Esselunga e il non superamento del Mulino Bianco

Ieri sul Fatto Quotidiano è uscito un mio commento sullo spot di cui tanto si parla. Finora (28/09/2023 ore 11.40), conta circa 350 commenti (help!), la maggior parte dei quali mi imputa di “non accettare” le famiglie etero, di essere io stessa infelice (!), di invidiare la felicità altrui (sic) e di non capire che i/le bambini/e soffrono se i genitori si separano. Non ho mai scritto queste cose, in questo periodo mi sento felice (dita incrociate) e, se penso ciò che penso dello spot, è anche perché credo che i/le bambini/e andrebbero tenuti lontanissimi dalle pastoie delle separazioni coniugali, mentre lo spot ci costruisce sopra una bella strumentalizzazione. Bah. Ecco il testo.

Premessa. Lo spot è fatto molto bene: bravi interpreti (specie la bimba: stre-pi-tó-sa), facce espressive e realistiche, buona regia, ispirazione cinematografica. È un cortometraggio, più che un commercial, non solo perché in versione integrale dura 2 minuti, ma perché il linguaggio è più da cinema che da pubblicità. Anche la copyline “Non c’è una spesa che non sia importante” è una buona idea: restituire al cibo, che qualunque benestante compra al supermercato, i valori simbolici che ha, ben più numerosi e densi di quelli mirati alla nutrizione. (Diversa è la condizione di chi vive in povertà, ma di questa lo spot non si occupa.)

Svolgimento (1). Non mi convince in termini di efficacia pubblicitaria. La copyline è interessante, l’ho detto, ma nello spot c’è un carico troppo forte di colpa (quella sui genitori separati) e di tristezza (quella della bambina): queste emozioni negative sono a tal punto dominanti che la copyline finale si scorda un istante dopo averla letta. Inoltre, lo spot è emotivamente intenso, perché gli interpreti sono bravi, dicevo, e le facce espressive. Ma esprime colpa, tristezza, malinconia. Associare emozioni negative a un marchio della grande distribuzione? Mah.

Svolgimento (2). Il peggio, però, sono i significati e valori che esprime. Infatti, anche se lo spot mette in scena due genitori separati, il modello in filigrana è sempre lo stesso, e neppure tanto in filigrana, perché la si vede chiaramente quando la bimba guarda fuori dal finestrino: coppia eterosessuale unita. La famiglia del Mulino Bianco, come ripetono in tanti, e infatti sì, sempre quella. Qualcuno si chiede: ma perché “unita” se i genitori sono separati? Rispondo: e perché mai la bimba dovrebbe essere così triste, se non perché l’ideale è quello e lei se ne sente esclusa? (Riguardati la scena fuori dal finestrino.)

Ebbene, in una società come la nostra, che ha ancora il culto della famiglia naturale, una famiglia che non porta felicità da decenni ed è (non a caso) sempre meno diffusa, ci mancava solo Esselunga a proporci questo modello, con il suo carico di colpa per chi divorzia e di tristezza per figlie e figli. Ci mancava pure questa, in un momento in cui anche la politica insiste sulle famiglie etero, unite e benestanti. Non stupisce il vespaio, insomma.

E alla fine arrivano quelli che: Esselunga ha fatto centro perché sta scatenando il vespaio. Infatti, pure io ne sto scrivendo. Certo. Ma il vespaio, oggi, è ancora più effimero di una volta. Sempre più effimero. Nasce e muore in un giorno (due?). Capirei se lo spot fosse il primo di una serie, in cui oggi c’è una pesca tra (ex) coniugi, domani un’arancia tra amici, dopodomani uno yogurt tra nonna e nipote, poi un pezzo di formaggio sul posto di lavoro. Tante finestre aperte sulla complessità e vivacità delle relazioni umane. Accetterei, se fosse così. E mi ricrederei.

Fai scoppiare un vespaio e poi… sorpresa! Magari. Ma dubito che accadrà. Perciò, no. Per me è no.

