Il problema sono i miei, prof. Non credono in me

Ragazzo manga

Il ragazzo entra nel mio studio a testa bassa, masticando un chewing gum. Ha i capelli schiacciati da un lato, una macchiolina di caffè sulla maglietta e la faccia di uno che è appena sceso dal letto (è mezzogiorno). Si ferma in piedi accanto alla sedia, con le mani in tasca, e comincia a farfugliare a voce bassa, sempre fissando il pavimento. Ha pure il fiato corto.
«Ehi, se fai così non capisco nulla. Perché non ti siedi?»
Guarda un secondo la sedia, poi il pavimento, poi di nuovo la sedia.
«Ah? Oh? Sì.»
Si siede.
Silenzio.
«Dicevi?»
«Volevo chiedere la tesi.»
«Bene. Hai qualche argomento in mente? Un’idea?»
«Volevo fare, non so, avevo un’idea boh… una tesi su… sulla pubblicità.»
«Mhm, è come se dicessi “voglio laurearmi in Scienze della comunicazione”. Che scoperta, lo so che ti vuoi laureare. La pubblicità è un mondo gigantesco. Qualcosa di più preciso?»
«Il Web 2.0?»
«Vabbe’, pure quello è enorme. C’è tutto e il contrario di tutto. Dai, fra un po’ dici che ti vuoi laureare sulla televisione. O che vuoi parlare di… giornali. Così, in generale. Capisci che non ha senso? Non c’è un caso che ti incuriosisca? Qualcosa che con la tesi vuoi capire, sviscerare?»
Occhi bassi, masticazione frenetica, silenzio.
«Ehi, tutto bene?»
«Sì, cioè no. Non proprio prof.»
Silenzio.
«Come ti chiami?
«Rossi Davide.»
«Si dice prima il nome e poi il cognome: Davide Rossi. Altrimenti sembri uscito da un elenco, da un registro di classe. Uno fra i tanti, non una persona. Sei uno fra tanti o una persona, tu?»
«Una persona. Almeno spero.»
«Bene Davide, allora speriamo tutti e due la stessa cosa. Hai finito gli esami?»
«Mi manca l’idoneità di spagnolo: è la terza volta che ci provo, ma non c’è verso. Non passo.»
«L’ultimo esame che hai dato, prima di spagnolo?»
«Sei mesi fa, no di più, forse otto. Ho dato Semiotica 2 con lei, era arretrato da secoli.»
«Ah sì? E che voto ti ho dato?»
«19.»
Alza finalmente gli occhi e fa un sorriso furbetto, sempre masticando: gnìc-gnìc. Sembra che mi voglia sfidare.
«Mhm, un successone. E come mai un voto così basso?»
«Boh, l’ultimo anno è andato tutto così, più o meno.»
«L’ultimo anno. Invece prima?»
«Prima andava meglio: 25, 26… Ho preso pure due 30.»
«Alla faccia. Insomma non sei sciocco come mi vuoi far credere. E poi? Cosa è successo poi?»
Smette di masticare e deglutisce, continuando a guardarmi in faccia, ma stavolta si fa serio, quasi cupo.
«Niente prof. Non è successo niente.»
«Niente-niente?»
«Ma no, cioè… ho perso la voglia. La motivazione. Non trovo più il senso in quello che faccio, che ne so. I miei amici sono già tutti laureati: Scienze dell’informazione, Psicologia, Ingegneria civile. Io invece… in alto mare. Fortuna che ci sono i miei compagni di appartamento, che stanno messi come me: senza voglia.»
«Ah. Deve esserci bel clima allegro, in quell’appartamento. Di dove sei?»
«Di Faenza, prof.»
«E vivi a Bologna in appartamento con altri studenti.»
«Esatto, situazione precisa.»
«Che tirano tardi la sera, si alzano a mezzogiorno, manco si pettinano e si presentano dalla prof con gli occhi cisposi, le mani in tasca e la cicles in bocca…».
Toglie di botto le mani dalle tasche: una se la passa fra i capelli, cercando di sistemarli, mentre con l’altra tira fuori dalla bocca la gomma da masticare e la getta nel cestino sotto la scrivania.
«Scusi prof.»
«Così va meglio. Ma i tuoi?»
«I miei cosa?»
«Non ti chiedono che fai, a che punto sei con gli esami, perché non ti laurei?»
«Ma si figuri! Se ne fregano, quelli.»
«E perché?»
«Boh.»
«Pensaci, dai. Sicuro che se ne fregano?»
«Non credono in me, prof, non ci hanno mai creduto: volevano che studiassi Medicina, si figuri, che diventassi medico come mio padre. Non la capiscono proprio, questa cosa che ho scelto Scienze della comunicazione. Ma io volevo fare una materia umanistica a tutti i costi, fin dalla scuola mi piacevano le materie umanistiche, e se non mi fossi iscritto a Comunicazione, sarei finito a Lettere moderne, o che ne so, a Filosofia. Apriti cielo: mio padre dice che è roba per fessi, per gente che non ha voglia di lavorare…»
«Insomma, un tipo incoraggiante tuo padre.»
«Già.»
«E tu?»
«Io cosa?»
«Sei sicuro di non crederci anche tu, a quello che dice tuo padre?»
«Cioè?»
«Che hai scelto la laurea sbagliata, roba per fessi, per scansafatiche?»
Abbassa gli occhi: «No lo so, prof.»
«Cosa non sai?»
«Cioè insomma… forse ha ragione mio padre.»
«Ha ragione?»
Silenzio.
«Senti Davide, facciamo così. Tu non sei né fesso né pigro. Diciamo che ti disegnano così, come diceva Jessica Rabbit, te la ricordi Jessica Rabbit?»
Fa sì con la testa, mentre una luce gli si accende negli occhi. Sembra svegliarsi solo ora.
«Anzi, ti dirò di più: secondo me tu sei proprio intelligente. Un ragazzo sveglio. Scommetto la tua tesi di laurea che sei un ragazzo sveglissimo.»
Mi guarda con aria interrogativa, ma finalmente prende fiato, alza il mento e raddrizza la schiena. Sembra stia uscendo da un lungo torpore.
«Ti assegno io una tesi sul Web 2.0. Difficile, no di più, tostissima: profilazione degli utenti, problemi di privacy, pubblicità sui social media, tutto a partire da un caso di studio concreto. E scommetto che sei capace di prepararla in tre mesi e di fare un lavoro eccellente.»
«Eccel… lente?»
«Eccellente sì, scommettiamo?»
La sua voce è diversa quando dice: «Ci sto.» Più ferma, serena. E pure la faccia lo è.

