Perché la campagna #coglioneNo è diventata virale

#coglioneNo

La domanda Cosa pensa, prof, di #coglioneNo? mi è arrivata subito, giusto un paio d’ore dopo che i tre video di Zero erano andati online. Poi mi è stato chiesto a ripetizione, nei giorni scorsi, e ormai tutti hanno detto (quasi) tutto. Aggiungo solo qualche osservazione su quali mi sembrano le due ragioni principali del successo virale della campagna.

  1. La campagna usa quella che altrove ho chiamato prova di commutazione e che ho invitato ad applicare alle pubblicità per verificare se hanno sfumature sessiste o no. Al posto della donna mettici un uomo – dico sempre – e vedi l’effetto che fa. Se tutto continua a sembrarti normale, le donne sono trattate esattamente come gli uomini. Se dopo la sostituzione la scena appare ridicola, offensiva o per qualche ragione inaccettabile, allora chiediti perché e cerca una risposta. Vedi: Pubblicità, sessismo e prova di commutazione. Analogamente, in questo caso, al posto di un mestiere cosiddetto “creativo” (ma vale anche per molte professioni che presuppongono competenze umanistiche e interdisciplinari, non strettamente tecniche né specifiche) la campagna ha messo un idraulico, un elettricista, un giardiniere: se nella nostra società i mestieri “creativi” fossero trattati alla pari dell’idraulico, dell’elettricista e del giardiniere non ci sarebbe nessun effetto strano, ma poiché non è così, i video fanno boom, denunciando un problema e facendo allo stesso tempo sorridere.
  2. Il target è vastissimo, gonfio, esplosivo, perché i video chiamano esplicitamente in causa tre categorie ad altissima densità di popolazione: (a) i freelance, in cui si possono identificare precari di tutti i tipi e di tutte le età, partite Iva, microimprese, studi associati e chi più ne ha più ne metta; (b) i giovani, che magari fossero solo gli anagrafici 15-24 su cui oggi sempre insistono statistiche e sondaggi, ma in realtà includono trentenni, quarantenni e persino cinquantenni e passa, specie se fanno mestieri precari e creativi, che bastano da soli a farti sentire tanto gggiovane; infine (c) i cosiddetti “creativi”, un insieme anche questo popolatissimo, perché ci puoi mettere dentro non solo pubblicitari, comunicatori, arti director, copy, videomaker, registi e compagnia bella, ma artisti di tutte le risme, professori, intellettuali e intellettualoidi di tutte le specie e i ranghi, e anche in questo caso non si finisce più di contare chi si può identificare in questo target, perché pensaci bene: chi è che oggi non si senta un po’ artista, un po’ creativo e molto genio incompreso dalla società? Chiedilo al/la tuo/a vicino/a di banco, di ufficio, di casa, e scoprirai che anche lui/lei ha fatto clic perché si sente potenzialmente mooolto creativo/a (ah, se mi facessero fare…) ma assai poco valorizzato/a e poco capito/a da questa “sporca società”. Chiedilo a te stesso/a infine, perché hai fatto clic? Insomma bravissimi, quelli di Zero. Davvero astuti. 😉

26 risposte a “Perché la campagna #coglioneNo è diventata virale

  1. Conosco gli Zero e ho seguoti da lontano la loro crescita evoluzione. Il video e la campagna. Un video era già stato ideato e se non ricordo male diffuso ma senza l’hastag #coglioneNo. Apparsa la parolina magica tutto è diventato esplosivo e virale.

  2. Vorrei far presente che anche i non creativi sperimentano situazioni più o meno analoghe. Quando sento “un ambiente dinamico”, “l’occasione della tua vita”, “un’opportunità per imparare cose nuove”, chiedo: la fregatura dove sta? E c’è sempre.

