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I bambini nella pubblicità dei marchi di moda

Sono molti ormai in rete a denunciare la tendenza a adultizzare e sessualizzare i bambini da parte della pubblicità dei marchi di moda. Ne abbiamo parlato qualche volta su questo blog (ad esempio QUI e QUI). Lo fanno spesso il blog Un altro genere di comunicazione e il gruppo Facebook La pubblicità sessista offende tutti.

Una tendenza che passa da immagini come queste (clic per ingrandire):

Armani Junior

Monnalisa

Guess

Trussardi

Lù Lù

Su questo tema ha scritto una tesi di laurea in Scienze della Comunicazione Eva Schwienbacher, discussa nel marzo 2012. Eva ha analizzato gli annunci stampa  presenti in alcune riviste specializzate in alta moda per bambini nella primavera 2011 e in particolare nell’edizione italiana della rivista bimestrale Marie Claire Enfants (aprile 2011) e nell’edizione italiana delle riviste semestrali Elle Junior (aprile 2011) e Vogue Bambini (maggio/giugno 2011).

L’italiano è a volte un po’ rigido, perché Eva è di madrelingua tedesca, ma comunque è chiaro e scorrevole. Questa la sua conclusione:

Infine, mi preme dire che nel corso dell’analisi sono rimasta sconvolta dalla numerosità di immagini che ritraggono il bambino serio, appena sorridente, o addirittura cupo, con un corpo immobile, chiuso in vestiti ordinati, innaturalmente composti e spesso antifunzionali. È chiaro che la pubblicità ci dà un’immagine idealizzata dei bambini, ma se il risultato deve essere tanto sterile come quello che ho riscontrato nella maggior parte degli annunci che ho analizzato, allora sono felice, e qui scrivo come zia di tre nipotini, di conoscere una realtà completamente diversa fatta di bambini spiritosi e vivaci, che imitano i grandi ma restano comunque bambini, ridono e fanno ridere, ma spesso piangono e fanno anche impazzire, si sporcano e fanno i mocciosi, e ciò nondimeno restano bellissimi e preziosi nella loro diversità da noi adulti.

Scarica da qui il pdf della tesi: Eva Schwienbacher, Bambini in pubblicità.

Il corpo degli uomini sulle riviste per gay

Davide, studente al primo anno della magistrale in Semiotica, ha svolto per l’esame di Semiotica dei consumi un’analisi della rappresentazione dell’omosessualità maschile in un corpus di riviste italiane destinate a un pubblico LGBT, da cui emerge come l’omologazione e plastificazione dell’immagnario gay segua percorsi simili a quelli che riguardano il corpo femminile.

International Sauna

Nelle parole di Davide:

«Che si tratti di testi verbali o visivi, pubblicitari e non, e indifferentemente rispetto al tema dei testi specifici, la presenza di corpi – per lo più a torso nudo – è imprescindibile. In questi rintracciamo, traslati in ottica omoerotica, tutti i canoni di ipersessualizzazione, oggettificazione e autonomizzazione delle parti che Lorella Zanardo osservò, relativamente alla rappresentazione mediatica del corpo femminile, nel noto documentario Il corpo delle donne (2009). È quanto meno contraddittorio che questa pertinenza compaia, in modo così ossessivo, all’interno di una cultura che si dà come militante. […]

Cosa fanno e cosa desiderano i maschi raffigurati? Lavorano come modelli o escort, desiderano “ovviamente sfilare su passerelle importanti, o diventare fotomodello o attore di cinema o tv”  [Luimagazine, n°6, giugno 2012, p.25, estratto dall’articolo “Il ragazzo del mese”]. Anche quando il proprio mestiere non ne prescrive la nudità, l’ostentazione simbolica del corpo è comunque omologata ai valori della realizzazione e del successo. Di più, si è rilevanti solo attraverso un corpo a norma. Che si tratti di cantanti, stilisti, scrittori o ragazzi comuni, i personaggi intervistati e trattati dalle riviste gay sono sempre qualificati attraverso il proprio corpo. […]

Flexo Padova

Il “culto del bello” degenera in una riduzione oggettuale della sessualità all’immagine. Differentemente dalla necessità di spiritualizzazione dell’attività sessuale che si avvertiva nella mentalità greca e poi, ancora più forte, in quella cristiana, qui la desiderabilità dell’individuo si gioca sulla restrizione fisica che, com’è ovvio, inerisce la conformità del corpo ai canoni normativi capitalizzabili e specifici. Ne consegue, come vedremo, che il corpo è tanto più sessualmente desiderabile quanto più (in una scala prettamente quantitativa) muscolare o quant’altro. In quest’ottica è più chiara la consueta assenza di volti dei corpi sessualizzati, dato che la bellezza del volto è un fattore più identificante e qualitativo. È un bello quanto mai relativo.