Com’è andata a finire. Davide è tornato spesso nel mio studio, nei mesi successivi. Con la maglietta pulita e i capelli meno scompigliati, ma soprattutto con la stessa faccia di quando ha detto «Ci sto». Ha ottenuto l’idoneità di lingua spagnola e si è laureato in tre mesi, proprio come avevamo scommesso. La media dei voti non era alta, ma per la tesi, almeno, ha preso il massimo. Ora sta facendo un tirocinio extracurricolare: fa il social media manager in una piccola impresa. E il mese prossimo gli faranno un contratto. Era radioso quando ieri me l’ha detto.

PS. Ovviamente non c’è nessun Davide Rossi di Faenza fra i miei laureati: ogni riferimento a persone reali è puramente casuale. Ma incontro decine di giovani come lui ogni settimana: i genitori li mantengono a Bologna (l’appartamento e tutto il resto) e danno loro tanto, tantissimo. Tutto tranne la cosa più importante: la fiducia in loro stessi, la possibilità di credere in ciò che fanno. Allora mi chiedo: quanto poco è bastato per dare a Davide la spinta che gli mancava? Dieci minuti di colloquio e un po’ di attenzione. Ma se bastava così poco, perché nessuno prima di me l’ha fatto? Dov’erano i genitori, i fratelli e le sorelle maggiori, gli amici, quando Davide era nel tunnel? Dove sono gli adulti quando i ragazzi si perdono?

