Finalmente l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria si fa conoscere

Da circa una settimana è uscita la campagna con cui l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (Iap) cerca di farsi conoscere presso i lettori dei maggiori quotidiani nazionali. Non è la prima, ma è certo la più efficace, perché spiega in poche parole che, se una pubblicità è offensiva, volgare, ingannevole o esprime violenza, chiunque può fare in pochi minuti una cosa semplice e concreta: denunciarla allo Iap. Era il 2009 quando Annamaria Testa mi insegnò a usare questo strumento. Era il 2009 quando cominciai a parlare dello Iap in questo spazio e cominciai a denunciare campagne con regolarità, invitando tutti/e a fare altrettanto. Con tanta regolarità da trasformare il post “Come denunciare le pubblicità volgari o offensive” in una pagina stabile del blog (alza il naso e vedi sopra).

Da allora la conoscenza del ruolo, delle possibilità e (anche) dei limiti dello Iap si è diffusa molto, specie in rete. Non basta purtroppo. Ci vorrebbero campagne pubblicitarie a ripetizione. Ci vorrebbero spot in televisione e al cinema, per raggiungere il pubblico di massa. Martellanti. Ma lo Iap non può permetterseli, dunque non ci resta che usare ancora una volta la rete per diffondere questa bella campagna. Che – non a caso – porta la firma di Annamaria Testa.

Iap

43 risposte a “Finalmente l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria si fa conoscere

  1. Mah..a dire il vero non sono molto convinta di questa campagna o forse così a prima vista. Il concetto della volgarità è un costrutto culturale molto spesso basato su concetti religiosi e associato alle tette poi c’ha qualcosa che mi infastidisce.
    Il vero problema sono gli stereotipi che non vanno limitati alla donna seminuda ed è un errore credo associarli alla volgarità.

  2. l’avevo vista su un quotidiano, a me piace molto.

  3. Quoto e straquoto Mary. Nudità (erotismo, sessualità, etc.) e volgarità come assunto neo-fem reazionario di lotta ideologica. Senza contare che poi la scorsa primavera lo IAP prese quella “cantonata” (epocale) sul vibratore della Desigual. E ancora, la pubblicità della 500S, ritenuta lesiva della dignità femminile perché una bella donna si sistemava una scarpa lasciando scoprire le gambe… Tesi poi stracciata dal Giurì che ritenne la pubblicità, al contrario, allegra, ironica sovversiva e dotata di “script innovativo”.

    Di questo dovremmo discutere, ossia nella diffusa incapacità di leggere un’informazione erotica per quello che rappresenta in un contesto di libertà d’espressione (vedi anche tutto il gran polverone che si tenta di sollevare sulla pornografia e il web), e non certo dell’eventualità di coinvolgere il “pubblico di massa” in forme di delazione paranoica.

  4. sì sì, quoto anche io “tette+volgarità” giammai! Avevo scritto un commento, ma si è perso 😉 in cui mi chiedevo perchè non mettere delle chiappe al posto delle tette? Certo, le tette al posto dei bulbi oculari funzionano come gioco visuale, ma di concetto ainoi.

  5. Grazie prof. Giovanna Cosenza per gli apprezzamenti alla nostra campagna, la cui finalità principale è proprio quella che si definisce “call to action”, ovvero offrire uno strumento che consente a chi riceve il messaggio di sapere cosa fare.
    Oltre a diffondere la conoscenza dell’Autodisciplina, stiamo cercando di ampliare la nostra area d’intervento, in particolare, nei confronti della pubblicità locale e sul web. Ci muove la consapevolezza che l’Autodisciplina è un sistema di controllo al servizio di tutti, sia dei cittadini che delle imprese, anzi in prevalenza dei primi dato che il 93 % dei provvedimenti autodisciplinari riguarda proprio l’applicazione di norme poste a tutela del consumatore e del cittadino.
    Siamo quindi ben contenti che di questa realtà, verificabile in concreto da tutti salvo da chi è imprigionato dai propri pregiudizi, si dia attenta ed utile attestazione.
    Vincenzo Guggino
    Segretario Generale IAP

  6. Pingback: La campagna dello Iap e l’associazione tette-volgarità – Un altro genere di comunicazione

  7. completamente d’accordo con luzy e Mary… e felice che molte donne si distacchino da quel vecchiume. Però tengo buono il link, perché “ingannevole” è valido per tutti, che si veda la sensualità come sessismo o meno.
    Immagino che tutti i “può” aggiunti recentemente alle pubblicità di cosmetici, dimagranti e roba medica siano il risultato di qualche causa vinta, sbaglio? 🙂

  8. Carissime/i Mary, Luzy, Crudelia e chi più ne ha più ne metta.
    Certo che le tette in sé non sono volgari, santo cielo. E che venite a spiegarlo a me? (oddio Luzy è ossessionato dall’idea che io sia una neofem moralista, ma le altre dovrebbero essere libere da questa ossessione, no?).
    Allora ragioniamo assieme.
    Il visual di questa campagna doveva affrontare e risolvere con immagini diversi problemi:
    (1) evocare pubblicità censurabili senza mostrarle,
    (2) distinguere fra i vari modi in cui una pubblicità può essere censurabile,
    (3) fare tutto questo senza risultare a sua volta censurabile (cioè senza metterci immagini “autenticamente” volgari, violente eccetera),
    (4) fare tutto questo in modo chiaro, sintetico e congruente con il trattamento a disegni scelto per la campagna.

    Certo: sulla faccia dell’uomo Annamaria Testa avrebbe potuto mettere… un paio di mutande? (ma neanche quelle sono in sé volgari). Un sedere? (in sé non è volgare) Un pisellone? (nemmeno quello in sé è volgare).

