non ho scritto.

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Sanno pure, gli amici di Facebook, che preferisco ricevere commenti sul blog e non su Facebook. Di solito lo dico esplicitamente: se qualcuno/a scrive un commento interessante e articolato su Facebook (ripeto: se), immediatamente gli/le chiedo di ricopiarlo qua. «Perché su fb il commento si perde in pochi minuti, sul blog resta», spiego.

Ma la ragione non è solo questa. «Se» il commento è interessante e articolato, dicevo. Altrimenti taccio. Il mio obiettivo è infatti quello di invogliare solo i commenti più motivati e ponderati, scoraggiando provocazioni, parolacce, tifoserie ed esternazioni insensate. Che su Facebook vengono spontanee, qui molto meno.

«Il mezzo è il messaggio», diceva McLuhan, anche se non basta il mezzo a fare un messaggio, come abbiamo detto altre volte.

Tuttavia il mezzo può condizionare (e anche molto) il messaggio, e allora chiediamoci: perché i commenti che arrivano su Facebook allo stesso articolo sono tendenzialmente più improvvisati, emotivi, stracciati e spesso sciocchi di quelli che arrivano qui?

Per ragioni di interfaccia anzitutto: su Facebook lo spazio per i commenti non ha limiti, ma è angusto e scomodo, nel senso che ospita caratteri piccoli, non permette la formattazione, a volte dà problemi con gli «a capo», e così via. Tutti fattori che, congiunti, inducono una scrittura poco curata e poco organizzata. Le stesse persone che qui si scusano anche per un singolo refuso, su Facebook se ne fregano di tutto: segni di interpunzione, errori ortografici, pasticci logici, insensatezze. Perché su Facebook si fa così. Ma si fa così (anche) perché l’interfaccia è quella, e così induce a fare.

E poi c’è il tempo di fruizione: le videate di Facebook fuggono via a una velocità tanto maggiore, quanto maggiore è il numero di amici che hai e il numero di attività che tu e i tuoi amici fate in bacheca. Basta un’ora e puff: tutto sparisce e, se vuoi ripescare qualcosa che hai postato solo qualche ora prima, ci metti un bel po’.

Insomma la scrittura su Facebook è molto più vicina a una conversazione orale di quella che si pratica nella blogosfera: verba volant su Facebook, scripta manent sui blog, verrebbe da dire.

Poi naturalmente dipende dai blog: dal tipo di contenuti (informazione, diaristica, commento politico, gossip, ecc.), dallo stile di scrittura, dal tono di voce di chi gestisce il blog, dal modo in cui risponde ai commenti, e così via. E dipende dalle persone che commentano, naturalmente. Perché – vale la pena ricordarlo una volta in più – il messaggio non è solo il mezzo, casomai è anche il mezzo.

I «sondaggi» di Santoro su Facebook. Poveri sondaggi. Povero Facebook. E poveri spettatori

Santoro va su internet e a qualcuno in redazione viene una brillante idea: mescoliamo il «vecchio» della televisione generalista con il «nuovo» di Facebook, presentiamo cioè sondaggi come sempre si fa in tv, ma, invece di spendere soldi per commissionare sondaggi veri a un istituto di ricerca vero, usiamo gli strumenti di Facebook.

Insomma, invece di fare sondaggi letterali (su campioni statistici rappresentativi), facciamo sondaggi metaforici (sui fan della pagina di «Servizio pubblico», che rappresentano solo se stessi), perché tanto la gggente a casa non nota la differenza. Grande idea, devono essersi detti in redazione: poca spesa molta resa. Ecco allora come funzionano i sondaggi Facebook di «Servizio pubblico».

Prima puntata, 3 novembre 2011. Prendi una domanda a cui sai già in partenza che il tuo pubblico darà, a stragrande maggioranza, una certa risposta (vedi anche cosa ne ha scritto il giovane blogger Lorenzo Tondi). Lanciala su Facebook, ottieni la risposta che volevi, mostrala in trasmissione.

