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Quattro chiacchiere su SpotPolitik con Eco e Testa

Domani alla libreria Feltrinelli di piazza Piemonte 2 a Milano, alle ore 18:30, ho l’onore e il piacere di chiacchierare di SpotPolitik con Umberto Eco e Annamaria Testa. Clic per ingrandire:

SpotPolitik presentazione a Milano

Colgo l’occasione per raccogliere qui tutte le recensioni, segnalazioni e interviste che il libro ha ottenuto finora, su carta e on line, ringraziando ancora una volta chi mi ha dedicato tempo e attenzione.

Sulla carta (in ordine cronologico decrescente):

Il Mondo, 25 maggio 2012, Antonio Calabrò “Questa pazza, pazza politica”

La Gazzetta del Mezzogiorno, 16 aprile 2012, Gino Dato “Dimmi come parli e ti dirò che politico sei”

Repubblica, 25 marzo 2012, Luca Sancini “Errori e orrori dei politici in tv”

Europa, 17 marzo 2012, Roberto Fagiolo “Perché la casta non sa comunicare”

Repubblica, 13 marzo 2012, Anais Ginori “Uomini che copiano le donne”

Repubblica, 3 marzo 2012, Giovanni Valentini “Quando le donne non fanno notizia”

Corriere della sera, 2 marzo 2012, Maria Antoniettà Calabrò “McLuhan aveva torto: nei discorsi dei politici serve più sostanza”

On line (in ordine cronologico decrescente):

Blog Adci (Art Directors Club Italiano), 6 giugno 2012, Massimo Guastini “Giovanna Cosenza ‘one of us'”

Server Donne, 28 maggio 2012, “SpotPolitik. Marzia Vaccari intervista Giovanna Cosenza” (video)

Nybramedia, 19 maggio 2012, Armando Adolgiso “Intervista su SpotPolitik”

Il corpo delle donne, 5 maggio 2012, Lorella Zanardo “Votate domani? Leggete SpotPolitik!”

Spinning Politics, 22 aprile 2012, Walter Di Martino “Oltre la SpotPolitik”

Tafter Cultura e Sviluppo, 17 aprile 1012, “Recensione a SpotPolitik”

Lipperatura, 30 marzo 2012, Loredana Lipperini “Ciao, casalinga leccese”

Il mestiere di scrivere, 26 marzo 2012, Luisa Carrada “SpotPolitik: se la conosci la eviti”

Nybramedia, 16 marzo 2012, Armando Adolgiso “Recensione a SpotPolitik”

Valigia Blu, 14 marzo 2012, Matteo Pascoletti “SpotPolitik. Perché la ‘casta’ non sa comunicare”

Nuovo e utile, 8 marzo 2012, Annamaria Testa “La destra, la sinistra, il web e una bella storia cominciata su NeU”

Nazione Indiana, 7 marzo 2012, Orsola Puecher “SpotPolitik di Giovanna Cosenza”

Il Comizietto, 5 marzo 2012 “Recensione a SpotPolitik di Giovanna Cosenza”

L’ossessione di Striscia per Lorella Zanardo

È da quando Antonio Ricci ha realizzato «Il corpo delle donne 2» (vedi L’argomento fallace de «Il corpo delle donne 2» e «Il corpo delle donne 2»: quello che i media non dicono»), che quasi ogni giorno Striscia la notizia menziona e sbeffeggia – direttamente o indirettamente – il lavoro di Lorella Zanardo.

Antonio Ricci Un chiodo fisso. Credo che Antonio Ricci si sogni Lorella Zanardo pure di notte. Lo immagino svegliarsi di colpo tutto sudato, con la tachicardia, come dopo un brutto incubo. Forse la stessa cosa capita ad altri di Striscia. Di sicuro capita a qualcuna delle ragazze e donne che ci lavorano. Perché?

I motivi dell’incaponimento personale di Ricci sono molto diversi da quelli delle donne che lo difendono, veline o non veline. Vuole l’assoluzione da parte degli intellettuali. Vuole smarcarsi dal trash televisivo in cui il suo nome è finito, vuole che si smetta di dire che «Drive in» è stato l’inizio dello sfruttamento del corpo femminile in televisione e che si torni a dire che le sue trasmissioni sono ironiche, postmoderne, metacomunicative, meta tutto.

Le veline devono giustificare la loro esistenza. Se anche per un solo secondo dovessero ammettere con se stesse che Lorella ha ragione, dovrebbero mollare tutto. Non ce la fanno.