    Allora? voi che ci avreste messo? E non vale dirlo a parole, attenzione: dovete mostrarmi un’immagine. Sintetica, chiara, congruente, eccetera.

    Inoltre, continuiamo a ragionare assieme.
    Le tette in sé non sono volgari. Certo che no. “In sé”.
    Ma provate a immaginare che quel disegno sia tradotto in fotografia: un paio di tette su una faccia maschile coi baffi. Potrebbe essere una roba mostruosamente volgare, no? Molte di noi potrebbero scattare, di fronte a un’immagine del genere. Denunciarla allo Iap.

    Ma in realtà dipende. Dipende da come è realizzata la foto, dai testi che la accompagnano, dal senso complessivo dell’annuncio, eccetera.

    Infatti.

    Non è mai la cosa “in sé” a essere volgare o no, ma il contesto in cui viene impiegata. E il trattamento che viene adottato.

    E allora? che immagine avreste messo al posto di quella scelta da Annamaria Testa? Dite dite. No anzi, disegnate, mostrate. Sintetica, chiara, congruente. Eccetera.
    🙂

  9. In due parole dico che non ci possono essere immagini “corrette” se una premessa è ideologicamente “scorretta”. Nel mio intervento infatti critico le premesse.

  10. Ho difficoltà a capire il concetto stesso di volgarità
    (Come stento a capire “oscenità”, “contronatura”, “anima”, “destino” e tanti altri concetti, che quindi non uso, al pari di chi ha posizioni filosofiche simili alle mie. In fondo, ognuno di noi si definisce anche per le parole che usa e per quelle che non usa mai.)
    Insomma, la critica potrebbe essere rivolta non tanto a come è stata rappresentata la volgarità, ma all’essere ricorsi a questo (dubbio) concetto.
    Come minimo, il suo significato è oscuro, per me e per altri, e non è detto che sia possibile chiarirlo in modo condivisibile. Potrebbe meritare di essere lasciato cadere, al pari di tanti altri concetti caduti in desuetudine, almeno nell’ambito di analisi razionali. (Nel linguaggio comune, anche “malocchio” troverà forse sempre qualcuno che lo usi.)

    E’ solo un suggerimento, sull’argomento ho più sensazioni che idee definite. La sensazione, in particolare, che nel significato di “volgare” ci stia anche un’opposizione a “distinto” (nel senso della “distinzione” di Bourdieu).

  11. non conoscevo lo Iap.. non capisco bene quali siano i requisiti per cadere sotto la sua censura, ma così di prima impressione mi viene da dire solo: che orrore! i custodi della morale! i censori! i bacchettoni! Essendo cresciuto a pane e Dylan Dog fin da bambino mi dà la nausea immaginare che siccome qualcuno “si sente offeso” una forma d’espressione venga censurata. Sentirsi offesi è qualcosa che può capitare a tutti secondo la propria sensibilità, non siamo certo in un campo in cui esista un danno oggettivo. Molte persone possono “sentirsi offese” da semplici provocazioni, da parodie, da caricature, dall’umorismo, dall’espressione di idee, concetti, immagini controcorrente, da campagne basate proprio su un approccio ruvido, o persino da immagini che al 99% di noi sembrerebbero innocue, ecc.. mentre molte altre possono vedere nelle stesse cose forme d’arte, d’impegno politico, battaglie culturali, politiche o sociali o non vederci assolutamente nulla di particolare. Basti pensare alle varie religioni.. quante cose potrebbero offenderle! Dalle donne discinte, all’omosessualità.. quante cose troverebbero volgari, immorali, offensive, inaccettabili? Ognuno di noi ogni giorno vede cose che gli danno fastidio, si può sentire offeso, urtato, etc.. ma voglio vivere in una società dove “chi s’incazza si scazza” e non denuncia alla censura chi lo offende. Dove un’offesa resta limite estremo della libertà d’opinione e d’espressione. Dove è ancora possibile scontrarsi a viso aperto con la sensibilità della gente. Dove non passi neppure per la testa di poter imporre il gusto di qualcuno o la somma dei gusti di molti come una cappa sulla libera espressione di tutti. Dove sia chiaro che ogni censura è di per sè antidemocratica. Contesto totalmente l’uso della forza, della coercizione, dell’autorità per gestire queste cose (d’altronde fosse per me si abolirebbe ogni traccia di reato o aggravante d’opinione dal codice italiano): ritengo si dovrebbero risolvere all’interno della società tramite i comportamenti delle persone. Tramite la scelta di acquistare o meno un prodotto, tramite la critica anche pubblica e collettiva alle campagne pubblicitarie, e più in generale su di un piano educativo e culturale, anche per fornire maggiori capacità di lettura, ecc… ma senza far intervenire alcuna forma di censura, senza tirare in ballo divieti, poliziotti, tribunali e loro equivalenti. D’altronde la prova me la dà chi contesta a questo manifesto dello Iep di essere volgare: il manifesto dello Iep è denunciabile allo Iep combinando le linee guida di quest’ultimo con la sensibilità di alcuni lettori, ma per Giovanna Cosenza è possibile argomentare tutto il contrario.. cosa c’è di più aleatorio? perfetto, no?

    Sinceramente sembra scritto da Giovanardi:
    Art. 8 – Superstizione, credulità, paura

    La comunicazione commerciale deve evitare ogni forma di sfruttamento della superstizione, della credulità e, salvo ragioni giustificate, della paura.

    Art. 9 – Violenza, volgarità, indecenza

    La comunicazione commerciale non deve contenere affermazioni o rappresentazioni di violenza fisica o morale o tali che, secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori, debbano ritenersi indecenti, volgari o ripugnanti.

