Pubblicità Progresso sulle donne: l’ennesimo rituale di degradazione

Con l’avvicinarsi della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne si moltiplicano le campagne sulla violenza contro le donne, appunto. Posto che è difficilissmo fare una campagna su questo tema, una cosa è certa: non si combatte la violenza con immagini che la esprimono. (Ne abbiamo discusso a lungo, gli anni scorsi, vedi ad esempio “Stai zitta, cretina”. E come sempre le campagne contro la violenza esprimono violenza). Analogamente aggiungo:

non si fanno uscire le donne dalla buca del vittimismo, se si continua a rappresentarle come vittime (e lo si fa anche quando si dice che no, vittime no). E ancora: non si elevano le donne di grado e di ruolo, se si continuano a riprodurre situazioni in cui si mostrano donne umiliate e degradate (e lo si fa anche quando si dice che no, degradate no).

Pubblicità Progresso, Punto su di te

È ciò che fa per esempio l’ultima campagna “Punto su di te” della Fondazione Pubblicità Progresso: hanno affisso per strada manifesti con spazi che permettevano (o meglio, favorivano) un certo tipo di interventi, puntualmente arrivati. Dopo di che hanno filmato i risultati, hanno aggiunto un commento sonoro triste, et voilà il gioco è fatto: compassione, sgomento e pure un filo di autocompiacimento nel provare queste emozioni. Certo, la campagna vuole dirci: «Guarda, lo schifo in cui le donne devono vivere». Ma in realtà ripropone – per l’ennesima volta, a sua volta – un ennesimo rituale di degradazione delle donne.

80 risposte a “Pubblicità Progresso sulle donne: l’ennesimo rituale di degradazione

  1. E poi c’è questo…

  2. La cosa più offensiva è quel finale “le donne non possono esprimersi al 100%” Ah no? Non lo sapevo Pubblicità Progresso. Grazie per avermi informata. Mettono dei cartelli che invitano allo sberleffo e quando raccolgono lo sberleffo, (che sarebbe arrivato anche con dei fumetti collegati a dei volti maschili, anche se diverso) prendono il risultato della volgarità di alcuni per un dato statistico attendibile. Ovvio che in Italia ci sono ancora molti pregiudizi, ma è anche ovvio che questo è un giochetto sporco. La pietà, quando non è sul campo di battaglia, va rispedita al mittente con un: grazie, ho proprio finito il rotolo ^^

  3. Io l’ho commentato. Non ce l’ho fatta. Chissà se tra un po’ lo vedremo ancora lì…

  4. Cosa si aspettavano da questa campagna sinceramente? Che i ragazzini di oggi fossero rispettosi verso le donne? Penso lo sappiano che l’italiano medio è un troglodita che considera le donne come degli oggetti o delle schiave di casa anche grazie alle pubblicità sessiste che si vedono nelle città…
    Campagne del genere non fanno che incitare situazioni sessiste!

  5. Trovo veramente scorretta questa campagna. Non solo non è rappresentativa di nulla, ma incita alla goliardata e al vandalismo, già più che presente in strada senza essere istigato.

    Per i suggerimenti di google è ancora peggio, perché i suggerimenti cambiano in continuazione e rappresentano ancora meno le intenzioni di chi cerca. Se cerco “le donne dovrebbero essere segregate” non necessariamente sono un maschilista violento. Per saperlo basterebbe guardare i risultati.

  6. Ciao,
    questa campagna è una scopiazzatura (neanche troppo originale) delle installazioni di Candy Chang, che è una delle mie autrici preferite di performance urbane. Si ispira probabilmente a “Before I die” http://candychang.com/before-i-die-in-nola/ – con la sostanziale differenza che l’artista ha ambientato il suo lavoro in una casa a New Orleans dopo l’uragano Katrina invece che su delle affissioni a pagamento. (Per tutte le sue altre installazioni, tutte caldamente consigliate: http://candychang.com/projects/ )
    Se devo dire uno tra i tanti punti negativi di questa pubblicità progresso, è che non capisce la dimensione sociale delle installazioni della Chang. Nelle opere originali, c’era spazio per tante risposte possibili. In questo cartellone, c’è spazio per una risposta sola. Quello che manca è la dimensione intersoggettiva, di controllo: lasciare spazio a più commenti avrebbe fatto sì che la tua risposta non fosse l’unica sul cartellone (non esaurisci tutto lo spazio con la tua scritta), ma ti avrebbe obbligato/a a confrontarti anche con quello che hanno scritto/scriveranno gli altri prima o dopo di te. Sarebbe stato un modo possibile, secondo me, per tenere più a bada le derive trash.

  7. Invece di stimolare la riflessione invitare allo sfogo, per ricordarci quel che sappiamo già. Davvero geniali. Chissà poi che fatica queste pensate.
    Non si riesce proprio a parlare direttamente al violento, si parla sempre della/per la persona che subisce la violenza. Eppure sarebbe importante fare notare agli uomini, ad esempio. che la violenza è un paradosso, il cercare di controllare un’altra perdendo il controllo, dunque è una debolezza di cui si ha paura e non una manifestazione di forza.

  8. Se ricordo bene ne parlava Umbertissimo Eco 50anni fa facendo riferimento ad un caso simile. Credo anche di averne già accennato. Vedi “Strategia del desiderio” in Apocalittici e integrati. Se non copiano sono grulli. Cmq lol.

  9. Da pubblicitario mi chiedo: perché si fanno ancora campagne pubblicitarie a difesa della “povera” donna? Da anni ormai sembrano più masturbazioni dei creativi che necessità sociali o a vantaggio di qualche associazione. Non servono a nulla perché nulla aggiungono alla “conoscenza”, alla causa di problematiche gravi e complesse che affliggono la nostra società. Pubblicità Progresso è un’istituzione nata per fare la differenza, ma è diventata un magazzino di banalità. Mai visto uno spot che metta in evidenza l’inutilità delle ultime riforme del lavoro per la donna? Una campagna che avesse un concept come: Grazie Ministro, si tenga la sua legge noi donne non ce ne facciamo niente, perché non vogliamo privilegi, vogliamo leggi che incentivino il lavoro. Punto. La donna è spesso vittima dell’ignoranza sua e di chi le sta vicino, basti pensare alla diffusione della pillola nel nostro paese e che il 30% circa dei ragazzi tra 16 e 30 anni usano il metodo anticoncezionale del coito interrotto. Io ho fatto un campagna sulla contraccezione (con soldi privati) nel 1976. Alla donna toccano il culo in ufficio e nessuno si vergogna, eppure lei spesso lascia fare perché la battaglia che dovrebbe fare per la sua dignità farebbe più male della mano morta. Una stagista di 27 anni con laurea magistrale è stata invitata dal suo capo a portare camicette scollate che mettessero in evidenza il suo seno, quando ha chiesto perché, le è stato risposto che ai clienti piacciono molto queste cose. Continuiamo ancora a fare campagne sugli uomini violenti, ma non aumentiamo le case accoglienza. C’é la norma sul femminicidio, ma non hanno inasprito le pene per gli stupri (negli USA si prendono anche 20 anni). Vito direbbe: fatti non pugnette.

  10. …come mai non scrivono uomini,in questo thread?

  11. dei veri geni. ma li avranno anche pagati?

  12. Perché non li denunciate allo IAP?

  13. Lo stesso concetto della “giornata contro x/y/z” per quanto evidentemente nato con scopi nobili (come la riflessione) diventa pericolosamente vicino ad un 8 Marzo (che infatti commemora un’ingiustizia ma finisce a mimose). Finché si penserà il 50% degli esseri umani sul pianeta come fosse una minoranza oppressa questo è il risultato
    PS:E comunque le cose tutto sommato non sono così uguali a sessant’anni fa come qualcuno le vorrebbe per continuare a lamentarsi. Probabilmente le ingiustizie restano, personalmente credo in particolare sul lavoro. Però chi implica che il contributo delle donne è minoritario- non meno in vista, che può anche essere, ma proprio minoritario- ormai mi sta sullo stomaco

    PPS: Proporre un’alternativa sociale costa al pubblicitario un migliaio di neuroni. Vorrai mica che li bruci così?

  14. Ecco un’altra bella Pubblicità Regresso, come mi piace chiamarle.
    Contro la violenza delle donne mostrare delle belle immagine di violenza? Ma certo, perché no? Come dire, cerchiamo di bloccare la caccia di frodo mostrando riprese di cacciatori che si divertono ad abbattere tigri.
    Per non parlare di come sia snervante ed offensiva la ripresa continua dello stereotipo della donna vittima, che continua a fare danni nel dipingerci come perenni mistresses in distress.
    Complimentoni ai pubblicitari – e anche alle emittenti, che magari manderanno questo video a seguire di qualche decina di donne seminude e magrissime in pubblicità di intimo, macchine e pasticche.