8 risposte a “Esselunga e il non superamento del Mulino Bianco

  1. Cara prof. Giovanna Cosenza, di certo c’è che questo commercial/non-commercial sarà uno straordinario stimolo in classe per gli studenti. Direi polifunzionale. Per trattare di coding/decoding, analisi semiotica, framing, modello pubblicitario dell’attenzione, brand value proposition, ecc… Io penso che lo userò così. Potendo solo immaginare le reali intenzioni, siamo nel campo delle ipotesi. Si potrebbe anche pensare che l’utilizzo della bambina sia un veicolo per la colpevolizzazione dei genitori. E che anche se questo fosse disastroso verso una certa fetta di clientela (non ci vado nel supermercato che mi addita per i miei fallimenti, soprattutto se sono dolorosi, tanto più se strumentalizza i figli per farmelo notare), si tratterebbe comunque di una minoranza. Mentre ne risulterebbero indirettamente esaltati tutti i nuclei famigliari tradizionali e felici. Ma dubito che sia il primo effetto che la visione possa fare a un genitore separato medio e anche un genitore unito e “felice”. Anzi credo che il primo vedrebbe riconosciuta la rappresentazione di una condizione oggettiva, che nei modelli pubblicitari mancava. E dunque si sentirebbe probabilmente “compreso” e “accompagnato” dal marchio in una delle operazioni più rispecchianti la propria dimensione familiare: fare la spesa. Non concordo quindi molto sulla non-opportunità di associare il marchio a emozioni disforiche. Dal punto di vista di un marketer credo che il principio da attenzionare sia quello dell’identificazione ricercata in un certo segmento di customer base. Chi ha una famiglia tradizionale ed integra continuerà a considerare un valore la sua condizione non-dolorosa, e continuerà a troverà in Esselunga un benefit espressivo di status. Chi vive una condizione di separazione può identificarsi sia nella donna indipendente che mantiene un certo stile di vita, sia con il padre che (ma forse questo è solo un interessante effetto framing dalla prospettiva di un maschio) nella pubblicità appare tendere più malinconicamente alla famiglia unita. Due, o anche tre, piccioni con una fava, se vogliamo. Mi pare fallace anche il sillogismo secondo cui dire “separarsi è doloroso per tutti” corrisponda a demonizzare le separazioni. E tantomeno che corrisponda ad esaltare la famiglia unita come se fosse sempre felice (anzi, si intuisce il contrario!). Mi viene anzi da dire questo: ma se abbiamo smesso, fortunatamente, di scandalizzarci per la rappresentazione in pubblicità e film di modelli alternativi alla famiglia c.d. “tradizionale”, perché ci scandalizziamo per questa rappresentazione della separazione? Se proprio devo individuare l’obiettivo dell’enfasi sulla figlia direi che sia il modo per proporre una immedesimazione nel soggetto sensibile che attribuisce un significato particolare al gesto d’acquisto. Tra l’altro in maniera quasi ingenua e fuori dal freddo calcolo della “spesa intelligente”. Se questo era l’obiettivo, può anche essere che sia stato mancato (lo direbbe con certezza solo una impegnativa ricerca). Resta il fatto che ognuno ci vede la morale che vuole,e questo è quello che ci dice lo stesso slogan: ci sono significati ulteriori (e quindi una gamma aperta) nei comportamenti e anche nelle esperienze di acquisto. In sostanza credo che Esselunga, che immagino conosca bene la sua customer base, abbia valutato che questo spot porterà più benefici che danni. Invece concordo in tutto e per tutto sulla strumentalizzazione dei bambini nella pubblicità, che, come scrive lei, non è una novità. Ne sono stati fatti utilizzi ben più spudorati, per esempio per convincere i padri a diventare gli eroi dei loro figli vestendo il tal orologio. A meno di non pensare che in un meschino calcolo di bilancio di quote di mercato si voglia suggerire al genitore di sentirsi in colpa per il dolore causato ai figli, per poi lusingare di sponda i genitori modello, questa pubblicità non mi pare essere peggio di altre.

    Francesco Nespoli PhD in Human Capital and Social Sciences LUMSA Researcher in Media Sociology http://www.lumsa.it/francesco-nespoli

  2. Se ne è parlato nel mio socialino di nicchia e le reazioni sono state diversissime e anche le interpretazioni. Personalmente mi ha ricordato un periodo molto buio della mia vita, relativo alla separazione, e non ho sentito molto vicina la “famiglia del mulino bianco”. A parte la mia sensibilità, ho trovato che le reazioni diverse sono incentrate tutto sul vissuto personale. Un divorzio raramente ricorda un periodo felice e spensierato, soprattutto quando ci sono di mezzo i figli, quindi mi immagino che ai divorziati e ai figli di divorziati abbia lasciato un velo di tristezza. – La domande che mi/ti faccio è questa: ma uno spot si può permettere di avere tante possibili interpretazioni e una così ampia varietà di emozioni suscitate?

