Dall’esperienza del Corpo delle donne Lorella Zanardo ha tratto un libro. Che non è per nulla autocelebrativo. Che è grato al femminismo storico, ma ne prende le distanze. Che mi ha colpita per la dolcezza e il coraggio con cui è scritto. Che fa sorridere e qualche volta piangere, ma soprattutto fa venire voglia di sognare e combattere per i propri sogni. E mostra chiaramente, quasi ostenta, che Lorella è una splendida persona. Perché solo una splendida persona – acuta, generosa, autoironica – poteva scrivere un libro così.
Non ci credi? Vieni a conoscerla stasera alle 18.30 alla Libreria Coop (via Orefici 5, Bologna), dove Nadia Urbinati, Lorella e io converseremo intorno al libro.
E leggi il libro, naturalmente. Che comincia con «Il teorema della 94»:

«Da anni a luglio ripeto un esperimento il cui esito finale spero mi sorprenda ma che finora mi ha dato sempre uguale risultato.
La 94 è la linea di autobus che collega le varie fermate della circonvallazione interna di Milano, quella denominata anche “la cerchia dei Navigli”; si tratta di una linea molto frequentata, che i milanesi prendono spesso. Anche chi usa sempre l’auto almeno una volta sulla 94 ci è salito.
Attendo una mattina quando la temperatura, quella torrida milanese di luglio, e l’umidità sono altissime e intorno alle undici vado alla fermata della 94, incrocio corso Italia con via Molino delle Armi.
Salgo e mi assale il caldo opprimente, l’aria è irrespirabile, gli abiti si appiccicano al corpo, la promiscuità con gli altri rende il tragitto ancora più faticoso; alcune persone intorno a me sbuffano infastidite dall’afa, altri sopportano, remissivi e sudati.
Tutti i finestrini sono chiusi.
Mi faccio strada educatamente tra i passeggeri e, in silenzio, comincio ad aprire il primo finestrino, parto sempre dal fondo dell’autobus.
L’impresa non è agevole: i finestrini a scorrimento della 94, forse per lo scarso utilizzo, resistono alla spinta, io in più devo sporgermi per raggiungerli, stando in equilibrio per non urtare i passeggeri i cui posti sono proprio sotto i suddetti finestrini. Posso spingere con una sola mano, altrimenti perdo l’equilibrio: compito, quindi, non facile.
All’inizio questa mia impresa prevedeva coraggio e determinazione: dal secondo finestrino in poi, infatti, tutti gli sguardi erano su di me, alcuni interrogativi, altri impassibili, e io mi sentivo comprensibilmente imbarazzata, mi pareva di star facendo qualcosa di ardito o sconveniente. Ora, dopo anni, proseguo come chi sa bene quello che fa, incurante della curiosità provocata.
Dal secondo finestrino aperto in poi, l’interesse svagato delle persone intorno a me diventa attenzione interrogativa, come se proprio non si spiegassero cosa sto facendo: come se l’apertura del primo finestrino rispondesse a un desiderio personale di soddisfare un mio bisogno di refrigerio. Ma l’apertura del secondo, del terzo… perché?
Con la terza faticosa apertura accade quasi sempre che un passeggero mi si avvicini e, senza che ci sia un accordo verbale, si sporge con me e mette la mano accanto alla mia per rafforzare la spinta: lo guardo con gratitudine, lui pare soddisfatto. Dal quarto in poi altri si avvicinano e, con coraggio e una certa arditezza, pongono la mano sopra la mia per aumentare la spinta. Finita la fila di destra, ricomincio con quella opposta: qui il lavoro si fa spedito, alcuni mi sorpassano e, precedendomi solerti, anticipano l’apertura. I passeggeri seduti sotto i finestrini si alzano per facilitarmi il lavoro. Sempre, verso la fine, qualcuno, di solito anziano, dice a voce alta: “Era ora! Si moriva di caldo!”. Molti annuiscono, altri confermano a voce alta.
Adesso fa un po’ più fresco, se non altro l’aria circola. La gente non mi guarda più con sospetto, anzi, si è creato un clima quasi complice.
E allora, finalmente, chiedo a voce alta e con sincera curiosità: “Ma, scusate, se avevate caldo perché non li avete aperti voi, prima, i finestrini?”. Alla domanda, negli anni, segue sempre un silenzio tra l’imbarazzato e l’interrogativo, dopodiché si alza una voce, solitamente maschile, che pare riassumere la risposta di tutti: “Ma è arrivata [la 94] così dal deposito… con i finestrini chiusi”.
Saluto con un sorriso e scendo.
Ho verificato che sulla 94, né quest’anno né negli anni precedenti, sia mai stato esposto un cartello che vieti l’apertura dei finestrini.»
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