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I politici italiani su Twitter, fra esagerazioni, pasticci e qualche buon risultato

Comunicazione politica

I politici italiani – lo sappiamo – sono quasi tutti su Twitter. E cinguettano, eccome. Ci sono arrivati in gran parte fra il 2009 e il 2011, con un picco di iscrizioni fra la primavera e la fine 2011: da allora l’uso di Twitter è diventato cruciale nel circuito politico-mediatico italiano. Nell’ultimo numero della rivista «Comunicazione politica» è uscito un mio articolo sull’uso di Twitter da parte delle political celebrities italiane (segretari e altre cariche di partito, capi gruppo, ministri ed ex ministri, ecc.). L’articolo espone i risultati Continua a leggere

Pisapia e Zingaretti sui social media

Nel preparare una relazione per il prossimo convegno della SISP, sto osservando da qualche mese in dettaglio cosa fanno su Twitter e Facebook tutte le political celebrities italiane.

Studia che ti ristudia, scopro che il lavoro che stanno facendo gli staff di Giuliano Pisapia e Nicola Zingaretti è straordinario: questi si prendono – davvero! – la briga di rispondere in modo pertinente e documentato a chiunque chieda informazioni, faccia commenti, esprima critiche. Un lavoraccio durissimo e capillare ora per ora, minuto per minuto: leggono, si documentano e rispondono dopo qualche ora o il giorno dopo, se la ricerca necessita di più tempo. Un vero servizio alla cittadinanza.

Certo, tutto è migliorabile: sia da parte delle due amministrazioni sia nell’uso che i loro staff fanno dei social media (già immagino che qualche lettore alzerà il dito per criticare questo o quello, la tal risposta mancata o insufficiente). Ma nel complesso chi sta dietro all’account Twitter e alla pagina Facebook di PisapiaZingaretti (non so chi ci sia in quegli staff, ma li immagino seri, appassionati e… sempre distrutti di fatica) merita davvero una lode pubblica. E tanti auguri di buon lavoro! 🙂

Non sono gli unici, eh: anche lo staff del sindaco Virginio Merola a Bologna lavora in questo modo sui social media. Ma vivendo io a Bologna… be’, nemo propheta in patria.

Verifica tu stesso/a: qui c’è l’account Twitter di Pisapia, aperto il 6 luglio 2010, con una media di 4,3 tweets al giorno. Qui quello di Zingaretti, aperto il 2 novembre 2011, con una media di 7,1 tweets al giorno.Ed ecco lo screenshot di qualche buon esempio (clic per ingrandire):

Zingaretti e il wi fi

Zingaretti e le aree giochi

Pisapia e il wi fi

Pisapia e le piscine

Pisapia e le primarie

Idea per una tesi: un’analisi comparata di tutto ciò che fanno i sindaci italiani sui social media. Per concordare impostazione e metodologia, iscriviti a ricevimento.

Il lupo e i tre porcellini su media e social media

Il 29 febbraio è uscito lo spot con cui il quotidiano inglese The Guardian promuove la sua presenza multicanale «web, print, tablet, mobile» e il progetto di Open Journalism che da mesi ha avviato (vedi «I tre porcellini e il lupo: la strada dell’Open Journalism del Guardian») (grazie a Guido per avermelo segnalato).

La pubblicità è interessante perché mostra come i social media possano, pur con frasi brevi postate a caldo, capovolgere l’interpretazione dei fatti trasformando le vittime in colpevoli e viceversa. Il che può essere un bene, se il capovolgimento porta all’accertamento dei fatti o addirittura a una mobilitazione sociale – come nello spot – ma anche un male, se serve solo ad accendere gli animi e allontanarli da una visione lucida di quanto accaduto. Posto che mai si riesca ad averla, questa visione, visto che la verità è sempre filtrata da qualcuno che la interpreta, che sia giornalista che scrive, cittadino/a che commenta, folla che scende in piazza o tribunale che assolve o condanna.

Ora, è inevitabile che lo spot del Guardian si chiuda in bellezza, valorizzando la prospettiva multimediale del quotidiano che, grazie anche alla collaborazione dei lettori, riesce a disegnare «the whole picture».

Ma se osserviamo ciò che negli ultimi mesi molti giornalisti della carta e della tv stanno facendo ad esempio su Twitter, viene il dubbio che i social media non stiano poi facendo così bene alla loro ricerca dell’obiettività e del «whole picture»: frasi ambigue, conclusioni avventate, animosità spesso gratuita.