È probabile che se un marziano sfogliasse queste pubblicazioni, penserebbe che l’omosessualità sia una strana pratica autoerotica, magari consistente nella contemplazione di sé in posizioni improbabili. Come già accennato, l’enfasi sul consumo tende all’isolamento degli individui. In entrambe le riviste [Pride e Lui magazine]– annunci stampa compresi – la dimensione relazionale è pressoché assente, fatta eccezione per due approfondimenti sul cinema GLBT in Pride

Scarica da qui la tesina: Davide Puca, Omosessualità TM. Analisi semiotica delle riviste LGBT

La Norvegia, i media e i pregiudizi anti-islamici

La strage di venerdì a Oslo ha attirato nuova attenzione sugli estremisti di destra, non solo in Norvegia.

In tutta Europa infatti stanno aumentando, da un lato, i migranti dai paesi extraeuropei, dall’altro i flussi migratori all’interno della stessa Europa, e in particolare dai paesi dell’est. Il tutto concorre a far crescere un po’ ovunque le spinte nazionaliste – anche violente – contro i musulmani, i rom, il multiculturalismo. O addirittura, più in generale, contro la globalizzazione e la stessa idea di Europa.

Di qui il successo dei partiti populisti che fanno appello all’identità nazionale o – come la nostra Lega – regionale: anche se a parole condannano la violenza, è chiaro che contribuiscono a legittimare posizioni anche estreme e aggressive. In questo clima non dobbiamo poi stupirci se individui disturbati, violenti, invasati scatenino il peggio di sé.

Chiaro che non c’è un nesso univoco e semplicistico di causa ed effetto. E tuttavia, dire «non c’è assolutamente nessun nesso» mi pare equivalente a mettersi le mani davanti agli occhi per non vedere una scena che non ci piace.

Se poi ci si mettono pure i media, a fomentare i pregiudizi anti-islamici, la frittata è fatta.

Mi hanno colpita, fra venerdì e sabato, le allusioni insistenti sulla possibile matrice musulmana della strage in Norvegia. Prima che si scoprisse il biondissimo e invasatissimo Anders Behring Brevik, integralista cristiano di estrema destra.

Anders Behring Breivik

Scandalose le copertine di Libero e Il Giornale nel pomeriggio di venerdì (poi subito cambiate), come Massimo Mantellini ha giustamente osservato. Ma a dire sciocchezze sul tema o almeno a suggerirle implicitamente – il che è spesso peggio – ci si sono messe molte testate e molti telegiornali italiani.

Idea per una tesi triennale (e ringrazio Lara per avermi ispirata): un’analisi del modo in cui i media italiani hanno fatto ipotesi sui responsabili della tragedia di Oslo quando ancora non si sapeva a chi o cosa attribuirla. Non sarebbe male un confronto con diverse testate europee, se conosci bene almeno un paio di lingue fra francese, spagnolo, tedesco, inglese.

Per concordare il corpus e la metodologia vieni a Ricevimento (riprenderò, dopo la pausa estiva, giovedì 8 settembre).

AGGIORNAMENTO: un interessante approfondimento di Lara sulla responsabilità dei media (ma non solo: anche di certi scrittori) nel soffiare sul fuoco dei peggiori pregiudizi: Tre passi nel delirio (virtuale e non).

La comunicazione politica su YouTube: i casi Vendola, Di Pietro e Brunetta

Nella sua tesi di laurea triennale, discussa un paio di settimane fa, Gloria Neri prosegue il lavoro da me cominciato con il saggio «La comunicazione politica sul web 2.0: la lezione di Obama e le difficoltà italiane», pubblicato nel volume collettivo a cura di Federico Montanari, Politica 2.0. Nuove tecnologie e nuove forme di comunicazione (Carocci, Roma, 2010).

Mentre io mi ero concentrata sui casi meno felici dell’uso di YouTube da parte della politica italiana, Gloria ha preso in esame i canali di Vendola, Di Pietro e Brunetta – dopo aver esaminato sistematicamente e approfonditamente tutti i canali dei politici italiani – perché i tre leader sono quelli che sfruttano al meglio, nel mesto panorama della politica italiana, le potenzialità comunicative di questo ambiente web 2.0.