    N.B. Grazie a Gabriele per il tip su Candy Chang, ottime istallazioni! 🙂

  15. @ilaria noto dai tempi di Hari Seldon :-p Ma l’emotività non ragiona colla filosofia, temo

  16. Preferisco intervenire nelle vesti di ruoli diversi.

    1 – Come professionista di pubblicità:
    Per esasperare visivamente un dramma con l’intento di raccattare l’attenzione dei cittadini, ci vuole niente. È un giochetto che il più chiacchierato paparazzo modaiolo italiano, Oliviero Toscani, ha praticato per anni. L’aveva attuato con una tale insistenza (spacciando per suoi persino degli scatti realizzati da altri), che è diventato il più noto “pubblicitario” italiano nel mondo. Ma ottenere che questa violenza antiviolenza si traduca poi anche in reagire, migliorare e risolvere problemi, è un’altra storia. Di solito, l’unico risultato ottenuto è la notorietà dalla campagna e qualche volta, degli autori.
    Criticare, svelare, accusare cose ingiuste o addirittura aberranti, è fondamentale. Ma poi, se questa energia divulgatrice non innesca azioni concrete, non solo gli sforzi si rivelano come inutili o dispersivi, ma possono addirittura essere controproducenti: “La solita roba da qualunquisti!”, “Non sanno fare altro che buttare fango!”, “Tanto casino solo per farsi notare”, “Ma che vadano nella Corea del Nord!”.
    La pubblicità, quando funziona, non agisce mai da sola. Fa parte di un insieme più vasto, più trasversale, più complesso. Oltre a interagire con mezzi, comunicazioni, contagi e azioni di genere molto variegato (che qualche volta sono persino invisibili o ignoti), una campagna efficace deve pizzicare corde che, in modo spesso silente o dormiente, sono già accordate con la realtà. Una campagna pubblicitaria efficace non è uno strumento solista che irrompe nella società ma, quando riesce a farsi sentire, è prima di tutto una cassa di risonanza.
    Che poi il 90 x 100 dei pubblicitari (in modo particolare quegli italiani), si rispecchino ossessivamente l’uno nell’altro, quasi sempre come solisti – e mai come orchestra, – fa parte del tipico protagonismo degli ex poveri, degli sgomitanti scalatori di torri d’avorio finto, dei soliti parvenu trendaroli sempre più prevedibili e omologati.
    Un creativo nostrano difficilmente si farebbe venire in mente una headline tipo “Italians do it better” con sopra le foto di Montessori, Hack, Modotti, Magnani, Pivano, Levi Montalcini… gli sembrerebbe assurdo pensare una campagna dove gli uomini invocano l’aiuto delle donne per guarirli finalmente dal razzismo sessuale delle mafie e della Chiesa… non se la sentirebbe di chiedere ironicamente la parità tra i generi sollecitando l’adeguamento (verso il basso) degli stipendi maschili ai livelli di quelli femminili… non ce la farebbe a proporre una campagna titolata “Ecco un vispo maschietto, tutto suo padre!” abbinata a eloquenti immagini di bamboline Barbie, oggetti Winx, un fotogramma del kitsch-cartoon Heidi, contrapposta a un’altra campagna, parallela, con la headline “Ecco una femminuccia dolcissima, tale e quale la Mamma” con immagini di videogiochi militari, ragazzini conciati da ultrà calcistici, videate da cartoon di manga combattenti…
    Nella nostra pubblicità delle sempre più larghe intese tra i managerazzi degli inserzionisti e delle agenzie, uscire dalle uniche opzioni “creative” della serie “Ravvedetevi!” (cattobuonista) oppure “La violenza non rende!” (postfascista), produrre campagne credibili e sensate per contrastare la violenza sulle donne, sembra un percorso ancora troppo pieno di bumper, buche, stop, semafori rosa e rosaneri.

    2 – Come umano di genere maschile:
    Fintanto che quotidianamente pronunciamo ancora “Non ha le palle”, “Una donna cazzuta!”, “coraggio virile”, “Gli mancano gli attributi”, “gioco maschio”, e decine di altre locuzioni improntate a una cultura cavernicola… fintanto che il nostro immaginario fantasy e religioso non è coabitato anche da star di nome Afrodite, Artemis, Atene, Aura, Clio, Demetra, Eos, Era, Gea, Igea, Nemesi, Nike, Thetis,…fintanto che le nostre gerarchie culturali, politiche ed ecclesiastiche cercano ancora disperatamente un punto g (g come gnocca) nelle teste di oltre metà della popolazione… fintanto che il potenziale di innumerevoli articolazioni, variabili, e strumenti di dialogo fisico tra gli umani, implode puntualmente e di default, nell’atto unico della penetrazione… fintanto che noi maschi non impariamo ad ascoltare e osservare un essere vivente capace di trasformare uno spermatozoo in un concentrato di intelligenza, sensibilità, forza, abilità, … beh, fintanto che questo drastico U-turn culturale non avverrà, è più che probabile che noi maschi continueremo a rifugiarci nel bunker sempre più tetro della paura e dell’impaurimento.

    3 – Come immigrato da un paese senza imprinting cattolico:
    Il fatto che il Concilio della controriforma si sia svolto a Trento (e non a Norimberga, a Canterbury o a Calais) e che la sede del papa non si trovi a Vienna, Siviglia o Parigi, ma nella nostra capitale, è stato ed è talmente condizionante che gli italiani non si rendono ancora conto che qui da noi, il vero laicismo (cioè l’indipendenza mentale da qualsiasi vincolo extrasensoriale), semplicemente non c’è. Il cattolicesimo è talmente intarsiato nella quotidianità di questo paese che persino gli stessi anticattolici tendono costantemente a orientare il loro pensare e agire sul polo magnetico del Vaticano – esattamente come succede a quei cittadini che votano secondo criteri più o meno progressisti, ma che di fatto pensano giorno e notte solo a Berlusconi. È soprattutto grazie a questi riferimenti totalizzanti che l’unica nazione in cui si è ormai stabilmente impiantata la becera convinzione che tra sinistra e destra non ci siano più differenze, è proprio il nostro.
    Non è un caso che tutte le religioni monoteiste, siano da sempre dominate da una paranoia antifemminile. Ed è logico che sia così, perché il potere oggettivamente più magico e più rilevante – quello che consente agli umani di tramandarsi – non è custodito nei bicipiti dei maschi, ma nel ventre e nel latte delle donne. In questo grande opus creativo e procreativo, lo spermatozoo rappresenta poco più di una sillaba genetica mentre il nascituro si rivelerà come un’autentica enciclopedia biologica, formata da una moltitudine di volumi, capitoli, stilemi, fraseggi, segni e linguaggi.
    L’inevitabile paura e ostilità del cattolicesimo (e con ciò, dell’Italia praticamente tutta) nei confronti della donna, era però stata abilmente neutralizzata dal madonnismo – un risultato perverso di un casting ridicolmente irreale, di fatto impraticabile, paradossale. La vergine che concepisce un figlio è un assioma che si auto-estingue, sparla di un fantasma. La più importante delle donne cattoliche, è una NON donna, una chimera, a modo suo, praticamente il nulla.
    In Italia, a seconda gli entourages politici e culturali, lo spregio maschio della donnità ha sempre goduto dell’ola di milioni e milioni di ultrà: ininterrottamente, da D’Annunzio fino a Berlusconi, il fascismo ha saputo trasfigurare le sue donne con maschere, faccette nere, cerone, nei e silicone. Invece gli “altri” (gli intellettualisti e sinistri del sistemone), hanno preferito fare santo un cinemaro provinciale di matrice ricattobuonista di rara e ossessiva vanità: tutte le donne nei film del “maestro” romagnolo (ma proprio tutte!) sono solo consolatrici mammellute, deficienti, amanti, perdenti, mammine, troie. Nel suo universino adolescenziale non c’è una sola donna che ragioni, combatta, cresca. Senza rendersi conto di smontare il più grande mito del cinema italiano, alla domanda su come si sentisse nell’eterno ruolo di latin lover, il suo interprete più fidato rispose, disilluso e stanco: “Latin lover de che?”