La stessa Michelle Hunziker, molto avvantaggiata rispetto a una qualunque velina, non si può permettere di raccontarsi che sbeffeggiare il lavoro di Lorella Zanardo e Loredana Lipperini (pure con lei se la prendono) implichi una feroce contraddizione: come si fa ad aver fondato, assieme a Giulia Bongiorno, Doppia Difesa, che combatte la violenza e le discriminazioni contro le donne, e nello stesso tempo – nella stessa vita – prendersela con Zanardo? Non si fa. Non si può.

Questo spiega perché l’accanimento delle donne di Striscia possa essere anche più duro, aggressivo, acido di quello dello stesso Antonio Ricci: hanno bisogno di cancellare tutto ciò che Lorella Zanardo rappresenta per non starci troppo male. Hanno bisogno di negarla per esistere.

Questo spiega perché la troupe di Striscia che ieri notte ha teso un agguato a Lorella abbia mandato avanti Elena, una ragazza. Spiega perché Elena abbia cominciato a parlare parlare parlare. Senza smettere. E spiega l’abisso che c’era fra lei e Lorella, che invece cercava di entrare in relazione con la ragazza. Nel racconto di Lorella Zanardo, oggi sul suo blog:

Elena non mi lascia parlare, so che si usa così in tv. La guardo, voglio entrare in relazione ma lei non può, si vede che usa il metodo televisivo, parla veloce, accusa e non dà tempo per la replica. Nemmeno per un attimo provo fastidio verso di lei, per i mandanti sì, per la loro codardia.

Perchè non sono venuti loro? Uomini senza coraggio, così come si usa ora (continua a leggere il racconto di Lorella QUI).

Forse vedremo il «servizio» (servizio?) stasera a Striscia, forse domani. Chissà come sarà tagliuzzato e incorniciato. Chissà come si sente Elena, oggi. Io triste.

Elena Barolo, velina di Striscia:

Elena Barolo

Il corpo delle donne 2: quello che i media non dicono

Dopo oltre una settimana di polemiche su «Il corpo delle donne 2» – il calco del documentario di Lorella Zanardo prodotto da Mediaset – è utile prenderci una pausa per ragionare su un tabù su cui i giornalisti di tutte le televisioni, tutti i giornali – e sottolineo tutti – non possono esercitare nessun tipo di giudizio critico, di cui non possono mai parlar male se non in modo generico e superficiale, ma soprattutto mai riferito alla testata per cui lavorano: la pubblicità.

Tutti i media – stampa, tv, radio e sempre più anche internet – vivono di pubblicità. Se c’è qualcosa di cui non possono parlare male, dunque, è ciò che permette la loro sopravvivenza. Se accusi una testata concorrente di usare pubblicità «cattiva» e di non essersi mai ribellata a questo, i giornalisti della testata concorrente non potranno mai ammettere che la loro pubblicità è «cattiva», ma potranno solo rispondere che anche tu lo fai, anche la tua pubblicità è «cattiva».

È questo il gioco infantile del «Cattivo!», «No, cattivo tu!» a cui abbiamo assistito la settimana scorsa. È per questo che le giornaliste e i giornalisti di Repubblica «non si sono mai ribellati» all’uso del corpo femminile sui giornali del loro gruppo editoriale, come finge di auspicare, in chiusura, «Il corpo delle donne 2», ben sapendo che mai potrebbero farlo: perché è un uso sempre ed esclusivamente pubblicitario quello denunciato da «Il corpo delle donne 2», che siano annunci stampa, redazionali, articoli costruiti per qualche accordo commerciale o copertine per vendere più copie.

Ma neanche i giornalisti di Mediaset, da cui è partito l’attacco, potrebbero mai ribellarsi a qualcosa che permette loro di prendere lo stipendio: possono criticare la pubblicità altrui, ma non la propria, per quanto identica a quella altrui.

Antonio Ricci, che ha realizzato «Il corpo delle donne 2», lo sa benissimo: per questo la sua operazione è stata furba, perché sapeva di scatenare un loop mediatico in cui nessuna risposta sarebbe stata diretta né esplicita e tutte sarebbero state perciò condannate all’inefficacia.