  3. sicuramente il lavoro degli acuti e sinceri ragazzi (perché più che strategia c’è una sarcastica e veritiera fotografia del reale) è più utile alla società del raccontare storie di chi ce “l’ha fatta” nonostante le difficoltà…

  4. i creativi non sono solo artisti. sono anche artigiani. Gente che sa fare il proprio mestiere di “creare” ma col mestiere, come una volta c’era il decoratore e non solo il pittore. Chi faceva fregi nel legno e non statue, chi faceva le greche sulle case e non quadri, chi incideva motivi nel marmo e nelle piastrelle e pietra, ma non avrebbe scolpito né sarebbe stato architetto.
    E così c’era il “fine dicitore” che oggi sarebbe uno speaker o un doppiatore. Mica un attore. C’era pure il tipo per strada che scriveva quello che volevi se tu eri analfabeta. Lui sapeva scrivere. E se tu sapevi scrivere, lui sapeva scrivere bene.
    Io per esempio sono un fotografo, ma non ho bottega. Conosco tanti colleghi che ce l’hanno. Oggi tutti hanno un iPhone, ma c’è ancora differenza tra un fotografo e uno con un telefono in mano e basta. Persino un fotografo col telefono che fa le foto (come ci spiega la foto editor di una nota rivista di moda) … può fare la differenza. Eppure nessun fotografo onesto si sente particolarmente artista o ggiovane o maestro d’arte. Però non c’è dubbio che si trova in un mestiere creativo. Vogliamo definirlo “visuale” ? Ma è solo semantica allora. In effetti per me è un artigiano, se non sta cercando di esprimere altro che bellezza o un concetto funzionale ad un messaggio commerciale.
    Ad ogni modo poco importa.
    Artista o artigiano?
    Le cazzate che ti dicono per non pagare sono sempre le stesse. Quindi mi sembra che sia preso un po’ sotto gamba … non credo che zero l’abbia pensata da furbetto.
    E i video di Tau Visual su Youtube, presenti da anni prima di questi, sono una testimonianza del fatto che in Italia si tende spesso semplicemente a non voler pagare: a non pagare NIENTE. Solo che gli artigiani classici, quelli col martello in mano, hanno più pratica, fegato e fiducia in sé stessi: se non paghi non temono reputazioni o altro.
    Le considerazioni sul fatto che – e parlo solo di questo settore – i photo editor in Italia praticamente NON esistono parlano da sé. Non è un “semotuttiartisti”. E’ più un “non c’è trippapergatti”. Basta fare un confronto con l’impaginazione di qualsiasi quotidiano italiano con qualsiasi altro inglese o statunitense: non è tra me e un fotografo di grido che si gioca la partita. Non si gioca affatto.

  5. I genitori di Stìv dicevano sempre che lui era stato adottato perché era speciale. Oggi tutti dicono che Stìv era speciale e lo hanno adottato!

  6. “Nella maggior parte dei casi il “creativo non pagato” ha studiato “scienze della comunicazione”, facoltà che per sua natura sforna persone insulse, intellettualmente pigre e fortemente impreparate”.

    Inizio a pensare alla necessità di un sindacato.

  7. “successo virale” proprio tanti complimenti ! Capire la causa è fondamentale per la soluzione del problema..(forse le ultime scoperte sul D N A mitocondriale potrebbero aiutarci )

  8. Concordo con ilcomizietto: anche i lavori non creativi ti raccontano cazzate per non pagarti… o per continuare a farti contratti a progetto… “sei una grande risorsa MA”.

  9. Analisi molto interessante. Ammetto che la campagna non mi convince nè colpisce tanto, sebbene mi abbia fatto ridere la prima volta che ho visto i video, lo confesso 🙂

  10. Questa cosa del “chi è che oggi non si sente un po’ artista” è molto scorretta nei confronti della mia generazioni. Abbiamo cercato di entrare in certi settori (comunicazione, servizi web, creazione contenuti per il web etc..) non perchè ci sentiamo un po’ “artisti” ma perchè c’è stato un momento in cui sembrava la scelta più saggia da fare. Sembrava l’investimento sul futuro giusto. E’ stato un errore. Ma ormai la frittata è fatta.

