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Nutrirsi di luoghi comuni. Un’analisi delle campagne ABA sui disturbi alimentari

All’inizio di ottobre Valentina Pareschi si è laureata con me in Scienze della Comunicazione, discutendo una tesi in cui ha analizzato e comparato le campagne dal 2004 al 2011 realizzate dall’Associazione Bulimia Anoressia (ABA) direttamente, o indirettemente, cioè con il patrocinio o la consulenza di ABA.

Ho deciso di pubblicare la tesi di Valentina, perché può essere un utile punto di partenza per chi voglia fare comunicazione sociale sul difficilissimo e doloroso tema dei disturbi alimentari.

Poiché so che questo argomento può scatenare le peggiori polemiche e aggressività, ricordo a chiunque voglia leggere lo scritto di Valentina che, pur essendo un lavoro molto ben fatto, è pur sempre la tesi di laurea triennale di una ragazza giovane, che ha ancora molta strada da fare per acquisire esperienza e competenza nel campo della comunicazione sociale. Un punto di partenza, ripeto, non di arrivo.

Preciso inoltre che aver lavorato sulle campagne ABA non implica né da parte di Valentina, né tanto meno da parte mia che l’ho guidata come docente, una preferenza per questa associazione rispetto ad altri soggetti, pubblici o privati, che lavorano nel campo dei disturbi alimentari, cercando di far stare meglio le persone che ne soffrono. Tutti incontrano nel loro percorso di cura successi e insuccessi. E a tutti deve andare – da parte di tutti – il massimo rispetto, visto che i disturbi alimentari sono un problema sociale sempre più diffuso, per donne e uomini, sono sempre multifattoriali e complessi, e spesso gravi: nessuno possiede la formula magica.

È con tutta l’umiltà del caso, dunque, che Valentina – e io con lei – presentiamo questo lavoro a chi voglia trarne spunto per migliorare la comunicazione sociale in questo ambito. Un ringraziamento particolare va naturalmente a Fabiola De Clercq e all’associazione ABA che, con grande apertura, hanno accolto Valentina e le hanno messo a disposizione il loro tempo e i loro archivi, sapendo dall’inizio che il lavoro di ricerca e analisi avrebbe incluso alcune critiche.

Prima di lasciarti alla lettura della tesi, ne anticipo la conclusione:

Per concludere, tra tutti i testi analizzati, sicuramente quello più efficace è la campagna ABA del 2010. I pubblicitari hanno giustamente intuito che bisognava prima attirare l’attenzione del/la malato/a con una storia di malattia (quella del video e dello spot radio), poi dargli/le speranza presentando una storia di guarigione (nei manifesti). Tuttavia, presenta ancora dei punti che possono essere migliorati, di cui ho già parlato diffusamente nei paragrafi precedenti e che qui riassumo:

Manifesto ABA 2010

  • Nel video, il ciclo mangiare/vomitare è filmato dal punto di vista del/della malato/a, ma in realtà riporta solo gli stereotipi che la società ha sui/sulle bulimici/che;
  • Giusto dare speranza nei manifesti, che sono davvero ben realizzati, ma bisognerebbe integrarli con storie che parlino anche della performanza (cioè del processo di guarigione in ogni sua fase): opuscoli informativi, articoli sul sito dell’ABA, video caricati sul suo canale di Youtube.

Scarica da qui la tesi di laurea triennale di Valentina Pareschi: «Nutrirsi di Luoghi Comuni. Un’analisi comparata delle campagne ABA sui disturbi alimentari».

«No gnente, ho schivato ‘na vecchia»

L’11 giugno è uscita l’edizione 2010 della campagna per la sicurezza stradale del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti «Sulla buona strada», realizzata dall’agenzia Leo Burnett.

Quest’anno il testimonial degli spot e dei radiocomunicati è Christian De Sica (assieme al figlio Brando) e tutto il mondo dei cinepanettoni che la sua figura evoca. Questa è la scena.

C‘è De Sica in macchina che parla alla moglie col cellulare in mano (senza auricolare): «A buzzicona preparate, che mo’ che arrivo te magno». Poi si sente una frenata («Mamma mia!»), ma lui subito rassicura: «No gnente, ho schivato ‘na vecchia». Dopo di che una voce off dice:

«Al cinema questa battuta fa sempre ridere. In strada no. Ogni anno sulle nostre strade ci sono troppe vittime. Se proprio devi usare il cellulare, metti l’auricolare. Sempre. Quando guido, io non scherzo.» (QUI l’originale.)

Quando ho sentito la prima volta il radiocomunicato, mi sono arrabbiata: come fa un ministero a decidere di confermare con uno spot le peggiori battute dei cinepanettoni? Come si può dare per scontata l’idea che «schivare ‘na vecchia» faccia ridere? Non si dovrebbe far capire che certe cose non si dicono né si fanno neanche per scherzo?