    Art. 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona

    La comunicazione commerciale non deve offendere le convinzioni morali, civili e religiose.

    Essa deve rispettare la dignità della persona in tutte le sue forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere

  12. Manca una categoria alle pubblicità da segnalare quella che “considera il consumatore un minus habens” e i pubblicitari italiani in questo sono dei veri fuoriclasse. Ma, d’altra parte, ognuno ha la pubblicità che si merita.

  13. spago24, prima di gridare all’orrore, assicurati di aver compreso le cose. Lo Iap è un organismo di autodisciplina: sono gli stessi pubblicitari che lo compongono, decidono di darsi delle regole e di farle rispettare. Non siamo mica sotto dittatura, suvvia.

    Ben, è lo stesso Cadice di autodisciplina dello Iap a usare l’espressione “volgarità”, problematica, è verissimo. Tu cosa suggerisci di inserire, al suo posto? Non è una domanda finta: l’ottimo Vincenzo Guggino segue questo blog, come puoi leggere sopra, e tutto lo Iap è disposto a rivedere e migliorare il codice, a fronte di proposte ragionate e concrete.

    Per tutti/e. Ho più volte sottolineato i limiti dello Iap, su questo blog, come può verificare chiunque faccia una ricerca usando il motore interno al blog. Va detto però che, pur con tutti i suoi limiti, questo strumento è servito, negli ultimi anni, a arginare molti errori e orrori del mondo pubblicitario italiano. E a stimolare uno sforzo di riflessone e ripensamento da parte di molti cosiddetti creativi e molte agenzie. Invece di sparare contro, aiutiamoli a migliorare. Loro stanno cercando di dialogare con noi, perché sprecare questa occasione?

  14. Lo IAP può lavorare autonomamente. Lo IAP non ha bisogno di un fanclub. E un eventuale “aiuto” (“nostro”, di cittadini, lettori, studiosi, etc…) si dovrebbe limitare a una critica ideologica sul loro operato, nella fattispecie quando questo sconfina nel conservatorismo bacchettone e opta per la classica e storica censura moralista. Perché è evidente che è proprio sul tema della rappresentazione dell’eros che si scatenino le diatribe più incredibili. Ho fatto due esempi, poco sopra, che appaiono chiarissimi e interpretano benissimo un certo piacere morboso alla “segnalazione di massa” che s’è diffuso anche su “vostra” insistenza (cfr il tuo post). In altre parole è ormai chiaro a tutti/e che aizzare il popolo a sostegno dello IAP abbia per lo più scatenato i “pruriti sessuali” di molte italiane e italiani.

    Parliamo di questo, Giovanna. Non di altro su cui lo IAP lavora certamente con grande professionalità. L’insistenza sul tema del corpo, della sessualità, della metafora erotica in ambito pubblicitario e no, dello sconfinamento nel porno-soft (vedi lo spettatocolo in genere, la musica, la tv, i giornali, etc.) ha tenuto banco per qualche anno sui blog di Zanardo e Lipperini, determinando un certo grado di delirio collettivo sull’argomento. Non posso dire di avere il polso della situazione ma mi pare che limitatamente ai due blog citati ci sia stata una certa inversione di rotta, o per meglio dire sia calato un certo silenzio sull’argomento.

    Su DISAMBIGUANDO no. Qui l’argomento corpo/sex e degenerazione della comunicazione tiene ancora banco. Il che di per sé è comprensibile, vista e considerata la grande importanza di questa tematica (sex) all’interno della vita di tutti noi. Quel che si nota però è una tendenza ideologica alla moralizzazione con effetto propagandistico, dunque politico. Da qui i miei puntuali interventi “contro”.

    Ora se gentilmente ti va di rispondere, cara Giovanna, leggeremo con grande interesse un tuo prossimo post che faccia il punto sulla situazione. Grazie.