Insomma, pare che a volte il/la giornalista prenda da Twitter il peggio del modo in cui i non giornalisti lo usano, invece di contagiare gli altri col meglio della sua professione: cura e precisione delle parole, adesione ai fatti, massima cautela prima di dare notizie che non siano adeguatamente verificate, massima chiarezza nel distinguere fatti da opinioni. Tutte cose che, pur in pochissime parole, si possono pur sempre fare. E che i giornalisti – più degli altri – dovrebbero fare sempre, sui social media e fuori.

PS: questo articolo è uscito oggi anche sul Fatto quotidiano.

Twitter: Tried&Tested (seconda puntata)

Seconda puntata di «Twitter: Tried&Tested» di Paolo Giacomini, pubblicato anche su La rivista intelligente (QUI la prima puntata).

Twitter seconda puntata

Su Twitter se sei lì che stai scrivendo e sei nel bel mezzo del discorso succede che proprio in quel momento ti finiscono i 140 caratteri che hai a disposizione. È crudele ma è così.

Su Twitter quando ti finiscono i 140 caratteri non c’è mai una ragione.

Su Twitter nei 140 caratteri non ci stai mai dentro e c’è sempre poco spazio. Nemmeno per i sentimenti c’è spazio. E anche questo è alquanto crudele.

Su Twitter non è come su Facebook e l’amicizia non c’è. Neanche a volerla comprare.

Su Twitter al posto dell’amicizia c’è che ci si può seguire gli uni gli altri.

Per seguire qualcuno devi cliccare sul suo pulsante segui. Le prime volte stai lì a ragionarci se cliccare poi dopo vai via liscio in scioltezza. Clic.

Su Twitter il pulsante precedi lo cerchi disperatamente ma non c’è. Puoi solo seguire. Boh.

Su Twitter più sono quelli che ti seguono e più sei un VIP. E viceversa.

Un VIP su Twitter non è che deve sbattersi molto per farsi seguire. Tutti lo cliccano spontaneamente.

Se invece tu di tuo non sei già un VIP per farti seguire da qualcuno su Twitter saresti capace di fare di tutto. E dico di tutto.

Su Twitter se ti accorgi che ti sta seguendo una in tanga vuol dire che quella vorrebbe offrirti qualcosa fuori da Twitter. E allora stai lì a ragionarci se seguirla a tua volta. Parecchio ci ragioni. E poi niente. Clic.

Su Twitter è gentilezza scrivere un messaggio per ringraziare chi ti sta seguendo. Poi in genere qualcuno ti risponde.

Formigoni il messaggio per ringraziare chi lo segue su Twitter lo ha scritto anche in inglese. E sembra che nessuno lì gli abbia risposto.

Su Twitter si può decidere anche di non seguire più qualcuno che si stava seguendo. Lo si fa semplicemente cliccando sul suo pulsante non seguire più. È crudele ma è così.

Se decidi di non seguire più qualcuno su Twitter non c’è problema. Si vede che hai le tue ragioni. Clic.

Quando invece ti accorgi che qualcuno ha deciso di non seguire più te allora lì è una tragedia. Perché è come quando finisce un amore così com’è finito il mio. Non c’è mai una ragione. È crudele ma è così. (Pubblicato anche su La rivista intelligente.)

Twitter: Tried&Tested (prima puntata)

Qualche tempo fa Paolo Giacomini, amico di Facebook che non ho mai incontrato di persona, mi ha postato in bacheca uno scritto, che ho trovato delizioso. La stessa cosa deve aver pensato la redazione de La rivista intelligente (non a caso si chiama così), che è stata però più veloce di me, precedendomi nel pubblicarlo.

Ecco il testo. Riguarda Twitter. Ed è solo la prima puntata. 🙂

Twitter pistolero

Tried&Tested, di Paolo Giacomini

Su Twitter iscriversi è semplice e fa molto fico. Allora non sia mai. Ti iscrivi.

La prima volta che ti colleghi su Twitter subito ti chiedi dove cacchio siano le figure.

Su Twitter se vuoi vedere le figure devi cliccare da un’altra parte. È strano ma è così.

Su Twitter puoi scrivere tutti i messaggi che vuoi ma con il limite di 140 caratteri ciascuno. 140 caratteri ci sono donne che per un messaggio non gli bastano mica. E anche uomini.

Quando stai scrivendo un messaggio su Twitter c’è un contatore che ti dice quanti caratteri ti restano prima della fine. E un po’ di ansia te la mette. Diciamocelo.

Su Twitter quando hai terminato di scrivere un messaggio il punto alla fine non ci sta mai dentro. È regola che succeda. E anche sfiga.

Su Twitter la punteggiatura è un lusso che non ci si può permettere. Punto.

