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Marco Carta contro la violenza: solo cosììì… trala-la-là

Torna anche quest’anno la campagna «Io dico NO alla violenza» promossa dal Ministro delle pari opportunità e da quello dell’istruzione già nel 2009. QUI la presentazione.

Quale violenza? Tutta: compresa – dice il protocollo d’intesa – quella «fondata su intolleranza di razza, di religione e di genere».

A questo scopo si apre la «settimana contro la violenza», in cui ogni scuola «è invitata a promuovere iniziative di sensibilizzazione, informazione e formazione, anche con il coinvolgimento di rappresentanti delle Forze dell’Ordine, delle associazioni e del volontariato sociale, rivolte agli studenti, ai genitori e ai docenti sulla prevenzione della violenza fisica (violenza on line, violenza contro le donne e psicologica), compresa quella fondata sull’intolleranza razziale, religiosa e di genere, con approfondimenti ed eventi dedicati».

Insomma, Carfagna e Gelmini affidano alle scuole di ogni ordine e grado il delicato compito di decidere quali iniziative organizzare per far capire a tutti – studenti, genitori e persino le forze dell’ordine –  che bisogna dire no alla violenza. E scusate se è poco. In una settimana? A zero euro? Dalle elementari alle superiori? A quanto pare sì.

Carta bianca? Non proprio: Carta… Marco. Infatti, dato il target gggiovane hanno preso come testimonial il vincitore di «Amici», di Sanremo e altro.

Nello spot si vede Marco che se ne sta a casa, a provare la canzone d’amore «Resto dell’idea»: «Solo cosììì (stona), il mio entusiasmo per te… ancora è quiiii (stona)…», ma non gli esce la nota.

Cosa c’entra «l’entusiasmo per te» col dire no alla violenza? «La violenza è sempre una nota stonata», spiega Marco. E dopo che ha detto no alla violenza, riacquista la voce.

Ma va là, povero Marco. La campagna è una roba a caso: le due ministre volevano fare qualcosa di edificante, hanno preso te perché gli hanno detto che «piaci» ai ragazzini e hai la faccia pulita, e t’hanno chiesto di fare una buona azione (spero gratis, dimmi che è gratis). Mentre nel frattempo alle scuole toglievano, oltre agli insegnanti, pure la carta igienica dai bagni.

Povero Marco. Povere scuole. E poveri tutti.

Marco Carta Io dico NO alla violenza!

Il laureato precario, i panettieri a 2mila euro al mese e i corsi di formazione

Matteo Pascoletti racconta su Valigia Blu una storia che la dice lunga su una faccenda che abbiamo già discusso altre volte su questo blog: il mercato del lavoro italiano, secondo alcuni benpensanti che includono il ministro Gelmini, avrebbe tanto bisogno «bravi diplomati» disposti a fare «mestieri tecnici», ma non li trova, perché tutti i figli di mammà si affannano a laurearsi (specie in facoltà umanistiche, considerate inutili), per poi restare disoccupati chissà quanti anni.

Vedi: Confartigianato sulla disoccupazione giovanile: notizia? No, politica e Scienze della comunicazione: amenità contro dati.

Panettieri al lavoro

Puoi allora chiederti se fare il panettiere sia un mestiere tecnico o no. Se ci voglia un diploma, una laurea, il negozio già aperto da mammà, o cosa. Ma prima leggi questo:

Riassunto delle puntate precedenti. Massimo Gramellini sul Buongiorno de La Stampa, lamenta il caso dell’Unione Panificatori di Roma, che pare non riesca a trovare giovani disposti a lavorare per duemila euri al mese.Uno sfigatissimo precario (casualmente mio omonimo), assai poco convinto del contenuto dell’articolo, indaga e scopre che le cose sono un po’ diverse, e un po’ se la prende per la storia dei giovani al computer otto ore al giorno eccetera.