Poi ci ho pensato meglio e mi sono detta che, in effetti, per rivolgersi agli sconsiderati che fanno in strada quel che De Sica fa in scena, bisogna entrare nel loro orizzonte di significati e valori, dunque anche nel modo in cui ridono.

Ma continuo a non essere convinta: i presupposti impliciti sono – sempre, non solo in questo caso – più forti di ciò che si dice esplicitamente. Non basta mettere in scena un comportamento imbecille e poi dire «In strada no» per combatterlo: vince ciò che mostri, non ciò che dici, specie se il comportamento è messo in atto da un testimonial popolare e amato.

Da questo punto di vista, lo spot è più efficace del radiocomunicato, perché marca meglio la distanza fra realtà e finzione (il set televisivo all’inizio e alla fine, il ciac) e soprattutto mette in bocca a un De Sica di colpo accigliato:

«Non c’è niente da ridere. Questo è un film. Ma nella vita usa l’auricolare. Sempre. Quando guido io non scherzo.»

Ma ancora una volta non basta: c’è tutto l’immaginario dei cinepanettoni che rema contro. E anche la campagna contribuisce ad alimentarlo.


Agenzia: Leo Burnett
Direzione Creativa Esecutiva: Enrico Dorizza
Creative Directors: Luca Zamboni e Josph Menda
Art Director: Domenico Roselli
Cdp: Miracle/ Alto Verbano
Regia: Brando De Sica
Photo: Matteo Linguiti

Pubblicità e stereotipi di genere

Il 29 maggio scorso Eva-Britt Svensson, vicepresidente svedese della Commissione per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere del Parlamento Europeo, presentò una «Relazione sull’impatto del marketing e della pubblicità sulla parità fra donne e uomini». Già altre volte, negli ultimi quindici anni, l’Europarlamento ha denunciato le pratiche pubblicitarie sessiste, senza che ciò abbia portato a nulla. La relazione Svensson, stavolta, è stata approvata dal Parlamento con ampia maggioranza: 504 voti favorevoli, 110 contrari e 22 astensioni.

La Svensson – come ben sintetizza la tesi di laurea di Elisa, discussa martedì scorso – proponeva di:

(1) lanciare campagne di sensibilizzazione sulle immagini degradanti della donna nei media;

(2) istituire organi nazionali per il monitoraggio dei media, con una sezione dedicata alla parità di genere;

(3) eliminare immagini stereotipate e sessiste da videogiochi, testi scolastici e Internet;

(4) evitare che i media usino immagini di modelle troppo magre, optando per rappresentazioni più realistiche del corpo femminile;

(5) far sì che la Commissione Europea e gli stati membri elaborino un «Codice di condotta» per la pubblicità, che preveda il rispetto del principio di parità fra uomini e donne ed eviti gli stereotipi sessisti e le rappresentazioni degradanti di uomini e donne.

Mi domando che conseguenze abbia avuto l’approvazione della rapporto Svensson, visto che – perlomeno in Italia – non se ne sa più nulla. La sua copertura mediatica, fra l’altro, è stata minima: ricordo solo un articolo di Andrea Tarquini su Repubblica, il 6 settembre scorso, peraltro vagamente ironico. Come se di questa iniziativa non ci fosse bisogno.

Silenzio anche nella blogosfera, a parte questo intervento di Loredana Lipperini, molto perplessa (giustamente) sul collega Tarquini che storce il naso; e questo post sul blog Viralmente.

Certo, l’attuazione della proposta Svensson avvierebbe un percorso lungo e tortuoso; certo, alcuni suoi punti sono problematici, altri addirittura utopistici, come l’eliminazione di immagini degradanti da Internet (come si fa…). Ma allora?

La verità è che di queste cose, in Europa, a nessuno frega nulla.

Perciò, nel frattempo, persino la belga Organ Donor Foundation, per convincere le persone a donare gli organi, fa pubblicità con quest’immagine (via Marco Valenti) e l’accompagna con una headline che recita «Becoming a donor is probably your only chance to get inside her». Clicca per ingrandire.

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Agenzia: Duval Guillaume, Bruxelles
Executive Creative Director: Katrien Bottez, Peter Ampe
Creative Director: Katrien Bottez, Peter Ampe
Art Director: Katrien Bottez
Copywriter: Peter Ampe

Mentre Obama vince, Greenpeace risuscita JFK

Le tecniche digitali nella produzione video permettono di simulare che personaggi del passato parlino e si muovano come fossero vivi oggi. In pubblicità è stato fatto con Fred Astaire e Steve McQueen, tanto per fare due esempi.

Qualche giorno prima delle elezioni americane, Greenpeace, scommettendo sulla vittoria di Obama (spesso associato a JFK), ha distribuito un video per promuovere la seconda edizione del rapporto Energy [R]evolution, dopo la prima pubblicata nel 2007. Il rapporto (che puoi scaricare, anche in italiano, qui) mostra che fronteggiare i cambiamenti climatici investendo in efficienza energetica e fonti rinnovabili aiuterà anche a stabilizzare l’economia globale.