  15. Cara Cosenza, queste questioni sono troppo serie per lasciarle fare ai pubblicitari. Quale pubblicità passerebbe indenne da un filtro a quattro valori quali offensività, falsità, violenza, volgarità? È un po’ che non passo da queste parti ma la musica non è cambiata – a parte i tuoi nuovi scranni professionali/politici, visto che nel 2013 sei diventata presidente regionale del Corecom, emanazione dell’Agcom. E quindi su queste e altre questioni hai da giustificare un ruolo pubblico, non solo il mero commento dell’accademica che sforna in puro broadcasting un post al dì per la sua visibilità.
    Proviamo un po’ a sgranchirci i neuroni.
    La pubblicità è violenta per definizione in quanto invasiva a tutti i livelli: non solo mediatici, per cui basterebbe al limite spegnere il medium per esercitare il diritto a non essere importunati, bensì in tutti gli spazi fisici del quotidiano ove è impossibile vivere senza essere molestati in continuazione da questi stalker dell’economia. Il fatto che molti siano abituati, pardon, assuefuatti, a questa invasività di cartelloni, affissioni e slogan che l’occhio e l’orecchio non riescono a evitare e la memoria a scordare, è solo un sintomo del masochismo umano che si abitua omeopaticamente a tutto, e comunque al peggio.
    Mi pare che pochi avvocati del diavolo si cimenterebbero nella confutazione dell’offensività della pubblicità. È evidente che all’alba dei tempi la promozione commerciale avesse la sua dignità ma oggi che la descrizione delle ragioni di acquisto di un prodotto o di un servizio esulano completamente dalla referenzialità per sostituirvi cortometraggi di compatibilità emozionale col cliente, è evidente a ciascuno di noi che una pubblicità offende in ogni caso l’intelligenza del suo interlocutore proponendogli indentificazioni che nel migliore dei casi sono l’indecente invito all’omologazione e nella peggiore una ratifica di invalidità culturale. Ça va sans dire che dal punto di vista dell’accademico che questi linguaggi li analizza c’è solo dualismo: o con la pubblicità si fotte o la pubblicità si sfotte. Non mi farò incastrare con l’accusa dell’idealista che va parlando nel deserto e propone l’eliminazione della pubblicità ma poichè essa un dazio da pagare al nostro sistema economico, un’educazione umanistica come quella per cui vieni pubblicamente pagata consiste nell’insegnare a vaccinarsi contro di essa e non a lamentarsi se la dose è stata tagliata male.
    Quanto alla falsità di una pubblicità si rischia il ridicolo solo a cercarne una che non lo sia. In fondo se ragionassi come un pubblicitario dovrei definire una pubblicità come falsa se e solo se ha fallito nella sua circonvenzione di incapace.
    È banale che l’offensività sia un pleonasmo della falsità: laddove un prodotto o un servizio si differenzia dai concorrenti e mostra una reale utilità/novità basta la referenzialità: Dash lava più bianco sarebbe autoevidente. Ma poiché anche gli altri lavano come lui è chiaro che occorre buttarla sulla supercazzola.
    A questo punto resta da capire se non sia volgare invadere gli spazi degli individui, raccontare palle, indurli a una transazione di cui la pubblicità è un contratto disatteso. La prostituzione dell’usare qualunque cosa per venderti un detersivo: questo è volgare. Che vi sia l’uso della sessualità è accessorio e marginale. Logicamente è un’assoziazione inconsistente che racconta solo dell’immaturo rapporto col sesso e dell’ideologia neo puritana di chi trova fastidiosa l’immagine di un seno, di un pisello, di una copula. Ma poiché ciascuno di noi negherebbe di essere un bacchettone moralista si usa il termine volgare mettendo due tette al posto degli occhi epperò una volta che qualcuno ti fa notare l’associazione rigida che hai applicato si ricorre alla fumosità del trastullarsi con la falsa questione di cosa sia la volgarità. E facendo finta che l’associazione che si è posto non sia un test che misura il proprio moralismo censorio verso il corpo.
    Quindi mi domando come consumatore a cosa serva lo Iap, di cui conosciamo tra l’altro tutti i limiti attuativi di cui il più evidente è che è inutile cassare uno spot quando il suo ciclo vita è già finito e multare con cifre ridicole. Se si fa sul serio (sempre che serva a qualcosa, e per me non serva a niente se non a far parlare quelli che a svariato titolo ci traggono pecunia), allora occorre mettere in moderazione committente ed agenzia negando gli spazi pubblicitari in specifici media per tot tempo. Questo sì che porterebbe a una sanzione effettiva sul futuro visto che lo IAP nasce per sanzionare.
    Te la senti di intraprendere la persuasione verso questa strada legislativa, presidentessa del Corecom, oppure ritieni che masturbarsi tra amici pubblicitari sia il massimo che si deve al consumatore che si vuole proteggere e per cui ci si candida a ruoli politici come lo è l’Agcom e le sue emanazioni?

  16. Giovanna, rispondo alla tua domanda (che concetto inserire nel Codice al posto di volgarità?). Rinuncerei al concetto, e anche a tutti gli altri inseriti negli articoli 8-10. Non credo sia possibile regolare ragionevolmente queste materie, come spiega bene spago24. Quegli articoli, per quanto li si voglia elaborare, si presteranno sempre alle interpretazioni più disparate. Sarebbe più onesto intellettualmente sostituire gli articoli 8-10 con il seguente:

    La comunicazione commerciale non deve offendere in modo grave la sensibilità del pubblico quando tale sensibilità appaia fondata su valide ragioni.

    Gli art. 8-10 nascondono, dietro una cortina fumogena di belle e vaghe parole, che i criteri cui allude sono molto opinabili e inevitabilmente dipendono dal giudizio personale o di gruppo del Comitato — come invece apertamente suggerito dalla mia formulazione.

    Data l’opinabilità della materia, ritengo dubbia l’utilità dello IAP stesso: ci possono essere dei pro, ma ci sono anche dei contro. Se ai pubblicitari sta bene, bene. Ma ci sarà pure qualcuno che non aderisce, immagino.

    Il disincentivo più efficace alle pubblicità brutte, che non violino il Codice penale, è il rischio che non abbiano successo. Se poi invece al pubblico piacciono, pazienza. Chi ritiene che il pubblico e i pubblicitari abbiano bisogno di essere educati, magari con buone ragioni, si impegnerà a educare l’uno e4 gli altri nei vari luoghi in cui ciò è possibile. Come in questo blog, anche senza fare denunce allo IAP — in my humble opinion.

  17. Pingback: LOFFICINA commenta il blog ‘un altro genere di comunicazione’ | LOFFICINA

  18. Come dice Ben, si ha una certa difficoltà a definire il concetto di “volgarità”. Come ricordano anche le attiviste di unaltrogeneredicomunicazione è una battaglia al sessismo di cui si sente il bisogno e non una campagna moralizzatrice contro i costumi sessuali (aggiungo io). Al contrario è evidente che nel “manifesto” di cui sopra la “volgarità” venga inequivocabilmente associata al corpo femminile, al desiderio e all’eros rappresentati in contesti pubblicitari. Questa premessa è intollerabile. Chi ci difende da questo? Lo stesso IAP che bacchetta la modella della 500S perché troppo seducente e sfrontata?