C’è un libro che spiega bene questi meccanismi e che ti consiglio di leggere attentamente: Adriano Zanacchi, Il libro nero della pubblicità. Potere e prepotenze della pubblicità sul mercato, sui media, sulla cultura, Iacobelli, Roma, 2010. Ecco cosa dice su questo punto:

«A qualcuno sembra che i giudizi critici sulla pubblicità siano diminuiti nel corso degli ultimi anni. Al mondo pubblicitario fa piacere affermarlo comunque. Ma bisogna dire che l’eco delle osservazioni critiche sulla pubblicità trova poco spazio nei media e, comunque, si dissolve rapidamente a causa di una tendenza dei media stessi a non trattar male la benzina del loro motore, senza i cui introiti giornali, periodici, emittenti radiofoniche e televisive avrebbero vita difficile o addirittura scomparirebbero. Oppure, come accade per i media commerciali, non produrrebbero profitti.

Se dunque è vero che la pubblicità viene accettata come forma di comunicazione in sé legittima, in quanto ritenuta utile allo sviluppo economico, è anche vero che basta poco perché una sua qualsiasi forma di provocazione risvegli risentimenti, avversioni e anche pregiudizi che covano stabilmente sotto la cenere, ben al di là della portata negativa, per qualsiasi ragione, di un singolo annuncio.

I contrasti o il disagio che la pubblicità può creare in determinate circostanze, più o meno occasionali, è documentato dalle sospensioni degli spot che talvolta sono avvenute nella programmazione televisiva. Le più recenti sono state decise negli Stati Uniti d’America in occasione dell’attentato terroristico dell’11 settembre 2001 e poi del suo primo anniversario: molti inserzionisti pubblicitari e alcune emittenti hanno scelto il silenzio, adottando un “atteggiamento di decenza e rispetto”, come ha detto il presidente di Publicis Conseil Jean-Yves Naouri.

Del tutto indifferente, invece, la televisione di casa nostra che, pur inondando i teleschermi di immagini agghiaccianti e di rievocazioni dolenti, non ha rinunciato agli introiti pubblicitari, interrompendo tranquillamente quelle immagini con sequele di spot inneggianti spensieratamente a deodoranti, automobili, detersivi, yogurt e merendine. Persino il film-documentario “In memoria”, trasmesso da Canale 5, ha mescolato terribili visioni delle torri colpite e distrutte e del pianto dei superstiti con le facezie della pubblicità» (Adriano Zanacchi, Il libro nero della pubblicità. Potere e prepotenze della pubblicità sul mercato, sui media, sulla cultura, Iacobelli, Roma, 2010, p. 204).

 

 

 

L’argomento fallace de «Il corpo delle donne 2»

Avevo in programma di scrivere un’altra cosa, ma ieri sera, a Matrix su Canale 5, è partita la contro offensiva di Mediaset contro il Gruppo editoriale L’Espresso sullo sfruttamento del corpo femminile: un calco del documentario di Lorella Zanardo dal titolo «Il corpo delle donne 2». E già intorno alle 19, mentre andava un trailer, ho ricevuto il primo sms. Poi, in serata, molte mail e messaggi su fb. Tutti da giovani disorientati, nauseati, preoccupati.

La tesi di fondo del «Corpo delle donne 2» è che la stampa cosiddetta «progressista» sfrutti il corpo delle donne ospitando da sempre immagini con donne nude o seminude – e si vedono copertine dell’Espresso degli anni ottanta e poi annunci stampa contemporanei – a fianco di articoli di intellettuali come Corrado Augias e Natalia Aspesi – per dirne due nominati esplicitamente – che mai si sono ribellati. E poi dovizia di video tratti da Repubblica tv, di annunci stampa e articoli di gossip e costume, in cui le donne appaiono puntualmente discinte, succubi e, quando va bene, valorizzate solo per il corpo.

Immagini analoghe a quelle del documentario di Lorella Zanardo, insomma. Accompagnate da un audio che ricalca pedissequamente (al 98%, dice la scritta finale) quello di Lorella.

Ebbene, ciò che il video denuncia è vero. Lo dicevamo anche su questo blog due giorni fa (I quotidiani e le donnine in prima pagina), prendendo come esempio proprio Repubblica. Ma, a differenza del documentario di Lorella, l’obiettivo de «Il corpo delle donne 2» non è rendere le persone più consapevoli per stimolarle a ribellarsi, ma assolvere Mediaset – e in particolare i programmi di Antonio Ricci – dal fatto di farlo. Leggi cosa scrive oggi Loredana Lipperini: Tecniche di rovesciamento.

Annamaria Testa, su In cerca di lei, ha commentato: «È una tecnica retorica consolidata: ribaltare sull’avversario, cucinandole a dovere, le sue stesse accuse. Operazione abile, e da trattare con le pinze».