Su Twitter parecchi messaggi li scrivi solo per spiegare cosa volevi dire nei precedenti 140 caratteri. Che non si capisce. Mai.

Se vuoi fare un discorso sensato su Twitter allora è meglio che lo scrivi da qualche altra parte e poi metti lì solo il collegamento.

Anche questo è strano ma è così.

Su Twitter gran parte dei messaggi sono semplici collegamenti a contenuti che stanno fuori da Twitter. E questo non è strano per niente.

Su Twitter tutto è ristretto.

Su Twitter anche i collegamenti a internet vengono messi in forma ristretta per risparmiare caratteri.

Su Twitter i collegamenti in forma ristretta non si capisce bene se clicchi dove ti portino. Ti devi fidare. Clic.

Su Twitter un italiano in genere scrive in italiano. Oppure in inglese se uno vuol darsi un tono internazionale.

Anche Formigoni su Twitter scrive spesso in inglese. E in molti si sta perplessi.

Su Twitter Formigoni a volte scrive anche in tedesco. E lì c’è sgomento.

Su Twitter se metti un #cancelletto davanti a una parola vuol dire che l’argomento del messaggio è quello. Poi fanno una classifica degli argomenti più frequentati e alcuni il #cancelletto davanti non ce l’hanno. Boh.

In un messaggio su Twitter puoi mettere tanti #cancelletti quanti vuoi. L’importante è che ci stai dentro nei 140 caratteri.

Su Twitter puoi scrivere un #cancelletto anche centoquaranta volte. E basta. È strano ma è così.

Su Twitter le virgolette del cosìdicendo non si usano. Per risparmiare caratteri.

Su Twitter il bello è che se qualcuno scrive una parola cosìdicendo almeno non lo vedi mentre con le dita mima le virgolette. Neanche se lui ha la webcam attaccata lo vedi. Meglio.

Su Twitter a volte ti rispondono con un bel assolutamente sì come succede fuori da Twitter. E ti tocca abbozzare. È triste ma è così. (Pubblicato anche su La rivista intelligente.)

#Sanremo 2012: parlino bene o male purché parlino. Infatti è record di ascolti

Di Sanremo hanno già parlato tutti malissimo: ieri sera su Twitter, oggi sui giornali e di nuovo in rete. Non c’è niente che sia piaciuto (trovi critiche su tutto e tutti, anche su cantanti chic come Nina Zilli e Chiara Civello), niente che sia andato dritto (sparita Ivana Mrazova per mal di collo, guasti tecnici di tutti i tipi, dal sistema di voto ai microfoni), eppure per l’Auditel lo share è si è attestato al 49.55%, che significa 12 milioni e 700 mila spettatori: il risultato migliore degli ultimi 6 anni (bisogna tornare a Sanremo 2005 con Bonolis per trovare un dato migliore per la prima serata: 54.69% di share).

Celentano e Morandi Sanremo 2012

Per la precisione la prima parte dello spettacolo ha ottenuto il 48.51% di share con 14 milioni e 378 mila spettatori; la seconda, iniziata alle 23.33, ha ottenuto il 55.24%, con un pubblico di 8 milioni 429 mila. La prima serata dello scorso anno aveva realizzato il 46.39% di share (media ponderata); nel 2010 il 45.39, mentre al 47.10% si era attestato l’anno prima (QUI i dati).

Dov’è la notizia? Non c’è notizia: Celentano ha attaccato l’Avvenire, che ovviamente ha risposto. Ha attaccato Aldo Grasso, e anche lui oggi sul Corriere ha risposto. E pure su Twitter, niente di più prevedibile: i 4 milioni e rotti di utenti Twitter italiani (pochissimi!) sono un’élite di intellettuali, giornalisti, star e starlette coi loro fan. E che ti aspetti da un sottoinsieme di quella élite? Critiche su critiche, puzza sotto al naso, sfide a chi spara la battutina più acida. Infatti a questo si è ridotto lo hashtag #sanremo.

Speravo tanto che qualcuno non ci cascasse: la cosa migliore che Grasso avrebbe potuto fare oggi, per esempio, sarebbe stata non scrivere nulla. Nulla di nulla. Silenzio.

Niente da fare, non ce l’ha fatta a tacere. O forse il direttore del Corriere l’ha costretto, chissà. È come al ristorante: se tutti parlano ad alta voce, anche noi dobbiamo urlare per farci sentire al tavolo.

Anch’io mi aggiungo al rumore? Sì ovviamente. Ma lo faccio solo perché spero che parlarne in questi termini possa far venire a qualcuno, prima o poi, la voglia (e capacità) di rispondere col silenzio. È una scusa? Un’autoassoluzione? Non lo so: è da stamane che me lo chiedo. Una cosa è certa: scrivere questo post non mi ha divertita per niente.