Ciò nonostante, queste sono le conclusioni dell’eccellente lavoro di Gloria, che condivido in pieno:

«Vendola, Di Pietro e Brunetta, pur essendo le figure che nel panorama politico italiano usano più consapevolmente YouTube come strumento di partecipazione diretta, peccano nella pratica del mezzo per un suo uso incoerente e non funzionale all’obiettivo che si sono posti.

Considerare questo ambiente come strumento di costruzione del dialogo significa dare spazio, mettere al centro il proprio interlocutore, farlo sentire soggetto di una narrazione comune.

Tutti e tre, al contrario, prediligono sempre una costruzione della relazione che contrappone un io a un tu e contribuisce a riprodurre distanza e asimmetria tra enunciatore ed enunciatario. Viene infatti privilegiata la strategia della distanza pedagogica: gli enunciatori, dall’alto, utilizzano i video come strumento per difendersi da attacchi fatti alla propria persona, per accusare a loro volta gli avversari politici, per indurre determinati comportamenti nei propri interlocutori indicando loro quali azioni devono mettere in atto. Troppo poco, invece, per comunicare cosa si è fatto e cosa si intende fare.

Solo Brunetta, in un unico contributo appositamente dedicato, legge quesiti e risponde a domande degli utenti. Al contrario Vendola e Di Pietro non fanno mai riferimento al proprio canale come strumento in cui accogliere proposte provenienti dall’interlocutore, come strumento d’aiuto per fare scelte condivise, anche se paradossalmente Vendola esprime spesso il desiderio di voler dar vita a una voce comune come mezzo per ricostruire la “buona politica”.

Vendola, proprio per l’uso più sistematico che fa del mezzo avrebbe potuto utilizzare i diversi tipi di “videolettere”, e specialmente quelle indirizzate a utenti generali, per illustrare finalmente le sue idee e i suoi programmi. La sua scelta, invece, è quella di elencare semplicemente i propri punti programmatici senza spiegare come intende realizzarli, attraverso quali mezzi e quali strategie. […]

Per concludere, sebbene ci sia il tentativo di usare correttamente YouTube, tutti e tre peccano di un eccessivo pedagogismo e paternalismo. In un leader politico, specialmente in un leader che si vuole proporre come guida di un Paese, un’attitudine in parte pedagogica non è errata, soprattutto perché gli elettori devono sentire di poter votare un soggetto pragmatico, un soggetto del fare che sappia prendere in mano e risolvere i problemi che affliggono lo stato.

Il problema si pone nel momento in cui ci si limita ad auspicare e incoraggiare la centralità e la partecipazione del cittadino-utente, nella costruzione di dialogo per elaborare soluzioni condivise, senza adoperarsi effettivamente per garantirla

Puoi scaricare da qui la tesi di Gloria Neri: «La comunicazione politica su YouTube: i casi Vendola, Di Pietro e Brunetta».

NB: nel pdf manca l’appendice, che contiene una classificazione sistematica e ordinata dei canali di tutti i politici italiani. Chi fosse seriamente interessato, per motivi di ricerca o studio, può scrivermi in privato.

Napolitano, i giovani e il coro

Che il discorso di fine anno del presidente della Repubblica sia fatto per mettere d’accordo tutti (sia bipartisan, come si dice) non è una novità: poiché deve rivolgersi a tutti gli italiani e le italiane, non può certo esprimere una parte.

Per questo, dal 1949 a oggi, i discorsi presidenziali di fine anno, pur differenziandosi per stile e contenuti – che dipendono un po’ dal presidente, un po’ dal contesto storico-politico – devono il più possibile dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Perciò di solito ottengono lodi e critiche equamente distribuite fra tutte le parti politiche, sociali, economiche.

Tuttavia, mentre l’anno scorso il bilancio delle lodi e delle critiche era in pareggio (vedi Il discorso presidenziale di fine anno: lodi e attacchi bipartisan), quest’anno Napolitano ha ottenuto solo consensi perché, pur affrontanto molti temi, ha usato la leva retorica che da noi va per la maggiore: i giovani.

Attenzione: non sto dicendo che Napolitano ha fatto il furbacchione per ottenere consensi. Credo che in questo momento il valore simbolico dell’attenzione ai giovani e ai problemi dell’università sia importante. Tanto, che pure il New York Times ha dedicato un articolo all’anomalia italiana: un paese che non solo invecchia («Fra un po’ non ci saranno più italiani né greci, spagnoli, portoghesi o russi – dice al NYT l’economista Laurence J. Kotlikoff – e immagino che i cinesi riempiranno il sud Europa»), ma costringe i pochi giovani che ha ad andarsene per trovare percorsi di lavoro decenti.