Leggi un’altra storia qui:
Cerchi di capire prof, sono vecchia. Ho 26 anni

25 risposte a “Il problema sono i miei, prof. Non credono in me

  1. A volte ho l’impressione che si siano persi pure gli adulti…

  2. Gio stai facendo un lavoro straordinario con i tuoi ragazzi e sai che nel mio più piccolo mondo universitario cerco di fare la stessa cosa.
    Credo che per produrre un cambiamento di prospettiva nei ragazzi sfiduciati sia importante non quello che si dice ma come lo si dice. Il modo e le parole terapeutiche al momento giusto: e tu sei bravissima in questo. Ti abbraccio

  3. Sei giovane (ma potresti anche essere vecchio) parli con i tuoi amici e conoscenti, con i tuoi genitori, se sei uno che vuole cercare di capire dove vive, leggi almeno un giornale, vedi un telegiornale, vedi i videomessaggi di Berlusconi, senti Letta e … Bene, per costruirti un futuro devi programmarlo il più possibile, fare dei piani, per farlo devi avere fiducia in te stesso, nel contesto in cui vivi, nel tuo paese. Oggi nessuno o quasi ha più fiducia perché non può averla obiettivamente, senza fiducia non esiste nessun programma. Quindi finisci per lasciarti andare “abbruttire” i tuoi genitori, conoscenti e amici fanno la stessa cosa. I professori come Giovanna, cioè i più presenti e disponibili, i parroci caritatevoli, i sindaci bravi, lo stesso Papa Francesco, ci confortano perché ci dicono di sperare di non demordere e di avere sempre speranza. Le parole e il modo in cui le dicono fanno una certa presa. Ma la speranza ha ragione di essere se si traduce in realtà in un tempo ragionevole. Per un Davide radioso perché il prossimo mese gli faranno un contratto ce ne sono un milione che in quel contratto non ci credono più, lo sconforto è tale che non vanno nemmeno più dai Prof come Giovanna o dal Parroco e tutto quello che sentono dire sulla speranza, anche da Papa Francesco, gli entra in un orecchio e gli esce dall’altro. Dove sono gli adulti quando i ragazzi si perdono? Gli adulti non hanno più speranza, cominciano a credere anche loro che per questi ragazzi non ci sia più niente da fare se non emigrare, ma non per andare a fare i prof al MIT, ma forse per trovare un lavoro da cameriere pur avendo una laurea con ottimi voti. Un ragazzo a cui sono vicino si è laureato in Scienze Politiche alla Sapienza con il massimo dei voti, non solo non ha lavoro, ma non sa più a chi deve mandare il curriculum, in pratica dove lo deve cercare. Se si fosse laureato in medicina o ingegneria avrebbe più chance, certo, questo un genitore lo sa, ma quando interviene per cercare di fare un ragionamento più ampio sulla scelta della facoltà, viene spesso accusato di mettere il bastone fra le ruote alle ambizioni e “tendenze” del giovane. Credo che oggi sia molto difficile essere giovani, figli, genitori, professori e parroci.

  4. Pier Dario Forni secondo me centra il punto. Quando torno in Italia, dalla mia vita in Olanda, percepisco frustrazione ed esasperazione su tutti i fronti, respiro un popolo che é stufo e disamorato. In questo momento la mia azienda sta facendo una “riorganizzazione” con cui taglierá il 25% del personale. Eppure, nonostante la naturale tensione, i miei colleghi sono fiduciosi perché possono contare su un welfare che ti copre per 10 mesi con l’80% del tuo stipendio, perché credono nella negoziazione tra sindacato e azienda e perché sanno di poter contare su un mercato del lavoro che é al secondo posto in Europa per occupazione. Non sono fiduciosi a caso, ma perché la loro fiducia si tramuta in fatti.