Il video si apre con la simulazione di un discorso del presidente John Fitzgerald Kennedy (le immagini sono di repertorio, anche se ritoccate, l’audio è artefatto), che pronuncia queste parole:

When man first walked, upon the moon
It defined a generation

As this new millennium dawns, we face a greater challenge
Climate change threatens our very existence

What further disasters will convince world leaders
That the existing technology
In renewable energy
Offers the last remaining hope, for a sustainable future?

Hollow words and spineless resolution have failed us
Now is the time for an energy revolution

Will we look into the eyes of our children and tell them
That we had the opportunity, but lacked the courage?
Will we look into the eyes of our children and tell them
That we had the technology, but lacked the vision?

Or will we look into the eyes of our children and tell them
That we faced our challenge

Like our fathers, before us

And fought,

For the Energy [R]evolution!

Le polemiche sulla verosimiglianza storica di questa simulazione sono già scoppiate, con considerazioni di vario tipo e livello sulla reale attenzione che JFK aveva per le questioni ecologiche (leggi questo articolo, per esempio).

Ma lo spot, pur non particolarmente innovativo, è molto azzeccato in questi giorni e fa centro nell’attuale immaginario di massa.


Siamo noi il target

Ho visto due giorni fa gli spot della campagna contro il tifo violento negli stadi, lanciata un mese fa dal Ministero dell’Interno e dalla Polizia di Stato, in collaborazione con Mediaset.

Il problema che molti rilevano, commentando la campagna è: ma quale tifoso violento potrà mai smettere di essere tale, solo per aver visto questi spot? In altre parole: a cosa serve la campagna, visto che non colpisce il suo bersaglio?

È un problema che riguarda molta comunicazione sociale, purtroppo.

Tuttavia, in questo caso, pensaci bene: il target della campagna non sono i tifosi violenti. Il target siamo noi, cittadini comuni, della cui sicurezza il Ministero vuol mostrare di prendersi cura.

Primo spot. Tifosi violenti: imbecilli all’ultimo stadio.

Secondo spot. Tifosi violenti: vigliacchi all’ultimo stadio.

Romania, piacere di conoscerti

Dal 25 settembre vanno in onda gli spot di una campagna mirata a contrastare i pregiudizi italiani contro i romeni. Nei prossimi giorni usciranno gli annunci stampa, sarà pubblicato un sito web e saranno avviate iniziative a Torino, Milano, Roma.

Gli spot mettono in scena Nelu, ex scaricatore di camion, dal 1990 «pittore di bellezza» e amante delle canzoni di Venditti; Ionela, che fa l’infermiera e dichiara la sua passione per La vita è bella di Roberto Benigni; Dumitru, che con la sua palestra aiuta gli italiani a prevenire l’obesità; Ioana e Sorin, che lavorano assieme come cuochi e, con accento romano, raccontano che presto vorrebbero sposarsi.

Facce pulite, sguardi sorridenti, atmosfera serena. «Per capire un popolo devi conoscere la sua gente» è lo slogan. «Romania, piacere di conoscerti» è il payoff che accompagna il marchio: due mani che si stringono, con i colori della bandiera italiana e romena.

Secondo i dati della Caritas, in Italia ci sono 700 mila romeni con un impiego regolare. A loro si deve l’1,26% del Pil italiano.

Secondo altri dati, esposti durante la presentazione della campagna, avvenuta a Roma in presenza del Ministro per il Turismo e il Commercio, Ovidiu Silaghi, e dell’ambasciatore romeno in Italia, Razvan Rusu:

«I romeni sono un quarto della popolazione straniera in Italia e su circa un milione, il 72% di loro ha un livello di istruzione medio-alto (scuola superiore o università). Tuttavia quattro uomini su dieci lavorano nell’edilizia e un quarto delle donne è assunto come domestica o badante. La loro presenza, è stato sottolineato, garantisce 2,26 miliardi di euro al Pil italiano.

La maggior parte dei romeni è ben integrata in Italia: il 92% ha una buona opinione dei vicini di casa italiani, il 67% ha una buona opinione del proprio datore di lavoro italiano. La quasi totalità è informata sui fatti di cronaca italiana, ma nel 63% dei casi ritiene che i media presentino i fatti di cronaca in maniera tendenziosa» (La Repubblica, 25 settembre 2008, notizia Apcom).

Finalmente una bella campagna sociale, mi sono detta vedendo il primo spot, curiosa di scoprire chi fosse l’illuminato promotore. Bella, ma non italiana: la campagna è stata pagata dal Governo della Romania, preoccupato dell’aumento dei fenomeni di intolleranza antiromena in Italia.

Una bella lezione al nostro paese.

Di civiltà e comunicazione.

Holidays with Forest Love

Sono in partenza per il mare, da dove posterò qualcosina ogni tanto, giusto per non perdere l’abitudine.

Sul blog di Marco Valenti ho trovato l’ultimo video di Greenpeace, che mi pare adatto per augurarti buone vacanze. Fra il serio e il faceto, come sempre.

😉

Ciao!