Il problema è il coro: tutti a ripetere che bisogna pensare ai giovani, da Berlusconi a Bersani, da Fini a Di Pietro. Tuttavia, come ho detto altre volte, in Italia bisogna sempre diffidare di chi blandisce i giovani: quando va bene, è vuota demagogia (lo dicono e non lo fanno), quando va male equivale a inserire nei partiti e nelle organizzazioni persone poco competenti e preparate, ma in compenso molto inquadrate, deboli e manipolabili dai dirigenti. Non a caso tutti i partiti fanno il coro del «largo ai giovani».

Ma la mancanza di prospettive, in Italia, non riguarda solo i giovani, ma tutte le generazioni. Ed è soprattutto un problema:

  1. del mercato di lavoro, più che del sistema educativo – pur avendo, questo, tutti i problemi che sappiamo;
  2. dell’incapacità, tutta italiana, di darsi regole per introdurre una vera e sana meritocrazia in tutti gli ambienti (aziende, università, scuole, pubblica amministrazione, politica, governo) e per tutte le generazioni.

Una persona va scelta per un certo ruolo (lavoro, carica, funzione) perché ha studiato per quel ruolo, perché è intelligente, creativa, preparata, perché in quel ruolo saprebbe fare questo e quello e lo farebbe con passione e onestà. Non perché ha 20, 30 o 40 anni. E nemmeno perché ne ha 70 o 80, naturalmente.

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Idee per una tesi (triennale o magistrale, a seconda del tipo e livello di approfondimento): analizzare dal punto di vista retorico-semiotico il discorso di Napolitano nel quadro dei messaggi presidenziali di fine anno dal 1949 a oggi (tesi magistrale), o dalla cosiddetta seconda repubblica a oggi (tesi triennale).

Trovi sul sito del Quirinale i testi di tutti i messaggi di fine anno degli ex presidenti italiani, fino all’attuale.

C’è un’Italia migliore

Mi ha scritto Nicola, che si è laureato con me nel marzo del 2007 con una tesi sull’immagine di Nichi Vendola nelle regionali del 2005, e oggi lavora con lui. Ho deciso di pubblicare la mail di Nicola – con il suo consenso – perché descrive com’è nata una campagna on line e come lui vi ha contribuito applicando, oltre alla sua pratica e passione politica attuale, alcune competenze di semiotica e narratologia acquisite in università:

C'è un'Italia migliore

«Come staff di Nichi abbiamo lanciato una campagna on line che considero molto bella e unica nel suo genere, dal titolo “C’è un’Italia migliore”: www.ceunitaliamigliore.it.

La campagna è pensata e realizzata in questo modo: abbiamo inizialmente preso 5 temi, per noi fondamentali per costruire l’Italia migliore (cultura, formazione, lavoro, beni comuni, ambiente), e per ognuno abbiamo costruito delle frasi (es. “C’è un’Italia fondata sul lavoro e affondata dal precariato”).

Abbiamo poi creato una veste grafica che richiama a livello visivo dei pezzi di stoffa. La sensazione della stoffa si ottiene anche dagli elementi grafici del singolo “manifesto”, che ricordano delle cuciture. Ogni piccolo pezzo di stoffa è suggellato dalla scritta “C’è un’Italia migliore”, posta in basso come fosse una firma. Questi piccoli pezzi, posizionati uno di fianco all’altro e realizzati in grandezze e colori differenti, costruiscono una sorta di coperta, un enorme patchwork, che esprime simbolicamente la necessità di ricucire un tessuto sociale fatto a pezzi dalle politiche del governo.

La parte più interessante, però, è che chiediamo agli utenti di intervenire direttamente e di raccontare la loro Italia migliore. Ognuno può creare il suo pezzo di stoffa, portando la sua issue e il suo contributo, per ricucire la società e costruire l’Italia migliore a cui aspira.

Il meccanismo è molto semplice e intuitivo. Ed è anche divertente, perché ognuno può scegliere il colore che preferisce, l’icona da mettere sul manifesto, e può allegare contenuti diversi (video, foto, slide, o altro) per meglio spiegare la propria frase.

Di solito la comunicazione politica, e l’attività politica tout court, sono condotte secondo il principio del top down. Per dirla con Berlusconi: “ghe pensi mi”. Da qui la diffusa tentazione alla delega, l’idea che un “One man band” possa risolvere tutti i problemi del paese.

