Umberto Eco su Internet e i media digitali: un anticipatore lungimirante, altro che apocalittico

Eco in conferenza stampa all'Università di Torino

Quando Riccardo Chiaberge, direttore scientifico della serie Il libro dell’anno dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana Treccani, mi ha chiesto di scrivere un articolo su Umberto Eco per l’edizione del 2016, con particolare riguardo al suo rapporto con Internet e i media digitali, sono stata ben felice di potere offrire un’immagine il più possibile realistica di cosa davvero Eco pensasse in questo campo. In barba alle polemiche che, negli ultimi anni, lo dipingevano come un apocalittico, un retrogado, uno con la tendenza a demonizzare la rete e il digitale. Ecco il mio contributo a Treccani. Il libro dell’anno 2016, pp. 316-319:

Eco: dal Medioevo al mondo digitale

Devo a Umberto Eco l’idea di istituire un intero campo di ricerca, denominato semiotica dei nuovi media, nell’ambito della disciplina semiotica da lui fondata in Italia. Risalgono alla fine del 2001 i primi insegnamenti universitari che portano questo nome, e fra il 2003 e il 2004 uscirono le prime pubblicazioni, mie e di altri, sull’argomento. Prima di quegli anni, l’espressione semiotica dei nuovi media non era mai stata usata né in Italia né all’estero, ma l’attenzione di Eco per le tecnologie digitali era sempre stata altissima, fin dai tempi della diffusione di massa dell’informatica, nella prima metà degli anni Ottanta, quando i Pc cominciarono a entrare nelle nostre case diventando uno strumento imprescindibile per qualunque lavoro intellettuale. Perciò la nascita di questo settore della semiotica, dedicato ai media digitali e alle reti, con tanto di cattedre e insegnamenti, esami, tesi di laurea e dottorati, va vista come il lascito accademico di un’attenzione che Eco ha manifestato per tutta la vita.

Insomma diciamolo senza mezzi termini: Eco è sempre stato, per usare un termine che lui rigetterebbe, un tecnoentusiasta. D’altra parte, come poteva non esserlo? L’interesse per le tecnologie faceva parte della sua grande curiosità per il mondo, di quella sua meravigliosa e continua – fino all’ultimo – capacità di vedere il nuovo prima degli altri, prima di tutti, al punto che riusciva a cogliere tendenze e fenomeni sociali in anticipo di anni, a volte di decenni. Paradossale che un tecnoentusiasta come lui sia stato accusato, negli ultimi anni della sua vita, di non capire la rete e di alimentare le peggiori demonizzazioni di Internet e dei social media. Perché proprio questo gli accadde, per una sorta di contrappasso da lui peraltro mai contrastato.

Per comprendere la posizione di Eco su Internet e i media digitali, bisogna rileggere il suo Apocalittici e integrati, un libro pubblicato nel 1964, che raccoglieva scritti a partire dagli anni Cinquanta e che è ancora molto attuale. Nel 1964 l’opposizione fra apocalittici e integrati era riferita al modo in cui gli intellettuali dell’epoca vedevano non solo i mass media (la televisione in primis), ma tutta la cultura di massa, dai fumetti alla narrativa popolare, dal gossip sui personaggi dello spettacolo alla musica cosiddetta leggera. In sintesi, gli apocalittici, da un lato, sostenevano che i mezzi di comunicazione di massa, per rivolgersi a un pubblico vasto ed eterogeneo, dovevano per forza omologare e livellare i loro prodotti, perdendo originalità, offrendo una visione conformista della società, della politica, dei consumi, della vita stessa, incoraggiando atteggiamenti passivi e acritici. Gli integrati, dal canto loro, evidenziavano come i mass media mettessero a disposizione di un insieme molto ampio di persone (impensabile prima della televisione) informazioni che un tempo erano accessibili solo a una élite, e perciò vedevano la cultura di massa come un fatto comunque positivo, anche nei suoi aspetti più omologati, perché capace di introdurre nuovi linguaggi e stili, nuove visioni. In parole povere, gli apocalittici davano una valutazione negativa della comunicazione di massa, gli integrati ne davano una valutazione positiva, i primi erano quelli della demonizzazione e del “dove andremo a finire”, i secondi erano gli entusiasti più disponibili a cavalcare il nuovo.

Il rapporto di Eco con questo libro è sempre stato ambivalente: non lo amava molto perché lo considerava una raccolta estemporanea, ma non poteva non riconoscerne, da studioso dei fenomeni di massa, l’efficacia e la durata nel tempo, sia in ambiente accademico (dal 1964 il libro è stato riedito e tradotto molte volte in tutto il mondo), sia sui mezzi di comunicazione di massa, appunto, dove nel tempo l’opposizione apocalittici vs integrati si è affermata al punto da diventare uno slogan che molti usano in modo acritico, anche senza sapere da dove viene né aver mai letto il libro. Ebbene, come può quel libro del lontano 1964 aiutarci comprendere la posizione di Eco su Internet e i media digitali cinquant’anni dopo?

Penso ad esempio a quando, nel giugno 2015, dopo la cerimonia di conferimento della laurea honoris causa in Comunicazione e cultura digitale all’Università di Torino, Eco disse in conferenza stampa: «I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli». Fu accusato di non capire i social media, di professare e fomentare pensiero di retroguardia. E invece?