  5. Tu non sai, e ti do del tu perchè tra amici si usa così, tu non sai quanto può far bene e quanto sia raro avere qualcuno che si piega sulla tua condizione (non “su di te”) per raccoglierti e risalire.
    O anzi, lo sai e lo fai.
    Questa semplice storia, vera o ricreata, è potente e utile per tutti noi, figli sostenuti e anche ammirati magari, ma mai compresi.
    Ci sono mille motivi per cui un dialogo può diventare sterile.
    Il gap generazionale è sufficiente – non ci vogliono genitori distratti, o esigenti, o gretti.
    Il mio caso sarebbe lungo da spiegare, ma non serve.
    Servivano queste parole, buone anche per chi ha 40 anni e cerca di ripartire seguendo _solo_ i propri talenti e non più le strade da altri desiderate.
    Grazie e avanti cosi, tenendosi per mano.

  6. Cara prof, rimane sempre una grande.
    Pragmatismo, evviva!

  7. Quando oltre all’attenzione non si ricevono nemmeno i soldi per mantenersi, allora sì che si è veramente con l’acqua alla gola! Animo giovani mantenuti!

  8. Buonasera Giovanna
    sono la mamma di una laureanda che farà la tesi con te e seguo il tuo blog da anni, cioè da quando mia figlia mi ha parlato di te la prima volta.
    Mi trovo in accordo molto spesso con le tue idee, ho cercato di equipaggiare mia figlia degli strumenti adatti e di insegnarle ad usarli per affrontare “il mondo”, non sono stata molto tenera e le ho detto molti no,ho preteso che lavorasse durante l’università, perchè secondo me mantenersi un posto di lavoro (qualunque esso sia, anche se non è quello per cui sta studiando) equivale ad un esame da 10 crediti.
    Certo lei si sente meno fortunata di certe sue amiche “ricche” che non debbono lavorare per mantenersi agli studi, e forse ora non vede come la fatica che sta facendo sia un patrimonio che si troverà a disposizione una volta laureata.
    Come madre so bene quanto può essere lungo e buio quel tunnel, so anche però, come non sia sufficiente l’aiuto della mamma per trovarne l’uscita.

  9. La risposta e`dentro di te. E non sempre e`sbagliata.

  10. Mi riconosco in Davide perché successe anche a me qualcosa di simile proprio grazie alla mia prof. di docimologia. Quando varcavo la soglia dell’università mi calava addosso quello che chiamavo “il complesso spazzatura”. Mi sentivo come Davide; io però non ero fuori sede, sono di Bologna e ho studiato a Bologna. Un giorno a lezione quella prof. fece una domanda alla classe; io me ne stavo accasciata sulla mia sedia, triste e un po’ assente, e lei mi guardò negli occhi, mi chiese il mio nome, mi invitò a rispondere alla domanda e mi incoraggiò quando biascicai la mia risposta. La volta dopo si ricordava il mio nome (stiamo parlando di scienze della formazione a Bologna, dove a lezione si è sempre in tantissimi!) e continuò a cercarmi e a coinvolgermi. Finalmente dopo un po’ riuscii a entrare tentennante nel suo studio, a confidarmi con lei e potei così “rimettermi in carreggiata”, sbloccarmi. Grazie a uno sguardo, un sorriso, la giusta attenzione…
    Certo, mi è sempre rimasta però l’idea che probabilmente, benché giovani (ma già adulti, essendo ventenni universitari), non bisognerebbe essere così fragili e insicuri. Forse c’è qualcosa di sbagliato in come da un certo punto in poi (diciamo da fine anni ’70) queste generazioni (compresa la mia) sono state e vengono tuttora educate? A mio padre non sarebbe mai accaduto di dover avere bisogno di essere incoraggiato e sostenuto da un prof… Incontrare quella prof. è stato fondamentale (come per Davide incontrare te), ma sarebbe stato meglio cavarmela da sola…

  11. So per esperienza diretta che il ruolo dei genitori è molto delicato. Non basta, Giovanna, essere incoraggianti. Essere genitori incoraggianti è forse necessario, ma non sufficiente. In alcune fasi della crescita il genitore ha il ruolo di antagonista e si ritrova ad esserlo anche contro la sua volontà. E’ un equilibrio delicato, mutevole e strettamente collegato alla personalità del figlio e alle sue fasi di crescita.