Vero anche questo, ma attenzione: ciò che il video Mediaset denuncia non riguarda solo il gruppo L’Espresso, ma, in dosi maggiori o minori a seconda della testata e del periodo, moltissimi quotidiani e periodici. Riguarda quasi (e torneremo sul «quasi») tutti i media, inclusa la rete.

È il mercato che ce lo chiede, dicono i responsabili marketing dei giornali, le aziende e le agenzie pubblicitarie, innescando il circolo vizioso fra la domanda e l’offerta: più corpo la gente chiede, più gliene diamo. Ma più se ne dà, più ne sarà chiesto, naturalmente.

Perciò la tecnica retorica usata da Matrix non è solo ribaltare l’accusa sull’avversario, ma è quella che potremmo chiamare «così fan tutti», o anche «chi non ha peccato scagli la prima pietra».

Che è un tipico argomento fallace, usato spesso anche in politica, perché di solito ci cascano tutti. È quello che Jay Heinrichs chiama il «ricorso alla popolarità», illustrandolo con questo esempio:

«Bambina: Perché non mi accompagni a scuola in macchina? Tutti gli altri genitori accompagnano in figli in macchina» (Jay Heinrichs, L’arte di avere sempre l’ultima parola, trad. it. Kowalski, Milano, p. 179).

E poi spiega:

«Cosa rende il paragone fallace? Intanto, non tutti i genitori sono chauffeur; di sicuro alcuni mandano i figli a scuola con l’autobus. Poi, i suoi genitori non sono quelli dei suoi compagni; quello che va bene per gli altri bambini potrebbe non andare bene per lei» (ibidem).

Dunque, come si risponde all’argomento fallace? Senza mai cedere alla falsa generalizzazione, neanche per un nanosecondo, ma portando controesempi: il quotidiano x, il periodico y, la trasmissione televisiva z, la pubblicità w non fanno così e funzionano: vendono e fanno vendere un sacco di copie, sono in crescita, fanno audience. Più controesempi si riescono a portare, più forte è la risposta. E se non si trovano in Italia, possono venire dall’estero.

Mi viene in mente un buon controesempio italiano: Internazionale. Niente donnine nude, niente gossip, eppure è un successo.

Vogliamo moltiplicare assieme i controesempi?

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Aggiornamento SABATO 26 FEBBRAIO: il video è stato disponibile per qualche ora su YouTube, ma è stato subito rimosso «per una violazione della norma di YouTube sui contenuti di natura sessuale o nudità» (secondo la dicitura standard di YouTube). Ora puoi vederlo solo sul sito di Striscia la notizia, seguendo questo link: Striscia la notizia: Il corpo delle donne 2.

Per completare il quadro, guarda anche la risposta alle polemiche in rete che è andata in onda ieri, venerdì 25, su Striscia la notizia. Gli autori di Striscia hanno ritenuto di dover «spiegare meglio» il significato del documentario: Striscia la notizia spiega «Il corpo delle donne 2».

Il corpo degli uomini

Su «Alfabeta 2», n° 4, in edicola e in libreria dal 16 novembre, è uscito un mio articolo su «Il corpo degli uomini», che rielabora traendone un quadro argomentato e unitario alcune considerazioni fatte nell’ultimo anno su questo blog.

Questo è l’abstract, come appare nella sezione Approfondimenti del sito di «Alfabeta 2»:

La riflessione sulla rappresentazione mediatica del corpo femminile che ha seguito l’uscita del documentario di Lorella Zanardo «Il corpo delle donne» dovrebbe essere integrata con una riflessione analoga sul corpo maschile. Il campo semantico dei generi sessuali, infatti, è fatto di unità che non sono isolate, ma in stretta dipendenza reciproca. L’articolo propone alcuni spunti su come il corpo degli uomini è rappresentato nella pubblicità contemporanea.

Questo è il pdf del mio articolo: «Il corpo degli uomini».

Ma ti consiglio di leggere l’intera rivista, che è molto interessante e ricca (chiedila alla tua edicola o libreria di fiducia; se non la conoscono perché è nata da poco, fagliela ordinare). Trovi QUI il sommario del n° 4.