    Seriamente e sinceramente, Giovanna, non credi sia arrivato il momento di fare chiarezza una volta per tutte? Tu replichi “Certo che le tette in sé non sono volgari, santo cielo. Ovvio, Credete che Annamaria Testa pensi che sono volgari? O che sia caduta in trappola? Suvvia, non è nata ieri.”

    Ecco, se Testa non è caduta in una trappola tesa dal suo stesso inconscio, se non è stata vittima di una sorta di “lapsus creativo”, non saprei che altro pensare se non che sia una persona con intenti ideologici puritani. Diciamo allora che ha preso una cantonata, come su questi temi ne hanno prese lo IAP, Zanardo, Lipperini, Cosenza stessa. Vediamo allora di non prenderne più, magari riconoscendo gli errori compiuti.

    A questo punto l’unica maniera per procedere non è accusare il solito “luzy” di ossessione neo-fem ma di riconoscere che alcuni di noi avevano fatto presente questo rischio “censura/puritana” fin dalla comparsa del video della Zanardo. Sarà dura uscirne imho ma siamo ancora in tempo.

  19. @Luzy
    Vedo che anche tu continui a non capire. Riprendi la frase di Cosenza:
    ““Certo che le tette in sé non sono volgari, santo cielo. Ovvio, Credete che Annamaria Testa pensi che sono volgari? O che sia caduta in trappola? Suvvia, non è nata ieri.” ”
    La senti? La senti l’indignazione di chi si debba smarcare da qualcosa di strumentale che non gli appartiene e che se creduto mostrerebbe un QI modesto? Srotoliamo il gomitolo e traduciamo:
    “Ovvio che le tette non sono volgari, noi le abbiamo e ci facciamo quello che ci pare tanto che per questo hanno inventato i push up e prova ad affermare che qualcuna giri ancora con la prima. Non hai capito perché Testa ci ha messo le tette? Suvvia, noi siamo più intelligenti delle frasi che diciamo. Non avrai mica pensato che davvero io creda a tutte le cose, i numeri, le petizioni, che propagando qui o ci abbiano creduto davvero le altre scaltre che tu citi a titolo di pasionarie? Povero illuso. Questa è pura visibilità spendibile in mille contesti cavalcando gli argomenti del momento. Oro che cola. Non hai visto il palmares? E abbiamo ragione noi: hai visto quante donne in parlamento? Hai visto le nuove quote rosa obbligatorie da tutte le parti? Oggi se non sei donna non sei nessuno. Hai visto che ci infilano dappertutto? Cosa vuoi che ce ne freghi della donna nuda in tv, che tra l’altro sono secoli che sono castigatissime? Sveglia, su. “

  20. La pubblicità è il ruolo dell’anarchia. Jacques Séguéla scrisse un libro dal titolo “Non dite a mia madre che faccio il pubblicitario… Lei mi crede pianista in un bordello”. A mio avviso, propria per l’anarchismo insito nella pubblicità, tutte le pubblicità devono andare bene, anche quelle al limite del pornografico, altrimenti andrebbero punite anche quelle pubblicità che, in generale, giocano sugli stereotipi. Inoltre, ho citato il caso della pubblicità di “Adotta un ragazzo” per evidenziare il fatto che, a mio avviso, c’è troppo femminismo nei media, per cui se in una pubblicità vengono mostrati uomini oggetto da mettere nel carrello della spesa, specificando che essi non sono stati maltrattati, come se fossero degli animali, tutto va bene, mentre se viene mostrata una donna che va al supermercato, tutti a lamentarsi.

  21. qualunque cosa è ben accetto se aiuterà a limitare cucchiaini succhiati avidamente per pubblicizzare yogurt e ragazze smutandate per pubblicizzare ammorbidenti profumati.
    A sproposito ci si lamenta della campagna “adotta un ragazzo” ma non per quella della muller mix (tartufini… di cioccolato)? Certo quella della muller è più ironica però mi sembra anche molto ma molto più stereotipata con il pettorale in primo piano. E più datata.
    Quella di adotta un ragazzo io lo ho vista molto poco in giro e l’unica cosa che trovavo discutibile era il servizio in sé (discutibile, non deprecabile).

  22. Io ho parlato della pubblicità di Adotta un Ragazzo peché sulla stessa non c’è stata nessuna critica “ufficiale”, è ovvio che non è l’unica sessista, ma va detto che lo è

  23. Sperando di non essere di nuovo vittima di un episodio di bullismo da parte di Luzy, dico la mia.

    Vorrei chiedere al dott. Guggino: se una campagna viene sospesa a seguito di un’ingiunzione di desistenza da parte dello Iap, che tipo di danno economico ne deriva per la ditta? Maggiore , ad esempio, di un breve boicottaggio da parte di un centinaio di persone? Immagino che la durata delle campagne vari, ma esiste un tempo medio che viene abbreviato dall’intervento dello Iap?

    Al posto di “volgare” avrei scritto “sessista”, un termine ancora poco conosciuto ma da diffondere, e cercato un’immagine che illustri il concetto di denigrazione. La critica più ricorrente fatta a chi combatte la pubblicità è di voler censurare le immagini erotiche. Ma per me il recente spot sul pagamento del canone Rai, con un uomo posato e serio e una donna che diventa isterica e molto aggressiva quando non può vedere la tv è ALTRETTANTO sessista di quelle in cui mangia uno yogurt con mimica che ricorda la sessualità. Quella della Swiffer con la polvere riservata a lei è ALTRETTANTO sessista di quelle a base di sex appeal. In tutti i casi la donna è rappresentata in modo svilente. Nello spot della 500 non è il fatto che sia una bella donna ad essere censurabile, ma che sia equiparata a una “bella macchina”. Ostinarsi a non capire questi concetti è malafede. Lo dici anche tu, Luzy “non ci possono essere immagini “corrette” se una premessa è ideologicamente “scorretta”. Quella dello spot Fiat è ideologicamente corretta?