Il problema stava anzitutto nelle domande a cui Eco era spesso costretto a rispondere (in quella come in altre occasioni). Che senso aveva, ad esempio, la domanda che gli rivolsero a Torino: «Cosa pensa di Twitter, dei social network, di questo flusso continuo, breve, liofilizzato, inarrestabile, confuso, ma praticato da tutti, dal giornalista come da chiunque, tutti opinionisti?» (il video dell’evento è reperibile all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=u10XGPuO3C4). La domanda contiene almeno due bachi: (1) presuppone che i social network siano un calderone unico, in cui accadono cose identiche o simili (ma come si fa a pensare che milioni di persone al mondo facciano su Facebook o su Twitter le stesse o simili cose?); (2) valuta negativamente il calderone unico che propone, chiamandolo confuso, liofilizzato eccetera. Quando giornalisti, studenti o altri fanno a me domande del genere, li fermo subito: «Non ha senso parlare di Internet, Twitter e Facebook come ambiente unico – rispondo – perché i milioni di persone che li abitano ci fanno milioni di cose diverse, alcune buone, altre cattive, altre così e così». Di solito chi mi ha fatto la domanda non è contento della risposta e insiste, ma io insisto a mia volta e si finisce col braccio di ferro.

Cosa faceva invece Eco in questi casi? Le sue reazioni erano di due tipi. A volte, per gentilezza e perché era un vero signore, assecondava il/la giornalista di turno, come fece a Torino, e mal gliene incoglieva: il giorno dopo i media titolavano cose come «Eco contro i social network», «Eco e i mali di Internet» e così via. I più volgari associavano le sue parole (o meglio, quelle che avevano estrapolato da discorsi che erano sempre – e sottolineo sempre – più complessi e raffinati) all’età anagrafica: come fa un signore di oltre 80 anni a capire i media digitali? Ma a lui questo non importava: nella sua posizione, col prestigio internazionale di cui godeva, non aveva certo bisogno di dimostrare che di media lui se ne intendeva. Immagino (e so) la noia con cui il giorno dopo Eco leggeva quei titoli apocalittici. Immagino (e conosco) quel suo sbuffare benevolo (Eco era tutt’altro che snob), con gli occhi all’insù, grattandosi la barba.

Altre volte, invece, semplicemente scherzava, lanciava provocazioni. Eco si divertiva molto a rimestare nel torbido, ad agitare i galli nel pollaio, per ridersela sotto i baffi. Detto nel gergo di Internet, in questi casi Eco “trollava” alla grande, faceva “trolling”, era un “troll” che più di così non si può. Niente male, per un signore di una certa età che di Internet, a detta dei sapientoni che cadevano nelle sue provocazioni, non avrebbe dovuto capire nulla. Un fine intellettuale che, alla bella età di oltre ottant’anni, sapeva perfino fare il troll, come il più informatizzato degli adolescenti. Questo era Eco.

D’altra parte, la soluzione che lui stesso aveva proposto nel 1964 per dissolvere la falsa alternativa fra apocalittici e integrati vale ancora oggi: né apocalittico né integrato, questo era Eco, o entrambe le cose assieme, secondo i casi, perché nessun mezzo di comunicazione – televisione, Internet, Facebook o Twitter che sia – può mai essere trattato come fosse un contenitore unico, ma è un sistema di sistemi complessi, e ogni azione che vi accade va sempre valutata caso per caso, secondo il contesto, il momento, l’obiettivo, chi la fa e chi la riceve. Il che valeva nel 1964 come oggi, sui vecchi media come sui nuovi.

3 risposte a “Umberto Eco su Internet e i media digitali: un anticipatore lungimirante, altro che apocalittico

  1. L’ha ribloggato su Effeferro's Blog.

  2. Stima ma parliamoci chiaro, quella non è certo uno dei migliori interventi di Eco, che tra l’altro aveva anticipato già in Kant e l’ornitorinco la diffusione di nuovi sistemi di classificazione e archiviazione che sarebbero poi stati studiati come folksonomy e ora chiamati “cloud”. Per non parlare dei suoi studi sulla diffusione del negazionismo molto presente on line. Quindi un anticipatore su più fronti. Più che un intervento accademico quel suo discorso lo vedo come uno umano sfogo vero e proprio – che è pure legittimo oh – ma non un commento da studioso e sarebbe meglio non considerarlo e presupporlo come tale commentandolo come se lo fosse stato – sennò poi dicono che era rincoglionito pure a lui. Questo è il vero equivoco.
    Però parliamoci chiaro, fra dieci anni molto probabilmente ci saranno altri nuovi “nuovi media” quindi ve conviene cambia’ nome già da ora, sennò vi chiamerete semiotica dei vecchi nuovi media e se poi vi dicono cosa studiate non ve ne prendete a male… Per il resto anch’io uso la TV come lampada a spegnimento automatico con la funzione sleep ma non è che posso dire che non sono un fruitore della televisione 😉 Non è completa la sua definizione e gli studenti storcono il naso perché giustamente anche i target che guardano i diversi programmi TV sono diversi sotto molti aspetti così come lo stesso fruitore guarda un blog poi va sui social poi cerca un sito di approfondimento poi guarda il prodotto anche su Instagram e poi ritorna sul sito per compralo sull’e-shop ,poi dà il suo feedback nel forum ai compari. Saluto che vado a litigare col solito coglione bullo su Instagram che mi fa da digestivo e palestra insieme.

  3. Pingback: Umberto Eco su Internet e i media digitali: un anticipatore lungimirante, altro che apocalittico | Pietroalviti's Weblog

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