Copertina di «Alfabeta 2», n° 4

Queste infine sono le immagini e gli spot che fanno da corredo al mio articolo:

Bello e impossibile (1): David Gandy per D&G Light Blue
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/06/12/bello-e-impossibile/

Bello e impossibile (2): l’ironia del portale Fleggaard
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/11/19/bello-e-impossibile-2/

Bello e impossibile (3): Gran Prix 2010 a Cannes
https://giovannacosenza.wordpress.com/2010/06/29/grand-prix-allironia-sul-macho/

L’uomo in ammollo: passato e presente
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/06/08/luomo-in-ammollo/

L’uomo instancabile: la campagna Men Expert di L’Oréal
https://giovannacosenza.wordpress.com/2009/07/27/luomo-instancabile/

L’uomo che fa ridere (1): Fiorello per Infostrada
https://giovannacosenza.wordpress.com/2010/09/20/luomo-che-fa-ridere-2/

L’uomo che fa ridere (2): Claudio Bisio per Pronto Pagine gialle
http://www.youtube.com/watch?v=PQh3VfwYwUk

La donna che fa ridere (1): Luciana Littizzetto per Tre
http://www.youtube.com/watch?v=l5zBXeK0qH4

La donna che fa ridere (2): Luciana Littizzetto per Coop
http://www.youtube.com/watch?v=udtvx58EdpQ

Lorella Zanardo e il teorema della 94

Dall’esperienza del Corpo delle donne Lorella Zanardo ha tratto un libro. Che non è per nulla autocelebrativo. Che è grato al femminismo storico, ma ne prende le distanze. Che mi ha colpita per la dolcezza e il coraggio con cui è scritto. Che fa sorridere e qualche volta piangere, ma soprattutto fa venire voglia di sognare e combattere per i propri sogni. E mostra chiaramente, quasi ostenta, che Lorella è una splendida persona. Perché solo una splendida persona – acuta, generosa, autoironica – poteva scrivere un libro così.

Non ci credi? Vieni a conoscerla stasera alle 18.30 alla Libreria Coop (via Orefici 5, Bologna), dove Nadia Urbinati, Lorella e io converseremo intorno al libro.

E leggi il libro, naturalmente. Che comincia con «Il teorema della 94»:

Presentazione libro Lorella Zanardo

«Da anni a luglio ripeto un esperimento il cui esito finale spero mi sorprenda ma che finora mi ha dato sempre uguale risultato.

La 94 è la linea di autobus che collega le varie fermate della circonvallazione interna di Milano, quella denominata anche “la cerchia dei Navigli”; si tratta di una linea molto frequentata, che i milanesi prendono spesso. Anche chi usa sempre l’auto almeno una volta sulla 94 ci è salito.

Attendo una mattina quando la temperatura, quella torrida milanese di luglio, e l’umidità sono altissime e intorno alle undici vado alla fermata della 94, incrocio corso Italia con via Molino delle Armi.

Salgo e mi assale il caldo opprimente, l’aria è irrespirabile, gli abiti si appiccicano al corpo, la promiscuità con gli altri rende il tragitto ancora più faticoso; alcune persone intorno a me sbuffano infastidite dall’afa, altri sopportano, remissivi e sudati.

Tutti i finestrini sono chiusi.

Mi faccio strada educatamente tra i passeggeri e, in silenzio, comincio ad aprire il primo finestrino, parto sempre dal fondo dell’autobus.

L’impresa non è agevole: i finestrini a scorrimento della 94, forse per lo scarso utilizzo, resistono alla spinta, io in più devo sporgermi per raggiungerli, stando in equilibrio per non urtare i passeggeri i cui posti sono proprio sotto i suddetti finestrini. Posso spingere con una sola mano, altrimenti perdo l’equilibrio: compito, quindi, non facile.

All’inizio questa mia impresa prevedeva coraggio e determinazione: dal secondo finestrino in poi, infatti, tutti gli sguardi erano su di me, alcuni interrogativi, altri impassibili, e io mi sentivo comprensibilmente imbarazzata, mi pareva di star facendo qualcosa di ardito o sconveniente. Ora, dopo anni, proseguo come chi sa bene quello che fa, incurante della curiosità provocata.

Dal secondo finestrino aperto in poi, l’interesse svagato delle persone intorno a me diventa attenzione interrogativa, come se proprio non si spiegassero cosa sto facendo: come se l’apertura del primo finestrino rispondesse a un desiderio personale di soddisfare un mio bisogno di refrigerio. Ma l’apertura del secondo, del terzo… perché?