    Lo Iap interviene in molti casi di réclame volgari, ma ancora non accade lo stesso con molti spot o immagini sessiste “eleganti”. Non sono stati ravvisati elementi di contrasto, ad esempio, in un’immagine che mostrava una bella donna, distinta, come sempre scollata, con un piccolo tappeto arrotolato in testa, la pubblicità di un negozio di tappeti ovviamente. Elegante però. Ecco, comprendere che mettere in testa alla donna gli oggetti da vendere ( ho visto scarpe, borse, piatti, tazzine da caffè…) è svilente quanto le immagini “volgari”, comprendere che quando la donna appare isterica, o una bambina deficiente come nello spot della Golia, il pubblicitario ne ha fatto una rappresentazione offensiva, vorrebbe dire fare passi da gigante verso l’eliminazione del sessismo in pubblicità e ci farebbe avvicinare ad altri Paesi europei dove riescono a vendere benissimo senza svilire nessuno.

  24. Sperando di non essere di nuovo vittima di un episodio di bullismo da parte di Luzy, dico la mia.
    – – – –
    Carino come inizio. Di gran classe direi. L’altro episodio quale sarebbe, tanto per capire…

  25. ANNA MARIA ARLOTTA: Per coerenza dovresti essere favorevole anche al boicottaggio dello spot di Adotta un ragazzo? Vero?

  26. Beh allora le pubblicità dove ci sono gli animali? Perché non parlare del fenomeno del cane oggetto che viene trattato alla stregua di un peluche. E poi gli animali sono costretti a fare le pubblicità, mica possono scegliere.

  27. @Luzy: te lo scrivo in privato.
    @Cinemalaska: se ho ben capito non si tratta di una réclame, ma di un annuncio “particolare”. Visto il fine, cosa altro puoi aspettarti? La differenza è proprio qua: gli uomini sono trattati esattamente alla stregua delle ragazze-nessuno, senza altra identità che il fisico e il sex appeal, ma mentre in “Adotta un ragazzo” c’è una logica, pubblicizzare l’ADSL con una ragazza a gambe larghe e un doppio senso no. I video dovrebbero farti capire come si sentono tante donne ad essere rappresentate così, ma mi sembra che al di là del risentimento non vai, e ti invito a farlo. Comunque la figura di un uomo gettato nel carrello per essere acquistato è di una tristezza unica.

  28. A tutte le mie fan chiedo, per favore, di non disturbarmi in privato. Grazie.

    Quanto alle accuse dell’Arlotta, ovvero che sarebbe stata “non so che” dal sottoscritto, posso rimandare all’altra discussione alla quale credo ella faccia riferimento (che ho schedato come “paranoia fallica”):

    Gli spot paritetici dei Magretti Galbusera

    Sul caso della 500S copioincollo sotto quando deciso dal Giurì e riportato dallo IAP. Dunque che Arlotta se la prenda col Giurì, che luzy è stanco, vecchio e pure malato. Saluti&Baci

    http://www.iap.it/2013/04/n-192013-del-942013/
    Il Comitato di Controllo ha chiesto l’intervento del Giurì nei confronti di Fiat Group Automobiles spa in relazione al telecomunicato relativo a “Fiat 500 S” ritenendolo in contrasto con l’art. 10 del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
    Lo spot ha per protagonista una donna che, con modi particolarmente sensuali e provocanti, si sistema una scarpa, mentre un uomo non riesce a toglierle gli occhi di dosso. La donna prima aggredisce l’uomo, verbalmente e fisicamente, e poi “si trasforma” in seduttrice, finché non viene “sostituita” dall’immagine della nuova “500″. A quel punto appare il claim “Nuova 500 S, irresistibile come la tentazione” e la S viene declinata in seductive, stylish, sexy. Ad avviso del Comitato, la decodifica del messaggio metterebbe in evidenza una rappresentazione svilente della donna, posta sullo stesso piano dell’automobile come desiderio dell’uomo, sfociando in una commistione tra donna e prodotto che condurrebbe alla mercificazione della persona.
    Fiat ha eccepito che il suo intento era quello di utilizzare una figura femminile positiva e forte in contrapposizione alla figura maschile che risulta incerta, insicura e priva di iniziativa. La resistente, pur riconoscendo la pacifica metafora tra donna e automobile ha evidenziato che la metafora non sarebbe di per sé svilente della dignità della donna. Nel caso concreto, verrebbe rappresentata una donna di personalità, forte e indipendente, e certamente non una figura femminile subalterna al maschio. Sarebbero le qualità della figura della modella ad essere esaltate dalle caratteristiche dell’uomo coprotagonista dello spot.
    Il Giurì ha ritenuto che la pubblicità censurata dal Comitato non lede la dignità umana e in particolare quella femminile e pertanto non viola l’articolo 10 del Codice. La metafora donna-macchina, in questo caso, esiste senz’altro, ma viene ribaltata la situazione ordinaria. Infatti, nello spot di “Fiat 500 S” è la macchina a rappresentare metaforicamente la donna, brillante, elegante e sicura di sé; l’automobile viene in pratica “innalzata a donna”. È quindi la “500 S”, e non la ragazza protagonista del comunicato, che si può comperare, possedere, avere. Anche la metafora e la commistione tra essere umano (donna o uomo che sia) e automobile è lecita, finché resta nel limite del rispetto della dignità dei soggetti coinvolti nel racconto filmico. Rispetto che il Giurì ha rilevato nello spot in questione, dove la figura della ragazza non è mai vista come succube o subalterna all’uomo. Ad avviso del Giurì si percepisce una metaforica rappresentazione della donna che non solo non subisce, ma anzi mostra personalità e carattere, perché reagisce, irride persino e s’impone nella storia narrata. Tutte caratteristiche che, secondo il Giurì, non ledono la dignità della protagonista. Lo spot tv, quindi, si propone come ironico, allegro e con script innovativo, rispettando nella sostanza il dettato normativo dell’articolo 10 del Codice.Il Giurì, esaminati gli atti e sentite le parti, dichiara che la pubblicità contestata non è in contrasto con il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.
    http://www.iap.it/2013/04/n-192013-del-942013/