    Abbiamo studiato design, comunicazione o web marketing non perchè volessimo sentirci “diversi” da un idraulico, ma magari perchè sapevamo che a fare l’idraulico non saremmo mai stati capaci.

    Ci hanno etichettato come creativi, ma io (e molti miei colleghi) ci sentiamo “manovalanza digitale” e come tutti i manovalanti vorremmo che il nostro lavoro venisse guardato senza sarcasmo , senza il sorrisimo di “hey tu ragazzino illuso, cosa pensi di fare?” Vorremmo venisse visto come un lavoro..e basta

  11. Design e` una bella, solida, e tecnicissima parola. Si usa nella ricerca, in medicina, in quasi tutti i campi produttivi. Indica un`attivita` complessa, spesso ad alta specializzazione, e una capacita` progettuale non da poco. In Italia, pero`, il design e` popolarizzato come web design da 1 Euro, se non gratis. Lo stesso discorso si potrebbe fare per la parola progetto. Aridatece `sti due concetti, please.

  12. la cosa che vorrei ribadire è che in effetti il normale professionista che sente UNA volta quel tipo di frase ti manda l’avvocato. Il non farlo ha generato tutta questa cosa. Sugli stronzetti del “meritano di non essere pagati” ho solo da dire: quando non paghi quello che devi ottenere è esattamente quello che hai pagato: nulla. Se hai scelto di lavorare con qualcuno del quale disprezzi il lavoro chi è il deficiente?

  13. Il punto è che tutti possono fare i creativi. Avete presente la teoria economica dell’equilibrio? Se l’offerta è poca e la domanda (di lavoro) è troppo il prezzo (del lavoro) sarà molto basso.

  14. Che dire di quello che si sentono dire gli scrittori? Le pubblicazioni a spese dell’autore, i premi che prevedono un contributo e che al primo *permettono* di pubblicare, magari su di una rivista o addirittura sull’etichetta di un vino (no, non sto scherzando). Tutte occasioni utili e accettabili per chi è alle prime armi e in piena gavetta, a caccia di visibilità e senza bisogno di entrate immediate. Ma se non sei più un gggiovane, senti che sai già fare, e bene, quello che ti chiedono, che quello è il tuo quinto “lavoro a zero budget” (per te!) allora hai tutto il diritto di gridargli nelle orecchie di no.

  15. Mah. A me pare un video simpatico e ben fatto, ma di un’auto-indulgenza disgustosa. Non c’è nessun motivo al mondo per non farsi pagare, quindi i creativi (o presunti, o sedicenti, tali) che creano senza ottenere nulla in cambio non sono diversi da chi li sfrutta.
    Poche balle: l’Italia cambierà quando tutti si responsabilizzeranno. Puoi lavorare gratis per tre mesi, qualche prova, cose così. Ma nel momento in cui ritieni di aver acquisito una professionalità di valore, DEVI farti pagare, altrimenti danneggi anche i professionisti veri che non accettano di lavorare gratis e vengono scavalcati da te che invece lavori per qualche link su twitter.
    Per l’obiettivo degli autori il video è ottimo; ad essere pessimo e paraculo è l’obiettivo degli autori. Che dovrebbero denunciare se stessi.

  16. D’accordo con BileOnAir.
    Una certa tendenza dei datori di lavoro a sfruttare e dei dipendenti a lasciarsi sfruttare possono anche esserci, naturalmente. Ma sono fenomeni marginali, comunque quasi irrilevanti, rispetto al rapporto di mercato fra domanda e offerta — nel mondo reale, non in un mondo immaginario.
    E’ su quel rapporto che bisogna agire per cambiare le cose.
    Ad esempio, dal lato dell’offerta, numero chiuso (definito e aggiornato via via sulla base di una seria analisi del mercato del lavoro, come forse si fa per le lauree sanitarie) combinato con una formazione adeguata rispetto alla domanda.