Poi siccome è, per l’appunto, uno sfigatissimo precario, e siccome su duemila euri al mese non ci sputa sopra, pure se ha scoperto che in sostanza le cose sono un po’ diverse da come raccontato da Gramellini, all’Unione Panificatori di Roma il suo Curriculum Vitae lo manda lo stesso. E siccome facendo ricerche ha scoperto un articolo del Corriere dove, potenza del caso, pare manchino panettieri pure in Abruzzo, avendoci la ragazza che vive da quelle parti manda il Curriculum pure alla Confesercenti Abruzzo, ché almeno se lo pigliano risparmia sull’affitto, c’è caso, così sò duemila euri al mese netti. Frattanto, Massimo Gramellini dà il suo Buongiorno a Valigia Blu, e assai gentilmente replica allo sfigatissimo precario dicendo, in sostanza “mi sono spiegato male”.

Puntata di oggi: la Confesercenti Abruzzo risponde allo sfigatissimo precario dicendo che più di una caterva di posti da panettieri a duemila euri al mese, ci stanno una caterva di corsi per pizzaioli/pasticceri/barman a pagamento. Ma siccome la Confesercenti Abruzzo è buona, il pagamento è rateizzabile.

Lo sfigatissimo precario entra in crisi, perché se ci sta il problema che li gioveni nun c’hanno vojà de fa i lavori manuali perché dice che pensano alla curtura e so’ troppo snob (li gioveni, no li lavori manuali) specie si lavoreno in borsa, mo’ a lui se chiede de fasse ‘na curtura per un lavoro manuale. Che poi ce sta pure er corso aggratise, ma chiedono esperienza nel settore.

Però scusate: se uno c’ha esperienza, a che je serve il corso per imparare?

Matteo Pascoletti su Valigia Blu

Confartigianato sulla disoccupazione giovanile: notizia? No, politica

Diversi ex studenti mi hanno segnalato ieri il rapporto di Confartigianato sulla disoccupazione dei giovani sotto i 35 anni. Questa è la sintesi per la stampa, da cui estraggo:

Confartigianato Logo

«L’Italia ha il record negativo in Europa per la disoccupazione giovanile: sono 1.138.000 gli under 35 senza lavoro. A stare peggio i ragazzi fino a 24 anni: il tasso di disoccupazione in questa fascia d’età è del 29,6% rispetto al 21% della media europea.

La situazione del mercato del lavoro nel nostro Paese è fotografata in un rapporto dell’Ufficio studi di Confartigianato in cui si rileva che tra il 2008 e il 2011, anni della grande crisi, gli occupati under 35 sono diminuiti di 926.000 unità.

Se a livello nazionale la disoccupazione delle persone fino a 35 anni si attesta al 15,9%, va molto peggio nel Mezzogiorno dove il tasso sale a 25,1%, pari a 538.000 giovani senza lavoro.»

Dov’è la notizia? I dati Istat sulla disoccupazione giovanile non erano stati già diffusi in luglio? Cerco e infatti trovo: «Lavoro, Istat: disoccupazione giovani al 29,6%», Il Fatto Quotidiano, 1 luglio 2011. Stessa notizia su tutti i quotidiani del 1 luglio. Guardo le tabelle annesse al documento Confartigianato, su cui leggo che sono elaborazioni dell’Ufficio Studi Confartigianato su dati Istat. Ah, ecco: i dati diffusi il 1 luglio riguardavano i giovani 15-24 anni, quelli rielaborati da Confartigianato estendono l’età a 35, ma è chiaro che Istat aveva già tutto.

Si tratta solo di dosare il rilascio delle informazioni nel momento più opportuno.

Allora mi chiedo: a chi giova? La risposta sta dentro lo stesso documento Confartigianato, in questo passaggio:

«In un contesto così critico, il rapporto di Confartigianato rivela paradossi tutti italiani sul fronte dell’istruzione e della formazione che prepara al lavoro. Per il prossimo anno scolastico 2011-2012, infatti, è previsto un aumento del 3% degli iscritti ai licei e una diminuzione del 3,4% degli iscritti agli istituti professionali. Nel frattempo, le imprese italiane, nonostante la crisi, denunciano la difficoltà a reperire il 17,2% della manodopera necessaria.»

Mi aveva già fatto notare questo passaggio ieri via mail Giampaolo Colletti, commentandolo così:

«Paradossi? E perchè? Credo che se si perdesse la libertà di scelta degli studi per congiuntura economica ne subirebbe un danno il Paese intero. Non credi?»