L’effetto è una piacevole conferma per tutti: per Santoro, i suoi fan su Facebook e gli spettatori che lo seguono in tv. Serve a dire «Siamo ancora qui, siamo sempre gli stessi, pensiamo sempre le stesse cose tutti assieme». E vissero felici e contenti. Ottimo per cominciare un nuovo programma tv. Ecco i sondaggi della prima puntata, nell’ordine in cui sono stati fatti (clic per ingrandire):

Sondaggio Santoro Facebook 1

Sondaggio Santoro Facebook 2

Sondaggio Santoro Facebook 3

Seconda puntata, 10 novembre 2011. Prendi ancora una domanda a cui sai già che il tuo pubblico risponderà in un certo modo, ma stavolta con una maggioranza non troppo schiacciante: «Siete favorevoli al governo presieduto dal neosenatore a vita Mario Monti con Pdl, Pd e Terzo polo?» (clic per ingrandire):

Sondaggi Santoro su Facebook seconda puntata 1

Invita un ospite che dà una risposta esattamente contraria a quella che ha appena vinto, ma lo fa motivando la sua contrarietà con argomenti che sai in partenza che potranno piacere al tuo pubblico. Dopo di che, rifa’ la stessa domanda e mostra ancora una volta ciò che già sapevi: il tuo pubblico avrà cambiato idea, votando la risposta contraria alla prima. Serve a mostrare la potenza di persuasione di Santoro e della sua trasmissione, serve a dire a tutti: «Guardate come ammaestro il pubblico».

Nel caso di ieri l’ospite era il blogger Claudio Messora (Byoblu), che ha dipinto Mario Monti come «uomo della finanza mondiale e delle banche». La seconda domanda infatti era «Mario Monti presentato dal blogger Byoblu come uomo della finanza mondiale e delle banche. Siete ancora d’accordo sul governo tecnico affidato a lui?». Ecco il risultato, opposto al primo (clic per ingrandire):

Sondaggi Santoro su Facebook seconda puntata 2

Infine chiudi con una domanda per cui ancora una volta prevedi una schiacciante maggioranza di risposte in una certa direzione, ma stavolta perché ciò che hai detto in trasmissione porta inevitabilmente a quella conclusione. Serve a ribadire la potenza persuasiva della macchina Santoro, non solo per far cambiare idea alle persone, ma più in generale per formare opinioni. La domanda è «I super ricchi devono comprare i titoli di stato italiani e tenerli per 5 anni allo stesso tasso dei bund tedeschi?»:

Sondaggi Santoro su Facebook seconda puntata 3

Insomma Santoro vince sempre, ma nel frattempo:

  1. si straccia il concetto di sondaggio: se io fossi una studiosa di statistica, mi arrabbierei molto per questo grave travisamento della disciplina e dei suoi strumenti, e mi metterei d’accordo con alcuni colleghi rappresentativi per mandare una lettera di protesta pubblica e formale a Santoro;
  2. si usano in modo banale i social media: con tutte le belle cose che si potrebbero fare per mescolare vecchi e nuovi media, proprio questi finti sondaggi dovevano propinarci?
  3. si finge di essere aperti alle opinioni dei propri spettatori, ma in realtà se ne dà una pessima immagine, come fossero scimmiette ammaestrate;
  4. si dà la solita immagine del «popolo di Facebook» come fosse un’entità unica e scema, che si muove al primo cenno di un capo. «Abbiamo chiesto a Facebook», dice sempre Giulia Innocenzi o chi per lei. Loro chiedono e Facebook esegue.

 

«Servizio pubblico»: il medium è il messaggio, ma il vecchio si rinnoverà o schiaccerà il nuovo?

Visto Santoro ieri. Letto cosa ne dicono giornali, siti, blog e social media oggi. Il termine rivoluzione è quello più usato: Santoro e i suoi fan lo usano letteralmente, i detrattori ci mettono le virgolette, come a dire «molto rumore per nulla».