    Molto più incisivo (e facile!) il ruolo di altri adulti, insegnanti in primis. Però sono pochissimi, specie all’università, quelli che sono positivi e propositivi come fai tu. Stessa cosa sul lavoro: prevalgono spesso comportamenti negativi, di rivalità o sentimenti disfattisti.

    Grazie ancora per questi post e per il tuo prezioso lavoro con gli studenti.

  12. Questo post mi ha fatto sorridere e piangere. Mi ha fatto ricordare di tutte le volte che anch’io sono entrata in quello studio cosí. Persa, per ritrovarmi. Grazie Giovanna.

  13. Grazie davvero per questo squarcio di umanità di cui i ragazzi hanno un estremo bisogno in questo momento che non annovero nei mio trascorso: si era poveri , mancavano tante cose ma c’era la felicità semplice delle piccole cose e la SPERANZA, questo futuro mangiato ai nostri ragazzi.

  14. Stavolta due lacrimucce le verso anche io. Per le tante volte che sono entrata in uno studio (nel mio caso non era quello di Giovanna ma di una sua collega) così, un po’ smarrita, e ne sono uscita a testa alta e con la convinzione di potercela fare. Contro le opinioni (drastiche) in famiglia, contro gli sguardi un po’ dubbiosi di tante persone che ritenevano gli argomenti di mio interesse (fumetti e cinema d’animazione) roba da bambini. E invece mi ci sono laureata, su quella roba. E poi ci ho lavorato, e ho guadagnato pure bene. A volte incontrare l’insegnante giusto al momento giusto fa tutta la differenza del mondo.
    Sull’interrogativo finale (dove sono i genitori, ecc), il mio banale pensiero è che i genitori ritengano di fare bene a “togliere i grilli dalla testa” dei figli. Lo fanno in completa buona fede, forse perché ancorati a una diversa visione del mondo dovuta a un gap generazionale, culturale, e di mille altri tipi, talvolta persino ripetendo (in modo diverso) gli errori che già altri avevano fatto con loro. Per capirci: quando mio padre, subito dopo la guerra, a prezzo di mille sacrifici studiava ingegneria a Bologna, determinato a crearsi un futuro, mia nonna ogni sera recitava il rosario pregando che gli esami gli andassero male, così sarebbe tornato a casa a Rimini. Lo trovo un aneddoto significativo, se pensiamo che risale a settant’anni fa: la storia si ripete. Ma non sono in grado di proporre una soluzione (sarebbe facile dire “migliorare la comunicazione tra genitori e figli”, ma a volte è veramente difficile se non impossibile).
    Giovanna, questo venerdì, se riesco a piazzare mia figlia con la babysitter (quella figlia riguardo alla quale prego tutti i santi di non ripetere gli errori di mia nonna e di mio padre, quando sarà cresciuta), vengo a sentirla al convegno Aiss e a stringerle la mano. Magari è la volta che ci diamo del tu. 😉

  15. Brava Giovanna, come sempre.

  16. basta davvero poco… anche se la storia è “inventata” è stata ben “inventata”, molto bene, perché è profondamente vera… ho visto tante volte allieve e allievi dei miei corsi di formazione cambiare letteralmente faccia, aprirsi e sollevarsi con leggerezza e sollievo (com’è misteriosa la leggerezza… cantava Gaber…), con uno di loro oggi lavoro, dopo trent’anni, scambio esperienze, tutto per uno sguardo, due parole di vicinanza e di apprezzamento, di scambio vero… ci vuole davvero poco…