Certo Giampaolo, e aggiungo: se i ragazzi e le loro famiglie puntano su prospettive di studio più lunghe, vuol dire che puntano più in alto, sperano in un futuro migliore. Non mi pare un paradosso, casomai una buona notizia. Non solo: questo passaggio mi ricorda la posizione del ministro Gelmini, che in gennaio diceva che l’Italia non ha bisogno di laureati in materie umanistiche (men che meno in comunicazione). E forse nemmeno di laureati, perché il governo mira a rinforzare il rapporto fra istituti tecnici superiori e lavoro.

La Gelmini? Proprio lei. Così infatti si chiude il documento Confartigianato:

«La riforma dell’apprendistato voluta dal ministro Sacconi – sottolinea il Segretario Generale di Confartigianato Cesare Fumagalli – potrà contribuire a ridurre la distanza tra i giovani e il mondo del lavoro. Da un lato, i ragazzi potranno trovare nuove strade per imparare una professione, dall’altro le imprese potranno formare la manodopera qualificata di cui hanno necessità».

Sacconi, non Gelmini. Sì, ma arriva anche lei, che ieri ha commentato il rapporto Confartigianato:

L’indagine presentata da Confartigianato sulla disoccupazione giovanile in Italia «sottolinea l’importanza di alcune misure già messe in atto da questo governo, come quelle sull’apprendistato. Il contratto di apprendistato permetterà infatti l’acquisizione di una qualifica professionale triennale per i giovani valorizzando l’apprendimento sui luoghi di lavoro. In questo modo abbiamo risposto all’emergenza disoccupazione realizzando un’integrazione sempre più stretta tra istruzione e mondo del lavoro». Lo ha detto il ministro dell’istruzione Mariastella Gelmini, aggiungendo che «questa integrazione sarà realizzata, per la prima volta in Italia, dagli Istituti tecnici superiori che partiranno a settembre» (TMNews).

In conclusione, il rapporto Confartigianato non è informazione, ma comunicazione politica.

La laurea in Scienze della comunicazione è utile: parola di ex studenti

Ho cercato più volte di contrastare con dati (vedi: Scienze della comunicazione: amenità contro dati e Scienze della comunicazione: sfatiamo i pregiudizi) lo stereotipo secondo cui le lauree nel settore della comunicazione «e altre amenità», come disse Mariastella Gelmini a Ballarò in gennaio, «non aiutano a trovare lavoro».

Certo, occorre che l’offerta didattica del corso sia buona – meglio ancora: eccellente – ma occorre soprattutto che gli studenti e le studentesse… studino, vale a dire non prendano la laurea tirando a campare ma si impegnino sul serio.

Nulla vale, infatti, quanto l’impegno personale. Anche nelle condizioni più disagiate.

Detto questo, anche per combattere i pregiudizi sulle lauree in Scienze della comunicazione, nulla vale quanto la testimonianza diretta di ex studenti ora felicemente occupati.

Mi scrive Francesca:

«Ho studiato Scienze della comunicazione a Bologna, e mi sono laureata nell’ottobre 2006 (proprio con lei) con una tesi sulla contropubblicità in cui ho approfondito il modo in cui Diesel ha attinto alle pratiche di guerrilla marketing (al tempo ancora non così sviluppate come ora) e le ha riportate nell’ambito della pubblicità mainstream.

In seguito, mi sono iscritta alla laurea specialista in Comunicazione e pubblicità per le organizzazioni presso l’Università di Urbino: il corso, con accesso limitato a 30 studenti, ha il grande pregio di avere un’impostazione molto pratica e operativa, e una particolare attenzione al coinvolgimento degli studenti in inziative come concorsi e incontri con le aziende.

Attraverso il bando Mae Crui del Ministero degli Esteri (e anche attraverso un po’ di soldi messi da parte con lavoretti part time, perché c’è da dire che per questi tirocinanti il Ministero mette a disposizione davvero una miseria), ho fatto uno stage di tre mesi presso l’Istituto Italiano di Cultura di New York, nel settore organizzazione eventi.

