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Com’è cambiata la comunicazione del Gay Pride dal 2007 a oggi, in Italia e nel mondo

Gay_flag

A distanza di qualche giorno dall’annullamento, a colpi di lacrimogeni e arresti, del Gay Pride a Istanbul, pubblico lo studio che Giulia Nieddu ha condotto per l’esame di Semiotica dei consumi della laurea magistrale in Semiotica sugli spot che, dal 2007 a oggi, hanno comunicato il Gay Pride negli Stati Uniti, in America Latina, in alcune capitali europee e in Italia. Il lavoro è molto interessante perché mette in evidenza come la stessa comunicazione degli attivisti LGBT sia stata intrisa e condizionata, negli ultimi dieci anni, da stereotipi non sempre rispettosi delle differenze e della parità dei generi e degli orientamenti sessuali. L’analisi si è concentrata in particolare Continua a leggere

La campagna contro gli evasori fiscali: perché non funziona e cosa si potrebbe fare

Commissionata all’agenzia Saatchi & Saatchi, la campagna del Ministero dell’economia e delle finanze (Agenzia delle entrate) e della Presidenza del consiglio (Dipartimento per l’informazione e l’editoria) è fatta da due spot e due radiocomunicati, destinati agli spazi gratuiti televisivi e radiofonici della Rai, da affissioni nelle principali stazioni e negli aeroporti di Milano e Roma, e da annunci stampa sui maggiori quotidiani e periodici.

L'affissione con l'evasore fiscale

Uscita il 9 agosto, è stata già schiacciata da una montagna di critiche, insulti, commenti indignati.

Le principali invettive possono stare sotto il titolo «Da che pulpito viene la predica»: con che coraggio – ci si chiede – un committente così poco credibile (non solo il governo, ma tutti i politici) può definire «parassiti della società» gli evasori e proporre slogan come «Chi vive a spese degli altri danneggia tutti»? Proprio ora, fra l’altro, che si discute dei costi della politica e si osserva tutti i giorni la resistenza dei parlamentari a ridurli. Ma non si rendono conto che sono proprio loro, i politici, i primi a «vivere a spese degli altri» e «danneggiare tutti»?

Il secondo gruppo di critiche se la prende con lo stereotipo visivo che rappresenta l’evasore fiscale: ha la barba incolta e lo sguardo torvo di uno che ti pare subito un poco di buono, mentre invece – osservano tutti – gli evasori veri, quelli che fanno il grosso dell’evasione in Italia, hanno la faccia perbene, la camicia candida e la cravatta impeccabile del professionista strapagato e del riccone più invidiato.

Aggiungerei che l’immagine fa di peggio: l’evasore sembra un uomo del sud, uno dei ceti bassi (sempre ragionando per stereotipi ovviamente). Perciò la campagna conferma implicitamente i peggiori slogan leghisti, che scaricano sul meridione i mali d’Italia.

Infine ci sono quelli che dicono che la campagna non serve a fermare l’evasione, perché «certo gli evasori non si fanno dissuadere da un paio di spot». Con queste critiche non sono d’accordo, perché fanno il paio con quelli che dicono che «i consumatori non si fanno abbindolare dalla pubblicità».

Ma le campagne abbindolano e persuadono, eccome. Se sono ben fatte. Questa campagna non dissuade gi evasori e non convince nessuno semplicemente perché è sbagliata, non perché in generale gli spot non servono.

Perché il Ministero e la Presidenza del consiglio l’hanno fatta? Per comunicare l’attenzione al tema, per dire che ci stanno lavorando, che hanno buone intenzioni. Per comunicare di comunicare.