  3. Vorrei provare a portare avanti una argomentazione per discutere della sua recensione: quando afferma che il taglio è quello cinematografico sono d’accordo, poiché come ha detto la regia, il ritmo, la recitazione, la struttura, la durata sono effettivamente quasi da cortometraggio da festival. Dunque l’approccio è quello di raccontare una storia specifica riconducibile ad una storia più condivisibile con qualche tocco di unicità, dato nello specifico dalla pesca della Esselunga. E dunque il testo ci sta tutto. Condivido anche il fatto che sia leggermente straniante rispetto alla forza del video e dunque dimenticabile al confronto. Forse sarebbe stato più efficace il solo video, ma questa è ancora di più deformazione cinematografica da parte mia, forse. Quello che non capisco però è la critica al tema della storia, all’ambientazione e ai valori.
    Un po’ come sarebbe insensato criticare “Io capitano” di Garrone perché è troppo ottimista o poco documentaristico-sensibile, trovo poco utile prendersela con la storia di questo spot e con il suo punto di vista. Narrativamente, credo che il punto di vista non sia totalmente schierato, ma possiamo affermare che siamo abbastanza spinti a immedesimarci nella bambina e nel suo sguardo; a pensare come lei, che tenta di trovare una nuova convivenza simbolicamente con un gesto i suoi genitori. Certo preferirebbe il rapporto originale, ma credo sia abbastanza furba (il personaggio nel suo porsi e nel suo agire) da non cercarlo. La critica non mi è chiara per due motivi: certamente è un tema attuale quello dei divorzi in Italia, siamo un Paese estremamente suscettibile, dunque lo trovo sensato (parliamo sempre di uno spot, non di un approfondimento). Ma poniamo anche il caso che fosse meglio parlare di una coppia di omosessuali (cosa che avviene in molti spot, in molti altri no, con una pluralità di scelte), cosa effettivamente cambiava rispetto alla attribuzione di valori negativi allo spot? Si sarebbero considerati negativi allo stesso modo o meno, in virtù di alcuni ritenuti più positivi (ok il progressismo, ma la storia specifica parla di ciò che “vuole” altrimenti non pluralità. Parla di ciò che è comunque vero, come detto prima, altrimenti non c’è immedesimazione…)? Oppure, secondo lei una separazione di per sé sarebbe stata negativa a prescindere come oggetto dello spot al di là del tipo di coppia? Se fosse questo il caso, perché ritiene accettabile che questo sia il primo di una serie di corti in diverse situazioni quotidiane che restituirebbero la “complessità”? Mi pare che la storia possa avere un senso in sé, non per forza rapportata ad un modello seriale di cui ormai siamo schiavi e che perpetuerebbe il messaggio generalmente negativo, se si mantiene il taglio di una mancanza (che mi sembra cosa necessaria e comune di tutte le storie da sempre). Ribadisco che comunque il tema del divorzio e dunque delle coppie etero (che lei definisce indirettamente quasi necessariamente infelici in quanto etero, subito dopo aver criticato lo stesso insensato ragionamento che chi le ha commentato l’ha definita infelice) in crisi può essere un tema affrontabile, attuale. E che, pensi un po’, non necessariamente un messaggio didascalico (in virtù del taglio più cinematografico) che dica premessa e anche morale esplicitamente sia più efficace.
    (segue parte2…)

  4. (parte 2)
    Da questo stesso spot si intravede una certa tristezza, si, proprio un po’ derivante dal fatto che ormai c’è una certa decadenza dei rapporti convenzionali in generale e una certa diffidenza. La pesca rappresenta una speranza, ma non necessariamente in virtù di un recupero del rapporto esattamente come prima, ma del recupero di un rapporto (non vediamo ad esempio una scena in cui nella stessa stanza i tre mangiano, con un po’ di disagio tra i genitori, cercando di essere felici per il bene della bambina). Servono nuovi modi di rapportarsi, di riacquistare il senso e il valore dello stare insieme in una coppia (questo è il senso, che comprende anche i rappresentanti omosessuali nel sottoinsieme, ma non li richiede necessariamente e didascalicanente, perché altrimenti non raccontiamo più storie diverse ma una sola storia). Il dubbio fondamentale però mi viene relazionando tutta questa parte opinabile in cui il testo apre a molte più interpretazioni di quelle pensate dall’autore, ad esempi di ulteriore vita quotidiana e “complessità” che lei però riconduce a scenette per nulla descritte a livello narrativo e molto semplici, a dir poco stereotipate e convenzionali (non più e non meno di quella dello spot stesso, ma non vi attribuisco un valore né positivo né negativo in senso assoluto come sembra fare lei).
    In che modo queste sequenze sarebbero più profonde e la stupirebbero? Solo per dare un senso di pluralità? Come se la singola storia (lo spot in questione), implicasse la negazione o la negatività in valori di tutte le altre storie che quella non racconta?