    4 – Come cittadino
    Scoprire e riscoprire ogni giorno che la maggioranza degli uomini temono le donne e che perciò, allo stesso tempo, le desiderano e le odiano, è stupefacente, ma anche stupido, banale, noioso.
    Quand’è che, finalmente, questo pallosissimo loop s’interromperà?
    Per fortuna nostra e di tutti – ne osservo e convivo continuamente prove sempre più consistenti – questa violenza diminuisce progressivamente con l’abbassamento dell’età. Tendenzialmente, i maschi più impauriti e più temibili, sono palesemente gli anziani. I meno aggressivi sono i giovani che viaggiano, che s’informano, che imparano le lingue, che praticano il nomadismo cibernetico.
    Concludo dicendo che probabilmente, una campagna tradizionale (affissione, stampa, tv) potrebbe anche dare una manina – ma solo quando si parla agli over 40. Per dialogare con i giovani, invece userei principalmente la rete e la telefonia. Ma per tutti e due i gruppi sociali (so di usare parametri alquanto schematici e grossolani), prima di pensare a qualsiasi campagna “educativa”, sarebbero infinitamente più decisivi e fondanti, gli esempi. Qualsiasi atto, frase, opinione, vissuta-pronunciata-commentata da modelli comportamentali di varia natura e notorietà (da Renzi a Balottelli, da Saviano a Totti, da Crozza a Muti, da Civati a Blasco… fino al preside di questa repubblica scritta con la erre sempre più piccina… e al neo papa neo-astuto e neo-buono, vale mille volte di più di qualsiasi campagna – non importa se di tipo tradizionale, individuale o persino virale.
    Ma se poi questa campagna fosse anche pensata e attuata con idee, strumenti e linguaggi convincenti e sensati, basterebbe poi una sola frase di un Lapo, di un Valentino o di un Francesco I qualsiasi, per vanificare milionate di messaggi contro il matricidio sparati nel digitale, sulla carta stampata, sui display.
    Temo che una Lorena Bobbit nata, cresciuta e temuta in questo paese, rimanga per sempre confinata in una nuvoletta di una graphic novel esclusivamente virtuale.

  17. Till però cerca di far pace con Fellini o almeno cerca di ignorarlo.
    quanto alla penetrazione è un atto erotico piacevole e bello quanto ogni altro

  18. Till Neuburg è uno splendido esempio di come una persona intelligente, colta, e che scrive da dio, possa dire cose insensate, mescolate a un 90% di cose giustissime — credo, ma posso sbagliarmi, per una mancanza di sobrietà dovuta a un’insufficiente formazione scientifica.
    Due esempi.

    “…la becera convinzione che tra sinistra e destra non ci siano più differenze.”
    Nessuno sostiene questo, tranne irrilevanti mentecatti.
    Quello che alcuni (Luca Ricolfi, Pietro Ichino, e altri) ragionevolmente sostengono è che, nella situazione italiana attuale, le scelte politiche principali non sono fra destra e sinistra.
    Per capire questo basta una elementare competenza di economia politica, che credo manchi a Till Neuburg, come a molti opinionisti e politici italiani.

    “…tutte le donne nei film del “maestro” romagnolo (ma proprio tutte!) sono solo consolatrici mammellute, deficienti, amanti, perdenti, mammine, troie.” Verissimo, e straordinariamente ben detto.
    E allora? Forse che Fellini non descrive benissimo UN aspetto della natura umana, maschile e femminile? Basterebbe, di nuovo, un minimo di competenza socio-biologica per rendersene conto.
    Fellini è un artista, e rappresenta UN aspetto della realtà. Non è mica il Papa, che pretende di dire cose encicliche. 🙂

  19. Paolo, su Fellini hai ragione. Ignorare lui non è un gran problema, ma la incessante standing ovation per il suo nostalgismo fascistoide, la sua megalomania di polistirolo, i suoi ridicoli buoni pentimenti e il dilettantismo di recitazione nei suoi film, resistono resistono, resistono ovunque e comunque.
    Concordo anche sul fatto che la penetrazione può essere “un atto erotico piacevole”, ma quando una partita è giocata unicamente dagli undici metri, prima o poi, sia il portiere sia il tiratore, esauriscono presto e inevitabilmente, il fondamentale fattore sorpresa.

    Fai conto che qui io digiti, tutti di fila, un punto e virgola, un trattino e una parentesi di chiusura.

  20. Capisco Till, io resto convinto che l’eros, il sesso, anche quello “penetrativo” sia (quasi) sempre una sorpresa..poi vabbè ognuno la vive come crede

  21. e il tentativo politically correct di disciplinare il linguaggio comune o quello volgare (del tipo non ha le palle e simili) non mi convince molto.

  22. quoto

    E a me,anche meno,che noia il politically correct anovunque

  23. cit :

    “” su Fellini hai ragione. Ignorare lui non è un gran problema, ma la incessante standing ovation per il suo nostalgismo fascistoide, la sua megalomania di polistirolo, i suoi ridicoli buoni pentimenti e il dilettantismo di recitazione nei suoi film, resistono resistono, resistono ovunque e comunque.””

    prego?

    la pagina web su fellini,una specie di blog/sto,è piu visitata e animata da stranieri che da italiani,mi dicono-e gia questa se confermata è davvero una sorpresa,anche se si vociferava che fosse piu famoso all estero che in italia,da anni

    ma quanto a “la sua megalomania di polistirolo, i suoi ridicoli buoni pentimenti e il dilettantismo di recitazione nei suoi film, resistono resistono, resistono ovunque e comunque.”” ..davvero: no comment (io,sconsolato)

  24. Dalle tribù matriarcali al patriarcato, fino al maschilismo politico, religioso, sociale dominante, sono trascorsi almeno 10.000 anni. Violenza, indifferenza, svilimento della natura, dei meriti e delle potenzialità della donna ci sono e ci saranno per un bel pezzo. Il punto è la campagna/e imbecilli e le associazioni arroganti che buttano i soldi dalla finestra per fare pubblicità con non sposta di una virgola la situazione, i pubblicitari vengono dopo i committenti, se la campagna in questione fosse stata intelligente e stimolate, non sarebbe servita comunque alla causa, ma solo ad alimentare la vanità di chi l’ha commissionata. Da etero sono convinto che il piacere più grande che possa avere un maschio è l’orgasmo che una femmina è capace di donargli. Non credo ci sia qualcuno che scambia la naturale funzione dei normoferoni e l’attrazione del maschio verso la femmina per becero maschilismo. L’apparato genitale femminile è stato creato perché piaccia agli uomini, non colpevolizziamoci per questo. A proposito di FF, aveva 15 anni nel 1935, in molti suoi film racconta l’erotismo di un adolescente che trasuda di normoferoni, che colpa ha se i suoi ricordi sono ambientati nel periodo fascista. Vogliamo mettere in discussione la penetrazione? A certe donne piace di più ad altre meno. Allora? Le donne che conosco sono orgogliose della loro bellezza e sensualità, delle loro curve dei loro orgasmi; se sono nati i reggiseni push up nel 1961 (Wonderbra) è perché c’era la domanda e oggi è esplosa. A propostiti di linguaggio, ha le palle ecc., in tutta Italia l’intercalare più diffuso è cazzo, ma a Parma e dintorni è figa, questo vuol dire che nel parmense ci sono meno maschi cretini?

  25. Till guarda i film di Fellini col filtro “neo-fem” ossia una specie di occhialino 3D che enfatizza la lettura paranoico-misogina della figura femminile. Chissà che penserà di quelle di Tinto…

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  27. Mi piacerebbe invece sapere cosa pensa di Thomas e Vanda di “Venere in pelliccia”

  28. Il film di Dallamano (1968) [ 🙂 ] è un pochetto scarso ma risulta molto meno peggio di quel che in Italia si produrrà poi in ambito di commedia erotica. Parlasse di questo cinema, Till, potremmo anche trovare una quadra. Scrivere quelle cose su Fellini è masochismo intellettuale… A ogni modo ci è nota la posizione di Pasolini su La Dolce Vita…. Till la rivede con un’ossessione misogina che in PPP non c’era. Punto, puntoevirgola e puntaccapo.

  29. Pingback: Il 25 novembre in un bicchiere d’acqua | SUD DE-GENERE

  30. Avete faticato tanto per far parlare di un tabù come la violenza sulle donne. Ora ci vorranno altri anni per far parlare di questo argomento in maniera corretta ma sono fiduciosa del fatto che anche questi sforzi verranno premiati. Ci vuole un po’ di pazienza.