Come doveva essere fatta? Mi limito a pochissimi spunti:

  1. non basta una campagna, ma ce ne vogliono molte, a ripetizione: bisogna martellare, insistere, perché in comunicazione ripetere è fondamentale;
  2. non bastano i formati classici della pubblicità esplicita (spot, affissioni ecc.), ma bisogna coinvolgere tutti i media, vecchi e nuovi, in tutti i loro formati e linguaggi;
  3. occorre ribaltare la prospettiva, smetterla di ribadire il valore negativo che «evadere il fisco è male» (anche fumare fa male, ma dirlo non dissuade i fumatori) e proporre immagini e situazioni che valorizzino positivamente l’atto di pagare le tasse e chi lo fa, lo rendano desiderabile, socialmente apprezzato, cool, di tendenza;
  4. bisogna lavorare sul linguaggio con cui i politici, i media, tutti parliamo di tasse: come fossero un peso («pressione», «carico», «imposizione»), qualcosa che toglie la libertà (le tasse sono «vincoli», «lacci e lacciuoli»). Non pagare le tasse sa invece di aria fresca, divertimento, tempo libero: «evasione» vuol dire innanzi tutto «fuga da ciò che opprime» o «fuga da luoghi di detenzione»;
  5. è un lavoro di anni, perché implica un cambiamento culturale, di mentalità, per il quale servono strategie di media e lunga prospettiva.

Lo spot «Parassiti»:

Lo spot «Se»:

Idea per una tesi triennale: un’analisi della campagna e delle iniziative regionali che in questi anni sono state fatte sul tema. Per concordare la metodologia e l’impostazione, iscriviti a Ricevimento.

La Norvegia, i media e i pregiudizi anti-islamici

La strage di venerdì a Oslo ha attirato nuova attenzione sugli estremisti di destra, non solo in Norvegia.

In tutta Europa infatti stanno aumentando, da un lato, i migranti dai paesi extraeuropei, dall’altro i flussi migratori all’interno della stessa Europa, e in particolare dai paesi dell’est. Il tutto concorre a far crescere un po’ ovunque le spinte nazionaliste – anche violente – contro i musulmani, i rom, il multiculturalismo. O addirittura, più in generale, contro la globalizzazione e la stessa idea di Europa.

Di qui il successo dei partiti populisti che fanno appello all’identità nazionale o – come la nostra Lega – regionale: anche se a parole condannano la violenza, è chiaro che contribuiscono a legittimare posizioni anche estreme e aggressive. In questo clima non dobbiamo poi stupirci se individui disturbati, violenti, invasati scatenino il peggio di sé.

Chiaro che non c’è un nesso univoco e semplicistico di causa ed effetto. E tuttavia, dire «non c’è assolutamente nessun nesso» mi pare equivalente a mettersi le mani davanti agli occhi per non vedere una scena che non ci piace.

Se poi ci si mettono pure i media, a fomentare i pregiudizi anti-islamici, la frittata è fatta.

Mi hanno colpita, fra venerdì e sabato, le allusioni insistenti sulla possibile matrice musulmana della strage in Norvegia. Prima che si scoprisse il biondissimo e invasatissimo Anders Behring Brevik, integralista cristiano di estrema destra.

Anders Behring Breivik

Scandalose le copertine di Libero e Il Giornale nel pomeriggio di venerdì (poi subito cambiate), come Massimo Mantellini ha giustamente osservato. Ma a dire sciocchezze sul tema o almeno a suggerirle implicitamente – il che è spesso peggio – ci si sono messe molte testate e molti telegiornali italiani.

Idea per una tesi triennale (e ringrazio Lara per avermi ispirata): un’analisi del modo in cui i media italiani hanno fatto ipotesi sui responsabili della tragedia di Oslo quando ancora non si sapeva a chi o cosa attribuirla. Non sarebbe male un confronto con diverse testate europee, se conosci bene almeno un paio di lingue fra francese, spagnolo, tedesco, inglese.

Per concordare il corpus e la metodologia vieni a Ricevimento (riprenderò, dopo la pausa estiva, giovedì 8 settembre).

AGGIORNAMENTO: un interessante approfondimento di Lara sulla responsabilità dei media (ma non solo: anche di certi scrittori) nel soffiare sul fuoco dei peggiori pregiudizi: Tre passi nel delirio (virtuale e non).