  17. la mia storia e quella di mio fratello: un giorno nostro padre (eravamo ampiamente laureati e lavoravamo da tempo) ci guarda e sbotta: “Voi due mi avete proprio fregato! uno a storia e l’altro a filosofia quando io avrei desiderato un commercialista e un dottorato in giurisprudenza! Mi avete proprio fregato… e ne sono proprio felice!”…
    mai ci ha impedito di seguire i nostri progetti, anche quando ne era perplesso, anche la nostra scelta di obiettori di coscienza, lui, che era un militare…
    quanto gli dobbiamo… non lo so… ha fatto “solo” il papà
    e che dire dei miei docenti a storia (seconda metà degli anni ’70)… che mi hanno sempre coinvolto, con cui ho avuto un bellissimo rapporto, anche in momenti davvero difficili della mia vita… loro hanno fatto “solo” i docenti… basta poco, davvero poco…

  18. bello!!!
    Non mi ricordo se te l’ho già raccontato, se l’ho postato nei commenti boh, se mi ripeto – perdonami.
    La mia relatora a filosofia sapeva della mia fissazione di voler diventare psicoterapeuta. Mi laureai e l’anno dopo mi iscrissi a psicologia. Era pesante, perchè ero grande rispetto agli altri, tutti dicevano che io ero fichissima ma alla fine facevo esami con persone più piccole di me e mi ammazzavo la sera nei call center. E non finiva mai, gli amici miei facevano dottorati, assegni di ricerca etc e io nel call center. Per continuare a fare esami cretini, e come avrei fatto? Piangevo un sacco: lavorare nel call center è un incubo. Ti ammazza. E avrei dovuto laurearmi cinque anni! lavorando la! E la scuola di specializzazione!
    E una volta allora ero al call center e chiamai la mia prof di filosofia all’orario di ricevimento e piangevo a dirotto: “Mollo tutto! Io mollo tutto!”. E lei mi disse: molla solo il lavoro adesso, e vieni subito qui”. E io lo feci.
    Andai e mi disse: “Dimmi il tuo attore preferito, il più bello:
    – “Richard Gere”
    – “Dimmente uno che ti piaccia altrettanto o solo poco di meno”
    – “Harrison Ford”.
    Stai con Richard, sei innamorata di lui ti pare il caso di lasciarlo senza aver incontrato Harrison?
    E ora ho uno studio con dei pazienti, e ogni tanto io e la mia prof ci vediamo. Aveva creduto fin dall’inizio nel mio progetto – molto ma molto di più di quanto avessero fatto i miei genitori.

  19. Che bella storia! Un’ altra cosa che rovina è la compagnia di persone pigre e demotivate.

  20. Besting others is strength; mastering ourselves is power. LaoZi

    A me c’é voluto troppo per impararlo ma da allora è solo un crescendo di soddisfazioni in tutti i campi. Poi oltre a trovar se stessi bisogna trovare la propria spiegazione del mondo, ma questo è un’altra questione.

    Bella storia prof.ssa Cosenza, ben fatto e grazie per averla condivisa.

  21. Probabilmente il colloquio ha avuto successo proprio perché non sei sua madre: i genitori o si vivono come esigenti o quando ti incoraggiano non si ascoltano (ogni scarrafone è bello a’ mamma sua). Tu invece sei una persona esterna e gli hai dato fiducia

  22. L’ha ribloggato su genitoriogenie ha commentato:
    Ai genitori ‘poco’ geni…

  23. Dopo una ricerca su google sono arrivata a leggere oggi questo post. Dice bene qualcuno più su nei commenti “A volte incontrare l’insegnante giusto al momento giusto fa tutta la differenza del mondo” e l’ho potuto riscontrare all’ultimo anno del liceo.
    Io ora studio in una università di Roma, spero di incontrare prima o poi prof come lei in questo ambiente che credono nei propri studenti.

  24. La fiducia in me da parte dei miei genitori è la cosa più importante che mi ha sostenuta nella vita

  25. Pingback: Fiducia | Blog di avo

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