  31. Pingback: Non chiamateci maschiacci - Giornata contro la violenza sulle donne | ClarissapuntodClarissapuntod

  32. non è che sia mai esistito “un tabù come la violenza sulle donne”,nel senso di parlarne

    della problematica si parla da anni,un altro paio di maniche è come risolvere la cosa,chem con le leggi ultragarantiste e “buoniste/perdoniste” italiane,non è cosa facile

  33. Ad un comunicatore che ne ha viste tante, e in diverse parti del mondo, non fanno dispiacere le critiche, perchè possono sempre aiutare a migliorare. Fa invece dispiacere veder giocare lo sport più diffuso in Italia: dopo una partita della nazionale, ecco spuntare almeno 30 milioni di commissari tecnici, dopo una gara di formula 1 altri 30 milioni di team leader, e dopo una campagna pubblicitaria, ancora altri 30 milioni di direttori creativi. Quasi sempre senza avere competenze specifiche ma un ricco dizionario di contumelie. E senza avere la pazienza di leggersi non dico una intera strategia, ma almeno un comunicato stampa o piuttosto un articoletto descrittivo su un giornale di categoria. Da anni a Pubblicità Progresso siamo convinti che non basta uno spot di 30 secondi a modificare comportamenti duri da sradicare o modificare, e soffriamo di orticaria proprio per quegli spot che cercano di commuoverti o turbarti inutilmente per qualche secondo. E’ il motivo per cui facciamo campagne di comunicazione integrata in cui ogni mezzo – social media in testa, oggi – ha un ruolo ben preciso, e che puntino sempre ad una concreta “call to action”. Chiedo quindi un pò di pazienza nel giudicare una campagna che non è nemmeno partita (l’avvio ufficiale è per inizio 2014) e che si propone di durare due almeno due anni con una serie assai articolata di appuntamenti. Quanto allo spot della Y&R, è lo starter che deve far riflettere sul fatto che negare la discriminazione è già una parte del problema (e ovviamente non parla a quella ridotta fascia di popolazione che lo sa) e invita ad andare a cercare soluzioni sul sito Puntosudite, la cui articolata struttura sarà on line a breve. Ma intanto è già possibile trovarci tutti gli atti in video della Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale sulla parità di genere che si è tenuta alla IULM lunedì scorso,e alla quale hanno partcecipato oltre 30 relatori da tutto il mondo. E’ costata un anno di lavoro, che molti hanno svolto gratuitamente me compreso, e ha espresso contenuti di riflessione di estremo interesse, punti di vista originali e profondi, basti citare la imperdibile Lectio Magistralis del filosofo Salavatore Natoli su uguaglianza e diversità.
    http://www.pubblicitaprogresso.org/news/ix-conferenza-gli-atti/
    Chi vuole confrontarsi con la fatica di un mutamento culturale, può passarci pure ben più di qualche ora, e da lì ingaggiare un dibattito serio. Per gli insulti e i giudizi troppo improvvisati e un pò improvvidi, non ci amareggeremo più di tanto: sappiamo cosa abbiamo fatto nel mondo della comunicazione, siamo ben coscienti di quello che stiamo facendo, e ci auguriamo nonostante tutto di incontrare persone che la pensano assai diversamente ma che hanno la sincera volontà di dialogare. Ad majora.
    Alberto Contri

  34. Caro collega, giusto, dialogare, sempre. La fondazione che presiedi non è in discussione, lo sono invece le finalità del suo operato. Sappiamo bene entrambi che il prodotto più difficile da vendere è quello che richiede un cambiamento di convinzioni nel consumatore. Tutti i “prodotti” che tratta PP sono di questo tipo. Il punto non è quindi solo la campagna di PP ma ciò che si fa per cercare di “vendere” un’idea di cambiamento d’atteggiamento, quale il rapporto che i “maschi” o se preferisci la società, dovrebbero avere nei confronti delle donne. Questa affermazione dovrebbe essere tua o comunque di PP:
    – “Abbiamo lavorato è un progetto di comunicazione integrata che ha come primo obiettivo la denuncia della discriminazione negata. Sono state usate le affissioni in strada, ma anche il web con un portale dedicato ai temi femminili, fino al coinvolgimento diretto dell’opinione pubblica per sostenere le iniziative di Punto su di te e denunciare l’uso sui media di immagine lesive della dignità della donna”, ha spiegato Alberto Contri, presidente della Fondazione Pubblicità Progresso. La prima tappa della campagna è stata l’affissione di alcuni manifesti con volti femminili corredati da fumetti da completare: “Al lavoro vorrei…”, “Quando torno a casa vorrei…”-
    Il primo obiettivo è la denuncia della discriminazione negata. Come valuterete se avete o meno raggiunto l’obiettivo? Che target dovrebbe cogliere la denuncia (qualitativo e quantitativo)? Avete previsto con quale metodologia valuterete se l’avete raggiunto o no? Ho visto che tra i collaboratori c’é anche l’Istituto Piepoli, questo significa che hanno valutato il pensiero dominante, poi valuteranno che differenza ci sarà dopo la campagna? Se secondo i parametri stabiliti (credo da voi perché non mi pare che qui ci sia un cliente) avrete raggiunto l’obiettivo, cosa sarà di fatto cambiato nella società? Credo che nonostante il raggiungimento del vostro obiettivo il cambiamento sarà risibile. Proprio per questo queste campagne appaiono vanitose e auto celebrative agli occhi di chi scrive su questo blog, o offensive ecc. ecc. La macchina che avete messo in moto (la presentazione alla IULM) il Presidente Napolitano, “suona” come la solita minestra che ci propinano ministri e ministeri: me la suono e me la canto. Non vorrei che questo suonasse offensivo nei confronti tuoi o della fondazione PP, non è mia intenzione criticare il vostro lavoro, non lo posso fare perché non ne conosco le motivazioni, la strategia e nemmeno i risultati, che vedremo eventualmente quando Piepoli ce li comunicherà. Quello che invece critico è che in questo paese le problematiche concrete non si risolvono mai, ma si fanno tante campagne pubblicitarie che (belle o brutte) non servono a niente. Allora, come cittadino, mi chiedo se le risorse sono spese bene, o potrebbero essere spesi meglio? Allarghiamo il discorso e coinvolgiamo Governo Informa della Presidenza del Consiglio dei Ministri. La tua fondazione immagino lavori con denaro proprio, raccolto in vari modi. Quello del Consiglio dei Ministri invece usa soldi nostri, miei, tuoi e di tutti coloro che pagano le tasse. Le campagne che fanno, almeno quello che ho visto negli ultimi 40 anni, fin dall’epoca di Rolando (che ricorderai) che obiettivi hanno, come verifichiamo se sono servite a qualche cosa? Ricordo che Marco Testa, quando era presidente di ASSOCOM, lamentò pubblicamente la mancanza di finanziamenti adeguati di comunicazione delle strutture pubbliche e del fatto che erano notevolmente sotto la media europea. Non credo che stesse chiedendo di fare campagne inutili, ma che volesse esortare lo stato a fare campagne intelligenti per i “prodotti dello stato”, ne abbiamo viste poche, mi pare. Però nel periodo pre elettorale siamo inondati di comunicazione su come si compila una scheda. Credo che questo sia il punto. Punto. Cordialità.