È stata un’esperienza davvero strabiliante, al contrario di tante esperienze negative con Mae Crui, che – ci tengo a sottolinearlo – è veramente “un terno al lotto”, ovvero un bando in cui la fortuna determina davvero la reale utilità del tirocinio. Grazie alla funzionaria mia responsabile, ho potuto infatti partecipare all’organizzazione di Open Roads: New Italian Cinema, un importante festival per promuovere il cinema italiano a New York che si è tenuto al Lincoln Center, a cui hanno partecipato Ozpetek, Soldini e tanti altri talenti della nostra terra.

Ho conseguito poi la laurea specialistica con una tesi sul marketing esperienziale con il professor Giovanni Boccia Artieri: in particolare ho analizzato il caso Nokia Trends lab, un evento che è stato organizzato dall’agenzia (di Bologna) presso cui tuttora sto lavorando.

Tutto questo per dirle che seguo sempre il suo blog, e per raccontarle – visto che c’è chi dice che questa laurea è “inutile” – che noi ex studenti non solo siamo convinti che sia una laurea utilissima, ma ne abbiamo anche le prove. In senso galileiano, dunque: esperimento riuscito!»

Su questo tema vedi anche: Uno sguardo positivo sul mercato del lavoro per giovani comunicatori.

Scienze della Comunicazione: sfatiamo i pregiudizi

A corredo del post Scienze della Comunicazione: amenità contro dati – in cui replicavo all’infelice uscita del ministro Gelmini sulle «amenità» dei corsi di laurea nel settore della comunicazione – i ragazzi di Flashgiovani e Codec tv del Comune di Bologna hanno intervistato me, come presidente della magistrale in Semiotica, Costantino Marmo, presidente del corso di laurea triennale in Scienze della Comunicazione di Bologna, e Gloria Neri, laureanda in Scienze della Comunicazione.

Ecco la clip:

Per i dati a cui facciamo riferimento, rileggi Scienze della Comunicazione: amenità contro dati.

 

La politica sul web 2.0: la lezione di Obama e le difficoltà italiane

Nei paesi democratici l’uso attivo e partecipativo di internet sta producendo cambiamenti rilevanti nella vita politica. L’elezione di Barack Obama a fine 2008 è stato l’esempio più eclatante, il caso di studio eccellente da cui né la comunicazione politica né gli studi politologici possono più prescindere. Specie per il modo in cui Obama è riuscito a integrare l’uso della rete con tutti gli altri media, dalla televisione al door to door.

Finora, però, la comunicazione di Obama resta ancora una luminosa eccezione, legata al contesto storico-politico in cui è nata e si è mossa, oltre che alle caratteristiche dell’immagine personale di Obama, che sono particolarmente adatte allo stile di comunicazione tipico del web 2.0.

In un capitolo del volume collettivo a cura di Federico Montanari, Politica 2.0. Nuove tecnologie e nuove forme di comunicazione (Carocci, Roma, 2010), ho innanzi tutto focalizzato i tratti linguistico-semiotici che considero fondamentali per la comunicazione politica sul web 2.0; quindi ho fatto un confronto fra l’uso di YouTube da parte di Obama e quello di alcuni politici italiani: da Di Pietro a Vendola, da Brunetta a Bersani, con un approfondimento su Mariastella Gelmini.

Come puoi immaginare, il confronto è impietoso per la politica italiana. Ma non mi ci sono cimentata per dimostrare l’ovvio, né per fare esercizio di autodenigrazione italiota.

Indipendentemente dalle differenze fra gli Stati Uniti e noi, infatti, le basi linguistico-semiotiche di un uso del web 2.0 «adeguato» – e cioè coerente con le pratiche on-line più diffuse nel mondo – sono davvero poche, semplici e ben rappresentate da Obama.

Talmente poche e semplici che, più che stupirci per la maestria con cui lo staff di Obama riuscì – e riesce tuttora – ad applicarle, c’è da stupirsi per come la politica italiana continui sistematicamente a trascurarle, incapace di guardare a cosa fanno in rete ogni giorno milioni di persone al mondo.

Poiché l’editore non mi ha messo a disposizione l’articolo impaginato, puoi scaricare da qui il mio doc: «La comunicazione politica sul web 2.0: la lezione di Obama e le difficoltà italiane».