Ma la rete porta anche azioni concrete

Mi sono arrivati due contributi interessanti alle riflessioni di questi giorni su quanto la mobilitazione in rete riesca a produrre azioni e risultati concreti.

Il primo implica una visione più scettica ed è di Elisa, che si laureò con me nel 2005 (se ricordo bene) e ora lavora felicemente da Diennea, dove si occupa soprattutto di marketing on line:

«A maggio sono stata ospite del Festival del Fund Raising (a parlare di email marketing, as usual). È una bellissima manifestazione, se non la conosci te la consiglio.

Insomma alla plenaria finale c’era Bill Toliver che ha portato una case history scioccante su Facebook e il fund raising. Raccontava l’episodio di quella ragazza iraniana Neda, uccisa durante le proteste di due anni fa a Teheran, e che ha fatto il giro del mondo su twitter.

La faccio breve: la pagina realizzata per raccogliere fondi per la sua causa su fb ha raccolto non so quante migliaia di like. Euro raccolti? Zero.

Conosci questo articolo di Malcolm Gladwell sul New Yorker? Molto probabilmente sì, a me è venuto in mente subito: Small Change: Why the revolution will not be tweeted. Uno stralcio:

“In other words, Facebook activism succeeds not by motivating people to make a real sacrifice but by motivating them to do the things that people do when they are not motivated enough to make a real sacrifice”. C’è spazio per diverse tesi di laurea.»

È vero, Elisa, c’è spazio per studiarci su. E infatti lancio la prima proposta: una tesi di laurea magistrale che analizzi diversi casi di uso della rete per cause sociali, vere o simulate che siano. Incluso il caso de I segreti della casta di Montecitorio. Per la selezione del corpus e la metodologia iscriviti a Ricevimento.

Il secondo contributo apre qualche speranza, anche se non riguarda grandi cause sociali, ma community più ristrette, in cui i partecipanti costruiscono in rete una familiarità e affettività reciproca molto vicina all’amicizia reale. Scrive Pierfrancesco:

«Non so se conosci Daveblog: è un blog che parla di tv (ma non solo), e ha costruito da anni una community piuttosto florida. Ieri una persona ha postato un messaggio di addio manifestando l’intenzione di suicidarsi, ma, mettendo insieme le informazioni di cui disponevano, alcune sue amiche sono riuscite a rintracciarla e, in qualche modo, a salvarla. Non so se sia un tema interessante per Disambiguando, ma credo che una cosa del genere in Italia non fosse mai successa (so di gente “salvata” da conoscenti con cui chattava, ma qui si tratta di un contesto diverso).

La vicenda, volendo, ha anche un lato morboso (ammetto che, sapendo già che tutto si era risolto per il meglio, leggendo il thread ha prevalso in me l’aspetto della curiosità e della “tensione narrativa”), però mi sembra un ottimo esempio di come, almeno in certi casi, le relazioni che si costruiscono in anni di discussioni sul web possano essere quasi più intense di quelle intessute nella vita offline (la ragazza sente di potersi confidare sul Daveblog mentre, a quanto dice, le persone intorno a lei non riescono a comprendere la sua sofferenza).»

Credo valga la pena continuare a rifletterci e discuterci sopra.

Forum Nucleare belga e italiano a confronto

Grazie a Roberta, lettrice di questo blog – che ringrazio – ho scoperto a chi e a cosa sono ispirati sia il Forum Nucleare Italiano, sia lo spot di Saatchi & Saatchi Italia che abbiamo discusso in L’autoscacco del Forum Nucleare Italiano.

L’ispirazione viene dallo spot che il Forum Nucleaire belga ha mandato in onda nel febbraio 2009, realizzato da Saatchi & Saatchi Brussels.