  35. Ringrazio Pier Dario Forni per il livello civile di interlocuzione e per l’acume delle osservazioni. Mi accorgo però dal suo post (e dagli altri), che nonostante tutti i nostri sforzi e le molte interviste, si sa ben poco di Pubblicità Progresso. Oltre a consigliare un tour su www. pubblicitaprogresso.org, ricordo che la Fondazione, istituita come associazione nel 1971, ha tra i suoi soci le associazioni delle agenzie di pubblicità, l’UPA, l’associazione degli istituti di ricerca di mercato, i concessionari di spazi e affissioni, la Fieg, Rai, Mediaset, Sky, TV S.Marino. Lo scopo è quello di realizzare campagne di utilità sociale create, prodotte e diffuse gratuitamente.
    Da un po’ di anni la Fondazione, creata nel 2004, si è posta l’obiettivo di diffondere la cultura della comunicazione sociale, patrocinando campagne meritevoli per obiettivi e realizzazione tecnica, stringendo legami (tramite road-show annuali) con 90 facoltà di 44 atenei, organizzando da nove anni la Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale, costruendo una mediateca disponibile on-line che ad oggi conta 2500 campagne tra le più creative e performanti realizzate nel mondo. Recentemente è stato costituito il Network Athena (i docenti universitari “amici di Pubblicità Progresso”) che sono già una sessantina e collaborano ad un assai interessante e innovativo think-thank interdisciplinare.
    La Fondazione vive di minime quote annuali dei soci e di un significativo contributo della Fondazione Cariplo, visto che molto del lavoro svolto è fatto per educare il mondo delle Onlus a comunicare meglio. Il miracolo che dura da più di quarant’anni è che tutto questo lavoro si svolge all’insegna della gratuità messa in campo, a turno, dai migliori professionisti di ogni settore della comunicazione italiana.
    Già questo dovrebbe dire qualcosa a quanti su questo blog esprimono una chiara idiosincrasia per tutto ciò che puzza di “istituzione”.
    Rispondo ora ad alcune critiche: nella Conferenza Internazionale “ce la canteremmo e ce la suoneremo tra di noi”. Sinceramente non capisco: la Conferenza è aperta a tutti, l’abbiamo pubblicizzata meglio che abbiamo potuto (mailing list del mondo del volontariato, articoli su quotidiani e periodici specializzati, annunci sui principali quotidiani, social network) al punto che il giorno prima dell’evento 346 posti dei 500 disponibili nell’aula magna dello IULM erano già prenotati. Durante il giorno sono stati tutti occupati, il che non mi pare per nulla poco. Dato il tema, tra gli oltre trenta relatori, diversi dei quali provenienti da Germania, Argentina, America, Inghilterra, c’erano i protagonisti e soprattutto alcune delle protagoniste della battaglia per la parità: Guerra, Natoli, Morace, Panzarin, Von der Heyde, Cocco, Parzani, Cimms, D’Antona, Martini, Zajczick, Zanardo, Conlon, Kock, solo per citarne alcuni. E c’era spazio per gli interventi dal pubblico.
    Quanto al messaggio di Napolitano, non si è trattato per nulla del solito atto rituale, ma il fatto che il Presidente sia entrato in profondità nel merito della questione in un insolito messaggio di 2000 battute, ha fatto sì che le tematiche dello strumentale uso del corpo delle donne nei media e dell’incitamento a combattere le cause del femminicidio fossero riprese da tutti – dicasi tutti – i mezzi di informazione. Se ragioniamo in termini tecnici di pr e non con occhiali ideologici o di battaglia politica, mi pare un gran bel risultato per questa causa, almeno come tassello di un mosaico da riempire.
    Più in generale, per parlare di misurazione dei risultati, sappiamo bene che le motivazioni non sono formaggini. Grazie agli istituti di ricerca associati all’Assirm (da GFK Eurisko a Ipsos, da Nielsen a Istituto Piepoli, da Unicab a Mps, anche qui ne cito solo alcuni), svolgiamo sempre indagini ovviamente qualitative pre e post campagna, per valutare la comprensibilità del messaggio in vitro e poi la sua comprensione e accettazione in vivo. Recentemente, grazie al laboratorio di ricerca del Prof. Russo dello IULM, abbiamo aggiunte le tecniche di valutazione dell’attenzione tramite eye-tracking, bio-feedback e ECG. (Una volta abbiamo annullato una campagna quasi pronta a causa dei risultati troppo negativi). Proprio perchè tutto è gratuito, riteniamo di dover essere ancora più rigorosi.
    Vorrei ora citare alcuni risultati concreti raggiunti da campagne di Pubblicità Progresso. Quella a favore dell’alfabetizzazione informatica, la prima della mia presidenza (1999) portò ad un incremento esponenziale dei corsi di informatica e inglese nelle piccole e medie imprese, spinse il ministro dell’Istruzione a inserire computer e inglese nei primi anni di scuola, suggerì a IBM l’idea di una campagna – del tutto identica -che venne pianificata in tutto il mondo: contadini siciliani che vendevano i loro prodotti via internet perché sapevano usare l’inglese e mandare una mail! L’unica differenza era la scelta del bianco e nero…La difficile campagna di prevenzione degli incidenti sul lavoro che incitava ad usare gli strumenti di protezione (“Un vero amico le prende al posto tuo”) fatta, udite udite, insieme al Quirinale, ci ha riservato una grande sorpresa: l’Istat ha confermato di recente che per la prima volta da inizio secolo gli incidenti hanno cominciato a diminuire. Con tutta probabilità il merito è di un mezzo umilissimo, che farebbe schifo a tanti creativi di gran nome: un semplice depliant in otto pagine distribuito in milioni di copie dall’Inail che riportava in forma chiara e semplice le principali norme di sicurezza… tradotte nelle otto principali lingue dei lavoratori immigrati, che secondo le statistiche subiscono l’80 % di problemi il primo giorno di lavoro. Concentrare in così poco spazio il complesso burocratese del ponderoso Testo Unico sulla sicurezza, è stato un compito svolto con l’aiuto della Prof.ssa Zincone, consigliera del Presidente per la coesione sociale: guarda caso una donna giusta, con un cv da paura, a un posto giusto!
    Il più recente e rimarchevole risultato lo abbiamo raggiunto con la ancora più difficile campagna a favore della donazione degli organi. Nonostante il crollo verticale degli spazi gratuiti (1972, campagna a favore del verde, 1000 spazi su quotidiani e periodici, di cui l’80% pagine intere –vs- campagna organi 2012-13, con 12 quarti di pagina su Corriere e Repubblica…e basta!) grazie ad un interessante sito internet (doniamo.org) e ad un sapiente uso dei social media, abbiamo raccolto 10.000 nuovi donatori ogni anno: una cifra semplicemente straordinaria! Sicuramente avrà giocato un ruolo importante il concorso On The Move lanciato nelle università, per progetti di marketing non convenzionale sul tema: oltre ad aver realizzato progetti assolutamente notevoli, evidentemente gli studenti si sono convinti e coinvolti in prima persona e hanno coinvolto gli amici…
    Con la nuova campagna, la segnalazione della discriminazione delle donne è solo lo starter di attenzione verso un progetto che mira a modificare un modo di pensare grazie al quale le donne occupano il 30% in meno dei posti apicali in aziende e istituzioni, guadagnano in media il 22,8% degli uomini, e le mamme che mollano il lavoro dopo il primo figlio sono più del 40% per il problema della conciliazione dei tempi. Per non parlare dei femminicidi. Tra due anni vedremo se le cifre sono ancora queste, anche grazie alle tante iniziative che metteremo in cantiere e che fanno parte del progetto. Ecco perché reagire così d’impulso ad un video apparso su You-Tube e che è solo il primo anello di una catena, mi pare perlomeno azzardato. Intanto questo video rimanda al sito http://www.Puntosudite.it, che nell’attesa di andare a regime a metà dicembre, raccoglie già tutti gli atti in video o pdf della Conferenza Internazionale: guardarli e rifletterci su è già un bel modo per cominciare a cambiare.
    Sugli assai interessanti temi di carattere più generali sollevati, risponderò in un prossimo post. Mi scuso per la lunghezza, ma il tutto serve anche a sottolineare quanto sia complesso realizzare campagne sociali nel bel mezzo del grande cambiamento di paradigma della comunicazione che stiamo vivendo.

  36. Alberto. Hai fatto bene ad informarci sull’attività della Fondazione. Difficilmente si considera l’impegno o la fatica di chi ha lavorato dietro ad un certo prodotto. Credo che chi si occupa di pubblicità sappia cosa fa PP, e comunque consideri poco l’implicazione a volte stringente del contesto in cui agisce la cosiddetta comunicazione sociale. Noi, io e tutti i nostri colleghi siamo spesso frustrati dalla poca considerazione che il nostro lavoro riscuote anche da chi lo ha commissionato. Per non dimenticare mai che non ci sono scuse e santi che mi possano “salvare” dalle critiche, e che il mio sudore non è sufficiente a giustificare un risultato perlomeno incerto, se non un insuccesso, ho appeso nel mio ufficio una citazione di un nostro comune maestro. Sul piccolo cartello, in cui sbatto ogni mattina, c’é scritto:
    ” La realtà non è ciò che realmente esiste ma piuttosto ciò che si percepisce”. Hiroyuki Itami. Buon lavoro.

  37. Che per voi fosse uno “starter di attenzione” (la pensata di cui al topic) lo si poteva immaginare, egregio Alberto Contri, ma ciò non toglie che sia stata una pessima pensata. Sapevate fin dall’inizio che producendo quei manifesti con fumetto (da completare a discrezione del mattacchione di turno) avreste ottenuto quei risultati? Bene. Chiunque di noi avrebbe potuto prevedere quelle risposte, a suo modo “esilaranti”, perché appunto fanno parte della cultura maschilista italica, e non a caso ho citato Umberto Eco che ne parlava già nel 1964. Questo modo di agire si chiama “sfruttamento” (nella fattispecie più che del “corpodelladonna” di una condizione di arretratezza culturale) proprio per questo. Dunque non faccia finta di non capire la questione di cui al topic.