  29. Intervengo solo per alcune precisazioni “tecniche” visto che per il ruolo che ricopro non ritengo opportuno entrare in questioni più ampie. L’Autodisciplina pubblicitaria esprime un sistema di regole e di procedure voluto e sostenuto dalla base professionale del mondo della comunicazione commerciale. Non è e non viene vissuto come un’entità “morale” che censura ma come una struttura indipendente e competente che fissa dei parametri di “best practices”, come peraltro succede in tutta Europa e nel mondo. Le regole del Codice IAP, come la maggior parte delle norme giuridiche, sono “generali ed astratte” per essere quanto mai flessibili ed idonee ad abbracciare la molteplicità delle situazioni. E’ compito di chi è chiamato ad applicarle interpretarle secondo “scienza e coscienza”. Il “giudice” autodisciplinare è indipendente dal mondo della pubblicità e portatore di specifiche discipline scientifiche ed esperienze professionali. http://www.iap.it/conoscere-iap/organizzazione/ La sanzione autodisciplinare è il blocco del messaggio ritenuto non conforme al Codice di autodisciplina e i tempi dell’iter di valutazione sono rapidissimi, al punto da far cessare molto spesso campagne in corso e che comunque non potranno essere più riprese. Questi i tempi autodisciplinari: http://www.iap.it/conoscere-iap/numeri-delle-attivita/
    La scelta della sanzione inibitoria, ovvero la cessazione della campagna, è utile per il consumatore che vede sparire l’oggetto della contestazione, impedendo il protrarsi della campagna. Il blocco di una campagna rappresenta anche una sanzione economica, sebbene indiretta, per l’azienda, che si trova da un giorno all’altro senza una leva di marketing importante a sostegno del proprio prodotto; annulla l’investimento economico impiegato nella realizzazione della campagna, e può far conseguire anche un serio danno di immagine.
    Vincenzo Guggino

  30. Può essere utile che ci sia un “un sistema di regole e di procedure voluto e sostenuto dalla base professionale del mondo della comunicazione commerciale” (Vincenzo Guggino) per frenare eccessi di concorrenza sleale, mediante comunicazione commerciale eccessivamente ingannevole. (Do per scontato che un grado moderato di inganno sia comunemente presente nella pubblicità.)
    A quel che ho capito navigando un po’ in rete, a questo servono enti simili allo IAP in USA, UK e altrove.
    Utile anche, a mio modesto parere, qualche regola e procedura di auto-disciplina a speciale protezione dei bambini, per la pubblicità di prodotti indirizzati a loro.

    Altra cosa è la auto-disciplina per pubblicità che offendano la sensibilità di settori del pubblico adulto. Qui a me sembra più opportuno limitarsi al Codice penale. Non ho capito bene come stiano le cose al riguardo in UK, USA eccetera.
    Se poi il mondo della comunicazione commerciale preferisce diversamente, chi sono io per giudicare? 🙂
    (Sempre che spendano soldi loro — anche se alla fine della fiera i costi ricadono sempre sui consumatori.)

  31. Dell’intervento di Vincenzo Guggino mi interessa questo passo (e credo sia quello che maggiormente ci riporta alla discussione d’inizio thread):

    « L’Autodisciplina pubblicitaria esprime un sistema di regole e di procedure voluto e sostenuto dalla base professionale del mondo della comunicazione commerciale. Non è e non viene vissuto come un’entità “morale” che censura ma come una struttura indipendente e competente che fissa dei parametri di “best practices”, come peraltro succede in tutta Europa e nel mondo. »

    Bene. Ma poste le regole rimane qui insolito pronunciarsi (Guggino) come se ci potessimo porre al di fuori dei meccanismi di decodifica che qualsiasi essere umano dovrà mettere in atto nel momento di esprimere un giudizio pro o contro uno spot contestato. Già la contestazione iniziale (o segnalazione) si basa quasi sempre sulla sola percezione soggettiva di un presunto “danno”: possiamo anche chiamarlo banalmente “fastidio”, tanto per rendere l’idea del processo che porta spesso poi alla censura di una pubblicità. Il primo livello di “fastidio” deve essere però superato e approdare alla valutazione oggettiva del danno. Ora questa valutazione oggettiva è sempre condizionata dalla cultura e dalle posizioni ideologiche di chi si troverà a dover sentenziare su un Sì o un No. Pertanto non è significativo sostenere che lo IAP non venga vissuto come un’entità “morale” che censura, perché ai fatti dovrà, come tutti noi, confrontarsi con la decodifica di una forma di comunicazione chiamata pubblicità e decidere se censurare o meno.

    Questa discussione parte da una contestazione generale (o quasi) dello spot creato appositamente per promuovere lo IAP. Paradossale che appunto le critiche abbiano poi messo in evidenza proprio quegli aspetti “moralistici” che nell’uso di un’immagine sessuale troverebbe sicura e facile presa su un pubblico di potenziali censori di estrazione puritana, sessuofobica, misogina.