Ovviamente vanno considerate le differenze di contesto. Per capire quanto possa essere diversa la suscettibilità degli antinuclaristi in Belgio rispetto all’Italia, basti solo osservare che sul canale YouTube del Forum Nucleaire belga – a differenza che sul nostro – i commenti non sono stati disattivati, ma dal febbraio del 2009 a oggi ce ne sono solo 15 e quelli polemici sono comunque pacati. Altri canali YouTube hanno poi ripreso lo spot, senza sollevare alcun vespaio, a quanto ho visto.

Lo spot belga riesce a esprimere meglio di quello italiano la necessità di un confronto razionale, lucido, sereno sul nucleare, senza cadere nell’ambivalenza angosciante del nostro. Questo perché:

  1. invece della sala di scacchisti alieni, mette in scena un progettista (ingegnere? geometra? architetto?), dunque un soggetto competente (ha una professione) che lavora in un contesto concreto e quotidiano, presumibilmente a casa la sera, per finire un lavoro su cui nutre alcuni dubbi, per cui dialoga con se stesso (non con un sosia irreale);
  2. le luci sono morbide e i colori sono caldi, non freddi come nello spot italiano;
  3. il dialogo fra i pro e contro è rappresentato dai colori (non da una partita a scacchi, con gli impliciti che su questo blog sono stati molto discussi, ma che in ogni caso hanno permesso agli antinuclearisti di costruire diversi controspot): rosso (il calore della passione?) l’antinuclearista, blu (ragione? tecnologia?) la parte a favore;
  4. il tempo a disposizione del contro è inferiore a quello del pro, e il dialogo si chiude (come nello spot italiano) con la tesi nuclearista; tuttavia la ripresa finale dall’alto mostra un disegno che include tutte le fasi del dialogo.

E qui mi fermo, per ora.

Oltra ai due spot, propongo anche di confrontare i due siti: il Forum Nucleare Italiano ricalca in modo evidente – ma lo peggiora – il Forum Nucleaire belga, con cui condivide alcuni soci fondatori (va’ nella sezione «Soci» e «Membres», nella voce «Forum» e «Forum Nucleaire»).

A te la parola – se ancora ti va di discutere sulla comunicazione di queste iniziative, beninteso. 🙂

(Idee per la tesi: su questo confronto si può costruire una tesi di laurea triennale; per concordare il taglio e la metodologia, iscriviti a Ricevimento.)

Lo spot del Forum Nucleaire belga:

Per comodità, ecco di nuovo lo spot del Forum Nucleare Italiano:

Napolitano, i giovani e il coro

Che il discorso di fine anno del presidente della Repubblica sia fatto per mettere d’accordo tutti (sia bipartisan, come si dice) non è una novità: poiché deve rivolgersi a tutti gli italiani e le italiane, non può certo esprimere una parte.

Per questo, dal 1949 a oggi, i discorsi presidenziali di fine anno, pur differenziandosi per stile e contenuti – che dipendono un po’ dal presidente, un po’ dal contesto storico-politico – devono il più possibile dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Perciò di solito ottengono lodi e critiche equamente distribuite fra tutte le parti politiche, sociali, economiche.

Tuttavia, mentre l’anno scorso il bilancio delle lodi e delle critiche era in pareggio (vedi Il discorso presidenziale di fine anno: lodi e attacchi bipartisan), quest’anno Napolitano ha ottenuto solo consensi perché, pur affrontanto molti temi, ha usato la leva retorica che da noi va per la maggiore: i giovani.

Attenzione: non sto dicendo che Napolitano ha fatto il furbacchione per ottenere consensi. Credo che in questo momento il valore simbolico dell’attenzione ai giovani e ai problemi dell’università sia importante. Tanto, che pure il New York Times ha dedicato un articolo all’anomalia italiana: un paese che non solo invecchia («Fra un po’ non ci saranno più italiani né greci, spagnoli, portoghesi o russi – dice al NYT l’economista Laurence J. Kotlikoff – e immagino che i cinesi riempiranno il sud Europa»), ma costringe i pochi giovani che ha ad andarsene per trovare percorsi di lavoro decenti.