  38. Un conto è “prevedere” o immaginare, un conto è saper rappresentare la realtá. Nel lavoro alla ricerca dell’insight è emersa la distonìa tra la realtà e la sottovalutazione della discriminazione. Lo “starter” serve quindi a far prendere coscienza di questa realtà a chi la sottovaluta (nostro target primario). Lo spot (che oltretutto ha censurato scritte ben peggiori) spinge a fare il massimo che può fare una comunicazione sociale: visitare http://www.puntosudite.it per trovare, conoscere, intervenire…sará pronto per metá dicembre, ma giá ora si trovano tutti gli atti della Conferenza Internazionale sulla paritá di genere costata un anno di lavoro. Forse merita una visita di qualche minuto, per capire che nulla di quanto abbiamo fatto e faremo sfrutta alcunchè, ma promuove invece una nuova cultura di genere.

  39. Caro Pier Danio, desidero ora intervenire su una questione che hai sollevato, e che è semplicemente cruciale: la pessima qualità della comunicazione pubblica del nostro paese. Io aggiungerei la complessiva scarsa qualità della comunicazione sociale realizzata da qualsiasi soggetto pubblico e privato.
    Per stare sul lato delle campagne governative, quando ai miei studenti di Comunicazione Sociale allo IULM sto per mostrare le campagne dei nostri ministeri degli ultimi vent’anni, avverto che sarà una mattinata di punizione e di nausea. Soprattutto in confronto alle tante ore di lezione passate ad esaminare le più creative e interessanti campagne del mondo. I motivi sono tanti, e pure la categoria dei creativi e delle agenzie non è esente da colpe. Innanzitutto nel pubblico c’è una scarsissima cultura della comunicazione: lo dimostrano le gare con 40 agenzie, decise dal capo ufficio acquisti (quello che compra di norma carta, computer e graffette, e di comunicazione ne sa meno di uno stagista) o da un qualche commissario con i soliti amici da accontentare per compiacere il politico potente di turno. Il degrado di un paese che di norma fa avanzare solo gli amici degli amici, è presente storicamente in forma elevata nel mondo dei ministeri. Basti guardare lo scandalo di importanti campagne assegnate negli ultimi trent’anni ad una qualche sconosciuta agenzia costituita per la bisogna, ad una agenzia di notizie priva di qualsiasi know-how in pubblicità, o all’agenzia in quel momento “di riferimento” dei partiti al potere. Salvo pochi fortunati casi, càpita anche che l’agenzia che ha vinto la gara, date le scarse remunerazioni, ci metta al lavoro le risorse meno esperte e meno costose, oppure che i creativi, nella speranza di acchiappare un qualche premio, realizzino uno spot che fa parlare di loro ma che c’entra assai poco con la strategia e gli obiettivi di comunicazione. Quando ho avuto l’occasione, come presidente dell’AssAP dal 93 al 98 (oggi Assocomunicazione) di interagire con il Garante della Concorrenza, ho combattuto del tutto inutilmente contro la prassi delle 40-50 agenzie messe in gara. Più tardi ho compreso che la trincea a difesa delle pari opportunità per tutti, nascondeva soprattutto l’opportunità di arraffare un po’ di idee qua e là, facendo spesso vincere poi chi era già deciso dovesse vincere. Grandi risorse sono state poi buttate nelle campagne anti-droga, le più difficili e impossibili da realizzare, anche perché vi sono quasi sempre stati profusi pre-giudizi borghesi che a un ragazzo di Scampìa, ad esempio, non dicono proprio nulla. Nel migliore dei casi, negli uffici comunicazione ora sono presenti un po’ di laureate in scienza della comunicazione (!), ma non vi dico l’imbarazzo quando un vecchio lupo che ha lavorato nelle più agguerrite agenzie internazionali si trova a dovere dialogare con un cucciolotto senza alcuna esperienza…
    Riguardo alle Onlus il problema è ancora più grave: dato che non ci sono risorse sufficienti, o si rivolgono al cugino che fa il grafico da uno stampatore, o al solito creativo che se ne impippa dei risultati inseguendo una comunicazione in grado di creargli un po’ di notorietà. Per stare ai linguaggi creativi, si oscilla dal toscanismo (shock a tutti i costi) o al pietismo spinto con l’ulteriore aggravante che a chiederti un contributo con aria lagnosa è uno dei tanti anchorman in apnea da audience tv, o desideroso di apparire “buono”. Così avviene che questa massa enorme di spot mal realizzati e peggio programmati (sempre al di sotto della soglia minima di GRP e in orari impossibili) vadano a costituire solo un gigantesco e noioso rumore di fondo che alla fine danneggia in primis le Onlus stesse, e poi i programmi, accrescendo inutilmente l’affollamento pubblicitario.
    Ecco perché a Pubblicità Progresso abbiamo creato con un attento impegno di anni la mediateca internazionale consultabile on-line, raccogliendo i migliori esempi di campagne sociali internazionali: affinchè tanto le Onlus quanto i dirigenti di enti e ministeri potessero e possano buttare un occhio su cosa si fa nel mondo, invece di guardare solo nella provincia italiana dove più che la competenza contano le amicizie e il metodo Bisignani…
    Ma come se non bastasse, c’è una piaga ancora più grave, descritta con drammatica efficacia da Chiara Furlanetto, nel suo libro “L’industria della carità” (editrice Chiarelettere). Il problema della trasparenza delle raccolte fondi e più in generale dei bilanci dello Onlus. Leggendo il suo saggio, che in realtà vi cattura come un romanzo, si scopre che la maggioranza delle risorse raccolte con gli sms solidali o altri metodi, vanno a finire nei costi della struttura, nelle spese organizzative o nelle spese di marketing, incluse assunzioni e consulenze a parenti e amici, o addirittura serenamente rubati. Per non parlare degli hotel di lusso e dei night club riservati agli operatori di missioni umanitarie internazionali di organismi di gran nome. Una volta, un intelligente ministro degli Affari Sociali mi disse: “ho scoperto che nel mondo del sociale metà fa del reale volontariato, ma un’altra metà ci campa sopra”. Leggendo i dati di Chiara Furlanetto si scopre che era stato ottimista! Nei paesi più civili le Onlus hanno l’obbligo di rendere pubblici i loro bilanci, mentre chi fa una raccolta fondi, una volta chiusa, è obbligato ad una precisa rendicontazione. Da noi no, naturalmente. C’era un solo organismo che era pronto per farlo, presieduta dall’ottimo prof. Zamagni, che aveva appena completato il data-base delle associazioni di volontariato, che sono circa 499.000! Con un decreto di poche righe, a questa Agenzia dello Stato si poteva dare l’incarico di verificare i bilanci e soprattutto la rendicontazione delle raccolte fondi rese semplicemente obbligatorie. Invece l’agenzia delle Onlus è stata chiusa per motivi di “spending review”. Pensare che costava in tutto 700.000 euro l’anno, mi pare, una vera briciola, che sarebbe stata ben spesa per evitare invece tutto questo enorme spreco mascherato da bontà.
    Termino con un esempio che dimostra che le cose si possono fare, basta metterci un po’ di impegno e di testa: quando ci fu il terremoto a L’Aquila, alcune famosi cantanti (Pausini, Giorgia, Nannini, Elisa e Mannoia) decisero di organizzare un grande concerto con altre 43 cantanti allo Stadio S.Siro di Milano per raccogliere fondi. Pubblicità Progresso diede il patrocinio allo scopo di pubblicizzare l’iniziativa e infatti lo stadio fu riempito da quasi sessantamila persone. Ma il patrocinio fu dato a patto che potessimo insediare una commissione in grado di verificare le spese e rendicontare il tutto. Ci misi a capo mia sorella Fernanda non per familismo (era un incarico gratuito) ma perché era la donna più alto in grado nella magistratura, essendo la prima donna diventata giudice della Corte Costituzionale. Il Comitato fu composto tutto da donne magistrate, avvocatesse, giornaliste di sicuro prestigio e onorabilità. Terminata la raccolta, il bilancio fu controllato dal Comitato, e poi fu pubblicato rendicontando pubblicamente le spese tecniche fino al centesimo, tolte le quali rimase circa un milione di euro. Fu un bell’esperimento, che si potrebbe ripetere su scala nazionale se ci fosse ancora l’Agenzia delle Onlus. Purtroppo non finì bene comunque. Io volevo si conservassero i soldi su un conto finchè la situazione fosse più chiara, ma vinse l’emozione e fu fatto subito l’accredito al Comune de L’Aquila, tranne una parte minore che fu accreditata ad una Onlus di fiducia di Gianna Nannini. Quei denari furono spesi bene e subito, la parte maggiore invece è finita nel calderone del Comune, e non sono ancora stati spesi per nulla…Vogliamo fare tutti insieme questa battaglia?
    Lo chiedo anche a Giovanna Cosenza. Cordialità.