Con la terza faticosa apertura accade quasi sempre che un passeggero mi si avvicini e, senza che ci sia un accordo verbale, si sporge con me e mette la mano accanto alla mia per rafforzare la spinta: lo guardo con gratitudine, lui pare soddisfatto. Dal quarto in poi altri si avvicinano e, con coraggio e una certa arditezza, pongono la mano sopra la mia per aumentare la spinta. Finita la fila di destra, ricomincio con quella opposta: qui il lavoro si fa spedito, alcuni mi sorpassano e, precedendomi solerti, anticipano l’apertura. I passeggeri seduti sotto i finestrini si alzano per facilitarmi il lavoro. Sempre, verso la fine, qualcuno, di solito anziano, dice a voce alta: “Era ora! Si moriva di caldo!”. Molti annuiscono, altri confermano a voce alta.

Adesso fa un po’ più fresco, se non altro l’aria circola. La gente non mi guarda più con sospetto, anzi, si è creato un clima quasi complice.

E allora, finalmente, chiedo a voce alta e con sincera curiosità: “Ma, scusate, se avevate caldo perché non li avete aperti voi, prima, i finestrini?”. Alla domanda, negli anni, segue sempre un silenzio tra l’imbarazzato e l’interrogativo, dopodiché si alza una voce, solitamente maschile, che pare riassumere la risposta di tutti: “Ma è arrivata [la 94] così dal deposito… con i finestrini chiusi”.

Saluto con un sorriso e scendo.

Ho verificato che sulla 94, né quest’anno né negli anni precedenti, sia mai stato esposto un cartello che vieti l’apertura dei finestrini.»

Gad Lerner, Berlusconi e le donne

Ieri sera ho guardato L’infedele di Gad Lerner (se non l’hai vista, è sul sito della trasmissione). E mi sono abbacchiata. Per due motivi.

Uno. Il giochetto che fa Berlusconi è sempre lo stesso dal 1994: un po’ di show prima delle elezioni, e tutti abboccano. Avversari politici e media, per giorni e giorni, non fanno che parlare di lui. E ci cade anche chi, come Lerner, presume di essere più furbo degli altri, e fuori dal coro perché parla da un tv non controllata da Berlusconi. Sarà anche non controllata, ma se lui fa così è peggio che se lo fosse.

Mi annoio da sola a riparlarne, ma ricordo per l’ennesima volta la regola principale di Non pensare all’elefante! di George Lakoff:

«Ricordarsi di “non pensare all’elefante”. Se accettate il loro linguaggio e i loro frame [degli avversari] e vi limitate a controbattere, sarete sempre perdenti perché rafforzerete il loro punto di vista» (trovi le altre regole QUI).

Due. Mi avvilisce in modo crescente la nicchia che Lerner ha riservato alla questione femminile nel nostro paese (che ora lui chiama «donna tangente»). Intendiamoci: sulla tv italiana è l’unico che lo fa, da quando il 4 maggio 2009 invitò Lorella Zanardo a presentare Il corpo delle donne. All’inizio non dico che ci credevo (vedi il commento che feci QUI), ma stavo a vedere.

Ora non ce la faccio più: si vanta a ripetizione di essere l’unico uomo, in Italia, ad avere questa attenzione costante. Il che è vero, povere donne. Ma puntualmente le sue ospiti stanno lì come in una gabbietta per le scimmie.

Il tempo è sempre ridotto agli ultimi minuti di trasmissione, e vabbe’: non si può parlare sempre di quello. Ma il confine col fenomeno da baraccone è stato oltremodo superato, specie da quando è iniziata la carrellata di escort chiamate a spiegarci “perché lo fanno”.

Infine – cosa per me più grave – se invita donne a parlare di “cose da uomini”, il tempo e l’attenzione che riserva loro è sempre inferiore (molto) a quelli per gli uomini. Esempio di ieri: ha invitato la politologa Sofia Ventura a parlare di Berlusconi e bla bla bla, con il sociologo Ilvo Diamanti, lo storico Marco Revelli, il filosofo Marcello Veneziani e altri uomini. Era seduta in prima fila con Revelli e Veneziani (bene!), ma la camera saltava sempre da Diamanti (dietro) a questi due, mentre Ventura era meno interpellata e spesso interrotta. Non la conosco personalmente e non sempre condivido ciò che pensa, ma ieri diceva cose molto più interessanti, dal mio punto di vista, non dico di Diamanti, ma sicuramente degli altri due in prima fila.

Non ho avuto tempo né voglia di misurare col cronometro (se ti va, QUI c’è la trasmissione), ma la differenza era macroscopica.