Il problema è il coro: tutti a ripetere che bisogna pensare ai giovani, da Berlusconi a Bersani, da Fini a Di Pietro. Tuttavia, come ho detto altre volte, in Italia bisogna sempre diffidare di chi blandisce i giovani: quando va bene, è vuota demagogia (lo dicono e non lo fanno), quando va male equivale a inserire nei partiti e nelle organizzazioni persone poco competenti e preparate, ma in compenso molto inquadrate, deboli e manipolabili dai dirigenti. Non a caso tutti i partiti fanno il coro del «largo ai giovani».

Ma la mancanza di prospettive, in Italia, non riguarda solo i giovani, ma tutte le generazioni. Ed è soprattutto un problema:

  1. del mercato di lavoro, più che del sistema educativo – pur avendo, questo, tutti i problemi che sappiamo;
  2. dell’incapacità, tutta italiana, di darsi regole per introdurre una vera e sana meritocrazia in tutti gli ambienti (aziende, università, scuole, pubblica amministrazione, politica, governo) e per tutte le generazioni.

Una persona va scelta per un certo ruolo (lavoro, carica, funzione) perché ha studiato per quel ruolo, perché è intelligente, creativa, preparata, perché in quel ruolo saprebbe fare questo e quello e lo farebbe con passione e onestà. Non perché ha 20, 30 o 40 anni. E nemmeno perché ne ha 70 o 80, naturalmente.

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Idee per una tesi (triennale o magistrale, a seconda del tipo e livello di approfondimento): analizzare dal punto di vista retorico-semiotico il discorso di Napolitano nel quadro dei messaggi presidenziali di fine anno dal 1949 a oggi (tesi magistrale), o dalla cosiddetta seconda repubblica a oggi (tesi triennale).

Trovi sul sito del Quirinale i testi di tutti i messaggi di fine anno degli ex presidenti italiani, fino all’attuale.

Come (non) cambia un cane a sei zampe

Nato nel 1952, il celebre marchio Eni-Agip del cane a sei zampe ha subito quattro restyling. Nonostante i cambiamenti, il bozzetto originario, disegnato dallo scultore Luigi Broggini (che però non ne riconobbe mai la paternità), ha resistito nella forma e nei colori. Ecco le tappe del suo percorso:

Il marchio nel 1952

Il marchio ENI nel 1953

Il marchio nel 1972

Il marchio ENI nel 1972

Il marchio nel 1998

Il marchio ENI nel 1998

Il marchio nel 2009

Il Marchio ENI nel 2009

Nel 2009 il restyling è stato affidato a InArea, un’agenzia cui fa capo una rete internazionale di designer e architetti specializzati nella creazione e gestione di sistemi di identità.

«Il passaggio nel 2009 al nuovo marchio monolitico e l’addio al marchio Agip hanno destato non poche critiche. C’è chi sostiene che il nuovo marchio sia troppo “modaiolo” e che risentirà ben presto dell’usura del tempo. Che sia molto meno autorevole del precedente a causa del nuovo lettering e della prima lettera minuscola. Che invece di comunicare dinamicità comunichi sfuggevolezza. Solo il tempo potrà dimostrare se queste critiche siano o meno fondate. Per adesso, possiamo semplicemente constatare che il marchio Eni, malgrado i numerosi restyling, si è sempre dimostrato vincente.»

È così che si conclude la tesi di laurea triennale in Scienze della Comunicazione che Anita Previdi ha dedicato alla storia di questo marchio, analizzando tutti i significati del simbolo originario e tutte le ragioni tecnico-grafiche, storiche e economiche dei suoi cambiamenti, fino alla versione attuale.

La suo lavoro si basa, fra l’altro, su documenti e studi messi gentilmente a disposizione da InArea, che ringraziamo per questo.

Se vuoi approfondire questa storia affascinante, ecco la tesi di Anita Previdi: «Il cane a sei zampe, fedele amico dell’uomo a quattro ruote. L’evoluzione del marchio Eni attraverso i suoi restyling».