  5. Carissima Giovanna, non entro minimamente nel merito dello spot: non ne ho le competenze (ah come sarebbe bello se questo approccio fosse un po’ più diffuso…). Mi appassiona invece sempre riscontrare la cura e la dovizia con le quali analizzi e commenti i fenomeni oggetto della tua qualificata attenzione. Da un certo punto di vista mi verrebbe da affermare: occhio che stai dando la mela al baghino (come si dice in Romagna). Ma sei una fine accademica e quindi la divulgazione “urbi et orbi” fa parte integrante della tua missione. Poi però mi sovviene una curiosità personale: ma se restituissimo lo spot all’ambito reale cui appartiene, depurandolo da considerazioni auliche (le tue e francamente pochissime altre) o di converso del tutto becere (la stragrande maggioranza)? Applicando la medesima attenzione ed il medesimo impegno all’analisi della media dei messaggi pubblicitari in circolazione in questo momento, siamo davvero sicuri che lo spot della famigerata “pesca del separato” non emerga come un sobrio e trasversale trattato di sociologia? Nella mia beata ignoranza penso che un po’ tutti, me compreso, stiamo cascando come allocchi in questa operazione di comunicazione non convenzionale. Per finire: io faccio sempre il tifo per i bambini, perché sono puri anche quando “sbagliano”. E’ anche così che loro imparano. Loro ci provano, sempre, anche quando sanno che non andranno mai sulla Luna o che non riusciranno a levitare con la sola forza del pensiero. E poi sognano, e magari qualcuno dei loro sogni diventa realtà, con l’impegno e lo studio. Quindi, perché non guardiamo lo spot con gli occhi dei bambini? Magari impariamo anche noi qualcosa.

  6. A Milano poco fa a fermata dell’autobus ho visto pubblicità Esselunga con foto di signora non giovane che fa torta assieme a bambino e stesso claim “Non c’è una spesa che non sia importante”, quindi immagino ci sia proprio anche una storia di nonna e nipote, e a questo punto presumibilmente anche altre.

  7. Salve prof.ssa Cosenza,
    leggo sempre con interesse i suoi commenti/articoli. In questo caso non condivido del tutto l’analisi delle emozioni evocate: personalmente ho percepito i genitori più come figure che offrono due diverse sfumature del “rammarico”; su questi giganteggia la figura della bambina, che invece esprime il “desiderio”. Tale è l’intensità di questo desiderio, che le altre due figure sembrano caricarsi di “speranza”.
    Non ho però competenze semiologiche, quindi è probabile che io tenda a focalizzarmi troppo sui momenti dei reciproci sguardi che, in chiusura di spot, i due adulti si danno l’uno all’insaputa dell’altro.
    Riguardo ai valori che lo spot veicola, in un paese dove l’attività politica viene più declamata che praticata (penso ai dati sull’astensionismo), mi sembra che sia ormai inevitabile attendersi che ogni marchio sia attento a costruirsi una sorta di posizionamento politico in senso lato rispetto al proprio linguaggio… In questo caso, recepisco lo spot come una dichiarazione di “conservatorismo contemporaneo”, chissà se come tentativo di allinearsi allo Zeitgeist. Sarebbe comunque pienamente legittimo, ovviamente, ma mi chiedo quanti consumatori guarderanno a questo più che ai prezzi praticati?
    Grazie comunque degli stimoli, buona giornata

  8. Buongiorno Giovanna,
    Se lo spot di Esselunga fosse stato programmato in un’altra epoca, quando ancora esisteva un minimo di buonsenso, non ci avrebbe fatto caso nessuno. Ora invece, parafrasando Shakespeare, direi che c’è stato molto (troppo) rumore per nulla. Chi ne ha visto un’esaltazione dei valori familiari non legge i giornali, altrimenti saprebbe come la famiglia possa essere una fucina di orrori.
    Ad ogni modo, sarebbe stato più interessante offrire una mela al posto della pesca, per cui ci si sarebbe interrogati sul suo significato. Un rimando a quella avvelenata data a Biancaneve? Un messaggio erotico inviato dalla moglie all’ex marito? Il frutto dell’albero proibito che prelude alla cacciata dal giardino dell’Eden (in quel caso la bambina rappresenterebbe il serpente). Ognuno può dargli svariate interpretazioni. Quella che prediligo è che si tratti di una mossa furba, tipica di una persona cinica (caratteristica che si sviluppa crescendo, ma che probabilmente è presente anche nei primi anni di vita). La bambina sa che ognuno dei genitori separati potrebbe formare una nuova famiglia e quindi avere dei figli. Se invece si rappacificassero, il rischio di dover dividere l’eredità con altri, con tutte le sue problematiche, svanirebbe.
    Comunque, l’aspetto più assurdo dell’intera storia è il suo seguito, il product placement (chiamarlo spot sarebbe eccessivo e irriguardoso nei confronti della pubblicità) di Salvini in Esselunga. Un segnale che ci ricorda che dalla politica pop siamo passati alla politica demens.

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