Su Twitter, le emozioni e il live-tweeting

Qualche giorno fa Concetta Ferruzzi mi ha fatto un’intervista per SegnalazionIT.org. Eccone uno stralcio:

D. Twitter può essere considerato un modello di comunicazione emozionale?

R. Non necessariamente. Twitter è uno strumento e, come tutti gli strumenti, assume funzioni, valori e connotazioni diverse in base alle modalità con cui i singoli e le comunità lo usano. Gli strumenti non sono in sé né emotivi né razionali, ma possono essere usati in maniera razionale o emozionale: dipende, ovviamente,  da chi, come e per quali scopi si usano.

[…]

D. Il live-tweeting può influenzare i commenti e le opinioni rispetto ai fenomeni raccontati?

R.  Il live tweeting ha certi effetti e significati mentre viene prodotto, anche  per il coinvolgimento emotivo che si ha mentre si vive una certa situazione, ma li perde completamente se si legge la strisciata di commenti a distanza dalla diretta. Ma in certi casi il live tweeting può anche essere usato come esercizio per distanziarsi dalle emozioni. Annotare cosa accade mentre qualcosa accade, infatti, comporta in parte un distacco emotivo dall’evento. In questo senso usare il live tweeting in contesti di ricerca è interessante proprio perché consente al ricercatore di mettere un filtro tra il sé che osserva e narra ciò che osserva, e l’evento osservato e narrato.

D. Perché la semiotica dei nuovi media studia il live tweeting?

R. Dal punto di vista semiotico, la pratica del live tweeting è interessante proprio perché implica lo smontaggio analitico di una situazione (la semiotica è una disciplina analitica): chi fa live tweeting è costretto a selezionare solo alcuni aspetti di una situazione, di un contesto o un evento per raccontarli in 140 caratteri su Twitter, evidenziando aspetti che altrimenti non sarebbero evidenziati, e cancellandone altri che invece sono presenti. Ma questi altri aspetti possono essere selezionati da un altro partecipante all’evento su cui si sta facendo live tweeting, e così via. Mettere assieme tutte queste selezioni, combinarle e confrontarle può essere uno strumento di analisi a posteriori molto potente. Non a caso, con il diffondersi dei social media, i live tweeting sono usati anche dalla polizia scientifica come strumenti d’indagine. Occorre però ricordare sempre, nel trattare i live tweeting come strumento di ricerca, che, proprio perché composti di messaggi brevissimi, in cui il non detto supera sempre di molto il detto, i live tweeting, una volta privati del contesto, sono ad altissimo rischio di fraintendimento, e come tali possono essere piegati a interpretazioni manipolatorie. E possono, in certi casi, dire tutto e il contrario di tutto.

[…]

D.  Ritorniamo a Twitter, sono presenti sempre più  VIP, politici e personaggi con ruoli pubblici. Come comunicano?

R. Anche in questo caso, dipende da chi comunica e dagli obiettivi che ha: ognuno rappresenta sé stesso e il proprio brand. Da questo punto di vista le star dello spettacolo non si distinguono dai leader politici. Ho fatto in occasione del Natale un’analisi degli auguri su Twitter fatti dai politici, che evidenziava notevoli differenze di stile: dagli auguri per così dire più “istituzionali” a quelli “personali”. Lo stesso potrei dire del modo in cui hanno fatto gli auguri le star dello spettacolo, da Fiorello a Federica Panicucci a Gerry Scotti: ognuno col suo stile.

D. Quali rischi sono tipici della comunicazione via Twitter?

R. I rischi sono connessi alle caratteristiche stesse dello strumento: velocità e brevità. La brevità dello spazio disponibile può generare fraintendimenti, perché nei messaggi brevi il non detto supera di molto il detto. La velocità invece può portare a semplificare in modo eccessivo pensieri e stati d’animo, quindi il rischio onnipresente è la superficialità: sia nella scrittura sia nell’interpretazione. Tutto ciò spiega per esempio le polemiche che spesso nascono. C’è poi il rischio di esagerare con atteggiamenti di narcisismo e protagonismo: la comunicazione su Twitter può essere vissuta da alcuni come una sorta di “speakers’ corner” da cui sputare sentenze in 140 caratteri alla propria platea di follower. Ma anche questo dipende dalla persona e dalla comunità di follower in cui è inserita.

Leggi il resto dell’intervista qui: «Tecnologia ed emozioni in 140 caratteri».