Il volume collettivo Politica 2.0. Nuove tecnologie e nuove forme di comunicazione, a cura di Federico Montanari, contiene un’introduzione del curatore e gli articoli di: Denis Bertrand, Omar Calabrese, Roberto Cartocci, Giovanna Cosenza, Umberto Eco, Guido Ferraro, Bernard McGuirk, Gianfranco Pasquino, Aldo Schiavone, Franciscu Sedda, Cristian Vaccari.

Politica 2.0

Questa è la quarta di copertina:

Come cambia la politica? E soprattutto, come cambia, oggi, grazie alle trasformazioni, anche tecnologiche, delle sue forme discorsive e comunicative? Il volume intende affrontare tali questioni e fare un possibile punto sulla situazione. I contributi qui raccolti non solo presentano spunti di riflessione teorica, ma analizzano veri e propri casi studio. Le riflessioni più generali su etica, informazione e discorso politico (Eco) si connettono a quelle sui rapporti fra nuove forme del potere e trasformazioni, antiche e nuove, dello spazio politico (Pasquino, Schiavone); a quelle sulle mutazioni del lessico politico e sulle sue stereotipie in relazione alla situazione italiana (Calabrese, Cartocci), o a quella sul linguaggio delle vignette della satira politica, a partire dalle situazioni di conflitto (McGuirk); così come a quelle sulle nuove forme di comunicazione e di campagne elettorali (Vaccari), con l’uso delle tecnologie del web (Cosenza), e a quelle sulla trasformazione delle forme discorsive e retoriche (Bertrand) e delle costruzioni valoriali e narrative (Ferraro) non più solo in rapporto all’attuale politica italiana; per finire con la necessità di estendere la riflessione collegando la definizione stessa di “mondo globale” (Sedda) ad uno sguardo che sappia essere, al tempo stesso, semiotico, sociologico, antropologico e storico.

Donne che difendono Berlusconi

Fra le mosse comunicativamente più astute nella costruzione mediatica che Berlusconi ha messo in scena questa settimana per rispondere alle accuse della procura di Milano, c’è l’aver affidato la sua difesa quasi esclusivamente a donne.

Per fare qualche esempio: lunedì a «Porta a porta» c’era Mariastella Gelmini, martedì a «Ballarò» Anna Maria Bernini, ieri da Santoro Daniela Santanché, poi nell’approfondimento del Tg2 «Il punto di vista» c’era Nunzia De Girolamo, già più volte intervistata durante vari Tg.

Tutte molto convinte, aggressive e indignate. E tutte con le stesse argomentazioni: la persecuzione di Berlusconi da parte della magistratura, le menzogne reiterate dei media, la violazione della privacy con le intercettazioni (il «potrebbe capitare anche a voi» che lo stesso Berlusconi ha ribadito nel videomessaggio di mercoledì), la presunzione di innocenza da rispettare fino a che non ci sarà una sentenza in tribunale.

Sono le stesse argomentazioni addotte dagli uomini, ma metterle in bocca a figure femminili permette di arricchirle con testimonianze personali sul Berlusconi «premuroso, gentile e corretto con le donne» che non avrebbero la stessa forza e lo stesso significato se dette da uomini, e con commenti sul non sentirsi affatto offese, come donne, dai comportamenti del premier.

La mossa serve cioè ad anticipare e controbilanciare proteste di stampo femminista e post-femminista, come quella che mercoledì hanno messo in atto alcune donne del Pd, fra cui Paola Concia, Giovanna Melandri e Rosy Bindi, che hanno manifestato sotto palazzo Chigi con slogan come «La nostra dignità non è in vendita», «Vecchio porco», «Mia figlia non te la prendi…», «Sono italiana e mi vergogno di essere rappresentata da un “vecchio porco” – per la dignità delle donne dimissioni».

L’idea è insomma mettere donne contro donne: per alcune che si dicono offese, altre negano di esserlo. E siamo punto e daccapo.

Anna Maria Bernini martedì a Ballarò:

Daniela Santanché ieri a Annozero:

QUI Nunzia De Girolamo a Tg2 Punto di vista.