Santoro Servizio Pubblico

Non mi aspettavo da «Servizio pubblico» novità di contenuto, visto il lancio sul sito (vedi La nuova tv di Santoro sul web: dove sta la differenza?). D’altronde non ce n’erano state nemmeno in «Rai per una notte» (vedi Santoro: nuovo medium, vecchio messaggio).

Ma è sbagliato minimizzare l’evento. La novità di «Servizio pubblico» – come quella di «Rai per una notte» – è infatti il mezzo, non il messaggio, o meglio la molteplicità di canali e piattaforme attraverso cui la trasmissione è diffusa: decine di tv locali, radio, siti internet, più i social media che propagano e «viralizzano» la diretta. C’è stata addirittura la diretta via sms: Franco Bechis, vicedirettore di Libero, unico ospite diciamo «non di sinistra» della trasmissione, mentre era lì mandava sms che Libero pubblicava (vedi «Il ritorno di Santoro, diretta sms di Bechis»).

Sta dunque nel medium la rilevanza di «Servizio pubblico». Piaccia o non piaccia Santoro, se ne apprezzino o meno i contenuti, non si può fingere che l’esperimento non inciderà sul rapporto della vecchia televisione con i nuovi modi di fare informazione via internet.

Inciderà. E su questo ho una speranza e un timore.

Speranza: spero che la barcata di soldi e attenzioni che Santoro porta su internet serva a promuovere la cultura di rete in questo paese, che invece è, come sappiamo, indietro rispetto alla media europea e molto rispetto al nord Europa e agli Stati Uniti. Spero che serva a valorizzare l’idea di una rete libera, polifonica, sempre più ricca di contenuti e sempre più accessibile in tutti i sensi: economico, infrastrutturale, culturale.

Timore: temo che Santoro possa appesantire ulterioremente l’incidenza dei vecchi media su internet, che già in Italia è notevole. Già le testate giornalistiche tradizionali – più o meno camuffate di novità – si ritagliano la fetta maggiore di visite, consensi, attenzioni sui media tradizionali e introiti pubblicitari. Già i brand nazionali e multinazionali imperversano su Facebook (non dimentichiamo che ai primi posti nelle classifiche delle pagine con più «mi piace» stanno sempre cantanti, attori, marchi commerciali).

Ora che un brand della tv generalista sbarca su internet non è che, invece di rinnovarsi lui, appannerà di vecchiume la rete e i social media?

Anche perché è vero che – come diceva Marshall McLuhan – «il mezzo è il messaggio» e l’esperimento di Santoro lo sta dimostrando per l’ennesima volta. Ma è anche vero che, se non vogliamo banalizzare McLuhan come molti fanno, il messaggio non è solo il mezzo, casomai è anche il mezzo.

Detto in altri termini: se i contenuti del programma di Santoro continueranno a restare identici a quelli che andavano in Rai, cosa accadrà? L’attenzione verso «Servizio pubblico» andrà scemando perché la parte più innovativa e vitale della rete lo boccerà come stantio, o piuttosto comincerà a diffondersi anche in rete l’idea che, se vuoi fare una web tv, devi prendere pari pari il modello della televisione generalista? Devi imitarne a tutti i costi formati, stili e linguaggi?

Altratv logo

Che ne sarà per esempio delle circa 600 micro web tv italiane censite da Altratv.tv? Oggi su queste microtelevisioni pullulano esperimenti interessanti – alcuni anche brillanti – per varietà e creatività. Pochi conoscono le micro web tv, perché certo non fanno gli ascolti di Santoro. Ma come usciranno dal confronto col panzer? Ne saranno rafforzate perché Santoro riuscirà a tessere alleanze con loro senza schiacciarle, anzi imparando da loro? Saranno assorbite? O rese ancora più irrilevanti e dunque di fatto cancellate?