Da circa un mese – chi più chi meno – i candidati alle primarie del Pd hanno un logo. Per mostrare di essere attenti alla comunicazione, si saranno detti. Perché se non comunichi non vai da nessuna parte, qualcuno gli avrà spiegato.
Il principio è anche giusto. Dipende da come si applica.
Vado in ordine alfabetico.
Il logo di Pierluigi Bersani è corredato da uno 09 che contestualizza il candidato nel tempo (oggi così, domani chissà) e da un payoff – «un senso a questa storia» – preso in prestito da «Un senso», la canzone di Vasco.
Suppongo che, nelle intenzioni, lo svolazzo tricolore volesse dire un’Italia che vola in alto, come un gabbiano (Jonathan Livingston? 🙂 ) nel cielo limpido, anzi no, punteggiato da nuvolette (poetico, eh?).
Peccato che invece ricordi le frecce tricolori, che nei giorni scorsi sono state oggetto di polemiche per la puntata nei cieli di Gheddafi. Peccato che Vasco non c’entri nulla con il modo in cui si presenta Bersani. Peccato infine che la canzone continui dicendo: «…anche se questa storia un senso non ce l’ha».
Anche Dario Franceschini ha scelto il patriottismo, piazzando il nome accanto a una stilizzazione tricolore dello stivale. Peccato che, dal punto di vista grafico, l’italietta si sposi poco con il font del nome (colori, dimensioni, stile). Peccato che la stessa stilizzazione sia poco coesa in sé, come rileva Termometro politico, che ringrazio per avermi segnalato i loghi.
Una domanda, infine, per entrambi: ma il patriottismo non era di destra?
Ignazio Marino si è candidato per sparigliare le carte, e ha voluto farlo anche nella grafica. Così ha scelto colori politicamente inediti in Italia: verde acido e bordeaux. L’ha fatto anche per strizzare l’occhio ai gggiovani, perché il verde acido va di moda negli accessori di plastica, nell’abbigliamento fluo. Infine ha aggiunto una freccia a zig zag verso l’alto: il tracciato di un elettrocardiogramma perché lui è medico? La coda di un diavoletto?
Peccato che queste cose non c’entrino con la bonomia generale del candidato, che tende a presentarsi – anche giustamente, in relazione agli altri due – come saggio, sorridente, pacato.
Peccato infine – e questo vale per tutti – che un logo non basti mai a comunicare. Né a comunicare di voler comunicare. Men che meno a comunicare bene.