  17. @Ben, io credo semplicemente che lo sfruttamento nei termini del “Non ti pago, al massimo ti pubblicizzo” possa realizzarsi solo in un paese assistenzialista (nel senso deteriore del termine) come il nostro. Nel momento in cui la partita si giochi sul piano della sola competizione di qualità, chi investa DEVE per forza puntare su quelli bravi. E pagarli. Non ci sarebbe bisogno di serrare le fila a questi ragazzi (e soprattutto, come fai?).

  18. Mi dispiace Giovanna ma stavolta non sono affatto d’accordo. Per tenere i corsi in università tu vuoi essere pagata? Bene, tutti quelli che lavorano vogliono esserlo. Semmai tu hai confuso la causa con l’effetto. Chi rovina il lavoro ai videomakers o ai fotografi (tanto per dirne una) sono i dilettanti che lavorano a basso costo. Esattamente quelli di cui tu dici: “chi è che oggi non si senta un po’ artista, un po’ creativo e molto genio incompreso dalla società?” Loro sono la concausa del problema, non l’effetto.

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  21. Mal comune mezzo gaudio: giornalisti, avvocati, architetti, medici: quanti neo laureati ho sentito lamentarsi giustamente!
    Non volete un laureato: prendete il primo scalzacane che vi passa sotto il naso! Ma quanti annunci di lavoro si rivolgono a “laureati/diplomati”!
    Veterinari e agronomi a spasso per campi – perchè devi fare esperienza, cammina- ne vedo continuamente.
    Non credo che sia una cosa relativa (o limitata) ai lavori “creativi”.
    E non è questione di “crisi economica”, non solo per lo meno.
    E’ la deliberata e pervicace volontà di non investire nei giovani, o meglio, di non volergli riconoscere un’adeguata preparazione. Ma non per dispetto, è che non la capiscono, non hanno gli strumenti per comprenderla: e quindi cercano di “fregarti” (supponendo che tu voglia fare lo stesso con loro).

  22. Cara Giovanna, cari altri lettori. Ci sono sviluppi. Forse nessuno aveva tenuto in considerazione questo: una mole di messaggi di idraulici, antennisti e giardinieri che raccontavano, a loro volta, di non essere stati pagati. Qui non si tratta di sentirsi tutti creativi, cosa che francamente mi pare una valutazione superficiale, bensì di problemi veri. Che vanno da coloro a cui viene chiesto di fare un video gratis a coloro che effettuano la riparazione di un tubo. http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/01/23/coglioneno-quelli-che-giocano-con-la-dignita-degli-altri/854303/

  23. A conferma di quanto riferito da Camomilla: un mio stretto parente, 35 anni, sposato, due bimbi piccoli, idraulico e termotecnico bravissimo, un anno fa è emigrato con la famiglia in Sudafrica: il lavoro da loro (Nordest) scarseggiava, ma soprattutto non riuscivano più a farsi pagare. La moglie ha un ruolo altrettanto importante nella ditta, un ruolo amministrativo-commerciale, e ha avuto molto peso nella decisione, in vista anche del futuro dei figli. Li ho sostenuti nella scelta, rischiosa e faticosa; hanno dovuto vendere tutto.

    Naturalmente, è sempre questione di prezzi e mercato. Avrebbero potuto dimezzare i prezzi e farsi pagare in anticipo, riducendo il loro reddito mensile netto, diciamo, da 3000 a 1000 euro. Hanno preferito andarsene.

  24. Ho scritto “è sempre questione di prezzi e mercato”. Ma va aggiunta l’oppressione burocratica e fiscale, dovuta all’elefantiasi statale. E’ stata un’altra loro ragione per emigrare.
    Mi telefonano decantandomi la snellezza delle pratiche per comprare o affittare una casa, per aprire un’azienda — tempo e costi ridotti da 10 a 100 volte. Poi lì ci sono altri problemi, che noi per fortuna non abbiamo. Come dicono loro, siamo proprio scemi.

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