  40. Il fotografo marchigiano Alberto del Bello ha partecipato alla Nona Conferenza Internazionale della Comunicazione Sociale e ha voluto realizzare questa sintesi video di otto minuti:

  41. Gentile docente dello IULM, gli shock del Toscani (vedi la ragazza anoressica) sono senza dubbio molto più efficaci del pietismo puritano che tracima dalle immagini di quello donne castrate e castigate che avete messo nei manifesti aizzando così, nel migliore dei modi, il becero maschilismo italico che, come è noto (ma forse non a voi che evidentemente brancolate nel buio senza rendervi conto del vostro operato) è sempre alimentato dall’istinto sessuale represso; non c’è da stupirsi quindi se tra i commenti più pesanti emergano quelli di natura sessuale che invitano alla “trombata”. E’ sconcertante constatare la vostra incapacità di comprendere il malessere di questo paese ingabbiato in un conflitto tra i sessi ormai epocale. Per questo motivo in particolare rappresentare la realtà reiterandola pedissequamente in video è assolutamente inutile oltre che dannoso. Detto sinceramente l’impressione è che siate inutile zavorra che ci impedisce d’evolvere dallo stato di stagnazione reazionaria che sta consumando il paese e la povera gente che nonostante tutto ancora ci vive e vorrebbe continuare a farlo. Saluti.

  42. Caro Alberto, io e Giovanna ci siamo scambiati alcune opinioni a proposito della comunicazione pubblica, ma il problema oltre che semplicemente cruciale è anche spinoso. Data l’assoluta mancanza di strategie e la scarsissima professionalità dei committenti (dei loro amici e parenti ed anche di qualche agenzia professionale) cercare di aprire un dibattito significa fare una critica feroce. Non tutti, almeno con il proprio nome, sono disponibili a criticare un ministero, una ONLUS, ASL e così via, perché ognuno di queste entità è quasi sempre espressione della politica, ed anche perché inimicarsi un direttore generale di un ministero non è mai conveniente (come diceva Clark Gable: tutte le persone che incontri andando in sù le rincontrerai venendo giù). Da adesso in poi quanto scriverò ti sarà noto e quindi inutile, al nostro dibattito, credo però che i tanti giovani frequentatori di questo blog abbiano la necessità di capire (in linea di massima) in che mare magnum siamo. Tu affronti il tema soprattutto sul piano della pubblicità o comunicazione, credo invece che prima occorrerebbe dibattere sulla necessità di posizionare un “prodotto” che in questo caso chiamerò “marketing sociale”. La comunicazione, funziona (se ben fatta, multimediale e con le risorse necessarie) se c’è un progetto di marketing con missioni e obiettivi specifici. Abbiamo visto tutti il patetico tentativo dello spot che esortava a chiedere lo scontrino fiscale (quello con i parassiti) a cosa è servito? A nulla, in quanto slegato dal “prodotto” non legato a delle motivazioni realisticamente attese dalla gente comune. Perché dovrei combattere il “parassita” se poi mi tocca pagare l’IVA o rinunciare ad uno sconto. L’Agenzia delle Entrate ha tanti “brand prodotti”: l’emissione di scontrini e ricevute fiscali, redditometro, spesometro, pagamento in contanti (se ci fosse una regola seria), pagamenti delle imposte rateizzati, modalità di ricorso. Come vedi solo all’agenzia delle entrate si potrebbero realizzare tanti piani di “marketing” e conseguente attività di comunicazione che mettano “il brand” AE in contatto e relazione con i cittadini. Gli studenti che ci seguono possono scegliere un altro ministero e fare lo stesso esercizio, critico e propositivo. Per le ONLUS e Associazioni varie vale lo stesso principio (come tu hai ben sottolineato per l’Aquila) prima ci diamo degli obiettivi, poi mettiamo insieme un prodotto pronto da distribuire e poi chiamiamo un pubblicitario competente e facciamo una campagna. Il fund raising non è un problema solo italiano, mi ricordo un’intervista di qualche anno fa del compianto Michael Crichton sui dati USA in cui si dimostrava che su 100 $ 60 venivano spesi per raccoglierli.
    Alla tua lista vanno aggiunti anche le campagne sociali che riguardano la salute e sulle quali si spendono cifre che qualcuno ha stimato in oltre 150 mli anno. In questo caso una colpa grave ce l’ha il Titolo Quinto che assegna alle Regioni i fondi per la sanità e le varie campagne sulla prevenzione ecc.. Accade così che si facciano 20 campagne differenti su temi come il cancro del colon retto, che ahimè colpisce ogni italiano senza fare distinzioni territoriali. Gli amministratori forse non hanno ancora capito l’importanza sinergica degli investimenti, l’abbassamento dei costi di produzione, il vantaggio di acquistare i media con un unico budget con. Ancora più assurdo è la suddivisione della spesa: il Ministero della salute assegna i fondi alle regioni, le regioni li risuddividono per le ASL che hanno la responsabilità operativa, cosicché la campagna si frammenta anche all’interno della regione.
    Concludo avvertendo gli scettici o chi pensa che servano troppi danari per il “sociale” mentre ci sono i pensionati da 400 €, che le campagne di marketing pubblico non sono una spesa, ma un ottimo investimento che nel lungo periodo fa risparmiare allo stato molto di più di quanto ha investito.

  43. Caro Pier Dario, molto vero quello che dici. Prima ancora di parlare del marketing parliamo del prodotto o del servizio. Però, diceva un vecchio detto, il meglio è nemico del bene! Concordo pienamente sul fatto che la prima cosa da fare sarebbe una concentrazione di spesa sui servizi e le attività che conviene comunicare, ma io cerco di stare sul terreno che mi compete e sul quale ho compertenze. Ogni volta che torno dall’estero, mi rendo conto che il nostro paese andrebbe rivoltato come un guanto…come diceva Bartali “je tutto da rifare”. Penso ad esempio al turismo, che potrebbe darci da vivere meglio di qualunque altra attività, a come non è stato curato dagli enti preposti, e a come è stato definitivamente messo in ginocchio anche lui dal Titolo Quinto. Non c’è non dico Regione, ma anche Provincia o Comune importante che non si muova e spenda per conto suo. Egualmente sulla salute. E allora torniamo al problema di origine: perchè si fanno o non si fanno le cose? Per interesse personale? Per voto di scambio? Di chi è la colpa del debito pubblico che schiaccia noi e i nostri figli? Avendo a lungo frequentato le istituzioni posso dire di aver incontrato assai raramente politici (e di tutti partiti) che non si muovessero per promuovere quelli della propria parte o alimentare il proprio elettorato, a prescindere dei veri obiettivi da raggiungere…E nessuno che si muocesse con un progetto a medio lungo periodo, ma tutti concentrati sui ritorni immediati. Ma vedi che a questo punto il discorso ci porta lontano, troppo lontano, e può perfino innescare il tipico corto circuito: “Tutti colpevoli, nessun colpevole”. Così, o scendi per strada con forze adeguate per una rivoluzione sanguinosa, o cerchi di rivoluzionare il tuo piccolo e il tuo quotidiano facendo bene quallo che sai fare, cercare quelli che la pensano così e costituire una rete che chiamerei Gruppi di Resistenza Umana. E quindi, per stare su quello conosco e pratico, torno a proporre un movimento d’opinione per evitare che tanti denari vengano buttati in raccolte che non vanno davvero a buon fine, per ridurre il volume della comunicazione sociale inutile impegnandosi a migliorare quella utile.

  44. A luzy: utile la modella anoressica di Toscani? Vedi, prima di dire agli altri che non sanno quello che fanno, sarebbe meglio informarsi per essere sicuri che quello che si dice non corrisponda solo ad una propria soggettiva idea. Fabiola De Clerq, presidente dell’ABA, l’associazione che cura e assiste diversi milioni anoressiche – e quindi una vera autorità in materia – ha spiegato molte volte l’effetto perverso di quel manifesto che, oltre a promuovere un marchio specializzato in taglie piccole…, veniva affisso nella propria stanza dalle ragazze malate come modello di ispirazione!

