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Ascoltare musica: auricolari o altoparlanti?

Confesso: non mi è mai piaciuto ascoltare musica con gli auricolari.

Tempo fa me ne facevo quasi un problema: osservavo quelli che si beano di isolamento musicale, registravo il loro entusiasmo («Mi fa dimenticare il mondo», «Mi perdo»), invidiavo i feticci tecnologici che indossano (quanto è bello l’ipod… ma non ce l’ho, non lo userei), e mi sentivo mancante. Sbagliata.

Per un po’ ho creduto che fosse voglia di condivisione, come se la musica per me avesse senso solo vissuta con gli altri. Ma non era così, perché di fatto non uso gli auricolari neppure da sola.

Finché ho capito il punto (o meglio, me l’ha spiegato un musicista): la musica non si ascolta solo con le orecchie, ma con il corpo. Petto braccia gambe piedi. Tutto. Forse sono solo più sensibile all’ascolto diffuso, chissà. Perché in effetti, se devo dirla tutta, con gli auricolari mi sento monca. Immagine non bella, ma rende l’idea: è come se mi mancasse un pezzo.

Detto questo, capisci perché ti propongo la riflessione di Peppino Ortoleva, estratta da Il secolo dei media (di cui ho già parlato bene QUI). Propone una lettura dell’ascolto con gli auricolari, che non contraddice ma integra la mia:

«Pensiamo […] all’uso […] del ricevitore portatile come strumento di autoisolamento dall’ambiente (mezzi di trasporto, situazioni di attesa eccetera): la musica è qui “indossata” più che sentita, e il suo uso è paradossalmente mirato al non-ascolto più che all’ascolto, cosa che non sarebbe concepibile senza una totale familiarità sia con il mezzo che con gli stessi brani.

D’altra parte, in questo tipo di ascolto la componente ritmica finisce col prevalere sulla componente timbrica e sulla struttura compositiva. […]

In questo tipo di ascolto c’è meno spazio per la musica nuova rispetto a quella già conosciuta o addirittura già memorizzata, e i suoni che vengono dalle cuffie finiscono con l’assumere una funzione di rispecchiamento, di autoriconoscimento

(Peppino Ortoleva, Il secolo dei media, Il Saggiatore, Milano, 2009, pp. 77-78).

E tu cosa pensi?