  32. Ringrazio il dott. Guggino per la risposta. In questi giorni stiamo segnalando un cartellone della Lagostina senza immagini, che recita: “Ogni donna moderna è vincente quando utilizza una pentola a pressione Lagostina”. Non credo che serva che io commenti per capire il sessismo insito in questo messaggio. Ci sono nudi? No. Donne ammiccanti? No. E’ volgare? Per niente. Allora va bene? No.

  33. @Annamaria Arlotta
    Ottimo esempio!
    Certo che non va bene (““Ogni donna moderna è vincente quando utilizza una pentola a pressione Lagostina”). E’ un enunciato alquanto stupido e alquanto sessista.
    Alquanto stupido: è ovviamente falso che basti usare una Lagostina per essere vincente, quale che sia il significato di “vincente”. Però la si può intendere come un’iperbole che suggerisce che una buona pentola a pressione aiuta a risparmiare tempo in cucina, il che aiuta a fare bene altre cose.
    Alquanto sessista: una buona pentola a pressione è di aiuto a un uomo come a una donna, menzionare solo la donna suggerisce che cucinare sia compito principalmente delle donne. Però in effetti la realtà è prevalentemente ancora questa: le donne in Italia cucinano molto più degli uomini.

    Se siamo d’accordo su tutto questo, perché mai questa pubblicità dovrebbe essere (auto)censurata? Secondo questa logica, dovrebbe esserci anche un Comitato che autocensura gli articoli alquanto stupidi e alquanto sessisti dei giornalisti, e i libri degli scrittori, e i film dei registi. La materia non mancherebbe, quanto a sessismo e, assai di più, quanto a stupidità, che per la sensibilità di molti non è meno offensiva e diseducativa del sessismo.

    Se pubblicitari, giornalisti, scrittori e registi accetteranno questa auto-disciplina, bisognerà prenderne atto. Sarà un grosso passo in una direzione che ad alcuni può piacere.
    Ma non sarebbe meglio — dico io e dicono altri — limitarsi a criticare i prodotti mediocri che non violino il Codice penale (la pubblicità Lagostina ovviamente non lo viola), senza sollecitare autocensure?
    Non sarebbe meglio indirizzare le proprie energie a fare e apprezzare pubblicità, articoli e libri di buona qualità?
    E sviluppare e favorire la cultura in cui ci si riconosce, senza pretendere di tacitare quelle in cui non ci riconosciamo (entro i limiti di un Codice penale che garantisca una convivenza civile)?

  34. No

  35. Vorrei chiedere al professore Vincenzo Guggino perché l’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria non ha sanzionato la campagna pubblicitaria di “Adotta un ragazza”. In questa campagna, gli uomini vengono esplicitamente raffigurati come oggetti da mettere nel carrello della spesa.
    Le chiedo perché bisogna sanzionare solo le pubblicità dove le donne vengono mostrate come oggetti da acquistare?
    Noi uomini siamo pari alle donne e quindi anche noi ci sentiamo offesi quando veniamo raffigurati come oggetti da mettere nel carrello della spesa.
    La invito gentilmente a fare chiarezza su questa tematica.

  36. cinemalaska, ma che problema è essere messi nel carrello della spesa? (Metaforicamente, ovvio!)
    Il dramma è non esserlo. Dai.

  37. Ben, che problema c’è nell’essere belle, formali e sensuali, semmai il problema è non esserlo…

  38. In molti casi essere bocciati dall’IAP è una garanzia, un attestato di merito. Basta ricordare che una delle prime pubblicità sanzionate dall’Istituto di autodisciplina è stata quella di Pirella e Toscani per i Jeans Jesus, “Chi mi ama mi segua”: una campagna che ha fatto storia.

  39. Interessante, a questo proposito, l’analisi che nel 1973 Pier Paolo Pasolini ha fatto della pubblicità dei Jeans Jesus.
    Il linguaggio pubblicitario sembra a Pasolini puramente pragmatico e comunicativo; se è espressivo, la sua espressività è stereotipata, rigida, ben diversa da quella vera, passibile di interpretazioni “infinite”. Ma nello slogan dei jeans Jesus trova un’evoluzione nuova di un’espressività imprevista:
    “Lo spirito blasfemo di questo slogan non si limita a una apodissi, a una pura osservazione che fissa la espressività in pura comunicatività. Esso è qualcosa di più che una trovata spregiudicata (il cui modello è l’anglosassone «Cristo super-star»): al contrario, esso si presta a un’interpretazione, che non può essere che infinita: esso conserva quindi nello slogan i caratteri ideologici e estetici della espressività”.

  40. La “blasfemia” percepita nell’immagine storica dei JJ risulta tale nella misura in cui la sessualità (la donna in particolare come creatura “miticamente” corrotta) venga considerata “figlia del diavolo” (metafora che può essere spiegata solo a livello psicoanalitico). Dopo decenni, ancora si parla di “indecenza” e “volgarità” (vedi sopra) facendo riferimento alle immagini di Eros (e qui la “decodifica sessista”, come sottocategoria delle “decodifiche aberranti”, ha ampiamente aggiunto danno al danno). Su questi temi PPP aveva alcune “zone oscure” di pensiero che definirei “psichicamente reazionarie”. Per questo motivo citare PPP su tematiche di genere è sempre rischioso.

  41. L’ha ribloggato su comunicatorepoliticoe ha commentato:
    #IAP Condivido la campagna per la promozione di una cultura critica e attiva verso le pubblicità a firma di Annamaria Testa. Se queste violano i requisiti previsti dalla legge a tutela del consumatore, devono essere denunciate allo IAP Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, bastano due minuti per compilare un form sul sito.

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