Noi pensiamo, invece, che è proprio a causa di questa tentazione che il paese arranca, che al contrario c’è bisogno di uno sforzo collettivo e che la narrazione dell’Italia migliore non può essere messa nelle mani di uno solo, fosse anche Vendola. La narrazione è qualcosa di collettivo, come ci insegnarono i greci che riuscirono a tramandarsi oralmente l’Iliade e l’Odissea.

Abbiamo quindi bisogno di costruire storie diverse, che esprimano la collettività, i sogni e le paure di intere generazioni; abbiamo bisogno di costruire una narrazione collettiva che non sia quella propinata dalle televisioni e dai circuiti mainstream, in cui la voce dei singoli non può arrivare, e che propongono sogni e incubi privati, dal diventare miliardari fino alla paura del diverso, del migrante, del proprio vicino di casa. Perciò offriamo un’opportunità.

Ritengo che la campagna sia interessante soprattutto perché è fortemente partecipativa e richiede lo sforzo interpretativo (ma anche generativo) di tutti; si tratta, credo, del primo esperimento italiano di comunicazione politica partecipata, condivisa. Inoltre, la possibilità di pubblicare il proprio manifesto non solo sul sito, ma anche sui social network, conferisce alla campagna quel pizzico di viralità che in rete può determinare – speriamo – il suo successo.

Ci tenevo a segnalarle questo lavoro. Se vuole possiamo continuare a parlarne.»

Certo che mi piacerebbe continuare a parlarne, Nicola, anche assieme ai lettori di questo blog, che spero vadano subito a studiarsi www.ceunitaliamigliore.it e poi tornino numerosi a dirci cosa ne pensano. 😀

Premio Wired per le migliori tesi di laurea

Come docente della cattedra di Semiotica dei Nuovi Media del corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università di Bologna, ho il piacere e l’onore di promuovere – assieme a AESVI, all’Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna e Wired Italia – la prima edizione del Premio Wired per le migliori tesi di laurea (triennale, specialistica o magistrale) che abbiano per argomento:

IL VIDEOGIOCO E LE SUE RELAZIONI CON GLI ALTRI MEDIA.

Il bando è rivolto a laureati delle facoltà di Lettere e Filosofia, Psicologia, Scienze della Formazione, Sociologia, Scienze della Comunicazione, Scienze Politiche, Economia e Commercio (e/o dizioni analoghe) di tutte le università italiane.

L’esclusione delle facoltà tecnico-informatiche è per quest’anno voluta: vogliamo stimolare sempre più studenti del settore umanistico ad avvicinarsi al mondo dei videogiochi e, più in generale, dei nuovi media.

Per partecipare al bando devi inviare:

  1. una copia cartacea della tesi;
  2. una copia della tesi in formato digitale su CD/DVD;
  3. un abstract della tesi (in formato cartaceo o digitale, max una cartella);
  4. una copia del certificato di laurea;
  5. un breve curriculum, con indirizzo e-mail, telefono e codice fiscale chiaramente specificati, contenente anche l’autorizzazione al trattamento dei dati personali ai sensi della D. Lgs.196/03.

Non si accettano tesi di laurea precedenti all’a.a. 2007/2008.

Il materiale dovrà arrivare entro il 15 febbraio 2011 (fa fede il timbro postale) a questo indirizzo: Archivio Videoludico, c/o Biblioteca Renzo Renzi – Cineteca di Bologna, via Azzo Gardino, 65/b – 40122 Bologna.

Dal 1° marzo 2011 una giuria composta da rappresentanti di ciascun ente promotore del bando selezionerà a proprio insindacabile giudizio le 5 migliori tesi, in ordine crescente, sulla base di questi criteri: originalità dell’approccio, approfondimento dell’analisi intermediale, completezza dei contenuti, chiarezza espositiva.

Tutti e 5 i partecipanti selezionati riceveranno un abbonamento gratuito annuale al mensile Wired Italia e avranno la possibilità pubblicare integralmente la tesi sui siti web: (a) di Wired Italia (b) del corso di laurea in Scienze della Comunicazione dell’Università di Bologna, (c) di AESVI e (d) dell’Archivio Videoludico della Cineteca di Bologna.

Al primo classificato – individuato tra i 5 selezionati – AESVI corrisponderà inoltre un premio in denaro del valore di 1.000 euro.

La cerimonia di premiazione avverrà il 15-16 aprile 2011 presso la Cineteca di Bologna, in occasione della seconda edizione del festival FAR GAME. Le frontiere del videogioco tra industria, utenti e ricerca.

Per ulteriori dettagli scarica il bando completo.

Per ulteriori informazioni: tel. 051/2195328 – fax 051/2194847, e-mail: archiviovideoludico@comune.bologna.it