  45. Sono d’accordo con te, facciamo quello che sappiamo fare. Io però debbo dirti che mi sono stancato, in 40 anni mi sono trovato solo 3 o 4 volte di fronte ad un prodotto che valeva la pena di pubblicizzare: roba vecchia, con benefit assurdi e imprenditori o manager che non vogliono capire che la pubblicità è un megafono di conoscenza e non può sostituire le attese del consumatore/cittadino. Da cittadino di questo paese penso .. il saggio indica la luna e lo sciocco guarda il dito. E’ emblematico l’esempio posto da Luzy sull’anoressia. Io ho avuto l’onore e il piacere di lavorare con il grande Dott. Roberto Ostuzzi un autorevole clinico specializzato in questa terribile malattia oggi purtroppo per tutti noi scomparso stroncato da un cancro incurabile. Al tempo della campagna di Oliviero Toscani, Ostuzzi, con la sua gentilezza proverbiale, mi disse: “sicuramente quel manifesto ha fatto discutere e ha portato l’anoressia sulla bocca di tanti, cosa mai avvenuta prima d’ora, ma i centri specializzati per la cura della malattia in Italia sono ancora solo 12”. Insieme facemmo tante cose, PR stampa, convegni, un libro, ottenemmo centinaia di ritagli e se ne parlò tanto ancora. Ma i centri sono rimasti 12, e molti genitori non sanno a chi rivolgersi e/o cosa fare quando la loro figlia di 12 anni sono mesi che rifiuta il cibo ed è visibilmente dimagrita. Hanno paura di pronunciare la parola anoressia. Purtroppo si è trovato in questa situazione un nostro collega, io l’ho saputo per caso, sono andato a casa sua, ho parlato con lui e la moglie, ho regalato loro “Domande e Risposte” di Ostuzzi un libro finanziato dalla Regione Veneto (benemeriti) di cui ho stampato 10.000 copie senza avere un budget decente né per pubblicizzarlo, né per diffonderlo, ho dato loro conforto e qualche dritta. Le Associazioni come ABA non hanno denaro e forse anche poca capacità progettuale (gentile De Clerq non me ne voglia, se vuole sono pronto a darle una mano) e le Società Scientifiche come SIDCA non sono interessate alla prevenzione, il loro obiettivo è giustamente il lato clinico. Morale, le ragazze continuano a credere che la 38 sia roba da grasse e ahimè qualcuna ci muore dentro a una 28. Credo che pochi meglio degli uomini di marketing siano in grado di progettare strategie efficaci, oltre a comunicarle. Anche nel caso di Toscani le risorse investite (non so se denari o solo tempo e fatica) sono state buttate dalla finestra, ma hanno dato all’Oliviero ancora più popolarità.

  46. Alberto caro, potresti magari leggerti anche una serie di libri sull’anoressia che partano da posizioni psicoanalitiche e non ideologico-giustificazioniste…. Da bravo professore reazionario noto che hai l’abitudine paternalista di considerare “ignorante ” il tuo interlocutore. Questo ti squalifica nel rapporto di dialogo che stai tentando, lo capisci? Per il resto notiamo tutti quanti che i tuoi interventi svicolano dal problema di cui al topic per dilungarsi in una sorta di panegirico pro domo…. Vittimismo e pietismo unitamente a castrazione e subordinazione dl ruolo femminile emergono in pieno dal vostro video. Di questo avresti dovuto discutere con chi ha mosso critiche. Mentre invece abbiamo assistito alla tipica levata di scudi. Questa zavorra impedisce al paese di evolvere.

  47. Bene Luzy. Adesso che mi hai impacchettato su con il tuo vocabolario post rivoluzionario ti sentirai certamente più soddisfatta, insieme a “tutti i quanti”. Forse sei troppo giovane per sapere che queste erano le solfe che giravano già durante il 68, pari pari, e non ci vedo a mia volta nulla che permetta al paese di “evolvere”. (A proposito, secondo il dizionario italiano, che sicuramente è uno strumento reazionario, si dice “evolversi”, in quanto trattasi di verbo intransitivo pronominale ).

  48. Sì. il refuso è dovuto al troncamento di una frase che idealmente continuava… Per il resto credo d’aver scritto e visto giusto. Interessante la questione/stereotipo sul ’68… Ci scommetto le ovaie che non ho che sono più anziano io.

  49. Maschile o femminile se dai qualcosa di incompleto l’essere umano tenderà a completare quella mancanza mentalmente o materialmente.
    Qua non si tratta né di sessismo né di semantica ma semplicemente di Semiotica.
    Come pubblicità progresso è pessima e non è che l’ennesima conferma che l’Italia i soldi preferisce darli alla cazzo di cane piuttosto che a persone meritevoli.

  50. Pingback: La campagna shock contro la violenza sulle donne: ed è polemica | tuttacronaca

  51. io avrei mosrtato i volti dei ragazzini…

  52. Non ci credo.

  53. Se i cartelloni avessero raffigurato degli uomini sarebbero stati riempiti ugualmente di volgarità, dubito ne sarebbe seguita una giornata mondiale contro la violenza sul sesso maschile. Smuovere le coscienze servendo su di un piatto d’argento l’occasione per tirare fuori i propri istinti più beceri credo metta in luce la solita consuetudine del “io parlo alle masse ma in realtà le disprezzo”.

  54. Credo che Christian Paris abbia centrato il punto. E’ un modo semplice per fare polemica: se anche PP avesse messo degli uomini, sarebbero saltati fuori altri stereotipi su omosessualità, devianza e chissà cos’altro. Per me si tratta di una campagna furba, perché dall’esito scontato, facile alla polemica successiva. Pertanto una campagna disonesta

  55. L’ha ribloggato su mangialibro.

  56. io credo che il non mostrare il “volto dei ragazzini” è in realtà il segreto di pulcinella… è evidente, ma leggendo tutti questi post, ignorato dai più, che i manifesti nel video siano stai artefatti su commissione per mettere in piedi uno spot in 48 ore. Questo farebbe decadere la falsa etica dietro la quale si cela il sig. Alberto. Sarebbe bello che il risultato a gennaio fosse tutt’altro, a meno che gli stessi ragazzini non andranno in giro per tutto l’italico e maschio stivale.

  57. Pingback: Punto su di te | infodonna

  58. Vabbè ma dedurre tutto ciò da 4 scarabocchi in croce su dei manifesti mi pare decisamente assurdo e carente di giudizio…
    Non lo trovo un modo serio di affrontare la questione

  59. Pingback: Punto su di te, la campagna che svela quello che le donne vivono quotidianamente | Holly - Un cane con delle pretese

  60. Sottoscrivo quanto espresso da Luzy e da Christian Paris. Più triste di questa campagna, davvero debole sotto ogni punto di vista, è soltanto la levata di scudi Alberto, pomposa e patetica.
    Non ci sarebbe molto altro da aggiungere. Mi permetto solo di fare notare una cosa. Nello slogan dei manifesti (riportato in piccolo) si legge: “In Italia le donne non possono esprimersi al 100%”. Ma è prima di tutto il manifesto stesso a interrompere la frase della donna. La tronca, smorzando questa “violenza” attraverso l’uso dei puntini di sospensione come a suggerire “finite voi la sua frase”. Quindi la domanda: “Perché dobbiamo finire noi?”.
    Anche se tutti i commenti fossero stati garbati e rispettosi sarebbe stata comunque una violenza sulla libera espressione. Perché il manifesto richiede agli utenti di imporre il proprio pensiero, bello o brutto che sia, su quello della donna?
    Forse i creativi di PP dovrebbero riflettere su questo aspetto, visto che sono stati loro i primi ad aver troncato la voce delle donne nei loro manifesti.

  61. Pingback: In Italia le donne non possono esprimersi al 100%, in arrivo la campagna shock! | Lady Web Blog

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  65. Gli uomini tra di loro sono molto peggiori che con le donne

  66. se al posto della donna mettevano un uomo con la frase da completare.. state sicuri.. avrebbero aggiunto insulti comunque.. quindi secondo me non e’ discriminazione ma semplicemente goliardia e vandalismo! stop.

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  70. Può lo stato buttare i soldi per una pubblicità così idiota facendola passare per “Pubblicità Progresso”?
    I manifesti sarebbero stati imbrattati allo stesso modo anche se ci fossero state delle foto di uomini, con fumetti che stimolavano chiaramente all’imbrattamento!
    Credo che ci siano altri modi per sensibilizzare e risolvere detrerminati problemi che non con una campagna del genere.

  71. Lo stato non butta un bel niente. Come ha precisato su questo blog Alberto Contri, Presidente della Fondazione Pubblicità Progresso, i finanziamenti derivano da donazioni, l’attività non è finanziata da denaro pubblico.

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  74. Le pubblicita' progresso sono altre

    a me non sembra progresso per nulla! Anzi… il contrario… lasciare i puntini puntini come se una donna non abbia voce. Le pubblicita’ empowerment cavolo! Prendete esempio da always like a girl. Quella e’ una pubblicita’ progresso non questa!

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