Il senso di inferiorità di chi studia materie umanistiche. Ce ne liberiamo una buona volta?

È da molti decenni che chi preferisce “l’italiano alla matematica”, come si dice, coltiva spesso, fin dalle scuole primarie, una sorta di senso di inferiorità nei confronti di chi preferisce la matematica. Un sentire negativo che si mantiene, e perfino peggiora, se si scelgono scuole superiori e studi universitari centrati sulle materie umanistiche. L’idea, più o meno inconsapevole, è che chi non ama la matematica e le materie scientifiche se ne tenga a distanza perché “non è capace”, “non ci riesce”. Viceversa, chi le ama sarebbe “più capace” o addirittura “più intelligente”. È evidente il nesso fra questo senso di inferiorità e

la svalutazione delle lauree umanistiche a favore di quelle STEM (Science, Technology, Engineering, and Mathematics).

Attenzione però: non sto dicendo che le cose stiano davvero così. Dico che questa svalutazione e auto-svalutazione sono tanto diffuse quanto difficili da scardinare, perché fanno parte di stereotipi molto consolidati. Fra l’altro, per il noto fenomeno della profezia che si autodetermina, i bambini e le bambine che si sentono meno capaci in matematica (e affini) ottengono di fatto risultati inferiori in quelle materie, perché le affrontano con ansia, tensione e altre emozioni negative. Tutto ciò finisce per confermare e nutrire il loro credersi meno capaci. E così via, in un circolo vizioso che si riproduce nella vita adulta.

Tuttavia, fin dagli anni Ottanta molti studi di psicologia cognitiva hanno evidenziato come l’intelligenza logico-matematica sia solo una delle tante di cui gli esseri umani sono dotati. La teoria delle intelligenze multiple, elaborata dallo psicologo statunitense Howard Gardner, docente a Harvard – la cui fama internazionale risale al libro Frames of Mind del 1983 – è la più celebre di questo filone. Negli anni, Gardner ha individuato fino a nove tipi di intelligenza, contestando l’abitudine diffusa di fare come se ci fossero solo due tipi fondamentali di abilità intellettive, per giunta contrapposte: quelle linguistiche e quelle logico-matematiche. Anche le neuroscienze, fin dagli studi di Antonio Damasio nei primi anni Novanta, concordano sul fatto che la razionalità umana non sia mai – nemmeno quella logico-matematica – scollegata dalle emozioni, ma anzi se ne nutra per produrre i risultati migliori.

Il mercato del lavoro, per fortuna, se ne sta accorgendo. Già da tempo – a partire dal “Project Oxygen” che Google avviò nel 2009 – le aziende chiedono (e sempre più chiederanno) caratteristiche come creatività, pensiero laterale, curiosità, capacità di lavorare in gruppo: sono le cosiddette soft skill, che si acquisiscono al meglio nei percorsi di studio umanistici. Inoltre, i dati indicano che la combinazione fra competenze umanistiche e digitali è già oggi molto fruttuosa – e lo sarà sempre più – in termini sia di valorizzazione professionale, perché permette di accedere alle mansioni più innovative, sia di remunerazione, perché favorisce l’accesso ai ruoli di leadership. 

Tuttavia, se chi studia materie umanistiche continua a pensare che le competenze digitali “non facciano per lei/lui” o, peggio, vadano tenute alla larga perché “troppo difficili”, finisce per chiudersi nel circolo vizioso della profezia che si autodetermina. Vogliamo liberarci, una volta per tutte, di questo insensato complesso di inferiorità?

Una risposta a “Il senso di inferiorità di chi studia materie umanistiche. Ce ne liberiamo una buona volta?

  1. Ottimi i riferimenti bibliografi sulle recenti ricerche cognitive ,e non, indicate nell’articolo. Avrei sottolineato di più sulla opportunità di fare nella scuola esperienze importanti e attive sui vari linguaggi scolastici (discipline),che forse sono poco curate nella didattica quotidiana. Passare attraverso queste esperienze,facendole e padroneggiandole, disintossicherebbe gli allievi dalla paura del blocco e dalla antipatia verso la matematica o l’italiano o le scienze o la musica. Alla fine sarebbero tutti meno frstrati ,sentendosi a proprio agio anche nel lavoro.

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